La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 5 agosto 2015

L'Argentina delle fabbriche, occupate, autogestite, recuperate

di Claudio Tognonato
Le imprese recu­pe­rate in Argen­tina con­ti­nuano a cre­scere. I dati dell’ultimo cen­si­mento del Cen­tro di docu­men­ta­zione dell’Università di Bue­nos Aires con­fer­mano che il feno­meno, nato come rispo­sta alla crisi che nel 2001 ha cau­sato la chiu­sura di migliaia di fab­bri­che, oggi in un con­te­sto eco­no­mico più con­so­li­dato e solido, si ripro­pone con diverse moda­lità. Il recu­pero si è tra­sfor­mato in uno stru­mento di lotta, se l’azienda ha pro­blemi di gestione non sono neces­sa­ria­mente gli ope­rai a dover pagare. Anzi, secondo le nuove nor­ma­tive, i primi cre­di­tori che dovrà risar­cire un impren­di­tore fal­li­men­tare, sono i debiti nei con­fronti dei lavo­ra­tori. Il recu­pero di una unità eco­no­mica è defi­nito dal pas­sag­gio da un’amministrazione pri­vata alla gestione col­let­tiva per mano agli anti­chi sala­riati e avviene pre­va­len­te­mente attra­verso coo­pe­ra­tive di lavoro.
IV Rile­va­mento
L’ultimo stu­dio del caso ha regi­strato in totale la pre­senza di 311 imprese auto­ge­stite di cui 63 aggiunte nel periodo del 2010–2013 che riguarda il IV Rile­va­mento. L’indagine mette in evi­denza da una parte l’espansione e con­so­li­da­mento dell’esperienza, dall’altra un incre­mento delle dif­fi­coltà nel rico­no­sci­mento e rego­la­riz­za­zione dell’attività. Solo in pochi casi, però, le dif­fi­coltà pro­vo­cano la chiu­sura della fab­brica. L’indice di «mor­ta­lità impren­di­to­riale» con­ti­nua a essere molto basso. Delle 247 imprese regi­strate fino al 2010 solo 6 hanno chiuso, la via dell’autogestione si con­ferma per i lavo­ra­tori argen­tini, una alter­na­tiva valida per pre­ser­vare il lavoro e svi­lup­pare nuove forme di eco­no­mia che non met­tano al primo posto il capi­tale. Gli osta­coli oggi sono nel pro­cesso di con­ver­sione di ogni occu­pa­zione che, come dicono gli ope­rai, deve pas­sare «da legit­tima a legale».
Cam­bia la fab­brica recu­pe­rata, si regi­stra una note­vole diver­si­fi­ca­zione nei set­tori, da un feno­meno pre­va­len­te­mente indu­striale che ancora rap­pre­senta un 50,4 per cento, ad u insieme di atti­vità che si distri­bui­scono tra pro­du­zione e ser­vizi: gastro­no­mici, salute, edu­ca­zione, com­mer­cio, tra­sporto. Cam­biano i set­tori ma non cam­bia il con­te­sto, le imprese che intra­pren­dono que­sto per­corso devono con­vi­vere all’interno di un sistema capi­ta­li­sta che pensa solo alla logica del pro­fitto. È qui che diventa utile la fede­ra­zione e coo­pe­ra­zione tra le diverse realtà e il rap­porto con l’università pub­blica, come rifles­sione sui pro­cessi in corso.
Non si tratta solo del recu­pero del posto di lavoro, il com­pito è quello di essere padroni di se stessi. Si recu­pera una atti­vità eco­no­mica ma anche uno spa­zio comu­ni­ta­rio costruito attra­verso un col­le­ga­mento costante con la società.
Il pro­getto delle imprese recu­pe­rate inse­gue da sem­pre l’utopia di un’altra con­ce­zione del lavoro. L’autogestione dell’attività rivela tre carat­te­ri­sti­che: 1) la demo­cra­tiz­za­zione del lavoro, uguale tempo di lavoro e retri­bu­zione; 2) l’organizzazione poli­tica della gestione: assem­blee e costi­tu­zione degli organi interni; e 3) i cam­bia­menti che ogni atti­vità rie­sce a gene­rare da un punto di vista economico.
Aperti al territorio
La sede del pro­gramma Facul­tad Abierta dell’Università di Bue­nos Aires si trova nella tipo­gra­fia recu­pe­rata Chi­la­vert. Siamo tor­nati dopo dieci anni al quar­tiere di Pom­peya dove la Chi­la­vert con­ti­nua la sua espe­rienza di auto­ge­stione, ora con l’aggiunta di un cen­tro cul­tu­rale con labo­ra­tori, corsi e work­shop aperti al ter­ri­to­rio. Si pro­duce così un incon­tro tra atti­vità eco­no­mica e società. In Argen­tina, oltre alla didat­tica e la ricerca, l’università pub­blica ha come com­pito l’exten­sión, cioè, la mis­sione di espan­dersi sul ter­ri­to­rio. L’obiettivo è quello di rom­pere l’isolamento dell’accademia attra­verso spe­ci­fi­che atti­vità nel quar­tiere o altre aree peri­fe­ri­che. Dal 2002 il pro­gramma Facul­tad Abierta, svolge una serie siste­ma­tica di rile­va­menti a livello nazio­nale sulle imprese recu­pe­rate per capire la dimen­sione e le diverse par­ti­co­la­rità del feno­meno. Anche se con molte dif­fi­coltà e limiti le inda­gini con­sen­tono di seguire con con­ti­nuità il per­corso di que­ste espe­rienze, è così che si arriva alla quarta rile­va­zione delle imprese recu­pe­rate. Il Cen­tro di docu­men­ta­zione, creato nel 2006, si occupa di regi­strare e met­tere in cir­colo le diverse espe­rienze che, un volta siste­mate, restano a dispo­si­zione dei lavo­ra­tori, dei ricer­ca­tori e della società.
Oltre alle atti­vità del pro­gramma della Facul­tad Abierta alla Chi­la­vert fun­ziona unBachil­le­rato popu­lar che si svolge nelle ore serali quando si ferma il rombo delle mac­chine della tipo­gra­fia. L’obiettivo del Liceo è quello di rico­struire il rap­porto tra capi­tale e lavoro pro­mo­vendo un’educazione inclu­siva che con­tri­bui­sca a tra­sfor­mare la realtà sulle orme di Paulo Freire. La scuola come orga­niz­za­zione sociale in grado di que­stio­nare il sapere costi­tuito e gene­rare nuove cono­scenze. Edu­care alla libe­ra­zione signi­fica qui un pro­cesso infor­male che può anche rag­giun­gere risul­tati for­mali con l’ottenimento di titoli rico­no­sciuti dalle isti­tu­zioni. Il titolo secon­da­rio è per molti anche una espe­rienza di recu­pero, per com­ple­tare il Liceo abban­do­nato o mai iniziato.
L’antropologa Nata­lia Polti, una delle coor­di­na­trici del pro­gramma, ci rac­conta con grande entu­sia­smo la ric­chezza di que­sta espe­rienza. «Il nostro obiet­tivo — ci dice — è inclu­dere gli esclusi, pro­muo­vere la demo­cra­zia in classe, sta­bi­lendo le pro­prie regole». Ci rac­conta di gruppi non omo­ge­nei per età, cul­tura, nazio­na­lità e per­fino scopi: «Si va da chi da sem­pre voleva finire il Liceo a chi lo fa per avere la pos­si­bi­lità di acce­dere ad una man­sione più qua­li­fi­cata».
Nel bachil­le­rato ven­gono incluse mate­rie come il coo­pe­ra­ti­vi­smo, per ricreare, a par­tire dall’esperienza delle imprese recu­pe­rate, un diverso rap­porto con il lavoro. Dopo anni di lotta i docenti di que­ste scuole sono riu­sciti nel 2011 ad otte­nere oltre i titoli uffi­ciali, borse di stu­dio e salari (vera­mente mode­sti) per gli edu­ca­tori. In ogni modo è un rico­no­sci­mento per le trenta scuole di que­sto tipo che fun­zio­nano a Bue­nos Aires e dintorni.
La sto­ria si ripete
La crisi euro­pea, l’incremento della disoc­cu­pa­zione, il fal­li­mento delle imprese, l’effetto domino che con­ta­gia tutta l’attività pro­dut­tiva e il culto alla sta­bi­lità mone­ta­ria rap­pre­sen­tano alcuni degli ele­menti che acco­mu­nano l’esperienza vis­suta in Argen­tina e finita nel default del 2001 a quella che viviamo oggi sotto il dispo­ti­smo dell’euro. La capa­cità di pro­du­zione dell’imprenta recu­pe­rata Chi­la­vert è cre­sciuta negli anni e sono anche aumen­tati i soci lavo­ra­tori. La coo­pe­ra­tiva ha deciso alla fine del 2013 di inviare uno di loro in Spa­gna per acqui­stare appa­rec­chia­ture. Mar­tin Cos­sa­rini è arri­vato a Madrid dove ha tro­vato i mac­chi­nari che cer­cava. L’impresa San Fer­nando de Hena­res aveva in ven­dita ciò che la Chi­la­vert stava cer­cando e il prezzo era ragio­ne­vole. Affare fatto. Il giorno dopo Cos­sa­rini tornò in fab­brica per rin­gra­ziare l’operaio che gli aveva inse­gnato il fun­zio­na­mento dei mac­chi­nari por­tan­do­gli una bot­ti­glia di vino, ma que­sto gli disse che era stato licen­ziato e che la tipo­gra­fia sarebbe stata chiusa. Erne­sto Gon­za­lez, sto­rico diri­gente della Chi­la­vert, ci rac­conta che Cos­sa­rini tele­fo­nava in con­ti­nua­zione da Madrid chie­dendo con­si­glio. Cosa fare? Rac­con­tare la loro espe­rienza, dir­gli che anche loro pote­vano recu­pe­rare l’attività o non dire niente e tor­nare a casa con il nuovo acqui­sto? I com­pa­gni della Chi­la­vert hanno deciso di socia­liz­zare la loro espe­rienza con gli ope­rai spa­gnoli che sta­vano per­dendo il lavoro. Cos­sa­rini portò alla tipo­gra­fia spa­gnola un libro sul recu­pero delle fab­bri­che in Argen­tina. Alla fine il con­si­glio fu disat­teso. Gli ope­rai spa­gnoli soste­ne­vano che con l’indennizzo avreb­bero potuto aprire un’attività. Forse non si ren­de­vano conto che è in atto un pro­cesso glo­bale che cir­co­scrive e poi len­ta­mente cor­rode lo spa­zio del lavoro.
Il pro­cesso in Argen­tina è stato diverso, forse la situa­zione gene­rale di migliaia di ope­rai che si sono tro­vati per strada con le fab­bri­che chiuse è stata deter­mi­nante. Non c’era scelta: occu­pare, resi­stere e tor­nare a pro­durre. Per molti lavo­ra­tori argen­tini la lotta ha dato i suoi frutti. L’esperienza delle imprese recu­pe­rate riba­di­sce che il lavoro va difeso e che l’autogestione è possibile.

Fonti: il manifesto, comune-info.net

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