La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 8 agosto 2015

Ora si attacca al cuore il diritto di sciopero

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di Federico Giusti, Salvatore Bonavoglia e Marcello Pantani
Il mese di luglio di quest’anno (dopo l’assemblea sindacale dei lavoratori del sito archeologico di Pompei con file di turisti in attesa che finisse e dopo le iniziative di lotta dei lavoratori del trasporto pubblico di Roma, canagliescamente diffamate dalla informazione di regime) ha scatenato la libera uscita di iene e sciacalli governativi.
Numerosi loro esponenti, infatti, si sono affrettati (per rendere niente più che simbolico l’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici, in particolare nel settore dei trasporti) a rispolverare disegni di legge (ddl), già presentati negli ultimi anni: quello del senatore Pietro Ichino nel 2009 e quello del compare Maurizio Sacconi nel 2014.
Anzi, Ichino, in buona compagnia di colleghe e colleghi del PD, ne ha presentato un altro (il ddl 2006) a tamburo battente, il 14 luglio.

In una intervita del 2008 (quando divenne ministro del lavoro con l’ultimo governo Berlusconi per restarci fino al 2011, mentre dal 2001 al 2006 era stato sottosegretario nello stesso ministero, allora occupato come ministro dal leghista Maroni), Sacconi rivelò di essere stato nell’epoca detta del “sessantotto” attivista della Fiom Cgil, soprattutto perché voleva opporsi a quegli “estremisti dalla pancia piena” che, a suo dire, erano i giovani e meno giovani che lottavano nelle fabbriche e nelle scuole, nei quartieri e nelle piazze.
Anche Ichino non era stato da meno, quanto a impegno sindacale: dal 1969 al 1972 se l’era fatta come dirigente con la Fiom, per passare dal 1973 al 1979 a dirigere l’Ufficio legale della Camera del lavoro di Milano, facendosi lì le ossa per diventare un accademico, con tanto di docenza universitaria, in diritto sindacale e del lavoro. Chapeau, professore!
I due esimi moschettieri sono impegnati a combattere il diritto di sciopero, perché -nientemeno- hanno a cuore -dichiarano senza vergognarsi- i diritti degli utenti dei servizi pubblici, terreno, come tutti gli altri settori lavorativi, di possibili scioperi.
Quando gli utenti sono oggetto di tasse a sovrattasse; di ticket sanitari più che esosi; di liste d’attesa di mesi e mesi per una visita specialistica o per un esame; di code e code nelle ore di punta alle fermate degli autobus; di mezzi di trasporto, compresi quelli ferroviari, che più sgangherati non si può (tant’è vero che viaggiano con ritardi spesso clamorosi o saltano corse su corse); di scuole e aule fatiscenti, in cui i lavori di restauro e manutenzione vengono rinviati all’infinito; quando gli utenti, che molto spesso non sono dei nababbi ma dei lavoratori dipendenti, si ritrovano di anno in anno sempre più senza diritti, alla mercé di gerarchie aziendali sempre più prepotenti nell’imporre condizioni di lavoro massacranti, senza una retribuzione sufficiente a vivere, senza lavoro e senza presente e nemmeno futuro - che dicono, allora, questi signori del sistema dei padroni e dei governi, che fanno di tutto per devastare socialmente, economicamente, giuridicamente l’esistenza di milioni e milioni di persone?
Tacciono, perché il sistema dei padroni è il loro sistema e perché i governi sono i loro governi e tanto più possono infierire sui lavoratori e sugli utenti, quanto più il diritto di sciopero diventa impraticabile, sottraendo ai lavoratori l’unico strumento che hanno per difendersi, per tutelarsi, per non diventare irrimediabilmente degli schiavi.
E a questa sottrazione pensano giorno e notte, maniacalmente, loro, i vari Ichino, i vari Sacconi, sorta di mercenari al servizio dell’oppressione dei lavoratori e dello sfruttamento del lavoro.
Così, si arriva ai ddl per regolare il conflitto sindacale nei trasporti pubblici, perché, non Cgil, Cisl e Uil, che fanno “ricorso molto cauto e sorvegliato allo sciopero” (afferma la presentazione del disegno di legge Ichino), ma “i sindacati autonomi” o i “comitati spontanei” fanno “un uso molto aggressivo e spregiudicato” dello sciopero, esercitando così “un forte potere d’interdizione”.
Allora, non è più adeguata a disciplinare l’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici la legge n. 146 del 1990, modificata e integrata con la legge n. 83 del 2000.
Ci vuole ben altro, ce lo chiedono i padri costituenti (ha il coraggio di affermare l’équipe Ichino), i quali hanno pensato lo sciopero “come strumento di lotta cui fare ricorso con grande misura e parsimonia”!!! E così l’art. 40 della Costituzione è sistemato: parola di Ichino.
Ne prendano atto i lavoratori del trasporto, quelli dei servizi di assistenza al volo, quelli dei servizi portuali e aeroportuali di terra, quelli di assistenza ai viaggiatori.
Così, nel settore dei trasporti, lo sciopero aziendale può essere proclamato o da un sindacato o da una coalizione sindacale che abbia la maggioranza in azienda (qui si richiama la normativa prevista dal Testo Unico sulla rappresentanza sindacale stipulato da Confindustria e Cgil, Cisl e Uil il 10/1/2014).
Altrimenti, si deve dare luogo a un referendum partecipato da almeno la metà dei lavoratori interessati, dal quale la proclamazione dello sciopero ottenga un numero di voti favorevoli superiore alla metà dei voti espressi.
Per la proclamazione dello sciopero in una pluralità di imprese, valgono norme analoghe a quelle stabilite per lo sciopero aziendale.
Se sia rimasto qualcosa del diritto di sciopero come diritto soggettivo in capo a ogni singolo lavoratore è di certo arduo affermarlo.
Il ddl Ichino (intervenendo sull’art. 20 dello Statuto dei lavoratori) si occupa anche del diritto di assemblea sindacale in orario di lavoro, la cui richiesta dev’essere presentata (“salvi i casi di motivata urgenza”. Ma chi lo stabilisce?), con almeno cinque giorni di anticipo rispetto al suo svolgimento, la cui collocazione temporale sarà comunque stabilita dal datore di lavoro tra il sesto e il decimo giorno dalla domanda.
Questa parte del ddl ha il sapore di rivolgersi a tutto il mondo del lavoro subordinato, ridimensionando gravemente il significato dell’assemblea, quale iniziativa improntata molto spesso alla necessità di affrontare collettivamente questioni, dibattere delle quali è cosa che non è possibile differire. Un po’ come dire che il ferro va battuto quando è caldo.
Già, ma nella logica aziendalistica che tutto va posto nell’ottica del raffreddamento e della conciliazione, l’assemblea deve essere depurata della funzione che potrebbe esserle assegnata di momento di protesta e quindi va collocata a distanza dalle problematiche che ne hanno fatto sorgere l’esigenza!!!
Quanto all’assemblea nel settore dei servizi pubblici (anche qui intervenendo sull’art. 20 dello Statuto dei lavoratori), il ddl stabilisce che essa non può provocare l’interruzione del servizio pubblico, nel qual caso essa potrà svolgersi “in orario aggiuntivo”, con la “retribuzione ordinaria aggiuntiva corrispondente”.
Non è qui possibile trattare del ddl delega dell’équipe Sacconi, ma l’impressione che a una prima lettura se ne ha è che si tratti di qualcosa anche più sfrontato e velenoso del ddl Ichino.
Chissà, assemblando l’uno all’altro, che miscuglio potrebbe venirne fuori?
Anche prevedendo che la voglia di attaccare il diritto di sciopero in tutti i settori lavorativi sarà struggente negli ambienti del Ministero del signor Poletti e della Confindustria, non sarà il caso di cercare di mettere i piedi del movimento dei lavoratori su tanta arroganza padronal/governativa?

Fonte: controlacrisi.org

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