La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 10 ottobre 2015

Ascoltate i siriani: gli sciacalli dei media e il racconto delle persone

di Ramzy Baroud
Immaginate la guerra civile siriana dal punto di vista di comuni siriani che provengano da vari contesti. E’ estremamente probabile che offrano una prospettiva diversa e che abbiano aspettative completamente differenti rispetto alla maggior parte dei soggetti coinvolti.
Una persona che risiede Idlib, un abitante del villaggio di Deraa, una casalinga, un’ insegnante, un’infermiera oppure un ex prigioniero disoccupato di qualsiasi altro posto in Siria definirebbero il loro rapporto con la guerra usando una terminologia e una conoscenza che è parzialmente o interamente opposta ai resoconti trasmessi dalla CNN, da Al-Jazeera, da Russia Today, dalla BBC, da Press TV, e da qualsiasi piattaforma televisiva disponibile che si interessa degli esiti della guerra.
Questi media personalizzano i loro servizi e, quando è necessario – come spesso accade –orientano il loro il focus in modi che comunicano le loro agende editoriali già designate e che, prevedibilmente, sono spesso collegate alle più ampie agende politiche dei loro rispettivi governi.
Forse affermano di parlare in conformità con una qualche linea morale immaginaria, ma, francamente nessuno di loro lo fa.
Certamente le storie dei siriani comuni non sono preparate in anticipo o comunicate tramite conferenze stampa in maniera così articolata, attenta e prevedibile. Quella è una faccenda che è stato riservata ai politici e perfezionata da loro che rappresentano i paesi con evidenti interessi personali per la guerra.
Ma una notizia che viene coperta così completamente e discussa ventiquattr’ore su ventiquattro, in maniera così esauriente, come potrebbe essere così lontana dalla realtà che è a portata di mano?
Naturalmente non esiste una sola verità quando si spiega la guerra in Siria, e neanche un tipo di narrazione attenuata fatto dalle persone può cambiare questo. I russi, per esempio, giustificano il loro recentissimo intervento definendolo azione necessaria per prevenire l’avanzata del Daesh, sebbene i russi stessi vengano accusati da tutti gli altri, tranne l’Iran, che stanno prendendo di mira altri gruppi di opposizione. I russi, a loro volta, accusano tutti gli altri, tranne l’Iran, o di aver iniziato il problema, autorizzando o finanziando il Daesh, oppure di non riuscire a fare nulla di significativo per mettere fine alla guerra.
Se visto da altre prospettive – i paesi arabi (specialmente i paesi del Golfo, la Turchia, l’Iran, Hezbollah, la Giordania, gli Stati Uniti, i paesi europei, e così via, sembrano comunicare la loro comprensione della guerra, spiegando quindi la natura del loro coinvolgimento usando tutti i tipi di motivazioni rette e giustificate. Sembra che siano tutti uniti dal loro amore per i siriani e per il sacro valore delle loro vite.
Considerando, tuttavia, che finora oltre 300.000 siriani sono stati uccisi nella guerra, molti di più sono stati feriti e 6 milioni sono diventati profughi affranti, si può essere certi del fatto che nessuno di questi governi in realtà si preoccupa per la vita dei siriani, compresi, purtroppo, il loro governo e l’opposizione. Per essere meno espliciti, possiamo essere certi che la sopravvivenza della nazione siriana non è un priorità per coloro che stanno usando la Siria come terreno per la loro prossima guerra per procura.
Color che sono morti in Siria sono stati tormentati da tutte le parti in guerra, e le pallottole che hanno ucciso, le bombe che hanno devastato i quartieri, e i razzi che a casaccio hanno fatto cadere le case hanno avuto origine da troppe direzioni per poterle contare.
In altre parole, non ci dovrebbe essere più spazio per un tipo polarizzante di narrazione in Siria, come: brave persone contrapposte a persone cattive; regime cattivo contrapposto all’opposizione, o terroristi contrapposti al governo sovrano; o forze regionali che stanno tentando di invitare alla stabilità e alla pace, contrapposte ad altre che scelgono il caos.
Questi pensieri, e altri, attraversavano la mia mente quando ho cominciato a registrare le esperienze di rifugiati siriani e palestinesi che sono riusciti ad attraversare l’Europa attraverso la Turchia e la Grecia. Dopo aver letto innumerevoli articoli sulla guerra, avere ascoltato migliaia di notiziari, aver consultato molti “esperti”, arabi e non arabi, ho trovato di gran lunga più significative e piene di informazioni significative le ore che ho passato con i rifugiati.
Quando mi è stato spiegato, per esempio, come ha avuto luogo l’assedio di Yarmouk, e dopo aver fatto incrociato le informazioni con quelle di altri rifugiati che forse hanno una diversa prospettiva politica riguardo alla guerra – ho scoperto che la nostra conoscenza di ciò che avvenuto in quel campo profughi era stata quasi completamente sbagliata o, piuttosto, politicizzata – quindi distorta, opportunistica e in generale non vera.
Il viaggio di Khaled da Damasco a Idlib, Homs, Hama e poi fino a Qamishli e poi al confine turco priva il resoconto della sua polarizzazione; Khaled era un obiettivo per chiunque; in effetti la sua sofferenza continuò anche quando attraversò il confine turco, prese una barca per Lesbo, tentò di entrare in Macedonia, poi in Serbia e così via. Gli ci sono voluti 4 mesi per raggiungere la Svezia, facendo 10 fermate in 10 prigioni diverse.
Il suo racconto non conteneva alcun riferimento alle brave persone contrapposte alle persone cattive, in nessun senso collettivo. Qualsiasi atto di gentilezza che gli è capitato di ricevere durante il suo viaggio era stato certamente casuale, e dipendeva interamente dalla bontà delle persone comuni, come lui.
Lo stesso sentimento fu trasmesso tramite la storia di Maysam, i cui colleghi della Società della Croce Rossa siriana furono arrestati e torturati perché curavano i combattenti dell’Esercito Siriano Libero, all’Ospedale Palestine. Scappò prima che i servizi segreti venissero a cercarla nella sua casa nel quartiere Zahara di Damasco.
Molti altri non sono più in grado di comunicare la loro personale storia della guerra, perché sono stati uccisi o dalle forze del Governo siriano, dall’opposizione, da altri gruppi, o dagli attacchi aerei condotti dagli Stati Uniti. Un resoconto particolarmente commovente è stato quello dell’esecuzione di una ragazza di 16 anni in una pubblica piazza vicino ad al-Hajar al-Aswad (sobborgo di Damasco, n.d.t.), dopo che aveva confessato di essere una “spia” per il regime. La ‘confessione’ le fu estorta dopo averle sparato a bruciapelo al palmo della mano destra. Sostenevano che la ragazza avesse messo dei GPS in aree dell’opposizione cosicché l’esercito potesse guidare i suoi missili in base ai segnali che riceveva. I barili-bomba dell’esercito siriano, naturalmente non sono bombe intelligenti e infatti non ne esiste nessuna. Hanno sparato sei volte in faccia alla ragazza.
I racconti dei siriani comuni sono spesso usati nella copertura della guerra fatta dai media, ma in maniera selettiva, mai in un onesto e vero campionamento. La versione di Al Mayadeen (canale televisivo libanese – n.d.t.) del ‘siriano medio’ è quasi del tutto diversa da quella di Al-Jazeera. I siriani sono abituati a integrare le agende dei media esistenti, dato che il loro paese è abituato a mandare avanti i piani di azione politici.
Quando il conflitto sarà finito, i partiti in guerra arriveranno alla conclusione che o hanno raggiunto i loro obiettivi o che non possono più farlo; rimarrà soltanto ai siriani il compito di rimettere insieme le loro vite. Quando gli ultimi morti saranno seppelliti, i dispersi saranno ritrovati o dichiarati morti, quando i prigionieri saranno liberati o detenuti indefinitamente, soltanto allora vincere e perdere finiranno di avere qualsiasi significato.
La tragedia in Siria è che la guerra combattuta in nome dei siriani ha poco a che fare con i loro diritti; le voci dei siriani sono o del tutto trascurate oppure usate e manipolate per raggiungere determinati fini politici. E quando tutto è stato fatto e detto, è probabile che gli sciacalli dei media alimenteranno le fiamme di qualche altro conflitto in qualche altro luogo.
Certamente è già troppo tardi per molti siriani le cui storie sono state seppellite insieme a loro, ma non è troppo tardi per molti che sono ancora vivi. E’ necessario ascoltare i siriani, che sono stati bersaglio della morte, ma che devono ancora esprimere le loro aspirazioni alla vita e le loro tragedie continue.

Il Dottor Ramzy Baroud scrive da 20 anni di Medio Oriente. E’ un opinionista che scrive sulla stampa internazionale, consulente nel campo dei mezzi di informazione, autore di vari libri collaboratore e fondatore del sito PalestineChronicle.com. Il suo libro più recente è: My Father Was a Freedom Fighter: Gaza’s Untold Story(Pluto Press, Londa). [Mio padre era un combattente per la libertà: la storia di Gaza che non è stata raccontata]. Il suo sito web è www.ramzybaroud.net

Originale: non indicato
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0

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