La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 8 agosto 2015

Il nome della cosa (lo dà Francesco)

di Raniero La Valle
Papa Fran­ce­sco aveva già detto, dopo un’ennesima strage di migranti al largo di Lam­pe­dusa: «È una ver­go­gna». Que­sta ver­go­gna non ha fatto che ripe­tersi, per mesi, e c’è anche qual­cuno che si ral­le­gra per­ché l’Europa adesso mostre­rebbe un po’ più di sen­si­bi­lità, c’è per­fino una nave irlan­dese che par­te­cipa alle ope­ra­zioni di tumu­la­zione nel Medi­ter­ra­neo di cen­ti­naia e cen­ti­naia di pro­fu­ghi, men­tre una parte ne salva.
Intanto la Fran­cia sigilla la fron­tiera di Ven­ti­mi­glia, l’Inghilterra sta­bi­li­sce una linea Magi­not all’ingresso dell’Eurotunnel della Manica, l’Ungheria alza un muro e l’Italia è tutta con­tenta per­ché ha posto fine all’unica cosa buona che era riu­scita a fare, l’operazione «Mare Nostrum», ed è rien­trata nei ran­ghi dell’Europa per­ché sia chiaro che la vita negata ai pro­fu­ghi non è una scelta solo dell’Italia, ma è un sacri­fi­cio col­let­tivo che tutta l’Europa offre a se stessa avendo ces­sato di essere umana.

L'attacco di Papa Francesco al cuore dell'Europa


di Luca Kocci
Respin­gere in mare i migranti è come fare la «guerra», è «vio­lenza», è «uccidere».
Quando ieri mat­tina, rice­vendo in udienza in Vati­cano 1.500 gio­vani del Movi­mento euca­ri­stico gio­va­nile (legato ai gesuiti), papa Fran­ce­sco, rispon­dendo a brac­cio alla domanda di un par­te­ci­pante all’incontro, ha pro­nun­ciato que­ste parole, non par­lava del Medi­ter­ra­neo. Par­lava dei Rohin­gja, una popo­la­zione musul­mana in fuga dal Myan­mar e respinta da diversi Paesi del sud-est asia­tico. Ma quel pas­sag­gio del discorso del papa può valere anche per le stragi di que­sti giorni nel Canale di Sici­lia e per i 2mila morti che, secondo l’Organizzazione inter­na­zio­nale per le migra­zioni, ci sono stati nel Medi­ter­ra­neo dall’inizio dell’anno ad oggi.
«Pen­siamo a quei fra­telli nostri dei Rohin­gja, sono stati cac­ciati via da un Paese, da un altro e da un altro, e vanno per mare», ha detto Ber­go­glio.

La storia come misura del mondo

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di Paolo Favilli
Aure­lio Mac­chioro è scom­parso il primo ago­sto ad età molto tarda. Aveva com­piuto 100 anni da poco. Il giorno del suo com­pleanno (24 marzo) stava rileg­gendo uno dei grandi clas­sici che con­ti­nua­mente fre­quen­tava: La mon­ta­gna incan­tata (l’edizione in suo pos­sesso non era ancora quella de La mon­ta­gna magica). Fino a pochi anni prima, scri­veva ancora saggi e studi di straor­di­na­ria luci­dità ana­li­tica.
I rap­porti economico-sociali di una realtà data – soste­neva – sono leg­gi­bili solo attra­verso cate­go­rie che ten­gano conto dei pro­cessi che hanno deter­mi­nato e con­ti­nuano a deter­mi­nare il sistema di rela­zioni carat­te­riz­zante quella realtà. Si tratta di «cate­go­rie sto­ri­che», nel con­tempo, però, tali cate­go­rie «fanno parte della teo­ria stessa». Traggo que­sta cita­zione dall’Introduzione di Aure­lio Mac­chioro al I volume de Il Capi­tale, l’edizione Utet del 1974, scritta cioè in tempi di pre­va­lenza di marxismo-chiacchiera, di «mar­xo­la­li­smo», di «mania­ca­lità mar­xo­la­lica», per espri­mersi con la ter­mi­no­lo­gia del nostro autore.

Il morso inedito della nuova crisi europea

di Roberto Romano
La crisi eco­no­mica che attra­versa l’Europa potrebbe essere inter­pre­tata nel più ampio e com­plesso qua­dro inter­na­zio­nale. Se nel 2009 quasi tutti i paesi del mondo hanno regi­strato una vio­lenta con­tra­zione del red­dito, il Pil mon­diale si riduce del 2% (Banca Mon­diale, 2015), l’intensità della crisi non è omo­ge­nea, così come le policy adot­tate per affron­tare gli effetti della caduta del red­dito. Solo per fare un esem­pio, gli Stati uniti hanno raf­for­zato la domanda interna e il peso dell’economia pub­blica, men­tre l’Europa con­ti­nua l’austerità. Gli Usa ridu­cono il tasso di disoc­cu­pa­zione al 5,3%, ai minimi dal 2008, l’Europa anna­spa nell’austerità espan­siva. Sono ormai 3 mesi che l’economia nor­da­me­ri­cana crea più di 200 mila posti di lavoro al mese.
L’unico effetto posi­tivo, forse tem­po­ra­neo, è un pro­fondo cam­bia­mento negli orien­ta­menti della ricerca nel campo dell’economia, che con dif­fi­coltà comin­cia ad affer­marsi. Infatti, nel corso di que­sti ultimi 30 anni si è con­so­li­data una “scienza nor­male” che ha minato lo svi­luppo di idee e ricer­che che oggi sareb­bero utili per affron­tare il tema della crisi (A. Ron­ca­glia, 2011). La crisi ini­ziata nel 2007, esplosa tra il 2008 e il 2009, è un evento che poten­zial­mente potrebbe con­cor­rere a tro­vare nuovi equi­li­bri (supe­riori).

La "buona scuola" di Renzi, una ferita profonda


di Giuseppe Aragno
Sulla «Buona scuola» di Renzi e sulla legit­ti­mità della legge che l’ha impo­sta al Paese che si oppo­neva, non si è andati molto più in là di giu­dizi «tec­nici» rispet­ta­bi­lis­simi, ma cen­trati su aspetti sin­goli del prov­ve­di­mento. Valga, per tutti, quello auto­re­vole e ben fon­dato del giu­dice Impo­si­mato, per il quale una sen­tenza della Corte Costi­tu­zio­nale ha già boc­ciato per l’arbitrarietà dei cri­teri di sele­zione del per­so­nale nell’amministrazione Pub­blica un espe­ri­mento di chia­mata diretta da parte dei pre­sidi voluto dalla regione Lom­bar­dia, .
Giorni fa, tut­ta­via, e non è certo un caso, su «Furo­ri­re­gi­stro», rivi­sta on line della scuola mili­tante che una sto­ria ce l’ha, Enrico Maran­zana ha posto il pro­blema in ter­mini più gene­rali, dimo­strando quale pro­fonda ferita abbia pro­cu­rato Renzi non alla scuola, ma alla lega­lità repub­bli­cana. L’ha fatto con la penna lucida, carat­te­ri­stica della parte migliore del mondo della for­ma­zione, e con lo «sguardo lungo» d’una rivi­sta che non ha mai can­tato nel coro.

Sinistra, serve un altro linguaggio

di Giordana Moltedo
In questi giorni stiamo avendo la possibilità di confrontarci in uno spazio al momento virtuale, dove poter costruire e discutere della «Nuova» soggettività unitaria di Sinistra. Un primo passo che precederà la fase reale, di costruzione del soggetto unitario, che deve avvenire al più presto, invero per ottobre. Uso l'espressione «Nuova Sinistra» perché abbiamo la necessità di sperimentare pratiche nuove, ma soprattutto di sperimentare un nuovo linguaggio. Un linguaggio che deve essere necessariamente costruito partendo da un rovesciamento, anzi dal cancellare quelle «vecchie parole e frasi» le quali hanno contribuito alla fine della Sinistra nel nostro paese.
Eccone alcune. Eterna concezione di creare una forza solo di opposizione e non di Governo, rancori legati al divisionismo che ha caratterizzato la Sinistra in questi anni, dimensione pattizia che ci ha fatto presentare dei soli cartelli elettorali, ricerca continua del leader quando invece è la leadership collettiva e partecipativa quella che dobbiamo costruire, infantilismo che siamo capaci di attuare ogni qual volta incontriamo una prima difficoltà, facendo saltare tutto.

Il Sud è un land tedesco. Renzi non ha visione

Intervista a Adriano Giannola di Roberto Ciccarelli
Dopo avere «bucato» l’infosfera estiva con l’anticipazione di un rap­porto deva­stante sulla con­di­zione socio-economica, il pre­si­dente dello Svi­mez Adriano Gian­nola ripro­pone quelle che, a suo avviso, potreb­bero essere le misure per inver­tire la rotta e disan­co­rare il Mez­zo­giorno da una spi­rale di bassa pro­dut­ti­vità e bassa cre­scita, cioè dalle poli­ti­che adot­tate in ita­lia da 30 anni e che oggi l’hanno tra­sfor­mata in un deserto. Il sud, la nostra Grecia.
Si parla, ad esem­pio, di costi­tuire «Zone eco­no­mi­che spe­ciali» sul modello di Rot­ter­dam o Amburgo per rilan­ciare la logi­stica, l’industria e il «capi­tale sociale». Prima di appro­fon­dire chie­diamo a Gian­nola un parere sulla pro­po­sta della mini­stra alle atti­vità pro­dut­tive Fede­rica Guidi: per il Sud sareb­bero pronti 80 miliardi di fondi euro­pei (ieri sono diven­tati 100).

La schiavitù nelle nostre campagne (nell'anno di Expo)


di Marco Omizzolo
Mentre il governo è impegnato, non senza una buona dose di cinismo e retorica, a sostenerel’Expò di Milano, grande vetrina dell’agrobusiness, intreccio di interessi di multinazionali come Coca-Cola, Nestlè, Monsanto e Fiat, nelle nostre campagne, dove beni fondamentali alla vita come i nostri prodotti agricoli vengono coltivati da migliaia di braccianti, si consumano tragedie nell’indifferenza quasi generale. Il governo su questo versante tace ipocritamente, mentre lavoratori e lavoratrici, soprattutto migranti, costretti spesso a lavorare nelle nostre campagne come schiavi alle dipendenze di padroni e caporali privi di scrupoli, muoiono di fatica, sfruttamento e indifferenza. Sono loro a produrre quei beni agricoli che poi trovano posto nei nostri mercati, nella Grande Distribuzione Organizzata e dentro l’Expò. Ma di questo per il Governo è bene non parlare. Chi ne parla viene tacciato di essere un piagnone o una persona ancorata ai vecchi schemi. Invece si tratta di diritti e di giustizia sociale. Non proprio un vecchio schema o un residuo ideologico.

In memoria di Renato Zangheri, il sindaco combattente

di Giovanni Stinco
Fu il sin­daco del 2 ago­sto 1980, colui che seppe tenere unita Bolo­gna di fronte alla bomba neo­fa­sci­sta che portò morte e distru­zione in sta­zione. Ma fu anche il sin­daco del muro con­tro muro col movi­mento, del ’77, della morte di Fran­ce­sco Lorusso e dei carri armati che arri­va­rono in città. E ancora, fu il sin­daco che, prima volta in Ita­lia, diede a un’associazione lgbt uno spa­zio pub­blico, e che seppe dare gambe al wel­fare bolo­gnese, basti pen­sare che un anno prima del suo inse­dia­mento come primo cit­ta­dino sotto le Due Torri aprì il primo nido ita­liano. Un’esperienza che poi si impose in tutto il paese. Fu que­sto e tanto altro Renato Zan­gheri, sin­daco di Bolo­gna tra il 1970 e il 1983, anni com­pli­cati e insan­gui­nati dalle bombe e dagli atten­tati. Renato Zan­gheri è morto ieri, all’età di novant’anni.
«A lui, uomo delle Isti­tu­zioni — ricorda il sin­daco di Bolo­gna Merola – la città deve mol­tis­simo per essere diven­tata modello nella cre­scita del wel­fare come motore di giu­sti­zia sociale, per aver valo­riz­zato il decen­tra­mento come stru­mento di rela­zione costante coi cit­ta­dini e per aver rap­pre­sen­tato il volto migliore delle isti­tu­zioni negli anni del ter­ro­ri­smo, come nel 2 ago­sto del 1980 quando rap­pre­sentò una città ferita e capace imme­dia­ta­mente di rea­zione, civile nei soc­corsi, ferma nella richie­sta di giu­sti­zia». A pian­gere la sua morte le isti­tu­zioni, i sin­da­cati, la poli­tica.

Su una "critica illuminista" ai beni comuni

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di Militant
Con estremo ritardo recensiamo Contro i beni comuni. Una critica illuminista di Ermanno Vitale, pubblicato da Laterza nella collana “Saggi tascabili”. Uscito nel 2013, forse ci sarebbe sfuggito se non l’avessimo trovato citato nelle pagine conclusive di Utopie letali. Contro l’ideologia postmoderna (pp. 228-231), in cui Carlo Formenti, criticando la «moda “benecomunista” che seduce la sinistra» argomenta giustamente che «dire né pubblico né privato sia come dire privato» e che «l’ideologia benecomunista sia omologa all’ideologia della domanda di nuovi diritti, e come entrambe restino ancorate al paradigma liberale».
Chiariamo subito che, in realtà, neanche Ermanno Vitale, docente di filosofia politica e di storia delle dottrine politiche all’Università della Valle d’Aosta, pensa minimamente a uscire da questo paradigma, pur adottando una prospettiva riformista e socialdemocratica. La sua, come dichiarato nel titolo, non è una critica marxista, ma una critica illuminista ai «benecomunisti» (ci scuserete il termine cacofonico – che persino Guido Viale ha definito sul «Manifesto» come «orribile, ridicolo e neogotico.

Politiche di coalizione sociale nella crisi europea

di Sandro Mezzadra e Antonio Negri
Costruire potere nella crisi: così abbiamo intitolato il seminario di Euronomade che si terrà a Roma dal 10 al 13 settembre. È del resto questo il problema di fondo attorno a cui abbiamo cercato di lavorare negli ultimi due anni. A fronte della violenza della crisi, dell’attacco portato alle condizioni di vita e lavoro in particolare nei Paesi mediterranei dell’Europa, abbiamo continuato a domandarci come sia possibile passare dalla resistenza alla effettiva costruzione di alternative. Il potere che ci interessa costruire è alimentato dalla dinamica e dal ritmo delle lotte sociali, ma deve fissarsi al tempo stesso in una stabile configurazione istituzionale. Come molti e molte abbiamo l’impressione che oggi si pongano questioni che in qualche modo stanno al di qua (o al di là) della grande divisione tra “riforme e rivoluzione” che si impose all’interno del movimento operaio europeo nel primo Novecento, nel solco del dibattito sul “revisionismo”.

Tramonto e fine del socialismo europeo

di Giorgio Salerno
La conduzione e la conclusione, per ora, della vicenda greca (luglio 2015), ha visto una nutrita schiera di protagonisti ma tra questi si sono negativamente distinti qualificati esponenti della socialdemocrazia tedesca come Martin Schulz, Presidente del Parlamento europeo e Sigmar Gabriel, Presidente della SPD. Il loro oltranzismo e durezza nel sostenere gli accordi iugulatori imposti alla Grecia, non è stato da meno di quello della Merkel e di Schauble.
Tali comportamenti, apparentemente inaspettati, aprono seri interrogativi e ci interrogano sulla natura e sui destini dei principali partiti del socialismo europeo. Cosa sono oggi questi partiti di quella che un tempo si chiamava Internazionale Socialista? Ed ha ancora un senso parlare di ‘socialismo’ del Partito del Socialismo Europeo?

Ora si attacca al cuore il diritto di sciopero

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di Federico Giusti, Salvatore Bonavoglia e Marcello Pantani
Il mese di luglio di quest’anno (dopo l’assemblea sindacale dei lavoratori del sito archeologico di Pompei con file di turisti in attesa che finisse e dopo le iniziative di lotta dei lavoratori del trasporto pubblico di Roma, canagliescamente diffamate dalla informazione di regime) ha scatenato la libera uscita di iene e sciacalli governativi.
Numerosi loro esponenti, infatti, si sono affrettati (per rendere niente più che simbolico l’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici, in particolare nel settore dei trasporti) a rispolverare disegni di legge (ddl), già presentati negli ultimi anni: quello del senatore Pietro Ichino nel 2009 e quello del compare Maurizio Sacconi nel 2014.
Anzi, Ichino, in buona compagnia di colleghe e colleghi del PD, ne ha presentato un altro (il ddl 2006) a tamburo battente, il 14 luglio.

La Grecia e il fallimento europeo

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di Andrea Zhok
Il recente precipitare degli eventi in Grecia ha messo in luce tanto la fragilità politica delle relazioni interne all’Unione Europea quanto l’ambiguità dei patti che vincolano gli stati membri. Sui media, italiani ma non solo, si sono succedute letture degli eventi marcatamente divergenti, spesso ideologiche, e ancor più spesso penosamente disinformate.
Scopo di questo breve scritto sarà perciò, in una prima parte, di fornire un resoconto il più sobrio possibile, del quadro storico della crisi greca, rinviando ad una seconda parte un commento politico più comprensivo. Nel prosieguo, per ragioni di leggibilità non sono state introdotte note o riferimenti bibliografici, ma tutti i dati riportati sono tratti o da fonti ufficiali (Eurostat, FMI reports, ecc.) oppure, occasionalmente, da resoconti della stampa economica specializzata. Su alcuni dati vi sono piccoli scostamenti a seconda delle fonti, ma esse non toccano la sostanza.

Figli di un Ius soli minore

Ius soli
di Mirna Cortese
Da settembre il Parlamento inizierà la discussione sul “Ius soli” che dovrebbe consentire ai figli degli immigrati nati in Italia di ottenere la cittadinanza. Ma ammesso che veda luce il progetto di riforma e revisione della normativa in materia di cittadinanza, Legge n. 91 del 5 febbraio 1992 , secondo cui la “nascita di un bambino sul suolo nazionale non è fondamentale al riconoscimento dello status di cittadino”, sarà comunque molto “soft”. Nel senso che rispetto allo Ius soli classico, tipo quello adottato negli Stati uniti e in molti paesi del Sudamerica, che attribuisce la cittadinanza del Paese a chiunque nasce sul suolo nazionale, lo “Ius soli soft” pone alcuni paletti non indifferenti nelle condizioni per l’ottenimento della cittadinanza.

I quesiti referendari spiegati bene

La campagna referendaria, dopo il deposito degli otto quesiti presso la Corte di cassazione il 16 luglio e la presentazione pubblica al Politicamp, con discussione in un tavolo dedicato, ha preso il largo.
I simpatizzanti e militanti di Possibile stanno presentando nelle segreterie comunali e nelle cancellerie dei tribunali e delle corti di appello i moduli per la vidimazione e i più veloci hanno già avviato la raccolta delle firme. Ne serviranno 500.000, da raccogliere – questo l’obiettivo per poter votare nella primavera 2016 – entro il 30 settembre (in realtà qualche giorni prima, per poterle depositare).
La campagna è aperta a tutti, come a tutti è stata aperta la proposta. I referendum, infatti, partono dal basso, con il contributo di tutti. È questa la loro grande forza. Noi abbiamo semplicemente creato una possibilità. Questa è del resto la ragione della nostra esistenza: creare possibilità, alternative, consentire di scegliere.

Il Rapporto Svimez e le lettere a un Meridione mai nato

mattino
di Giso Amendola, Girolamo De Michele, Francesco Ferri e Francesco Festa
Ogni volta che si ha a che fare con faccende che riguardano il Sud, si tira in ballo un linguaggio medicale, più precisamente, epidemiologico. All’indomani delle anticipazioni dell’ultimo Rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno, i rumori, gli allarmi dapprima, e poi gli scritti, i proclami pubblici, le fallaci(ane) lettere a un meridione mai nato, infine il decisionismo del governo Renzi, ha seguito un suo crescendo ritmato dal gergo medicale.
Il ministro dello Sviluppo Guidi ha invocato in tempi brevissimi delle soluzioni alla crisi del Mezzogiorno: lancia in resta ha convocato gli Stati Generali dello Sviluppo Economico nel prossimo autunno, giacché «al Sud non serve un miracolo, ma una terapia decisa e duratura nel tempo».
Roberto Saviano ha invocato una svolta che non passi tramite l’istituzione di nuovi interventi speciali, sulla falsariga della Cassa per il Mezzogiorno, adoperando allusivamente un lessico medicale per rappresentare lo stato in cui versano l’economia meridionale, ancor peggio negli ultimi quindici anni della stessa Grecia, sotto attacco dei dispositivi orientalistici di matrice teutonica e delle conseguenti misure disciplinari della governance neoliberista.

Esempio Relight, fabbrica di recupero, innovazione e... socialismo reale

di Maria Grazia Gerina 
A Rho, a poca distanza dall’area dell’Expo 2015, c’è una miniera. Montagne di vecchi televisori, tubi catodici, elettrodomestici rottamati, computer abbandonati: un cimitero della modernità. La materia da estrarre è lì dentro e ha nomi da romanzo fantasy: ittrio, europio, gadolinio, terbio. Polveri sottilissime e preziose, che in natura si trovano unite ai minerali. Estrarle è difficile e dispendioso. Le hanno chiamate “terre rare”. La Cina ne detiene quasi il monopolio. E se non vogliamo soccombere, dobbiamo darci da fare per recuperarle dagli oggetti elettronici d’uso quotidiano che senza pensarci buttiamo via quando non ci servono più. Meglio andarsi a riprendere quelle polveri tra i rifiuti, quindi. Ma ci vogliono gli impianti giusti, la tecnologia e infine la cultura. Perché riciclare è un gesto collettivo e un’attitudine umana da coltivare, prima che un processo tecnico avanzato. «Credo molto nella condivisione di idee e conquiste raggiunte», spiegaBibiana Ferrari, la“tecnovisionaria” (il titolo glielo hanno conferito davvero) che quindici anni fa, rimasta senza lavoro, fondò la Relight, oggi azienda all’avanguardia nel riciclo di materiali elettronici.

Viaggio nelle stazioni recuperate

di Ludovico Jona
Da un lato ci sono alberi, fiori e colline dai colori brillanti, dall’altro i fumi delle fabbriche dipinti con inquietanti gradazioni del rosso. Al centro, un treno che corre veloce esprime la mediazione possibile tra i due estremi, l’interazione tra uomo e natura. L’enorme murales copre la facciata della stazione di Ceccano (FR), e racconta la storia del territorio. Questo centro abitato nel cuore della Ciociaria è attraversato dal fiume Sacco -dove un tempo si faceva il bagno, mentre ora è avvelenato da sversamenti industriali- e incoronato dal bosco Faito, 330 ettari di ecosistema unico al mondo, dichiarato monumento ambientale nel 2009 ma che rischiò di essere cementificato per una speculazione edilizia nei primi anni 2000. 
L’opera d’arte, realizzata dall’artista locale Alberto Spaziani, è stata commissionata dall’associazione Centro Studi Tolerus (www.tolerus.it), che dal 2007 ha ottenuto in comodato d’uso gratuito dalla Rete Ferroviaria Italiana (Rfi) i locali della stazione, in cui promuove progetti di educazione ambientale.

Corbin il rosso pronto a mettere Blair in soffitta

E Corbyn vuol mettere Blair in soffitta
di Gian Maria Volpicelli
Jeremy Corbyn non ama il pronome “io.” Anche ora che sembra a un passo da diventare il prossimo leader laburista, Corbyn, 66 anni, di cui 32 da deputato di Islington North, non riesce a intestarsi il successo, e continua a parlare di “noi”: “le nostre proposte”, “la nostra campagna”, “le nostre idee”.
“Non penso che tutto ciò abbia a che fare con me,” dice. “C’è un movimento di popolo, alla base.”
Nell’era della personalizzazione della cosa pubblica, in cui si votano gli uomini più che il progetto— l’era dei Nigel Farage, dei Boris Johnson, e, oltreoceano, dei Donald Trump—è paradossale che il politico che ha scatenato una vera e propria mania fra i progressisti britannici abbia come motto “I don’t do personal”, non parlo di persone, ma di idee.

Il problema reale

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di Presidio permanente No Border Ventimiglia
Come presidio permanente No Border non abbiamo mai avuto interesse nel prendere parte a polemiche che riteniamo sterili. Negli ultimi giorni però abbiamo osservato con disappunto giornalisti e politici prendere posizione sul presidio e sulle attività portate avanti in questo luogo. Crediamo che questo tipo di dichiarazioni serva unicamente allo scopo di distogliere l’opinione pubblica dal problema reale.
Ciò che abbiamo sotto i nostri occhi, tra Ventimiglia e Mentone, e spingendosi oltre fino a Calais, è il riproporsi di politiche razziali che si credevano superate. Mentre sui giornali leggiamo che il problema sarebbero le persone sugli scogli e chi li sostiene, noi crediamo sarebbe più importante aprire un dibattito pubblico sulle centinaia di migliaia di migranti in viaggio soggetti alle politiche repressive europee.

Questo non è un articololo sulla Grecia


di Ilaria Lucaroni
Ci abbiamo creduto! più come sentimento passionale che raziocinante (libertà per la Grecia? salto nel buio?), ma ci abbiamo creduto, ne avevamo bisogno, che fosse la scelta giusta o meno, quali fossero le soluzioni possibili, se eravamo davanti ad un gesto di democrazia o ad un lavarsi le mani delegando una scelta al popolo in odor di Pilato, per il momento era in secondo piano. Ci bastava solo vedere quelle persone a Piazza Syntagma a festeggiare il loro OXI. Cioè, meglio, diciamo che avevamo bisogno di crederci, una sorta di esercizio alla ribellione. Il dopo è relativo, ma d'altronde lo era anche il "pre".
Ne è valsa la pena?
Nello sproposito di articoli che si sono susseguiti nei giorni pre e post referendum, e tutti i vari accadimenti, si riconoscono due importanti correnti interne che ho definito i possibilisti europei, coloro che la soluzione è rimanere nell'Euro cambiando le istituzioni europee, gli esistenzialisti europei, ossia fuori dall'Euro prima di finire tutti vittime del TTIP Usa. Il punto di partenza è lo stesso: l'assurdo paradosso secondo cui almeno il 77% di tutti gli aiuti forniti alla Grecia tra maggio 2010 e giugno 2013 sono finiti al settore finanziario.

La guerra spiegata da un generale...

Intervista a Fabio Mini di Enzo Pennetta
Generale Mini, nel suo libro "La guerra spiegata a." afferma che non esistono guerre limitate, o meglio che una potenza che si impegna in una guerra limitata ne prepara in realtà una totale. Nell'attuale situazione di conflittualità diffusa, che sembra seguire una specie di linea di faglia che va dall'Ucraina allo Yemen passando per Siria e Iraq, dobbiamo quindi aspettarci lo scoppio di un conflitto totale?
"La categoria delle guerre limitate, trattata dallo stesso Clausewitz, intendeva comprendere i conflitti dagli scopi limitati e quindi dalla limitazione degli strumenti e delle risorse da impiegare. Doveva essere il minimo per conseguire con la guerra degli scopi politici. E la guerra era una prosecuzione della politica. Erano comunque evidenti i rischi che il conflitto potesse degenerare ed ampliarsi sia in relazione alle reazioni dell'avversario sia in relazione agli appetiti bellici, che vengono sempre mangiando. Con un'accorta gestione delle alleanze e delle neutralità, un conflitto poteva essere limitato nella parte operativa e comunque avere un significato politico più ampio.

A chi cedere sovranità?

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di Suan Morelli
In queste ultime settimane il dibattito sull’Europa sta acquistando notevole rilievo nella discussione politica (e non solo).
Un dibattito contornato da un caos quasi indecifrabile, un cortocircuito culturale a tutto tondo, in cui un momento siamo tutti con Tsipras e l’attimo dopo lo vorremmo vedere alla gogna per aver tradito le speranze non solo dei greci ma anche di tutti coloro che si oppongono alle politiche di austerity.
La firma sull’accordo con la Troika rischia di essere un colpo da ko assestato a tutti coloro che legittimamente chiedono dignità all’oligarchia europea che si è impossessata della democrazia di un intero continente.

Questo ha dato il via ad un nuovo confronto sull’Europa – che ancora una volta rischia di vedere estromessa la sinistra considerata più radicale – che si basa su due visioni che appaiono diametralmente opposte.

I produttori di pace

di Luca Martinelli
Franss Van der Hoff ha 75 anni e ha contribuito alla nascita del movimento del commercio equo e solidale quando ne aveva meno di trenta. Missionario olandese, lavora in Messico dagli anni Sessanta con UCIRI, una cooperativa che produce caffè nella regione dell’Istmo di Tehuantepec, nello Stato di Oaxaca. Nel 1988, con Nico Roozen, ha lanciato “Max Havelaar”, la prima certificazione fair trade.
Nel corso del 2015, racconta sorridendo, hanno cercato di rapirlo un paio di volte. Il suo Paese d’adozione -spiega- è una democrazia fallita, dove la violenza dilaga. Per garantirsi sicurezza e incolumità serve organizzare carovane, con auto di scorta, per raggiungere la Selva, le zone montagnose dove si produce il caffè d’altura. In America Latina, ma anche in Asia, e in Medio Oriente, il movimento del fair trade (al pari di quello della cooperazione internazionale) “vive” le guerre, ogni condizione di violenza e di tensione geopolitica, e ne rappresenta un osservatore privilegiato: chi realizza migliori condizioni di vita per una fetta della popolazione impiegata in agricoltura, nel settore della trasformazione delle materie prime o nell’artigianato, opera per trasformare quelle condizioni di disuguaglianza che spesso sono alla base dei conflitti.

Una finestra su lavoro e sindacato in Asia



di Ivan Franceschini
Come la consuetudine, l’uscita del terzo numero di Made in China è un’occasione per tirare le somme sull’anno appena concluso.
Leggendo queste pagine, scoprirete come il 2014 abbia portato alcune novità per i lavoratori cinesi. Sul fronte delle buone notizie, a parte l’introduzione di alcuni miglioramenti a livello legislativo, quali un emendamento alla Legge sulla Sicurezza sul Lavoro, le autorità di Pechino hanno confermato l’intenzione di procedere con una riforma graduale del sistema della registrazione famigliare, il cosiddetto hukou. Stando a una serie di documenti ufficiali pubblicati nel corso di quest’anno, con l’eccezione di alcune mega-città, saranno presto eliminate quelle barriere che oggi impediscono a decine di milioni di migranti di usufruire dei servizi pubblici nei centri urbani in cui lavorano. Anche se la ricezione tra i migranti non sempre è stata entusiastica – in fondo, la questione dello hukou rimane strettamente collegata a un problema complesso quale quello della terra – diverse provincie cinesi hanno già adottato misure per facilitare il passaggio tra hukou rurale e urbano, con alcuni governi locali che hanno addirittura eliminato ogni distinzione tra i due status.

I nuovi decaparecidos


di Domenico Chirico
Neanche il tempo di finire di commentare il terribile dato sui 2000 migranti morti nel Mediterraneo, fornito martedì dall'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, che ieri abbiamo assistito ad una nuova strage. Forse centinaia di vittime a causa del ribaltamento di un barcone partito dalla Libia verso l'Italia. I soccorritori si sono trovati davanti ad un inferno con centinaia persone che cercavano in tutti i modi di non annegare.
Grazie al racconto dell'equipaggio della nave Dignity di Medici Senza Frontiere abbiamo potuto avere immediatamente delle testimonianze. Ed abbiamo ascoltato quanto avevano visto: una barca ribaltata, persone in mare che cercavano di salvarsi e salvare i loro cari. Un padre palestinese che salva per un soffio la figlia di un anno e mezzo e riesce a portare a galla la moglie. Molti in lacrime hanno perso familiari.

Atene e il Mediterraneo, sei mesi dopo

di Edoardo Raimondi
Tornare ad Atene. Tornare dopo circa sei mesi dalle elezioni politiche e dopo un referendum che chiedeva alle persone se avessero voluto continuare ad accettare le politiche d’austerità. Gli esiti di questo intenso percorso sono ormai noti a tutti. Rimarcarne le contraddizioni, probabilmente, non serve. La sinistra greca dovrà, di certo, fare i conti con le delusioni che si sono inevitabilmente diffuse all’interno di Syriza e all’interno della popolazione, dopo l’accordo tra l’Unione Europea e il governo greco. Non è un caso che già si sia annunciato un congresso straordinario del partito, in autunno. Ma il punto è: quale effetto reale le vicissitudini greche stanno già producendo di fronte ai molteplici tentativi di costruzione di una sinistra europea, alternativa all’esistente? È questo il tema che sembra essere sostanziale. Sostanziale rispetto a quella che oggi è la realtà dei fatti. 

Gli ungheresi si ribellano alla xenofobia del governo

di Corentin Léotard
Mai come nelle ultime settimane Budapest somiglia tanto alle capitali multiculturali dell’Europa occidentale. Dall’inizio dell’anno sono stati registrati più di 80mila arrivi di migranti irregolari nel territorio ungherese.
Scene inimmaginabili: gruppi di afgani, pachistani, bangladesi, siriani che vagano per le strade nella capitale ungherese. Senza molte idee su come proseguire il loro viaggio verso la Germania o raggiungere il centro di accoglienza a cui sono stati assegnati per il tempo necessario a esaminare la loro richiesta di asilo.
Si vedono famiglie, a volte con neonati, gruppi di giovani vestiti bene che usano i loro smartphone, sulle terrazze dei bar o al fresco sull’isola Margherita. Altri ancora si trascinano nei parchi o vicino alle stazioni ferroviarie, con vestiti rovinati. Chi se lo può permettere dorme in un albergo o negli ostelli della gioventù, altri però sono costretti a passare la notte all’aperto.

venerdì 7 agosto 2015

Dalla crisi ai migranti, la Grecia solidale è indignata con l'Europa


di Teodoro Andreadis Singhellakis
Sono sem­pre più i greci che rispon­dono all’emergenza immi­gra­zione nello stesso modo in cui hanno affron­tato la crisi degli ultimi cin­que anni. Con la soli­da­rietà e la mobi­li­ta­zione col­let­tiva, da Atene sino alle isole dell’Egeo. I flussi migra­tori non accen­nano a dimi­nuire, le par­tenze dalle coste della Tur­chia e gli approdi nelle isole di Kos, Lesbo, Chios, sono ormai senza sosta. I dati dif­fusi ieri da Fron­tex e dalla Com­mis­sione Euro­pea mostrano che nel solo mese di luglio sono arri­vati in Gre­cia più di 50 mila migranti. Cifre più alte di quelle che riguar­dano l’Italia, in un paese pesan­te­mente pro­vato dalla crisi eco­no­mica e dai tagli senza fine impo­sti dalle isti­tu­zioni creditrici.
Ne ha par­lato a lungo Ale­xis Tsi­pras, al ter­mine di una riu­nione a cui hanno par­te­ci­pato i suoi più stretti col­la­bo­ra­tori. «L’Unione euro­pea è messa alla prova dalla que­stione immi­gra­zione. La Gre­cia, con forti sacri­fici e restando fedele ai prin­cipi uma­ni­tari, sta offrendo tutto quello che può ai pro­fu­ghi», ha dichia­rato il primo mini­stro greco.

"Tradurre" in italiano Syriza

di Guido Liguori
Hanno fatto bene il mani­fe­sto e Norma Ran­geri ad aprire una sorta di tri­buna con­gres­suale in vista della costi­tu­zione di una nuova forza della sini­stra anti­ca­pi­ta­li­stica. I tempi sono più che maturi per la nascita di una for­ma­zione poli­tica che possa rap­pre­sen­tare una alter­na­tiva cre­di­bile al Par­tito demo­cra­tico di Renzi e a quella “sini­stra inver­te­brata” (la defi­ni­zione è di Perry Ander­son) che da troppi anni carat­te­rizza il nostro paese.
La Gre­cia e la Spa­gna dimo­strano che nella odierna crisi di ege­mo­nia (molto di più di una sem­plice crisi eco­no­mica) una pro­po­sta di cam­bia­mento forte, di pro­fonde «riforme di strut­tura», può incon­trare un ascolto e un con­senso di massa. Sta a noi oggi ren­dere pra­ti­ca­bile que­sta possibilità
Si parla spesso a que­sto pro­po­sito di una Syriza ita­liana. La sug­ge­stione è forte, per certi versi ine­vi­ta­bile, anche se non dob­biamo dimen­ti­care, gram­scia­na­mente, che non si tratta di copiare una espe­rienza nata in un con­te­sto diverso, quanto di «tra­durla» nella situa­zione nostra, pecu­liare, in cui dob­biamo operare.

Nei panni di un migrante

di Guido Viale
Imma­gi­nate di essere uno dei pro­fu­ghi acca­ta­stati a Calais, all’ingresso dell’Eurotunnel, e che ogni notte cer­cate di attra­ver­sarlo infi­lan­dovi sotto il rimor­chio di un camion, per venirne ogni volta respinti. Oppure un migrante imbo­scato ai con­fini di Melilla in attesa di tro­vare il modo di sca­val­care la rete che vi impe­di­sce di entrare in Spagna.
O un pro­fugo siriano o afghano in mar­cia attra­verso le strade secon­da­rie della Ser­bia con quel che resta della sua fami­glia che non sa ancora che ai con­fini con l’Ungheria tro­verà una rete a impe­dir­gli di var­care il con­fine. O un eri­treo imbar­cato a forza, dopo mesi di attesa e vio­lenze, nella stiva di una car­retta del mare, che sa già che forse affon­derà con quella, ma non ha altra scelta.
O una donna aggrap­pata con i suoi figli agli sco­gli di Ven­ti­mi­glia. E’ un eser­ci­zio dell’immaginazione dif­fi­cile e i risul­tati sono comun­que par­ziali. Ma biso­gna cer­care lo stesso di farlo, per­ché “met­tersi nei panni degli altri” serve sia a dare basi con­crete a soli­da­rietà e con­vi­venza, sia a capire un po’ meglio dove va il mondo.

La "sinistra di governo", una via senza sbocco

di Fausto Bertinotti
Il vuoto dram­ma­tico lasciato dalle sini­stre in Europa sug­ge­ri­sce di guar­dare ad ogni ten­ta­tivo di rico­struirne una con atten­zione e cura. In Ita­lia in par­ti­co­lare un atteg­gia­mento diverso sarebbe inge­ne­roso e del resto non si vede chi se lo potrebbe per­met­tere. La trama di temi che, accom­pa­gnando il nuovo ten­ta­tivo che si annun­cia, Norma Ran­geri ha indi­cato, costi­tui­sce un campo di ricerca assai impe­gna­tivo e in ogni caso ine­lu­di­bile. Ma, come si sa, il dub­bio accom­pa­gna ogni fede profonda.
Il grande navi­ga­tore ha sin­te­tiz­zato la sua impresa con il famoso «buscar el levante por el poniente». Ma s’è trat­tato di un’impresa così ecce­zio­nale da non essere ripetuta.
Se l’obiettivo della rico­stru­zione di un sog­getto poli­tico della sini­stra capace di essere pro­ta­go­ni­sta della vita del Paese venisse per­se­guito per que­sta via, dubito che rag­giun­ge­rebbe la meta.

Le amnesie dell'ex Presidente

di Massimo Villone
Napo­li­tano scende in campo e difende a spada tratta le riforme, nel metodo e nel merito, con una let­tera al Cor­riere della Sera. Tutto bene, è impos­si­bile tor­nare indie­tro, avanti tutta. In par­ti­co­lare sul senato non elet­tivo, visto come scelta impre­scin­di­bile. Capiamo bene che difen­dendo la pro­po­sta in discus­sione Napo­li­tano difende se stesso, essen­done stato da capo dello Stato arte­fice. Tutti ricor­diamo le sue ripe­tute ester­na­zioni sulle «neces­sa­rie riforme». E rispet­tiamo la sua scelta di inter­pre­tare come ha fatto il ruolo di pre­si­dente della Repubblica.
Vor­remmo ricor­dasse, però, che l’interpretazione avrebbe potuto essere diversa. E che una parte non insi­gni­fi­cante del paese pensa che avrebbe dovuto essere diversa. E che un sena­tore a vita ex pre­si­dente della Repub­blica ha un onere di rap­pre­sen­tanza intrin­se­ca­mente più ampio di quello che cade su un qual­siasi uomo di par­tito, e di parte.

L'orto di casa sua. Dalla Leopolda a Viale Mazzini

di Andrea Colombo
Vin­cono Mat­teo Renzi e Sil­vio Ber­lu­sconi. Perde il ser­vi­zio pub­blico, perde la Rai, per­dono gli spet­ta­tori ma anche i pro­fes­sio­ni­sti che sognano un tele­vi­sione moderna, ben fatta, com­pe­ti­tiva nel mondo.
Esce a testa alta l’M5S, che con la nomina di Frec­cero ha dato la miglior prova da quando fre­quenta il Par­la­mento, e non se l’è cavata male, com­pa­ti­bil­mente con le esi­gue forze, Sel. Esce umi­liato e disil­luso chiun­que avesse con­cesso un minimo di cre­dito allo «sta­ti­sta» fio­ren­tino, tanto da spe­rare che allen­tasse almeno la presa fer­rea dei par­titi su quella che da sem­pre con­si­de­rano una vigna di fami­glia. Cosa loro.
Da ieri pome­rig­gio la Rai vanta un nuovo diret­tore gene­rale. Lo ha nomi­nato senza intoppi di sorta il Cda, tro­vando di sfug­gita anche il tempo per sosti­tuire la pre­si­dente Mag­gioni alla guida di Rai­news 24 con la sua vice, Mirella Mar­zoli. Il diret­tore, che si tra­sfor­merà pre­sto in ammi­ni­stra­tore dele­gato, si chiama Anto­nio Capo Dall’Orto, ha molta espe­rienza di tele­vi­sione, nes­suna di Rai e ser­vi­zio pub­blico: c’è una qual­che differenza.

Sforbiciate alla sanità, pazienti doppiamente fregati

di Mario Pierro
Nei tagli al sistema sani­ta­rio nazio­nale per 10 miliardi in tre anni è pre­vi­sta una rimo­du­la­zione delle pre­sta­zioni e degli esami come la Tac o la riso­nanza magne­tica. Il prov­ve­di­mento inter­verrà su 180 pre­sta­zioni spe­cia­li­sti­che ambu­la­to­riali ed è attual­mente in bozze. Saranno coin­volti anche i set­tori dell’odontoiatria, della gene­tica, dell’allergologia, la dia­lisi e pre­sta­zioni di medi­cina nucleare. I tagli, o «risparmi» come dice la mini­stra della Salute Bea­trice Loren­zin, restrin­ge­ranno i desti­na­tari delle pre­sta­zioni dia­gno­sti­che, ma non di quelle spe­cia­li­sti­che. Il 20 per cento delle pre­sta­zioni entrate nel mirino dell’austerità sono quelle odon­to­ia­tri­che: le cure den­ti­sti­che ospe­da­liere saranno ero­gate in par­ti­co­lare ai minori fino a 14 anni, vul­ne­ra­bili per motivi sani­tari o per motivi sociali; alle regioni è lasciato il com­pito di fis­sare le soglie di red­dito o di Isee che defi­ni­scono i cri­teri della vul­ne­ra­bi­lità sociale. Per il mini­stero della Salute si tratta di un’omogeneizzazione dei cri­teri esi­stenti. Pre­vi­sta anche una stretta sui test gene­tici. Sono pre­sta­zioni molto one­rose ese­guite una sola volta nella vita. Dall’entrata in vigore del prov­ve­di­mento non sarà più pos­si­bile pre­scri­verle per una map­pa­tura del genoma o per fini di ricerca.

L'impero americano e lo spettro del declino

di Simone Pieranni
«Ben prima che lo stato cedesse all’antica ten­ta­zione di tor­nare all’indipendenza sotto l’altero nome di Lone Star, gli alti papa­veri texani si osti­na­vano a negare il peri­colo dei cambi cli­ma­tici». Nel 2012 molti stati ame­ri­cani ave­vano chie­sto la seces­sione dalla con­fe­de­ra­zione attra­verso la pos­si­bi­lità for­nita da una sezione del sito della Casa bianca.
Alcuni, come il Texas, aveva supe­rato le 25mila firme, ren­dendo d’obbligo una rispo­sta, ovvia­mente nega­tiva, da parte della pre­si­denza ame­ri­cana. Obama, recen­te­mente, nel suo piano con­tro le emis­sioni nocive, ha affer­mato che il cam­bia­mento cli­ma­tico «è un fatto e non un’opinione», accom­pa­gnando le sue parole al futuro taglio di un terzo delle fonti fos­sili, favo­rendo così gli stati che saranno «virtuosi».

giovedì 6 agosto 2015

La nuova dichiarazione universale



 











di Moni Ovadia
Gli scorsi giorni hanno visto in Ita­lia l’asfittico ripe­tersi del ciclo mono­tono «emer­genza migranti», guerra fra poveri, stru­men­ta­liz­za­zioni delle destre, nella fat­ti­spe­cie, Lega, Casa Pound, Fra­telli d’Italia. Il ciclo ricalca uno schema che ha già dato ampie prove di sé nel corso di tutto il Novecento. Que­sto schema si nutre sem­pre dello stesso veleno: nega­ti­viz­za­zione e cri­mi­na­liz­za­zione dell’altro in quanto tale.
Que­sto risul­tato si ottiene attra­verso mec­ca­ni­smi reto­rici di fal­si­fi­ca­zione, di gene­ra­liz­za­zione, attra­verso la dila­ta­zione e la mani­po­la­zione stru­men­tale di dati sta­ti­stici, attra­verso la pro­pa­ga­zione di allarmi sociali, l’evocazione di paure irra­zio­nali e la con­trap­po­si­zione ance­strale fra il noi e il loro come anta­go­ni­smo fra il legit­timo e l’illegittimo, fra la tito­la­rità e la clan­de­sti­nità. Da que­sto schema è espunto lo sta­tuto uni­ver­sale di dignità dell’essere umano. La poli­tica sta all’interno di que­sto cir­cuito per­verso o per soprav­vi­vere alla pros­sima cosid­detta emer­genza o per paras­si­tare qual­che van­tag­gio elet­to­rale con la pre­tesa di ergersi a pala­dina degli autoc­toni asse­diati dagli invasori.

Game over

di Tomaso Montanari
E così «soprintendente è la parola più brutta del vocabolario della burocrazia» anche per legge: detto fatto, Matteo Renzi ha stroncato in pochi mesi una storia plurisecolare.
Grazie al micidiale articolo 8 della Legge Madia sulla Pubblica Amministrazione, le soprintendenze confluiranno nelle prefetture, e se non riusciranno a evadere una pratica entro 90 giorni, si intenderà che abbiano detto sì: qualunque cosa contenesse quella pratica.
Le slides della propaganda renziana pagata con i soldi pubblici sono ineffabili. Una dice: «È vero che i soprintendenti saranno sottoposti all'autorità dei prefetti? NO, sul territorio ci sarà un ufficio unico del territorio nel quale il prefetto avrà un ruolo di direzione (che non signfica funzioni di comando)». Manco i gesuiti del Seicento avrebbero saputo far meglio: se qualcuno dirige qualcosa, esercità un'autorità.

Il qualunquismo feroce e infantile di Matteo Salvini

di Christian Raimo
Nella ventiduesima puntata della nona stagione dei Simpson, Trash of Titans, Homer, stufo di una politica che lo obbliga a responsabilizzarsi affidandogli decisioni razionali, decide lui stesso di candidarsi a commissionario comunale. Sulle prime la sua campagna elettorale è un fiasco, ma poi si rivolge al barista Boe, che come uno spin-doctor esperto gli suggerisce di trovare uno slogan “gradito a quei pigroni trasandati là fuori”.
Così Homer escogita lo slogan: “Perché non può farlo qualcun altro?”. Ossia: perché non può occuparsi dei rifiuti qualcun altro? Perché non può fare manutenzione del giardini qualcun altro? Perché non può pulire le strade qualcun altro?
Sull’onda di un immediato consenso popolare spontaneo, Homer stravince.

Tagli alla sanità, il punto della Cgil

La stangata sulla sanità è legge. L'emendamento del governo sui tagli al Fondo sanitario nazionale, circa 2,35 miliardi, è stato approvato dalla Camera all'interno della conversione in legge del decreto sugli Enti Locali. I settori colpiti sono: beni e servizi - dispositivi medici, farmaceutica, inappropriatezza (prestazioni di specialistica e riabilitazione), ospedali (chiusura con meno di 40 posti letto, personale, pubblici e privati) .
Non sono i 10 miliardi che si temevano dopo le prime dichiarazioni del consigliere di Renzi, Gutgeld, ma si confermano la “ricetta fallimentare e dannosa” e il progressivo svuotamento della sanità pubblica operati dal governo e stigmatizzati dalla Cgil. Proprio dalla confederazione viene una prima analisi dei tagli , in un documento a cura di Stefano Cecconi , Responsabile politiche per la salute Cgil nazionale.

Fondi strutturali a impatto zero. Risorse e e obiettivi vanno ricalibrati

di Emanuele Ciani e Guido De Blasio
A fine anno verrà meno la possibilità di spendere le dotazioni dei fondi strutturali europei relative al ciclo di programmazione 2007-13. Si è discusso molto della capacità delle nostre amministrazioni di spendere i soldi messi a disposizione, molto meno dell’impatto dei fondi sull’economia locale. I trasferimenti concentrati su aree specifiche possono non solo incidere sull’occupazione, ma anche sull’attrattività dei territori per la popolazione. Inoltre, un aumento dell’attività economica locale potrebbe dare luogo a una crescita delle rendite immobiliari, riducendo l’afflusso di lavoratori. In un lavoro in corso di pubblicazione su IZA Journal of Labor Policy abbiamo provato a verificare se i sistemi locali del lavoro del Mezzogiorno che hanno ricevuto nel periodo 2007-13 più finanziamenti sono stati quelli in cui il mercato del lavoro e quello immobiliare sono andati relativamente meglio e dove le dinamiche della popolazione sono risultate meno sfavorevoli.

Scuola, educare alle differenze atto secondo


Per sostenere la scuola pubblica, laica e democratica e con l’obiettivo di valorizzare e mettere in rete chi lavora dentro e fuori le scuole, lo scorso anno SCOSSE (Roma), Stonewall (Siracusa) e Il Progetto Alice (Bologna) hanno proposto un incontro nazionale, a settembre 2014. Oltre 600 persone hanno partecipato all’appuntamento, venendo a Roma da tutta Italia, e più di 200 organizzazioni, gruppi di ricerca, esperienze istituzionali e comitati.sono diventate co-promotori dell’evento.
Nei mesi successi, si sono susseguite diverse iniziative locali di discussione, approfondimento e formazione, dalle grandi città a piccoli centri, e la volontà emersa è di continuare a lavorare assieme per per promuovere una rete virtuosa che colleghi gli istituti scolastici alle esperienze no profit territoriali, alle accademie e alle istituzioni locali.

Dietro i tagli di Renzi, la privatizzazione del servizio sanitario nazionale

di Roberto Polillo
Dopo l’avvenuta approvazione con voto di fiducia da parte  del Senato, il DL Enti Locali con all’interno il pacchetto di emendamenti sanità , riforma AIFA e finanziamenti per il Giubileo è ora atteso martedì dall’aula di Montecitorio per il voto definitivo. Il provvedimento che  recepisce l’intesa Stato - Regioni del 2 luglio, sottoscritta da tutte le regioni con esclusione di Veneto e Lombardia,  introduce  una serie di pesanti misure per la sanità e taglia, da qui agli anni a venire, il già misero Fondo sanitario di 2,3 miliardi l’anno. Nel testo è inoltre contenuto  il riordino dell’Aifa, l’agenzia del farmaco che sarà dotata di  nuovi mezzi  e personale  e il potenziamento dei pronto soccorso romani per il Giubileo prossimo venturo.
Il voto del provvedimento che le opposizioni hanno duramente contestato ha visto anche una frattura all’interno dello stesso PD.
Particolarmente significativo lo strappo  della Senatrice Dirindin, capogruppo del PD in Commissione sanità che ha votato contro il provvedimento e chiesto di essere sollevata dall’incarico.

Catto-fascio-leghisti alla ribalta

di Luca Kocci
Inchio­dano i cro­ce­fissi sulle pareti delle aule sco­la­sti­che per­ché sono un segno della «nostra civiltà», ma aggre­di­scono papa, vescovi e preti quando si schie­rano dalla parte degli immi­grati. Riven­di­cano le «radici cri­stiane» dell’Europa, ma se qual­che cri­stiano afferma che la «for­tezza Europa» deve abbat­tere i muri di pro­te­zione e di sepa­ra­zione lo mar­chiano come com­plice degli sca­fi­sti e amico dei terroristi.
È il cat­to­li­ce­simo dei fascio-leghisti, sem­pre più com­pe­ne­trati gli uni negli altri dopo la «svolta nazio­nale» di Sal­vini, a cui si sono pron­ta­mente acco­dati nostal­gici del ven­ten­nio e resi­duati in cami­cia nera sedotti dalla pos­si­bi­lità di supe­rare la bar­riera dello zero vir­gola delle loro fiac­che pre­sta­zioni elet­to­rali. Ma anche dei per­be­ni­sti bor­ghesi che iscri­vono i figli nella scuola cat­to­lica e poi sbrai­tano se il vescovo decide di ospi­tare un gruppo di pro­fu­ghi vicino all’istituto fre­quen­tato dai loro rampolli.

Italia: il presente dei diritti dei bambini

Italia: il presente dei diritti dei bambini 
di Miriam Rossi
In Italia 1 bambino su 7 nasce e cresce in condizioni di povertà assoluta, 1 su 20 assiste a violenza domestica e 1 su 100 è vittima di maltrattamenti. 1 su 20 vive in aree inquinate e a rischio di mortalità. 1 su 50 soffre di una condizione che comporterà una disabilità significativa all’età dell’ingresso nella scuola primaria, 1 su 500 vive in strutture di accoglienza. Più di 8 bambini su 10 non possono usufruire di servizi socio-educativi nei primi tre anni di vita e 1 su 10 nell’età compresa tra i 3 e i 5 anni”.
Queste sono le cifre che indicano le condizioni effettive dei bambini e degli adolescenti italiani presentate dal gruppo di monitoraggio sull’attuazione delle disposizioni della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, a cui il Belpaese ha aderito nel 1991. Il cosiddetto Gruppo CRC (dall’inglese “Convention on the Rights of the Child”), un network attualmente composto da 87 soggetti del terzo settore che da tempo si occupano in modo attivo della promozione e tutela dei diritti dell’infanzia (tra cui Caritas, Save The Children e AGESCI), nella presentazione del suo 8° rapporto di aggiornamento sulla Convenzione non ha mancato di evidenziare lo scollamento tra una società che indica enfaticamente il proprio futuro in quello dei bambini e poi si disinteressa dell’attuazione, se non dell’ideazione, di politiche mirate alla tutela della stessa infanzia.

Indovina a chi va la cena...

Indovina a chi va la cena 
di Ilaria Giupponi
Quante volte vi è capitato di pensare allo spreco legato a grandi occasioni? Eppure, tonnellate di cibo hanno continuato a fluire nella spazzatura. Fino a quando, questa domanda non se la sono posta loro, quattro ragazzi tra i 27 e i 30 anni, tutti liberi professionisti, tutti romani e tutti stanchi di veder la discrepanza insensata che divide la città della Dolce vita dalla povertà che deve elemosinare perfino un bene primario come il pasto. Ed è proprio attraverso il cibo che avviene l’incontro fra i due mondi. A fare da ponte: 4 amici muniti di furgoncino e una piccola onlus. Equoevento, questo il nome, è un’organizzazione senza scopo di lucro, nata ufficialmente il 27 gennaio del 2014 dall’esigenza di porre rimedio a una sperequazione per loro intollerabile fra il mondo benestante e l’abisso della povertà.
Motto: “Aggiungi un pasto a tavola”. “Una volta a un matrimonio abbiamo chiesto a un cameriere che fine facessero tutti i vassoi pieni di cibo che tornavano in cucina. Ci ha indicato il cestino dell’immondizia”, racconta Giulia Proietti, avvocatessa e presidente dell’associazione. E semplicemente, hanno detto basta.

La crisi infinita e un suo diario

aziende crisi

 







di Francesca Coin e Stefano Lucarelli
Scriveva Deleuze:
“quando scrivo su un autore il mio ideale sarebbe di riuscire a non dire nulla che potesse rattristarlo… pensare a lui, all’autore sul quale si scrive. Pensare a lui con tanta forza che non possa più essere un oggetto e che non sia neanche più possibile identificarsi con lui. Evitare la doppia ignominia dell’erudizione e della familiarità. Restituire a un autore un po’ di quella gioia, di quella forza, di quella vita politica e di amore che lui ha saputo donare, inventare” (Dialogues, 1977).
È con questo spirito che ci accingiamo a scrivere qualcosa sull’ultimo testo di Christian Marazzi, Diario della crisi infinita (Ombre Corte, 2015), un testo denso e articolato di cui ci piacerebbe provare a restituire almeno un po’ della forza e della vita politica che lo impregna.
Dobbiamo iniziare con una domanda. Più volte durante la lettura ci siamo chiesti, infatti, quanti economisti, in quest’epoca, potrebbero pubblicare una collezione di testi scritti in anticipo sull’oggi.

Qual è il valore del lavoro?

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di Moishe Poston
I profondi cambiamenti storici del recente passato - il declino dello Stato-provvidenza nell'Occidente capitalista, il crollo del comunismo e dei partiti-Stato burocratici ad Est, e l'emergere apparentemente trionfante di un nuovo ordine capitalista mondiale e neoliberista - hanno restituito tutta la loro attualità ai problemi della dinamica storica e delle trasformazione mondiale nelle analisi e nei discorsi politici della sinistra.
Ma, allo stesso tempo, questi sviluppo rappresentano per la sinistra delle sfide difficili, in quanto mettono in causa tutta una serie di posizioni critiche che sono diventate predominanti negli anni settanta ed ottanta, così come le posizioni precedenti apparse dopo il 1917.
Da un lato, visto che il crollo drammatico e la dissoluzione definitiva dell'Unione Sovietica e del comunismo europeo fanno parte di tali cambiamenti, questi sono stati interpretati come la dimostrazione della fine storica del marxismo e, più in generale, della pertinenza della teoria sociale di Marx.

Pasolini sotto il segno di Paolo

"Pier Paolo Pasolini"
Dialogo con Michael Hardt di Marco Dotti
Ad anniversari alterni, torna a suscitare clamori a mezzo stampa l’ipotesi di una riapertura dell’inchiesta sulla morte di Pier Paolo Pasolini. Ogni volta, il discorso pubblico si ripiega inesorabilmente sul privato e, in un modo o nell’altro, ricolloca Pasolini in un «mondo piccolo» che non gli compete.
Proviamo a aprire un altro discorso, partendo dal giorno dopo la sua morte. Intendiamola come dies a quo, non ad quem. Come inizio, non come termine.
Michael Hardt: La mia ipotesi è che Pasolini sia guidato da ciò che potremmo chiamare un comunismo del fuori. È un’idea che nasce già nel suo periodo friulano, quando Pasolini scopre sia il desiderio sessuale, sia il comunismo come lotta che esiste solamente fuori. All’epoca, questa lotta era possibile nell’area contadina friulana, non solo come lotta fuori dal capitale – pensiamo alle lotte del 1948, ad esempio – , ma anche fuori da tutta la società borghese.