La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 7 agosto 2015

Le amnesie dell'ex Presidente

di Massimo Villone
Napo­li­tano scende in campo e difende a spada tratta le riforme, nel metodo e nel merito, con una let­tera al Cor­riere della Sera. Tutto bene, è impos­si­bile tor­nare indie­tro, avanti tutta. In par­ti­co­lare sul senato non elet­tivo, visto come scelta impre­scin­di­bile. Capiamo bene che difen­dendo la pro­po­sta in discus­sione Napo­li­tano difende se stesso, essen­done stato da capo dello Stato arte­fice. Tutti ricor­diamo le sue ripe­tute ester­na­zioni sulle «neces­sa­rie riforme». E rispet­tiamo la sua scelta di inter­pre­tare come ha fatto il ruolo di pre­si­dente della Repubblica.
Vor­remmo ricor­dasse, però, che l’interpretazione avrebbe potuto essere diversa. E che una parte non insi­gni­fi­cante del paese pensa che avrebbe dovuto essere diversa. E che un sena­tore a vita ex pre­si­dente della Repub­blica ha un onere di rap­pre­sen­tanza intrin­se­ca­mente più ampio di quello che cade su un qual­siasi uomo di par­tito, e di parte.
Vor­remmo che Napo­li­tano ricor­dasse che siamo già in cam­pa­gna refe­ren­da­ria. L’ha lan­ciata Renzi, che anzi l’ha gio­cata dal primo momento come un ple­bi­scito su se stesso. Come accade nelle corse cicli­sti­che, vediamo ora par­tire la volata, con l’occasione volta a met­tere nell’angolo le voci dis­si­denti nella fase con­clu­siva dei lavori par­la­men­tari. Vor­remmo ricor­dasse che anzi sarà una bat­ta­glia ple­bi­sci­ta­ria. Ne vediamo le argo­men­ta­zioni rozze, sem­pli­fi­cate, e qual­cuno direbbe almeno in parte men­daci. Così accade quando Renzi dice che è cru­ciale togliere l’indennità ai sena­tori, senza dire che i costi diversi dell’istituzione — immo­bili, ser­vizi, per­so­nale — riman­gono comun­que, e sono la parte di gran lunga pre­va­lente. E che dun­que mag­giori risparmi si avreb­bero ridu­cendo in paral­lelo il numero dei com­po­nenti di cia­scuna camera. Ancora è così quando si dice che un senato di seconda scelta è indi­spen­sa­bile a supe­rare i bica­me­ra­li­smo pari­ta­rio, occul­tando il fatto che bene – e anzi meglio — si potrebbe supe­rarlo man­te­nendo l’elezione diretta dei senatori.
Vor­remmo ricor­dasse da quale accordo, tra chi, e con quali moti­va­zioni viene il pro­getto poli­tico rifor­ma­tore. Il fami­ge­rato patto del Naza­reno, e già que­sto era per molti intol­le­ra­bile. Il pro­getto poli­tico è stato por­tato avanti tra for­za­ture e vio­la­zioni dei rego­la­menti par­la­men­tari e della stessa Costi­tu­zione. Il man­tra è ora che non si può tor­nare indie­tro. Ma non si dice che quell’accordo non c’è più, che se la pro­po­sta di riforma va avanti può farlo solo con l’appoggio di tran­sfu­ghi il cui cam­bio di casacca nulla ha a che fare con il bene della Repub­blica. Per tanti una Costi­tu­zione che nascesse su que­sti fon­da­menti non meri­te­rebbe lealtà e osser­vanza. È così che si pensa di dare con­ti­nuità e forza alla Costi­tu­zione nata dalla Resistenza?
Vor­remmo ricor­dasse che — come ha ben visto negli anni bui del ter­ro­ri­smo — la tenuta di un paese viene dalla con­di­vi­sione e dall’ampia par­te­ci­pa­zione rese pos­si­bili dalla piena rap­pre­sen­ta­ti­vità delle isti­tu­zioni. Viene dalla fibra morale e poli­tica, prima che dalla forza pub­blica. Dalla libertà degli animi e delle voci prima che dai bava­gli, dalla com­pres­sione degli spazi di demo­cra­zia e di rap­pre­sen­tanza poli­tica, dallo schiac­cia­mento dei corpi intermedi.
Vor­remmo ricor­dasse che il par­la­mento cui oggi si affida una radi­cale riscrit­tura della Costi­tu­zione è stato ful­mi­nato nei suoi fon­da­menti da una sen­tenza della corte costi­tu­zio­nale che ha posto pre­cisi paletti. Per molti, la sen­tenza è stata già disat­tesa dalla legge 52/2015, ed è in sé grave. Ma ancor più grave è che un par­la­mento privo di legit­ti­ma­zione sostan­ziale capo­volga alcuni dei fon­da­menti della Costi­tu­zione vigente, che tutti i par­la­men­tari hanno il dovere di osser­vare eser­ci­tando le pro­prie fun­zioni con «disci­plina e onore».
Vor­remmo pren­desse atto che altre solu­zioni sono pos­si­bili. Una potenza glo­bale come gli Stati uniti abban­donò un secolo fa il senato non elet­tivo, per porre fine a una situa­zione di degrado e cor­ru­zione. Oggi il senato elet­tivo del con­gresso sta­tu­ni­tense è ele­mento di un sistema bica­me­rale sostan­zial­mente pari­ta­rio, ed è ben più del senato di garan­zia che inti­mo­ri­sce i rifor­ma­tori ita­liani. La Fran­cia sta pro­gres­si­va­mente uscendo dalla com­mi­stione tra il senato e le isti­tu­zioni locali. E allora?
Vor­remmo pren­desse atto che il nucleo fon­da­men­tale del pro­getto di riforma è nella cen­tra­lità dell’esecutivo e in pro­ie­zione nell’uomo solo al comando. Comun­que, in una ridu­zione spazi di demo­cra­zia, e nella con­cen­tra­zione del potere. Se non è così, per­ché non ci dice qual è invece il punto focale del dise­gno rifor­ma­tore? Mat­ta­rella, nel chia­marsi fuori dalla mischia, ci ha detto che l’uomo solo al comando non esi­ste. Oggi, forse. Ma domani?
Vor­remmo capisse che lo slo­gan avanti a tutta forza può solo peg­gio­rare le con­di­zioni del con­fronto poli­tico. Per­ché non rimane altra via che radi­ca­liz­zare le posi­zioni. Ancor più se i capi di stato abdi­cano dal pro­prio ruolo di garanti delle Costi­tu­zioni. Del resto, il sospetto l’avevamo, che le costi­tu­zioni le difen­dono i popoli, non i governi o i capi di stato.
Infine, a chi pen­sasse con le scelte di oggi di acqui­sire un busto nel pan­theon della nuova Repub­blica, vogliamo ricor­dare che la grande ruota della sto­ria gira. I meno gio­vani hanno in memo­ria le imma­gini in bianco e nero dei busti dell’uomo solo al comando abbat­tuti e in fran­tumi. Que­sta volta le vedrebbe tutto il mondo, a colori e su Youtube.

APPROFONDIMENTO - Uno Scalfaro al rovescio
di Andrea Fabozzi
La cam­pa­gna per l’ultimo refe­ren­dum su una legge di revi­sione costi­tu­zio­nale, nel 2006, fu gui­data da un ex pre­si­dente della Repub­blica, Oscar Luigi Scal­faro, che sette anni dopo aver lasciato il Qui­ri­nale si mise alla testa del comi­tato del No ed ebbe suc­cesso: la riforma di Ber­lu­sconi fu bocciata.

Adesso la riforma di Renzi è ancora lon­tana, al più pre­sto il refe­ren­dum con­fer­ma­tivo potrebbe tenersi alla fine dell’anno pros­simo, ma la cam­pa­gna elet­to­rale è già comin­ciata. Si can­dida a gui­darla, sta­volta per il Sì, Gior­gio Napo­li­tano. L’ex pre­si­dente — ex da sette mesi — ha scritto ieri una let­tera al Cor­riere della sera che diven­terà il mani­fe­sto dei soste­ni­tori del dise­gno di legge Renzi-Boschi. «Non è pen­sa­bile si torni indie­tro», è lo slo­gan che rias­sume il pen­siero del sena­tore a vita.

L’autorevolezza è mag­giore, ma gli argo­menti di Napo­li­tano sono quelli tante volte ripe­tuti dalla mini­stra Boschi e messi in fila mer­co­ledì nella sua rela­zione dalla pre­si­dente della prima com­mis­sione Finoc­chiaro. La scelta per il senato che rap­pre­senta le isti­tu­zioni ter­ri­to­riali è fatta, il «con­se­guente e ine­lu­di­bile corol­la­rio» sarebbe «l’esclusione di una ele­zione dei futuri sena­tori a suf­fra­gio diretto e con metodo proporzionale».

Napo­li­tano non evita le for­za­ture tipi­che della cam­pa­gna elet­to­rale, come quella tipi­ca­mente ren­ziana di legare la fine del bica­me­ra­li­smo pari­ta­rio alla rinun­cia all’elezione diretta dei sena­tori. Ma nella foga fini­sce col pole­miz­zare diret­ta­mente con il pre­si­dente del senato, quando defi­ni­sce «inso­ste­ni­bile» la pro­po­sta di «un’immaginario senato delle garanzie».

Cioè pro­prio quello che Grasso aveva soste­nuto giu­sto una set­ti­mana fa, nel discorso del Ven­ta­glio: «Penso che l’Italia abbia biso­gno di un senato di garan­zia, come avviene in molte altre demo­cra­zie». Il con­tra­sto è troppo evi­dente (e lo coglie qual­che espo­nente dell’opposizione) e così per­sino il sena­tore a vita deve fare una pre­ci­sa­zione: «Vedere un rife­ri­mento pole­mico con il pre­si­dente del senato è un abba­glio se non una gra­tuita alte­ra­zione dei fatti», si arrab­bia Napolitano.

Ma la pre­ci­sa­zione dice troppo: «Nel merito delle que­stioni pro­ce­du­rali che riguar­de­ranno il momento del pas­sag­gio alle vota­zioni finali sulla riforma costi­tu­zio­nale — si legge nella nota — il pre­si­dente Napo­li­tano non è mai entrato e non intende entrare». È il punto più deli­cato, per­ché pro­prio Grasso dovrà deci­dere sull’ammissibilità degli emen­da­menti che pun­tano a ria­prire l’articolo 2 della riforma costi­tu­zio­nale, per recu­pe­rare l’elezione diretta dei sena­tori. Già Anna Finoc­chiaro aveva man­dato un avver­ti­mento alla seconda carica dello stato, chie­dendo cau­tela, ma è chiaro che il peso dell’ex capo dello stato può essere maggiore.

È lo stesso peso che Napo­li­tano ha messo sul piatto delle riforme costi­tu­zio­nali soprat­tutto durante l’attuale legi­sla­tura, negli inter­venti pub­blici e non solo, come ricorda lui stesso nella let­tera al Cor­riere quando fa notare che il senato non elet­tivo è stato «ampia­mente con­cor­dato in mol­te­plici occa­sioni e luo­ghi isti­tu­zio­nali negli ultimi anni».

Qual­che sena­tore del Pd — Bindi, Ric­chiuti, Lo Moro, Cor­sini — dichiara di non con­di­vi­dere le parole di Napo­li­tano, ma per il resto è un coro di elogi. Il capo­gruppo Zanda richiama i pochi dis­si­denti: «Credo che il Pd debba con­di­vi­dere que­sto richiamo». Ma oggi in prima com­mis­sione scade il ter­mine per la pre­sen­ta­zione degli emen­da­menti e arri­ve­ranno anche quelli della mino­ranza dei democratici.

Ci sarà l’emendamento all’articolo 2, per tor­nare all’elezione diretta dei sena­tori in con­tem­po­ra­nea con le ele­zioni regio­nali. Il sena­tore Van­nino Chiti è con­vinto che debba essere ammesso «forse non tutti hanno capito che l’articolo 2 andrà comun­que cor­retto e biso­gnerà tor­nare a votarlo in aula». Gli altri emen­da­menti della mino­ranza riguar­dano l’elezione del pre­si­dente della Repub­blica (allar­gare la pla­tea e alzare i quo­rum), l’elezione dei giu­dici costi­tu­zio­nali (riser­varne due al senato, su que­sto c’è accordo gene­rale) ma anche que­stioni meno bat­tute come l’immunità par­la­men­tare. La pro­po­sta della mino­ranza Pd era già stata fatta nelle pre­ce­denti let­ture: pas­sare la com­pe­tenza alla Con­sulta (una recente sco­perta, «a titolo per­so­nale», del mini­stro Orlando).

Sel pre­sen­terà un migliaio di emen­da­menti, con le stesse pro­po­ste ma anche con il ten­ta­tivo di arri­vare all’elezione diretta dei sena­tori pas­sando per altri arti­coli della riforma, per esem­pio dove si sta­bi­li­scono le fun­zioni delle camere o nelle dispo­si­zioni tran­si­to­rie. Sull’ammissibilità si deci­derà a set­tem­bre. Renzi, sull’onda di Napo­li­tano, chiude già ogni spa­zio: «La pre­sen­ta­zione di que­sti emen­da­menti non cam­bia niente, si vote­ranno e vedremo chi ha numeri». Ci sono emen­da­menti con 28 firme Pd, suf­fi­cienti a man­dare sotto il governo. Con tre sena­tori della mino­ranza in com­mis­sione, il governo non ha i numeri nean­che in sede referente.

Un pro­blema che si è già pre­sen­tato e che è stato risolto impo­nendo la sosti­tu­zione dei com­mis­sari dis­si­denti. Altre volte la com­mis­sione è stata invece sal­tata, con la scusa dei troppi emen­da­menti. Que­sta volta Cal­de­roli ne ha annun­ciati 105mila.

Fonte: il manifesto

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