La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 4 marzo 2017

Lavoro e reddito: una questione di produzione!

di Marta Fana e Simone Fana
Di ritorno dalla California, Renzi si imbatte nella difesa del lavoro, come principio sui cui la Repubblica italiana si fonda, con questa argomentazione respinge l’idea del reddito di cittadinanza che al contrario del lavoro è, secondo lui, incostituzionale. Un atteggiamento che rasenta il paradosso, ma anche una non banale dose di approssimazione su argomenti chiave: il lavoro, il reddito, l’autodeterminazione individuale e collettiva, la libertà. Paradossalmente Renzi parla di lavoro come diritto costituzionalmente garantito nonostante le riforme adottate dal suo governo in materia di lavoro e occupazione siano ben distanti dai principi fondamentali della Carta.

La bufala del lavoro di cittadinanza

di Andrea Fumagalli
E’ molto signorile Laura Pennacchi a resistere alla tentazione di parlare di frode a proposito della proposta di Renzi di “lavoro di cittadinanza” in alternativa al “reddito di cittadinanza”. In effetti avrebbe tutte le ragioni, dal momento che tale proposta è stata da lei presentata più volte negli scorsi anni in nome dell’obiettivo della piena e buona occupazione e ha già suscitato sul sito di Sbilanciamoci un ampio dibattito. E’ chiaro che Renzi usa tale espressione in modo diverso e ipocrita per finalità in parte opposte a quelle evocate da Pennacchi. Se l’obiettivo può essere lo stesso (il raggiungimento della piena occupazione), le modalità sono in effetti differenti.

Nei margini estremi della società italiana

di Remo Siza
Ci sono tendenze nella società italiana che stanno cambiando profondamente la soggettività delle persone, le loro attese e i loro progetti per il futuro, le relazioni fra una classe sociale e un’altra. Non mi riferisco soltanto alla crescita della povertà o alla crescente concentrazione dei redditi e delle ricchezze in pochi gruppi sociali e a livelli di disuguaglianza superiori alla media europea e inferiori solo a paesi come il Portogallo, la Grecia, la Spagna. Ciò che sta emergendo è un fenomeno nuovo che riguarda la struttura delle economie avanzate nel loro complesso e delle società che intendono governarle, e i modi nei quali esse funzionano e si riproducono, le modalità che intendono privilegiare per uscire dalla crisi (Siza 2017).

Una elezione imprevedibile: diario francese

di Marco Assennato
Immanuel Wallerstein ha ragione: quello che accadrà alle elezioni presidenziali francesi è « assolutamente imprevedibile»1. Fino a qualche mese fa, in Francia, il tradizionale vantaggio dei partiti di sistema nelle competizioni elettorali lasciava presagire, accanto alla crisi verticale di consenso del PSF e di Francois Hollande, il ritorno al potere di una destra dura e conservatrice. L’interesse attorno alle primarie de Les Républicains, partito ricomposto da Nicolas Sarkozy, con gli oltre 4 milioni di partecipanti, sembrava confermare l’ipotesi. Eppure, proprio a partire da quel giorno, tutto è parso precipitare contro logica: sconfitto Sarkozy, a prevalere non è stato Alain Juppé – il più adatto, secondo Wallerstein, per « attrarre il voto dei socialisti e dei moderati di centro e quindi di vincere le presidenziali» – ma Francois Fillon, interprete di un programma «ultra conservatore» sul piano economico e sociale, oscurantista sul piano dei diritti civili e filo-russo in politica estera, sul quale difficilmente avrebbero potuto convergere elettori di sinistra convinti dell’emergenza repubblicana.

Reddito di cittadinanza

di Lanfranco Caminiti
Misure di soccorsi pubblici, sistemi di sicurezza sociale e di tutela dei soggetti più deboli e vulnerabili, ci sono sempre state, nel continente europeo, almeno dal Secondo dopoguerra e da quando prese forma il Welfare State di lord BeveridgeMa questa storia qua, di un reddito di cittadinanza universale e sganciato dal lavoro, il primo a proporla qui da noi – bisognerà pur dirle queste cose – fu il movimento del Settantasette, che non era una cosa di sfaccendati né tampoco di facce feroci. Era, piuttosto, un movimento di fuga dal lavoro salariato, di rifiuto della subordinazione della propria vita tutta alle regole dello scambio diseguale tra la propria capacità di produzione e un salario abbastanza miserabile.

Dalla flessibilità all’iperprecarietà

di Patrizio Di Nicola 
Come si è arrivati alla situazione odierna, in cui una persona che lavora per una grande azienda può esser retribuita, senza contratto scritto, con un foglietto di carta del valore di 7,5 euro l’ora? Non era l’Italia, secondo una retorica internazionale (a volte supportata da dati e analisi errate), il Paese che aveva le maggiori tutele per gli occupati? Anche se in molti hanno fatto finta di non accorgersene, la decostruzione delle tutele sul lavoro viene da lontano e in qualche modo è stato un modo per sfuggire alle maglie dello Statuto dei lavoratori del 1970, che fissava un moderno corpo di regole per il lavoro dipendente a tempo indeterminato.

L'anima del New Deal e la frode di Renzi

di Laura Pennacchi 
Resisterò alla tentazione di parlare di frode per la spregiudicatezza con cui Renzi tenta oggi da un lato di qualificare come “lavoro di cittadinanza” le sue proposte di rilancio dell’occupazione (sostanzialmente una riedizione del Jobs Act, una riduzione della dignità del lavoro, la contrazione dei suoi diritti, una colossale decontribuzione a danno delle finanze pubbliche e a vantaggio dei profitti e delle imprese), dall’altro di inscrivere le sue idee complessive di politica economica nell’orizzonte di un rinnovato New Deal. In tutta Europa è in corso una discussione molto seria e molto ardua su cosa preferire tra “reddito” e “lavoro” di cittadinanza” e personalmente ho argomentato perché opto per quest’ultimo.

Capitalismo digitale e appropriazione del capitale fisso: una metafora?

di Antonio Negri
1. Nel dibattito sull’impatto del digitale sulla società, prendendo atto che le tecnologie digitali hanno profondamente modificato il “modo di produrre”(oltre al conoscere e al comunicare), si presenta la solida ipotesi che il lavoratore, il produttore sia trasformato dall’uso della macchina digitale. La discussione sulle conseguenze psico-politiche delle macchine digitali è talmente larga che vale solo la pena di ricordarla, anche se i risultati cui queste ricerche pervengono sono altamente problematici. Essi normalmente concludono ad una sudditanza passiva del lavoratore alla macchina, ad un’alienazione generalizzata, all’epidemicità di malattie depressive, alla definizione di taylorismi algoritmici, e chi più ne ha più ne metta. Dentro queste catastrofiche novità, soffia il vecchio adagio nazista: “la terra su cui risiediamo ci si rivela come un morto distretto minerario e affetta l’uomo nella sua essenza”.

Immigrazione, l’Italia prova a diventare la grande barriera

di Guido Viale 
Stiamo costruendo nel Mediterraneo una barriera più feroce del muro su cui Trump ha fatto campagna elettorale. Una barriera di leggi, misure di polizia, agenzie senza base giuridica, violazioni del diritto del mare e di asilo, navi da guerra, criminalizzazione delle organizzazioni umanitarie, eserciti mobilitati ai confini, filo spinato e muri. E tra i muri quello – 270 chilometri – che il governo turco ha costruito con il denaro della commissione europea per bloccare i nuovi profughi siriani che l’Europa teme che transitino poi verso i Balcani. Ma una barriera fatta anche di accordi con i governi dei paesi di origine o di transito dei rifugiati, per trattenerli dove sono o respingerli là da dove sono partiti. Con ogni mezzo: finanziando armamenti – navi, sistemi di rilevamento, addestramento delle milizie, caserme e prigioni – e legittimando governi e pratiche feroci sia con i profughi che con i propri sudditi.

L’orario di lavoro come indicatore di benessere e qualità dello sviluppo

di Roberto Romano
Sebbene la discussione sugli orari di lavoro (medio annuo per lavoratore) sia caduta nel dimenticatoio del dibattitto politico ed economico, l’oggetto è di particolare interesse. Non solo perché storicamente si è sempre lavorato troppo, ma perché declina come la società nel suo insieme immagina se stessa. Il lavoro e il capitale sono fondativi del capitalismo e dell’accumulazione; Smith e Marx hanno scritto pagine importantissime sul tema. Solo per ricordare i passaggi più importanti, ricordo che Marx sosteneva che “non è quello che viene fatto, ma come viene fatto, con quali mezzi di lavoro, ciò che distingue le epoche economiche. I mezzi di lavoro non servono soltanto a misurare i gradi dello sviluppo della forza lavoro umana, ma sono anche indici dei rapporti sociali nel cui quadro vien compiuto il lavoro” (la citazione di Marx è tratta da Rosenberg 2001, p. 64.). 

Germania, la sfida delle elezioni

di Vincenzo Comito
In un recente articolo apparso su questo stesso sito sottolineavamo con qualche dettaglio, sulla base in particolare dei dati economici allora appena pubblicati per il 2016, la buona salute di cui gode in questo periodo l’economia tedesca e ricordavamo, per altro verso, alcuni dei problemi vecchi e nuovi a cui essa si trova o si potrebbe presto trovare di fronte sul fronte interno e su quello internazionale. Nel frattempo sono state rese note delle ulteriori cifre, in particolare per quanto riguarda il commercio estero del paese, che confermano il positivo quadro che avevamo già delineato. Tra le novità emerse su questo fronte, si registra la novità che la Cina è ormai diventato il primo partner commerciale della Germania, superando, sia pure di poco, Francia e Stati Uniti.

La svolta di Podemos: dalla lotta alla "casta" alla lotta alla "trama"

di Carlo Formenti
La crociata antipopulista che le élite politiche, economiche, accademiche e mediatiche del mondo intero stanno conducendo negli ultimi anni, tende a presentare il proprio bersaglio come un fenomeno unico, sostanzialmente simile sotto ogni latitudine e in ogni continente: dai socialismi bolivariani a Podemos, da Marine Le Pen al Movimento 5 Stelle, da Alba Dorata alle destre dell’Est Europa, da Sanders a Trump passando per Putin. Questa semplificazione/banalizzazione, che ignora sistematicamente le differenze ideologiche, organizzative e programmatiche fra i vari movimenti e i rispettivi leader, più che ad analizzare il fenomeno, serve a svelare la natura e gli interessi del blocco di potere neoliberista, il quale si sforza con ogni mezzo di nascondere la crisi irreversibile in cui si dibatte e di reprimere le rivolte dei cittadini ridotti a sudditi.

Oltre il vuoto delle scissioni

di Franco Chiarello e Giacomo Pisani
Non sarà facile, per la minoranza scissionista del PD riempire di contenuti una scissione che tutto sembra tranne che una rottura politica con il renzismo. Molti, nelle ultime ore, si affrettano a descrivere questa scissione come l’esito finale di uno scontro atavico fra le due anime costitutive del PD, quella comunista e quella democristiana, la cui sintesi non sarebbe mai del tutto riuscita. All’interno di questa lettura, Renzi costituirebbe il mostro cattivo, che avrebbe forzato l’identità del partito in senso neoliberista, mettendo a dura prova la difficile, storica mediazione, fino a farla saltare.

La salute ieri e oggi. Dal delegato di fabbrica alle mutue-benefit

di Ivan Cavicchi
Mezzo secolo è trascorso e i mitici metalmeccanici sono passati dalla salute non negoziabile (gruppi omogenei, mappe di rischio, delegato alla salute) alle mutue integrative. Si afferma così, attraverso il lavoro, il cosiddetto welfare aziendale. Welfare aziendale, vale a dire una idea di contro-universalismo di classe che al diritto alla salute (del quale si constata di fatto l’inesigibilità, quindi l’utopia) preferisce, pragmaticamente, una forma di accesso privilegiato ai servizi sanitari garantito attraverso il salario demonetizzato. Demonetizzare il salario significa che, un operaio, oltre ad una certa quantità monetaria con la quale pagare l’affitto, fare la spesa, andare in pizzeria, riceve anche benefit e perquisite, cioè servizi per perseguire «obiettivi di ottimizzazione fiscale e contributiva, di fidelizzazione, motivazione e attrazione delle risorse umane e di costruzione di una solida e duratura corporate identity».

Morti sul lavoro, caduti invisibili

di Marco Vulcano
Definite generalmente (e inspiegabilmente) come “morti bianche”, le morti sul lavoro andrebbero in realtà etichettate con ben altre tonalità cromatiche, tendenti perlopiù al trasparente offuscato. Dalle statistiche ufficiali dell’Inail ogni anno sparisce infatti nel nulla un esercito invisibile e silenzioso di caduti sul lavoro. Si tratta innanzitutto di categorie escluse “per legge” dalla copertura assicurativa Inail, dunque non tenute in considerazione nei calcoli dell’istituto, come agenti di commercio, giornalisti, personale di volo, vigili del fuoco, personale delle forze di polizia e delle forze armate: circa 2 milioni di lavoratori. Quando qualcuno di costoro ha un infortunio mortale sul lavoro è probabile che qualche giornale, sito o tv ne dia la notizia, ma di certo quella morte non finirà mai nelle statistiche nazionali. Niente copertura Inail, dunque niente morte sul lavoro, almeno per i dati ufficiali.

Tentazione neocentrista e nazionalsocialismo lepenista

di Alessandro Casiccia
Con l’esito della corsa alla Casa Bianca e l’avvicinarsi delle elezioni in Francia, era naturale che l’opinione pubblica focalizzasse la propria attenzione sull’emergere di movimenti comunemente detti “populisti”, ma meglio denominabili “neo-nazionalisti”. Entro questo scenario, assume in Francia un ruolo rilevante, il Front National. Il caso deve essere tuttavia considerato nella sua specificità. Occorre non dimenticare i tratti peculiari del nazionalismo nelle vicende della Repubblica francese. E riflettere, al tempo stesso, sul tanto dibattuto distacco dell’attuale leader dal proprio padre. Se per alcuni osservatori quel distacco costituisce una frattura reale e profonda, per altri invece non rappresenta che un temporaneo camuffamento.

“Si muore una volta sola”. Jeanne Labourbe, una francese nella rivoluzione russa

di Maurizio Acerbo 
Il 2 marzo 1919 veniva assassinata a Odessa l’agitatrice comunista francese Jeanne Labourbe. Aveva 42 anni. La sua biografia, come quella di migliaia di rivoluzionarie e rivoluzionari dell’800 e del ‘900, meriterebbe di essere celebrata con un film alla Reds e dà l’idea del coraggio e della passione che animarono il movimento operaio e socialista internazionale e in particolare la rivoluzione russa. Nata in una povera famiglia di contadini francesi, agli inizi del Novecento Jeanne dovette emigrare in Polonia, che allora era parte dell’impero russo, per fare la governante e l’istitutrice (insegnare il francese dava opportunità lavorative presso famiglie benestanti). E lì che aderì al partito operaio socialdemocratico, fuorilegge e clandestino, durante la rivoluzione del 1905. Espulsa si trasferì in Russia dove non smise mai di partecipare all’attività rivoluzionaria.

Il rischio debito è sempre dietro l’angolo

di Marco Bertorello 
Il debito pubblico italiano preoccupa nuovamente, in coincidenza con il rialzo dello spread che in queste ultime settimane è tornato sui livelli del 2014. Come sempre più spesso accade, il problema del debito torna sotto i riflettori come effetto dei movimenti nei mercati finanziari e non per un’analisi dei fondamentali economici di un paese. Sono i mercati che fanno discutere dell’insostenibilità del debito, non l’attuale andamento ipertrofico dell’economia che non favorisce certo il riassorbimento dei debiti sovrani. Il ministro del Tesoro Padoan parla di «stabilizzazione» del debito, ma è un trucco politico-contabile. Si potrebbe parlare di stabilizzazione se le finanze pubbliche non godessero di quella droga monetaria, fornita dalla Bce con i suoi vari programmi di finanziamento e culminata oltre un anno fa con il programma di acquisto di titoli pubblici chiamato Quantitative easing, la quale ha consentito di ridurre i costi sul servizio del debito come non accadeva da molto tempo.

Il Pse chiude la porta agli scissionisti Pd: è battaglia nel campo dei socialisti europei

di Adriano Manna
“La decisione di alcuni membri del Pd di lasciare il partito è un errore storico”. Sergej Stanishev, attuale presidente del Pse (il Partito socialista europeo), è categorico nella sua chiusura all’ipotesi che il Movimento democratico riformista – il nuovo soggetto nato dalla scissione del Pd, che ha tra i principali protagonisti Massimo D’Alema, Pierluigi Bersani, Roberto Speranza ed Enrico Rossi – venga accolto nella famiglia del socialismo europeo. L’attacco di Stanishev poi si rivolge direttamente a D’Alema, che pure è attualmente presidente della Fondazione per gli studi progressisti europei (Feps): “È da molti mesi che vediamo che si comporta con una totale mancanza di lealtà politica nei confronti del Pd e anche nei confronti del Pse”, accusa il leader socialista, al quale è sembrato che “questo suo approccio critico fosse dovuto principalmente a dei risentimenti personali”.

Serve un progetto per l’Europa

di Salvatore Biasco
La prospettiva più appropriata per affrontare il tema dell’Europa è guardare allo scenario mondiale. Siamo alla vigilia di mutamenti importanti. Il regime liberale, incardinato sul libero mercato, che si è imposto negli ultimi trenta anni, sta avendo un punto di svolta, ed è forse alla fine. Non in virtù dell’azione della sinistra, perché è ancora una volta la destra ad avere l’iniziativa. Quello che si profila è uno scenario di disincaglio dalle forme estreme della globalizzazione, con rilevante interferenza dello Stato nei processi competitivi. Riappaiono inclinazioni nazionalistiche. Si attenua l’apertura, l’internazionalismo, la responsabilità mondiale del paese centro. Ma sarebbe un errore pensare che il vecchio ordine scompaia del tutto.

Adam Smith, la teoria classica e i due referendum della Cgil

di Roberto Romano
La finalità della Carta dei diritti, così come dei due referendum proposti dalla Cgil su appalti a voucher, è quella di ripristinare il diritto liberale: il contratto tra datore e prestatore di lavoro non è uguale ai normali rapporti tra contraenti, avendo invece un contenuto e una ratio speciale, derogatoria, perché le due parti in causa sono, per definizione, in posizione di disparità sostanziale. Il diritto del lavoro si configura in effetti come diritto “diseguale”, cioè tendente a riportare un minimo di equilibrio tra parti dotate di diverso potere nella conclusione del contratto e nella conduzione del rapporto. Le norme che regolano il rapporto di lavoro hanno, dunque, una funzione specifica, accettata dalla scienza giuridica e riconosciuta altresì dalla giurisprudenza: assicurare una parità sostanziale, almeno nei rapporti giuridici, tra soggetti che si trovano invece in una condizione di disparità.

Oltre il concetto di Periferia-Centro per rigenerare le nostre città

di Alessio Conti
Una delle sfide che le principali città italiane dovranno affrontare nei prossimi anni, sarà quella di riuscire a ricucire il proprio tessuto urbano dal punto di vista urbanistico, economico e sociale; da nord a sud ciò che accomuna queste realtà è il crescere della distanza tra il centro e le periferie, spazi che non rappresentano distanze fisiche ma che si declinano in gap sociali, economici e infrastrutturali, fenomeni di marginalizzazione individuali e di piccole realtà ai quali si deve porre rimedio guardando al benessere della collettività e allo sviluppo economico sostenibile locale. In questo contesto le Istituzioni hanno un ruolo chiave per indirizzare il cambiamento che passa anche dal voler recuperare e svolgere quel ruolo di guida nei processi sociali di trasformazione urbanistica che gli è proprio.

La Cina contemporanea e l'incertezza americana. Intervista a Diego Angelo Bertozzi

Intervista a Diego Angelo Bertozzi di Nicola Tanno
La storia della Cina moderna e contemporanea sembra quella di un paese con uno sguardo di lungo periodo, sia all’indietro che davanti. Nelle riflessioni dei suoi dirigenti torna costantemente il legame tanto con il passato imperiale e la tradizione confuciana, quanto con il “secolo delle umiliazioni”, quello della dominazione coloniale, della miseria e della guerra civile. Nel guardare in avanti, poi, Pechino è capace di costruire progetti che sorprendono per la loro durata. Sulla democrazia, l’apposito Libro Bianco redatto nel 2008 ipotizza per il 2040 le prime elezioni dirette dell’Assemblea Nazionale. Sulla ricerca scientifica si guarda addirittura al 2060, anno in cui il gigante asiatico sarà il fulcro mondiale dell’innovazione tecnologica secondo quanto previsto dalle linee guida indicate da Pechino.

La seconda guerra dei Trent’Anni (1914-1949). L’Europa secondo Ian Kershaw

di Vincenzo Lavenia
Non sono solo il climax sanguinario e l’abilità narrativa anglosassone di Ian Kershaw a dare al lettore la sensazione di percorrere una storia sinistra lunga mezzo secolo. Perché il volume che grazie all’ottima traduzione di Giovanni Ferrara degli Uberti è ora disponibile per i lettori italiani (All’inferno e ritorno. Europa 1914-1949, Laterza, Roma-Bari, 2016, pp. 654), se non aggiunge nulla a ciò che è noto circa la prima metà del XX secolo, mette in ordine una serie di dati e di fatti che finisce per sconcertare e costituisce una delle più efficaci e dolorose sintesi della catastrofe in cui precipitò quello che l’autore, come Mark Mazower, chiama il «continente buio» (p. 237). Si tratta della prima parte di una storia dell’Europa nel Novecento, destinata a un pubblico non specialista, di cui si attende il secondo atto: quella risalita dagli inferi che nelle pagine finali del racconto è solo abbozzata.

Psoe al congresso, la linea rossa di Pedro Sánchez

di Ettore Siniscalchi
“Tutti nel Psoe siamo di sinistra”. In questa frase di Susana Díaz, presidente della Junta de Andalucía, il governo regionale, e leader indiscussa dell’apparato socialista, sta la chiave del confronto in atto nel Psoe. Un confronto che, in barba alle indicazioni dei columnist della grande stampa che, come sempre, suggeriscono di guardare al centro per vincere, si gioca tutto sul recupero dei valori della sinistra, sul conquistare la loro rappresentanza agli occhi della militanza del partito e dei simpatizzanti, a scapito dell’avversario interno. I socialisti spagnoli navigano verso il 39° congresso, che si terrà a giugno, in acque agitate e in una barca con molte falle. Il partito, lacerato come non mai, è guidato dalla Gestora – il comitato di gestione presieduto dal segretario asturiano e presidente del governo regionale, Javier Fernández.

Il Palazzo ha la filiera corta

di Dante Barontini
Le vicende giudiziarie che stanno trascinando il Pd renziano verso l’implosione, a partire dalla princiaple – l’affare Consip, centrale degli acquisti per le amministrazioni pubbliche – non stupisce nessuno. La classe dirigente italiana – imprenditori e politici, funzionari e corpi militari – è un abisso da cui ogni persona onesta vorrebbe distogliere lo sguardo. Eppure una cosa stupisce: l’asimmetria palese tra dimensioni colossali degli affari o delle ambizioni e il nanismo imbarazzante delle filiere in competizione per accaparrarseli. In questa oscena faccenda saltano fuori faccendieri più o meno improvvisati, quasi sempre figli, padri, fratelli, amici di infanzia e di famiglia. Tutti referenti di piccoli “imprenditori”-prestanome di altrettanti amici, parenti, famigli.

Le tasse? Sorpresa: ecco chi le paga

di Fabrizio Marcucci
Anche chi è animato dalle migliori intenzioni è solito concentrarsi su chi le tasse non le paga. Combattere l’evasione fiscale, è l’invito. E ci mancherebbe. Però l’evasione fiscale è per definizione un fenomeno oscuro, sfuggente. Digitando su Google “evasione fiscale stimata in Italia”, si ottengono 32.300 risultati: le cifre sono immani, ma grandemente variabili, da 180 a 540 miliardi (per coglierne l’entità basta fare riferimento al fatto che l’ultima legge di stabilità è stata di 24 miliardi). E poi c’è chi l’evasione fiscale addirittura la difende, sostenendo che in questo paese la pressione fiscale è troppo alta e quindi c’è da capire chi i tributi non li paga. Che potrebbe essere anche una considerazione meritevole di attenzione. Solo che quel tipo di ragionamento vale per chi le paga, le tasse, non per chi le evade.

Fine del secolo americano?

di Alberto Prina Cerai
La questione che ormai divide da decenni studiosi e osservatori di politica internazionale è l’immagine e il ruolo che gli Stati Uniti hanno assunto a partire dalla fine della guerra fredda. Con il crollo dell’«impero del male», gli Stati Uniti avevano trionfato sul comunismo e i più ottimisti, avvalendosi della celebre e controversa elaborazione di Francis Fukuyama sulla «fine della storia», ritenevano che l’ordine liberal-democratico avrebbe finalmente abbracciato l’intero sistema planetario. Tra i più scettici rispetto a un sistema internazionale definitivamente pacificato, Samuel P. Huntington avanzò l’idea, alquanto preoccupante, di un mondo avviato verso un inevitabile «scontro di civiltà» e progressiva erosione del primato occidentale.

La perseveranza come virtù: Leon Trotsky

di Sandro Moiso
Nella sua elegante e sintetica Premessa alla raccolta di testi di Leon Trotsky pubblicata da Chiarelettere, David Bidussa afferma che la perseveranza può essere definita come una virtù quando riguarda coloro che non cedono alla sconfitta e che non si adeguano al dettato dei vincitori. Mentre il contrario di tale perseveranza non può essere altro che l’indifferenza. Nel leggere i testi riproposti nell’antologia, che coprono l’arco di una vita dal 1901 al 1940, ci si accorge che il leader bolscevico, fatto assassinare da Stalin nel 1940, perseverò sempre nel suo ideale di giustizia e nella speranza che un giorno l’umanità intera uscisse dallo stato di barbarie in cui i rapporti di produzione di stampo capitalistico e la tirannia tanto dello zar che del capitale (prima) e del partito stalinizzato e burocratizzato (dopo) sembravano relegarla quasi senza soluzione di continuità.

Chi ha paura della Svezia?

di Monica Mazzitelli 
In questi giorni la Svezia è di attualità dopo che Donald Trump ha riportato come veritiere alcune dichiarazioni rilasciate a Fox News da un certo Nils Bildt, un mitomane svedese che ha spacciato come notizie la propaganda contro immigrazione e Islam condotta dal partito “Sverigedemokraterna” (Democratici Svedesi), una formazione politica nata come ricettacolo di gruppi neonazisti e di ispirazione nazionalista, molto simile alla nostra Lega Nord. Il Ministero degli Esteri svedese ha deciso di ribattere pubblicando un significativo ed esaustivo comunicato stampa in inglese: “Facts about migration and crime in Sweden” dove demolisce alcune delle più diffuse false opinioni/notizie attualmente in circolazione, sulla base di fatti e statistiche rilevate attraverso canali ufficiali, in primo luogo quelle delle Forze di Polizia.

La polizia francese, pratiche razziste e violenza neocoloniale

di Salvatore Palidda
Il recente stupro col manganello del minorenne Théo per mano di quattro poliziotti durante un controllo è l’ultimo di una serie di fatti ad avere suscitato rivolta e sdegno in Francia, dopo la morte, pochi mesi prima, del giovane Adama Traoré, che tentava di sfuggire al controllo di polizia perché non aveva con sé la carta d’identità e aveva già sperimentato la violenza che si può subire in tali casi. “Adama viene buttato a terra da tre gendarmi con tutto il loro peso. I poliziotti notano che la loro preda lamenta di non poter respirare e lo sbattono sul loro furgone dove perde conoscenza. Anziché condurlo all’ospedale, lo portano nella loro caserma. Il 19 luglio 2016, verso le 17,45, Adama Traoré sparisce tra le mani delle forze dell’ordine. Secondo la versione ufficiale, il decesso avviene alle 19,05. Ma nulla è detto alla famiglia.

Tepito: barrio bravo nel cuore indomito del Messico

di Fabrizio Lorusso
La sala riunioni del Centro Studi sul quartiere di Tepito, nel cuore antico e dimenticato di Città del Messico, è un vero museo della memoria di una delle zone più famigerate dell’America Latina. Stigmatizzato dai mass media come covo di delinquenti, evitato da messicani e stranieri per la sua presunta pericolosità e considerato il tempio della merce di contrabbando, chiamata fayuca, Tepito è in realtà un’enclave di resistenza e creatività culturale senza pari. È formato da 56 isolati e cinquantamila abitanti, i tepiteños, distribuiti su un’area urbana dal tracciato trapezoidale e formalmente è parte del centro storico, dato che si trova solo a una decina d’isolati dalla cattedrale e dal zocalo, l’immensa piazza che è tappa obbligata del turismo tradizionale.

Salute, una nuova idea di sostenibilità economica

di Ivan Cavicchi 
Mentre la sinistra si divide senza mai mettere in discussione il suo pensiero debole di fondo, la Cgil recupera e rimette al centro la questione probabilmente più di sinistra di tutte, che non tollera divisioni e per la quale al contrario serve un pensiero forte: la salute. Perché la salute è di sinistra e necessita di un pensiero forte? Perché la sua affermazione implica un cambiamento della realtà, sapendo che per cambiare la realtà ci vogliono tre cose: un soggetto riformatore, un pensiero riformatore, un movimento riformatore.

Afghanistan, ultima chiamata. Reportage da un paese ancora in guerra

di Christian Elia 
Sono passati più di quindici anni da quando ha avuto inizio la missione militare in Afghanistan e oggi il paese non solo non è sicuro ma rischia di diventare l’ennesimo campo da gioco delle mire di Daesh e della lotta intestina tra al-Qaeda e il Califfato. Eppure a preoccupare i governi europei sembrano essere solo i rifugiati che premono ai confini della Fortezza Europa. Pericolo per scongiurare il quale l’Unione europea il 2 ottobre scorso ha siglato un accordo – il Joint Way Forward – col governo di Kabul. Dall’esodo perpetuo agli attentati che insanguinano quotidianamente le strade passando per le divisioni interne dei talebani, ritratto di un paese a pezzi. 

Discendenti degli schiavi, predecessori della giustizia: i musulmani americani devono smettere di chiedere scusa

di Ramzy Baroud
Di recente mi è stato chiesto di parlare su: “Essere un musulmano Americano negli Stati Uniti.” Sebbene sia stanco degli usi e abusi del termine, ho assecondato la richiesta. Ho spiegato che l’Islam è una religione mossa da valori, non dalla razza né, teoricamente, da cieca lealtà tribale. L’identità ‘musulmano americana’ che è stata continuamente oggetto di ricerca sui media americani, nella politica e nella società, è completamente diversa da ciò con cui i musulmani americani associano loro stessi.. Il ‘musulmano-americano [descritto] dai media è un sospetto, una quinta Colonna, potenzialmente pericolosa e più ricettiva rispetto alla violenza di qualsiasi altra identità collettiva negli Stati Uniti. Mentre questo contrasta nettamente con il vero Islam, i fatti non contano certo nell’era del nazionalismo americano, asserito sull’identificazione culturale e religiosa e su ‘fatti alternativi’.

LottoMarzo. Non solo mimose. Sciopero globale

di Luna Moltedo
#LottoMarzo. È l’hashtag che circola in queste ore e che annuncia, tra le altre cose, uno sciopero delle donne il prossimo mercoledì 8. Le ragioni della protesta non sono difficili da intuire. Basta aprire un quotidiano o ascoltare un radiogiornale per capire quanto siamo indietro sui diritti e quanti femminicidi sono all’ordine del giorno. Non più solo mimose. L’8 marzo di quest’anno sarà una giornata di sciopero globale delle donne e mobilitazione attraverso un’astensione reale dal lavoro per manifestare il rifiuto della violenza di genere in tutte le sue forme. Le donne, dunque, si asterranno quel giorno dal lavoro e anche dalla cura, cioè dal lavoro in casa e per i figli.

Tempesta perfetta. Un volume sulla crisi dalla Campagna Noi Restiamo

di Marco Palazzotto 
Tra il 2014 e il 2015 la Campagna Noi Restiamo, un collettivo di giovani attivo soprattutto nel Nord Italia, ha raccolto dieci interviste a dieci economisti accademici prevalentemente di estrazione marxista, marxiana e post-keynesiana. Il lavoro che ne è risultato è stato pubblicato in volume, sotto il titolo Tempesta Perfetta (Odradek, pp. 172, € 15,00). Il tema principale delle interviste è quello della crisi. Le quattro domande rivolte agli studiosi affrontano in sintesi: la collocazione teorica delle cause della crisi economica; la funzione delle istituzioni europee nella gestione della crisi; il ruolo del teorico “eterodosso” nel dibattito economico e politico; la possibile esistenza di elementi di rottura e di contraddizione del capitalismo in Italia e nel resto del mondo.

venerdì 3 marzo 2017

La crisi dell'Europa neoliberista e la follia dell'austerità. Intervista esclusiva a Sergio Cesaratto

Intervista a Sergio Cesaratto di Fabio Cabrini
facciamosinistra! ha il piacere di ospitare nelle sue pagine il pensiero di Sergio Cesaratto, professore ordinario di Politica monetaria e fiscale dell'Unione Economica e Monetaria europea, Economia della crescita e Post-Keynesian Economics all'Università di Siena, e autore, tra gli altri, di un libro estremamente interessante intitolato "Sei lezioni di economia", adatto a tutti quelli che desiderano capire più profondamente una crisi che sembra non avere fine.
1° Prof. Cesaratto, stiamo vivendo in una fase storica di grandi cambiamenti: prima il Brexit, poi la vittoria di Donald Trump e ora, in sequenza, si terranno le elezioni in Olanda, Francia e Germania che potrebbero modificare ulteriormente lo scenario internazionale, in particolare quello dell'UE. A prescindere dall'esito che uscirà dalle urne, è chiaro che i partiti pro-establishment sono entrati in una profonda crisi specialmente quelli che fanno riferimento al PSE. Non sarà mica che a ad essere le pallide fotocopie dell'originale, leggesi "terza via" di Blair, si perde consenso?

Europa, la minaccia della disintegrazione

di Euromemorandum 2017
La crisi del processo di integrazione europeo ha molte sfaccettature e si è aggravata negli ultimi anni. Il sintomo più visibile è stato il referendum britannico sull’uscita dalla Ue, ma questo non è certo l’unico indicatore del diffondersi delle tendenze disgregatrici e delle crescenti contestazioni alle politiche europee. La disintegrazione dell’Unione è stata introdotta esplicitamente nell’agenda politica dal referendum britannico. Si può inquadrare il risultato del referendum nel contesto globale delle rivolte contro le élite politiche. La crescita delle diseguaglianze, l’insicurezza economica, la stagnazione o diminuzione del reddito subita da larghi strati di popolazione, insieme alla riduzione dei servizi pubblici, sono i fattori alla base di questo malcontento, le cui espressioni politiche variano enormemente.

L'ingorgo corruttivo

di Norma Rangeri 
Sul sistema degli appalti pubblici, l’amministratore delegato di Consip dice ai magistrati che «l’imprenditore Carlo Russo mi ha chiesto di intervenire su un appalto da 2,7 miliardi di euro per conto del babbo di Matteo e di Verdini». La rivelazione arriva a mezzo stampa attraverso le colonne de l’Espresso, è clamorosa e c’è poco da ricamare. Del resto l’amministratore delegato di Consip, Marroni, dipendente dal ministro del Tesoro (Padoan gli ha appena confermato la fiducia) non si vede perché dovrebbe inventare le pressioni di un imprenditore toscano. Pressioni e richieste, possiamo immaginare, all’ordine del giorno. Meno normale che avvengano per conto di Renzi padre e dell’amico Verdini, proprio ieri condannato a 9 anni per bancarotta e frode.

giovedì 2 marzo 2017

Caro Landini, il reddito minimo non basta. Ecco perché

di Roberto Ciccarelli 
Maurizio Landini invita a ripensare una “cultura del lavoro”. È un invito da raccogliere perché è necessario chiarire quale cultura per quale lavoro prima di pensare alle soluzioni contro la precarietà di massa in cui ci troviamo. Landini parla di una cultura che non oppone il diritto al lavoro al diritto al reddito minimo. L’obiettivo polemico del segretario della Fiom è l’ex premier Renzi che in realtà non parla di “reddito minimo”, ma di “reddito di cittadinanza” che contrappone al “lavoro di cittadinanza”, ovvero l’obbligo di lavoro per tutti i precari e disoccupati gestito dallo Stato garante in ultima istanza del «lavoro pubblico garantito». 

L’alternativa è già in atto

di Maria Luisa Boccia 
C’è alternativa? Sì ed è già in atto. La domanda è come praticarla, per potenziarla, per consolidarla in realtà. È in atto nella rivolta contro il neoliberismo e il fallimento delle sue politiche sociali. È in atto contro i sistemi di poteri e contro i governi – quali che siano formule o le sigle di partito – che le hanno realizzate. L’alternativa si è espressa il 4 dicembre nei milioni di No alla controriforma della Costituzione, nel segno di una concentrazione neoautoritaria dei poteri. Quel giorno noi abbiamo vinto, siamo stati parte dell’alternativa, abbiamo contribuito a darle idee e corpo. Non è stato un voto di conservazione, o di “protezione”, come l’ha definito ieri da Arturo Scotto. Bisogna guardare a fondo dentro il voto, sono d’accordo con Scotto. Ma io lo leggo in modo opposto al suo, e ne traggo quindi conclusioni politiche opposte.

Un altro pezzo di Jobs Act, un altro imbroglio

di Alessandro Gilioli 
Sul Foglio di mercoledì scorso Tommaso Nannicini - il docente della Bocconi che è anche l'economista più influente del renzismo - spiega in che cosa consiste il "lavoro di cittadinanza" proposto dall'ex premier: «Non un piano di lavori socialmente utili di massa ma una sfida culturale. (...) Non è lo Stato chioccia che trova lavoro a tutti, ma una visione per tenere insieme crescita e inclusione sociale continuando sul percorso tracciato dal Jobs Act, attraverso un menù di policy diverse che favoriscano l'attivazione e mettano al centro il capitale umano. (...) Ad esempio, servizi di riattivazione sociale con offerte formative che trovino sbocchi lavorativi, una dote messa dallo Stato che si spende per un processo formativo in un circuito di soggetti (...), un esonero contributivo individuale che il giovane si porta dietro in qualunque azienda. È il pezzo mancante del Jobs Act».

Post-neoliberismo e la politica della sovranità

di Paolo Gerbaudo
La crisi della globalizzazione neoliberista che si sta manifestando a diverse latitudini, e che è stata dimostrata in maniera eclatante dalla vittoria della campagna per la Brexit nel Regno Unito e dal successo di Donald Trump nelle presidenziali americane, ha risuscitato una delle più antiche e polverose tra tutte le nozioni politiche: l’idea di sovranità. Di solito intesa come l’autorità dello Stato di governare sul suo territorio, la sovranità è stata a lungo considerata un residuo del passato in un mondo sempre più globale e interconnesso. Ma oggi questo principio viene invocato in maniera quasi ossessiva dall’insieme di nuove formazioni populiste e dai nuovi leader che sono emersi a sinistra e a destra dell’orizzonte politico a seguito della crisi finanziaria del 2008.

Podemos, c’è qualcosa peggiore della casta: i padroni

di Checchino Antonini
C’è altro oltre la “casta”, ci sono i padroni, i corruttori oltre che i corrotti. Podemos cambia il proprio discorso politico,virando decisamente verso un’analisi più profonda della società, archiviando temi e parole care all’antipolitica. Una distanza ancora più siderale dal populismo ambiguo e inefficace dei “nostri” cinque stelle. E altrettanto abissale dalla “nostra” sinistra di governo anche nella sua versione radicale che, se da un lato cita a memoria, incantata, molte frasi di Iglesias, dall’altro tenta il matrimonio tradizionale con i pezzi di socialdemocrazia apparentemente pentiti – come il surreale esperimento di Dp – del loro recentissimo passato iperliberista e bellicista (Bersani, D’Alema ecc…).

Dopo il referendum. Crisi della rappresentanza e riforma del parlamento

di Gaetano Azzariti
1. – Il 4 dicembre 2016 rimarrà nella storia, oltre per quel che concretamente è stato, anche come una data emblematica: permarrà nel nostro immaginario collettivo con un surplus di simbologia. Finirà per evocare due possibili, contrapposti, scenari. A secondo di quel che sarà. Nel peggiore dei casi, una nuova occasione perduta. Così come lo sono state le straordinarie vittorie referendarie del 2006 e del 2011, seguite però dal tradimento, dalla rapida ricomposizione della frattura provocata dall’esito del responso popolare e dalla successiva infausta riesumazione dei vecchi discorsi. Referendum di enorme portata simbolica, convertiti in sgradevoli intralci, rapidamente superati dal progressivo avanzare della nuova razionalità del mondo; fagocitati da quel che – con qualche genericità ed eccessiva approssimazione – suole chiamarsi il pensiero unico del neoliberismo; divorati da quel che, nella prospettiva del diritto costituzionale, si può definire specificatamente come neo-funzionalismo costituzionale.

Rovesciare l’algoritmo. Si può scioperare nell’epoca delle piattaforme?

di Lavoro Insubordinato
La presenza di piattaforme per le consegne a domicilio nell’ambito della ristorazione, soprattutto nelle grandi città, è un fenomeno che esiste già da parecchi anni. Tuttavia, esso è venuto alla ribalta soprattutto negli ultimi mesi, non solo per la crescita esponenziale del servizio, ma anche per la vasta eco prodotta dalle proteste e dagli scioperi dei lavoratori di Deliveroo e Ubereats a Londra e di Foodora a Torino, contro la riduzione dei salari e la trasformazione della paga oraria in paga a consegna. C’è da chiedersi di fronte a quali novità ci pongono la diffusione delle piattaforme on demand e le lotte che ne sono conseguite: è in corso una radicale e più larga trasformazione del mondo del lavoro o le suddette novità riguardano esclusivamente i fattorini? Bisogna guardare a queste nuove app come il nuovo che avanza o è semplicemente un restyling di vecchi sistemi di sfruttamento?

Per una legge elettorale costituzionale e proporzionale

di Alessandro Pace e Massimo Villone
Le notizie che vengono dalla discussione sulla Legge elettorale sono preoccupanti. La riorganizzazione politica in atto, pur tendendo in parte a un rinnovamento di progetto e di prassi, non produce una discussione sulla Legge elettorale coerente con la Costituzione e in sintonia con il voto popolare del 4 dicembre. Emerge invece una tendenza a perseguire finalità di corto respiro o, addirittura, di parte. Questo manterrebbe il Paese nella sua attuale condizione di grave precarietà politica ed istituzionale. Il sistema elettorale deve ripristinare la rappresentanza, garantire l’eguaglianza dei cittadini nell’esercizio del diritto di voto, restituire ai rappresentati il diritto di scegliere i propri rappresentanti, ricondurre i partiti alla loro funzione costituzionale di canali di collegamento fra la società e le istituzioni.

Sul programma di Marine Le Pen. Democrazia di investitura a chilometro zero

di Nicola Genga 
Il 5 febbraio scorso Marine Le Pen ha presentato a Lione il suo “Projet présidentiel” in vista delle elezioni del 23 aprile e 7 maggio. Il programma, pubblicato online il giorno prima su marine2017.fr si presta ad analisi di diverso taglio. Qui ci soffermeremo, per adesso, solo sulle principali scelte simboliche, su alcune parole chiave e sulla concezione della democrazia che emerge nella prima parte del documento. Innanzitutto, come si può intuire osservando la copertina dei “144 engagements présidentiels” e si può constatare poi scorrendone le pagine, la strategia comunicativa della campagna è imperniata su una omissione, anzi su una serie di omissioni. Da nessuna parte, salvo nelle illeggibili firme autografe apposte in calce alla lettera introduttiva e alla fine del documento, compare il cognome Le Pen.

1977. Il movimento inaudito

di Felice Mometti
I movimenti sociali sono strani animali. Non ce n’è uno che somigli a un altro. Le alchimie che si creano tra subalternità, antagonismo e autonomia sono spesso il risultato di uno sguardo verso il passato e di un’anticipazione del futuro. E il movimento del Settantasette fu un movimento al tempo stesso atteso e imprevisto. Il 1976 fu l’anno della campagna per le elezioni politiche dopo che l’anno precedente l’alleanza Pci-Psi aveva conquistato le amministrazioni delle principali città del Paese. Intorno al Pci erano nate grandi speranze e altrettante illusioni. Il sogno del “sorpasso” e di un governo delle sinistre, l’ascesa dei comunisti al governo come grande trasformazione del Paese ebbe una reale presa su larghi settori di massa che aspiravano ad un cambiamento radicale.