La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 10 ottobre 2015

In viaggio alla ricerca del tempo perduto

di Mauro Trotta
È pos­si­bile par­lare del Ses­san­totto, e in par­ti­co­lare del Mag­gio fran­cese, a distanza di tanti anni, resti­tuen­done appieno la com­ples­sità e il sapore più vero, senza alcuna reto­rica, senza pre­giu­dizi, evi­tando sia l’esaltazione fine a se stessa sia la deni­gra­zione pre­con­cetta? Al di là di saggi, inchie­ste, reper­tori di docu­menti più o meno validi e riu­sciti, dovrebbe essere l’arte a far­sene carico, pro­du­cendo opere in grado di resti­tuire l’atmosfera e l’essenza di quel periodo. In campo cine­ma­to­gra­fico regi­sti come Ber­nardo Ber­to­lucci con The Drea­mers e Phi­lippe Gar­rel con Les amants régu­liers si sono fatti carico magi­stral­mente di tale com­pito, decli­nando l’argomento in modo ori­gi­nale e secondo la pro­pria visione per­so­nale, ma riu­scendo a comu­ni­care, allo stesso tempo, quello che una volta si sarebbe defi­nito lo Zeit­geist, ovvero lo «Spi­rito del Tempo».
In campo let­te­ra­rio c’è un libro, uscito in Fran­cia nel 2002, defi­nito non a caso da «Le Monde» «il più impor­tante romanzo sul Ses­san­totto e sul Mag­gio Fran­cese», che ha final­mente tro­vato la strada, gra­zie alle Edi­zioni Cli­chy, per arri­vare anche in Ita­lia.
Si tratta di Tigre di carta (pp. 288, euro 17) scritto da Oli­vier Rolin, all’epoca mili­tante di spicco del movi­mento e attual­mente scrit­tore affer­mato, con all’attivo vari premi letterari.
Persi nell’anello stradale
Il romanzo è scritto in prima per­sona. Il nar­ra­tore, alter ego dello stesso Rolin, incon­tra a una festa di vec­chi com­pa­gni Marie, la gio­vane figlia di Treize, il suo amico più caro, morto da tempo. Man­cano pochi giorni al primo sol­sti­zio del XXI secolo e la ragazza gli chiede di par­larle del padre, a lei pra­ti­ca­mente sco­no­sciuto. I due si allon­ta­nano insieme e, dopo aver recu­pe­rato Remem­ber, la vec­chia DS gri­gio argento del nar­ra­tore, ini­ziano una sorta di viag­gio pre­ve­len­te­mente lungo la péri­phé­ri­que, l’anello stra­dale che cir­conda la città di Parigi. Ini­zia così il rac­conto di quel periodo, un rac­conto che si dipana nel tempo e nello spa­zio. La nar­ra­zione, infatti, non si limita agli eventi del Ses­san­totto e degli anni imme­dia­ta­mente suc­ces­sivi, ma inve­ste un periodo di tempo anche di molto poste­riore oltre ad eventi acca­duti in un pas­sato più lon­tano, come l’infanzia del nar­ra­tore o la morte di suo padre, ex-combattente con De Gaulle e poi uffi­ciale in Indo­cina, ucciso in Viet­nam dall’esplosione di una gra­nata del can­none della stessa moto­ve­detta fran­cese su cui si trovava.
Oltre le meschinità
Il rac­conto non è mai lineare: gli eventi, gli epi­sodi, i fatti si intrec­ciano gli uni con gli altri, acca­val­lan­dosi e mesco­lan­dosi tra di loro. Il tono è asso­lu­ta­mente col­lo­quiale, ricco di digres­sioni e di rimandi a can­zoni, libri, autori. Il tutto scan­dito quasi dalle inse­gne lumi­nosi e dai car­telli pub­bli­ci­tari che si vedono dalla mac­china. Insomma, andando avanti la nar­ra­zione si espande, si com­plica, non si limita sem­pli­ce­mente a foca­liz­zarsi sul padre della ragazza, ma sem­bra esplo­dere, dise­gnando, però, in que­sta maniera una sorta di affre­sco dell’epoca che rie­sce a ren­derne il sapore più auten­tico, illu­mi­nan­done i tratti crea­tivi, gio­cosi, le lotte, la com­pli­cità e la soli­da­rietà. Ma anche gli aspetti più cupi: la fedeltà incrol­la­bile alla Causa e al Grande Diri­gente (dalle ini­ziali della carica chia­mato Gédéon), le meschi­nità indi­vi­duali e col­let­tive, la distru­zione di rap­porti inter­per­so­nali, come, ad esem­pio, dimo­stra la sto­ria d’amore tra due com­pa­gni, Win­ter e Cosette, costretti a inter­rom­pere la loro intensa rela­zione per­ché spe­diti a fare lavoro poli­tico in due luo­ghi diversi e lontanissimi.
Il gomi­tolo del «noi»
Del resto, far esplo­dere il discorso, allar­garlo a dismi­sura è anche l’unico modo per par­lare del sin­golo, di Treize: «Marie, non posso par­larti di lui senza par­larti di noi. Non so come far­telo capire, non era­vamo asso­lu­ta­mente dei “me, degli “io”, a quell’epoca. Era una cosa che appar­te­neva al nostro essere gio­vani, ma soprat­tutto appar­te­neva a quell’epoca. L’individuo ci sem­brava tra­scu­ra­bile, e per­fino disprez­za­bile. Treize, tuo padre, mio eterno amico, era uno dei nostri. Un filo di un gomi­tolo. Non posso sbro­gliarlo, divi­derlo, strap­parlo da noi, sennò lo farei morire una seconda volta. Senza di noi, la sua imma­gine sbia­di­rebbe – senza “noi” ogni memo­ria scom­pare». E ancora: «È quando non ci capi­rai più niente, quando con­fon­de­rai tutti, che avrai un’idea di come era­vamo, di come era tuo padre in mezzo agli altri». E anche se «oggi tutti i bene­stanti si van­tano di tro­vare comica que­sta sto­ria, una vera farsa (…). Vor­reb­bero, in effetti, essere rim­bor­sati per la loro paura: per­ché all’epoca posso dire che ave­vano una fifa boia. Sia quelli che aspi­ra­vano alla glo­ria, al potere, al denaro – e che adesso ce l’hanno –, sia quelli che lo pos­se­de­vano già. E parte del loro attuale odio deriva da lì: aver avuto così tanta paura».
Un libro dav­vero bello e impor­tante Tigre di carta, un libro denso, dall’andamento sinuoso, a spi­rale, in cui, tra l’altro, emerge in maniera potente il nesso che lega verità e memo­ria: «Atten­zione (…) non biso­gna cre­dere a tutto quello che rac­conto. E non è che cerco di dis­si­mu­lare, di defor­mare qual­cosa: è che la mia memo­ria è ormai solo dis­si­mu­la­zione e defor­ma­zione». Eppure è sol­tanto a par­tire da que­sta dis­si­mu­la­zione e defor­ma­zione, costi­tu­tiva della memo­ria, che, quasi prou­stia­na­mente, il tempo per­duto può diven­tare tempo ritrovato.

Fonte: il manifesto 

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