La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 2 luglio 2016

La tentazione dei liberali è toglierci il voto. Intervista a Luciano Canfora

Intervista a Luciano Canfora di Dario Ronzoni
Pochi argomenti, nella storia, sono stati trattati così tanto da aver raggiunto la consumazione. Uno di questi è, senza dubbio, il diritto di voto. A chi spetta? Chi può votare? È giusto che lo facciano tutti? Le sensibilità, nel corso degli anni, sono cambiate. E così le posizioni in merito. Ma capita – ed è successo con il voto della Brexit – che certe idee (che si credevano archiviate) riaffiorassero, quasi dalla notte dei tempi, per ritornare nel discorso pubblico. È il caso del “voto agli ignoranti”: è giusto che anche chi non capisce voti? Tutti i voti valgono allo stesso modo? Secondo il professor Luciano Canfora, filologo classico e storico, docente di Filologia greca e latina all’Università di Bari, sono tutte asserzioni «insostenibili». Vecchie tentazioni che, nonostante siano nella bocca di persone molto conosciute, non meritano di essere considerate.

E’ necessario che i democratici si sveglino

di Bernie Sanders
Sorpresa, sorpresa. I lavoratori in Gran Bretagna, molti dei quali hanno visto un declino del loro standard di vita, mentre i ricchissimi nel loro paese sono diventati molto più ricchi, hanno voltato le spalle all’Unione Europea e a una economia globalizzata che sta deludendo loro e i loro figli. E non sono soltanto i britannici che soffrono. Quella economia sempre più globalizzata, stabilita e mantenuta dall’élite economica mondiale, sta deludendo la gente dovunque. Incredibilmente, le 62 persone più ricche di questo pianeta possiedono tanta ricchezza quanta la metà dei ceti più poveri della popolazione mondiale – circa 3,6 miliardi di persone. L’1% più ricco possiede ora più ricchezza che l’intero 99% dei ceti più poveri. Gli straricchi godo di lussi inimmaginabili, mentre miliardi di persone sopportano un povertà abietta, disoccupazione, assistenza sanitaria, istruzione, alloggi e acqua potabile inadeguate.

La crisi di Renzi e il gioco dell’oca

di Alberto Burgio
Il terremoto Brexit perdura e si capisce. Sull’Europa gravano nuvole nere, non solo per i contraccolpi economici che assillano gli statisti comunitari. C’è una marea montante di paura e rancore che le destre cavalcano, ansiose di lucrare sui frutti avvelenati del neoliberismo con cui le sinistre perbene si identificano da un intero trentennio. Eppure non è passata che una settimana dal grande shock e già dobbiamo tornare alle faccende di casa, dove incombe un altro referendum. La secca sconfitta del Pd nel voto di giugno ha definitivamente chiuso la prima fase del renzismo (quella, diciamo, del titanismo chiacchierone) e inaugurato il tempo, già preelettorale, della sua crisi organica. Di cui fanno fede le dure reazioni di quel che fu il gruppo dirigente dell’Ulivo.

In Spagna la storia non è finita

di Alberto Garzón Espinosa
Care/i compagne/i, in primo luogo, vorrei ringraziare tutti i militanti e sostenitori per lo sforzo erculeo che avete portato avanti in questa campagna. E’ stata una bella campagna, con le manifestazioni più moltitudinarie degli ultimi tempi in Spagna e con la nostra gente che si è deidicata corpo e anima e, come sempre, al compito politico del momento. Avete portato il nostro programma e il nostro progetto politico in ogni angolo di questo paese. E grazie a questo sforzo abbiamo fatto grandi passi avanti nella costruzione di uno spazio politico unitario, qualcosa di molto necessario in questo momento. Senza di voi questo non sarebbe stato possibile. Grazie.

Il mondo è caduto dalle nuvole

di Marco D’Eramo 
Ma i cavalli dei cosacchi non si stanno abbeverando a Trafalgar square né la svastica sventola su Buckingam palace. Eppure proprio questo verrebbe da credere stando alla reazione, ai limiti dell'isteria, all'esito del referendum britannico sull'uscita dall'Unione europea. I mitici “mercati” (sempre al plurale, e sempre “razionali”) hanno bruciato in un giorno, dopo il voto, 2.000 miliardi di dollari, più dell'intero prodotto interno lordo annuo dell'Italia. Ora i britannici hanno sì compiuto una scelta critica, ma in definitiva non hanno fatto che rescindere il contratto di adesione a un'associazione internazionale, già piuttosto malconcia di per sé. Ammettiamo pure che per qualche oscura ragione i “mercati” non avessero previsto l'esito del voto. E allora?

La scusa del Brexit e il terrorismo con le previsioni

di Carlo Clericetti 
Che le previsioni sull'economia siano poco attendibili ne abbiamo avuto infinite prove. Che siano state spesso "aggiustate" per infondere fiducia negli operatori - quelle per l'anno successivo indicano quasi sempre un miglioramento, a volte marcato, salvo poi correggerlo pochi mesi dopo - è palese. Che i governi (tutti i governi) nei loro documenti di bilancio stiracchino questo o quel dato per avere i risultati di crescita, inflazione e deficit desiderati, è anche questo scontato. Ora però siamo ad un salto di qualità: siamo alle previsioni che fanno terrorismo economico a fini politici. La prima prova è stata in occasione del referendum inglese. Quasi tutti i centri di previsione pubblici e privati hanno fatto a gara, nel periodo che ha preceduto il voto, nel disegnare scenari catastrofici in caso di vittoria del Brexit.

La nostra acqua

di Paolo Cacciari
In questo articolo proverò a rispondere a una domanda che continua a circolare nei movimenti e anche tra i media (vedi, ad esempio, uno degli ultimi numeri de “l’Espresso”, il servizio “Acqua, il referendum tradito”, che ha questo incipit: “Quanto valgono 26 milioni di voti in Italia? Niente”). Come mai un movimento così vasto e persino suggellato da una (rarissima) vittoria a un referendum popolare, come quello sull’acqua, non ha dato tutti i risultati attesi? Come è accaduto al mio povero albero di mele quest’anno: un splendida fioritura, ma una misera fruttificazione. La prima, più semplice spiegazione è che interessi fortissimi e potentissimi non rinunceranno mai al boccone appetitoso dei servizi idrici e, in generale, di tutti i servizi pubblici tariffabili, bigliettabili, enormemente redditizi, capaci di generare cash flow e di costituire quelle garanzie (economie reali sottostanti) che costituiscono la base del castello di carte del traballante sistema finanziario.

Non sarà la politica monetaria a fermare la grande stagnazione

di Marco Bertorello e Christian Marazzi 
Il vivere dentro una fase di «stagnazione secolare» appare un tema molto evocato. Gli attuali tassi di crescita possono far pensare a una fase di stallo, ma per ipotizzare che possa essere lunga non è sufficiente registrare le odierne fatiche economiche. Ci vuole uno sguardo sui processi strutturali. Solo trasformazioni profonde possono spiegare un andamento che inizia, almeno nei paesi dell'Ocse (cioè tra quelli più ricchi), dagli anni Settanta, con tassi di crescita del Pil passati mediamente dal 4% a poco sopra lo zero di questo decennio. Stiamo parlando di un fenomeno avviatosi circa 40 anni fa. Le ragioni, dunque, saranno complesse e molteplici. Una società caratterizzata sempre più da una distribuzione ineguale del reddito favorisce una circoscritta élite con una propensione al consumo, insufficiente per dinamizzare l'economia nel suo complesso. Ma il mancato effetto sgocciolamento non basta a spiegare ciò che sta accadendo.

La sconfitta spagnola come monito alla sinistra europea

di Felice Besostri 
Dopo il 20 D eravamo tutti qua ad aspettare la prova d’appello del 26 J, come usano gli spagnoli indicare le elezioni. Le persone normali in Spagna speravano di capire se dalle elezioni sarebbe uscito un governo, ma i media hanno dedicato più spazio al tema del sorpasso a sinistra: sarebbe riuscito Pablo Iglesias con Unidos Podemos a superare il Psoe. Era stato previsto dai sondaggi d’opinione, compresi quelli pubblicati il giorno delle elezioni dal Periodic d’Andorra. Il Principato d’Andorra è estero e quindi non soggetto alla legge spagnola, che proibisce la pubblicazione di sondaggi nei giorni precedenti al voto. Un sondaggio serio, aggiornato all’esito della Brexit del 23 giugno precedente.

Il malconcio timoniere di un governo ignorante sulla Costituzione

di Michele Prospero 
In grave deficit di consenso per la battaglia referendaria di ottobre, Renzi (così riporta il “Fatto” di oggi) ha deciso di reagire chiedendo il soccorso a sponsor estranei alla politica. Il guru americano Messina gli ha suggerito di ricorrere a testimonial come Buffon, Benigni e Jovanotti e di fare delle riforme del senato una passerella con stelle varie, come fanno oltreoceano per sensibilizzare il pubblico sulle grandi questioni, dalla fame nel mondo all’effetto serra. Invece della ragione, l’emozione dello spettacolo. Visto quello che il presidente del consiglio ha scritto sull’Unità di ieri viene però il dubbio che di altri aiuti avrebbe bisogno il malconcio timoniere del governo ignaro delle procedure di riforma della costituzione: “chi ha paura dei rischi non può fare politica.

1977: uno snodo dell’Italia repubblicana e un mosaico da ricomporre

di Alberto Pantaloni
Ci si sta avvicinando al quarantennale di quel fenomeno di nuova contestazione sociale meglio noto come il Movimento del ’77, ed è presumibile che diverse saranno le iniziative culturali, editoriali e politiche dedicate a questo appuntamento, anche se verosimilmente di tono e quantità minore rispetto a quelle che si celebrarono per un altro famoso quarantennale: quello del ’68. Ciò fondamentalmente perché, mentre per quest’ultimo si è tutto sommato riusciti a fornire un quadro chiaro e tendenzialmente omogeneo, per ciò che concerne il ’77 il dibattito storiografico si trova ancora alle prese con un’immagine spezzettata e sfocata, dove le diverse anime e le diverse manifestazioni di questo movimento si sovrappongono, si confondono, si scontrano e dove è spesso difficile trovare il bandolo della matassa.

Brexit, euro, Europa: facciamo chiarezza

di Keynes Blog
Posata la polvere sul referendum inglese, è utile smontare alcune perniciose illusioni e infondati luoghi comuni che si stanno affacciando sul dopo voto. Ne abbiamo selezionati alcuni.
I lavoratori del Regno Unito si sono liberati dall’oppressione dall’UE?
L’Unione ha un potere molto modesto sulle politiche britanniche, poiché il Regno Unito non fa né parte dell’area euro, né dei “cerchi” concentrici più vicini ad essa.

La notte europea e l'eredità della signora Thatcher

di Franco Berardi Bifo
Non so se l’Unione europea sopravviverà al referendum britannico. In ogni caso l’unione europea è già morta nel cuore delle persone decenti da quando Alexis Tsipras venne pubblicamente umiliato, e con lui Syriza e l’intero popolo greco che nel luglio del 2015 aveva votato al 62% contro l’austerità. La prima osservazione dopo il referendum inglese è proprio relativa alla differenza di trattamento che le autorità europee riservano a chi è forte e a chi è debole. Nel 2011 Georgy Papandreou fu costretto alle dimissioni per avere ventilato l’ipotesi di un referendum sul memorandum della Troika. Nel 2015 Tsipras fu costretto a rimangiarsi i risultati del referendum del 5 luglio e presentarsi in mutande davanti al tribunale della finanza europea.

Unidos Podemos, sconfitta e varchi per una ripresa

di Marina Turi e Massimo Serafini 
È indubitabile che le destre, in particolare il Pp di Rajoy, abbiano vinto le elezioni spagnole. Poco importa che il voto confermi le grandi difficoltà di chi ha vinto di dare un governo stabile alla Spagna, anche perché ora è un problema solo per le destre, visto che un governo di sinistra, possibile dopo il voto di dicembre, è stato pressoché cancellato dal nuovo voto. Come era ovvio il dibattito fra gli sconfitti, le sinistre, è già cominciato. Il mancato sorpasso di Unidos Podemos sul partito socialista viene spiegato con l’effetto negativo del referendum inglese, la forza della rete clientelare e di potere del Partito Popolare e del Psoe, la forte conflittualità a sinistra, il carattere troppo verticistico ed elettoralistico dell’accordo unitario fra Podemos e Izquierda Unida.

I timori della Germania

di Tonino Bucci 
Di colpo è come trovarsi proiettati all’indietro di cento anni e passa. Era l’Europa del 1914 e nelle trincee cominciavano a tuonare i cannoni. Ma prima ancora avevano cantato le bocche da fuoco della propaganda culturale. Nei paesi belligeranti, inglesi e francesi da un lato, tedeschi dall’altro, era iniziata la mobilitazione di intellettuali e organi d’informazione. Nella Germania guglielmina persino i nomi più prestigiosi della cultura tedesca finirono per scendere in campo, se non direttamente al fronte, nel Kulturkampf dell’epoca, Thomas Mann in testa. In questi giorni si è sentito un po’ di tutto sul conto degli scenari che si aprirebbero dopo il referendum sulla Brexit: allarmi, semplificazioni, toni apocalittici, banalità, in un clima di isteria generale.

L’ideologia del profitto assistito

di Roberto Romano 
I vizi italiani della così detta classe dirigente «padronale» sono storici ed endemici, ma qualcosa di più profondo è intervenuto. Sebbene i padroni sono da sempre vicino al governo per definizione, gli interessi sono pur sempre interessi, la classe dirigente padronale nel corso del tempo è cambiata in profondità. Per alcuni versi sembra avere perso la propria matrice, cioè quella di fare profitto. L’assillo del lavoro è da sempre un evergreen, ma il contesto economico, sociale e di struttura del capitale rimanevano il cuore del progetto padronale. Senza scomodare Pirelli, Ansaldo, Breda, Tosi e il più amato Olivetti, la storia della classe dirigente padronale mi sembra più ricca di quella degli attuali imprenditori. Nel bene e nel male hanno concorso a fare l’Italia e costruito la necessaria struttura per diventare un paese europeo.

Brexit, le certezze del regime

di Tonino D’Orazio
Mai come in questa occasione è emerso cosa pensa veramente la borghesia del popolo. Anche la piccola borghesia intellettualoide, pur in uno stato di sindrome di Stoccolma (la vittima che ama l’aguzzino). I perdenti insultano, negano, minacciano, fanno persino ostruzione, bisogna rivotare (si cercano i cavilli) e ognuno si riprende i propri giocattoli. Tutti in coro, a reti e giornali unificati e in tutte le lingue. Compresa la paura scatenata nel voto spagnolo dalle minacce nemmeno velate della troika di Bruxelles sul Brexit. E per gli altri a seguire. Alla ola del:”Brexit? Britannici fuori e subito!”. Allora è veramente successo qualcosa. Si è sgretolato uno strano edificio, si è spezzato un cerchio magico che sembrava senza alternativa. Eppure abbiamo già visto che i referendum popolari non vengono mai applicati e spesso subdolamente elusi in un modo o in un altro. Tutti.

Un voto contro la globalizzazione

di Larry Elliott
L’era della globalizzazione è iniziata nel momento in cui è caduto il muro di Berlino. Da quel giorno del 1989, la tendenza che già era diventata evidente alla fine degli anni ’70 e durante gli anni ’80 ha improvvisamente accelerato: era il libero movimento dei capitali, delle persone e delle merci, l’economia del trickle-down, la diminuzione del ruolo degli stati nazionali, la convinzione che le forze del mercato, ora liberate dalle loro catene, sarebbero state inarrestabili. Negli anni ci sono stati dei contraccolpi contro la globalizzazione. Le violente proteste a Seattle durante il vertice del World Trade Organisation, nel dicembre 1999, sono state il primo segnale che non tutti vedevano positivamente questo spostamento verso una libertà illimitata. Una conclusione a cui si è giunti dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001 a New York e Washington è stata che non solo il commercio e i mercati finanziari erano diventati globali.

Ricominciamo da capo. Note per la costruzione di Sinistra Italiana

di Stefano Fassina
Nell’analisi del voto del 5 e del 19 giugno, vanno innanzitutto evitate letture strumentali al confronto interno alla variegata sinistra italiana e, in particolare, a Sinistra Italiana. Ad esempio, non ha senso appiattire il voto soltanto nella dimensione amministrativa. Nelle grandi città, il voto ha evidentemente avuto un prevalente segno politico: a Roma, Milano, Torino, Bologna, Napoli. Non solo per ampiezza e caratteristiche delle realtà coinvolte, ma per rappresentatività dello “schema di gioco”: lo schema di Cagliari o, all’opposto, Sesto Fiorentino sono irriproducibili a livello nazionale. Nel quadro delle città, Roma e Torino sono state, invece, rappresentative della partita delle elezioni politiche, dato il disinteresse, motivato dalla debolezza, del vertice M5s sulle altre aree metropolitane.

Quali convergenze per Blockupy?

di Connessioni Precarie 
Il risultato del referendum britannico è l’ennesimo segnale della crisi di un processo di integrazione europea portato avanti esclusivamente all’insegna dell’austerity e del dominio incontrastato del capitale finanziario. È una considerazione di senso comune. C’è chi ha accolto quel risultato con entusiasmo, leggendovi l’espressione di una presa di posizione operaia che finalmente trova modo di farsi valere, sebbene attraverso le pieghe di un ‘ambiguo’ nazionalismo. Altri invece hanno segnalato la necessità di una visione alternativa dell’Europa, puntando anche ad attraversarne gli assetti istituzionali nella prospettiva di forzare i rapporti sociali che vi trovano espressione. La cosiddetta Brexit pone però ai movimenti una questione fondamentale che riguarda tanto la direzione del legittimo rifiuto di classe dello sfruttamento e dell’oppressione rappresentati dalle politiche dell’Unione, quanto la dimensione plausibile della nostra iniziativa politica.

Terrorismo referendario

di Andrea Colombo
Mancano solo lo tsunami e l’uragano Katrina. Per il resto la lista di apocalittici sinistri profetizzati dal Centro studi di Confindustria in caso di vittoria del No al referendum è completa. Caos politico, instabilità terremotante, fuggi fuggi di capitali, fiducia e consumi a picco. Trattandosi di un autorevole centro studi, mica fattucchiere, il disastro è calcolato in cifre e percentuali: differenziale sul Pil pari al 4% in meno, sugli investimenti addirittura del 16,8% in meno. Ci sarebbero anche 600mila disoccupati in più, 430mila nuovi poveri e non parliamo del debito pubblico che schizzerebbe dal 131,9% al 144%. Analisti imparziali e obiettivi, i ragazzi di Confindustria.

Chi ha votato per la Brexit e cosa significa per il futuro

di Lorenzo Zamponi
Dopo la vittoria del Leave al referendum per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, il dibattito politico, in Italia e altrove, si è concentrato sull’interpretazione da dare al voto: una coraggiosa rivolta proletaria contro l’austerità imposta da Bruxelles, o un tragico atto di nazionalismo reazionario da parte della parte più retrograda dell’elettorato britannico? In questo senso, ci vengono in aiuto i dati del sondaggio pubblicato venerdì da Lord Ashcroft (un ex dirigente del partito conservatore che da anni gestisce in proprio un’azienda di rilevazioni demoscopiche) ed effettuato nei giorni precedenti con la partecipazione di oltre 12 mila cittadini del Regno Unito. I dati sono disponibili gratuitamente qui in formato pdf. Per questioni di spazio, ci limiteremo ad illustrarne gli aspetti più rilevanti per rispondere a due domande: chi ha votato per la Brexit? E cosa significa tutto ciò per le strategie future della sinistra britannica e di quella europea?

La desinistrizzazione dei ceti popolari. Il Brexit come focolare dei poveri

di Sergio Benvenuto
Il referendum britannico sulla Brexit ha messo in evidenza la forma che oggi assume, e non solo nel Regno Unito, la lotta di classe. Ma in piccolo è quel che hanno messo in evidenza anche le elezioni amministrative del giugno 2016 in Italia. Qui, l’arretramento del partito democratico era in gran parte scontato. Scontato perché si sa che nelle elezioni di midterm chiunque governi viene generalmente punito. Si dice che oggi il voto è sempre più umorale, ma l’umoralità è in parte prevedibile. È quasi meccanico: in un paio d’anni si passa dall’”idillio con i Vincitori Recenti” alla “Delusione Rabbiosa Contro Chi Governa”. Più impressionante è il cambiamento di base sociale del voto.

Agire nella crisi

di Global Project 
Domenica 3 luglio si terrà all’interno dello Sherwood Festival l'assemblea di Agire Nella Crisi. Come nelle altre due occasioni, si tratterà di uno spazio di discussione pubblico ed aperto atto a trovare delle possibili letture ed analisi utili all’organizzazione di iniziative e mobilitazioni nei prossimi mesi. Quest’ultimo anno ha visto un’accelerazione continua di alcune trasformazioni che lo spazio locale, nazionale ed europeo – nonché le configurazioni geopolitiche globali – ha subito. La crisi dei migranti ha difatti riportato nella realtà l’incubo delle frontiere e dei fili spinati, compromettendo non solo il rapporto dell’Europa nei confronti del suo esterno, ma anche alcuni pilastri dell’Unione Europea stessa come il trattato di Schengen. Sui flussi migratori si è giocata una partita internazionale con la Turchia attraverso la quale la Commissione ed il Consiglio europeo hanno cercato di far fronte all’avanzata delle destre e ad imporre una decisione comune a tutto lo spazio europeo.

Avanti popoli, alla riscossa

di Lanfranco Binni
In Italia le elezioni amministrative del 5 e 19 giugno, in Francia la mobilitazione operaia e studentesca contro le politiche liberiste del governo socialista, in Gran Bretagna il referendum del 23 giugno, in Spagna le elezioni politiche del 26 giugno: venti giorni che hanno cambiato profondamente lo scenario politico, sociale e culturale dell’Europa. In Italia, la disfatta della lobby del Partito democratico con tutte le sue ruote di scorta (da una pretesa sinistra interna al malaffare verdiniano, ai media arruolati con ruoli di propaganda e disinformazione) e dei modesti conati di Sinistra italiana, la sconfitta e dispersione della destra berlusconiana e leghista, e l’«imprevedibile» forte affermazione del Movimento 5 Stelle, non solo in grandi città simboliche come Roma e Torino.

L’esperimento Renzi non funziona più

di Francesco Rombaldi
E’ questa la conclusione che corre sulle bocche delle elites. L’esperimento di instillare dentro la tradizione popolare della compagine multiforme del PD – erede fallito della storia dei partiti di massa dell’Italia del ‘900 -, i moderni elementi di un insano populismo mediatico necessari a confondere le masse travolte dalla crisi del neoliberismo, non ha funzionato. O meglio, ha funzionato per circa due anni, consentendo di guadagnare tempo e di tentare altre strategie alternative (che sono in fase di messa a punto). Non è neanche un risultato da poco, guadagnare altri due anni, se si pensa che il Belpaese è incastrato nella dinamica di successive sperimentazioni iniziato molto tempo fa e intensificatosi dalla caduta dell’ultimo presidente del consiglio eletto, Berlusconi, con i successivi epigoni di Monti, Letta e, per l’appunto, con l’operazione di portare il giovane toscano stabilmente al vertice del paese dopo il risultato alle Europee.

Ora Podemos deve riorganizzarsi. Intervista a Joan Subirats

Intervista a Joan Subirats di Simone Pieranni
Su Eldiario.es – un sito internet vicino alla sinistra – un articolo a firma di Juan Moreno Yagüe, deputato di Podemos nel parlamento andaluso e Francisco Jurado Gilabert, propone uno scenario di questo genere: nel caso in cui Rajoy non riesca ad ottenere garanzie da nessuno per il suo governo, Unidos Podemos potrebbe votare un governo a guida Psoe, senza chiedere nulla in cambio, ma passando poi all’opposizione. In questo modo, viene scritto, tutti i partiti si ritroverebbero in una situazione paradossale e sarebbero probabilmente costretti a cambiare vertici ed equilibri. In particolare il Psoe metterebbe, forse, in un angolo la sua parte più conservatrice; Rajoy di fatto uscirebbe di scena e Podemos potrebbe riorganizzarsi al meglio, contrastando però un governo che seppure non di sinistra, non sarebbe neanche di destra.

Il tempo degli sciacalli

di Marco Bascetta 
Londra non si è fatta in un giorno e in un giorno non si smonterà. Neanche in qualche decennio. E, tuttavia, il tempo degli sciacalli ha già visto sorgere la sua alba. Prima ancora di sapere il corso, tutt’altro che lineare, che prenderà l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea e la natura dei futuri rapporti tra Londra e il vecchio continente, gli ex partner già si contendono le presunte spoglie della City. Con l’eleganza di un branco di lupi e con la serietà di un avanspettacolo. Renzi e Sala non perdono tempo. Già favoleggiano di ravvivare il transatlantico spiaggiato di expo e la spiaggia sepolta di Bagnoli con le schegge prodotte dall’esplosione immaginaria della più grande piazza d’affari d’Europa. Ma, se sono tra i più ridicoli, non sono certo i soli.

Traiettorie globali nella tradizione politica dell’operaismo: da «Quaderni Rossi» e «Classe Operaia» a Empire

di Elia Zaru
L’esperienza dell’operaismo italiano è tra le più significative della storia politica e intellettuale dell’Italia repubblicana. Il fatto che nasca all’interno delle turbolente vicende che hanno interessato il movimento operaio dalla fine degli anni ’50 alla fine degli anni ’70 evidenzia la particolarità di quella che è stata definita la differenza italiana2. Secondo Michael Hardt
"in Marx’s time revolutionary thought seemed to rely on three axes: German philosophy, English economics and French politics. In our time the axes have shifted so that, if we remain within the same Euro-American framework, revolutionary thinking might be said to draw on French philosophy, U.S. economics and Italian politics3."

Il Brasile e le acrobazie della democrazia. Intervista a Francisco Foot Hardman

Intervista a Francisco Foot Hardman di Alessia Di Eugenio
Pubblichiamo l’intervista realizzata da Alessia Di Eugenio, dottoranda all’Università di Bologna, a Francisco Foot Hardman, professore presso l’Università Statale di Campinas. Negli anni ’70 e ’80 del Novecento Foot Hardman è stato militante contro la dittatura militare in Brasile e tra il 1983 e il 1985, nella fase finale della dittatura, è stato uno dei principali editorialisti del quotidiano «Folha de S. Paulo», politicamente impegnato nella campagna per le elezioni dirette per la presidenza del Brasile. Si è occupato di storia del movimento operaio in Brasile e, più recentemente, del ruolo della memoria e delle rappresentazioni culturali riguardo il periodo storico della dittatura (1964-1985). Ha inoltre partecipato e sostenuto le iniziative del collettivo «Feijoada Completa», creato a Bologna da studenti e ricercatori brasiliani e italiani in solidarietà alle proteste nelle città brasiliane contro il golpe.

Armi alle macchine, delega al potere

di Marco Dotti
Davanti alla sfida della tecnologia, di fronte a scenari di nuove prossimità fra uomo e macchine, il filosofo Hans Jonas invitava a riformulare l’imperativo morale fondamentale in questi termini: "Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra. (…) Agisci in modo che le conseguenze della tua azione non distruggano la possibilità futura di tale vita. (…) Includi nella tua scelta attuale l’integrità futura dell’uomo come oggetto della tua volontà..." Un principio che molti scienziati prendono sul serio, ben consci che il tecno-entusiasmo non è né scientifico, né coerente con l’obiettivo umano. Con una non piccola conseguenza che Hans Jonas, l’autore del fondamentale Principio di responsabilità, aveva compreso a fondo: la comunità umana si trova oramai immersa in un tale contesto di rischio per cui, una volta innestati alcuni processi, è impossibile tornare indietro. Con conseguenze catastrofiche.

La Brexit e la crisi della narrazione politica della sinistra

di Alessandro Zabban
L'egemonia che la destra ha avuto sul dibattito attorno alla Brexit obbliga ancora una volta a chiedersi quale possa essere il ruolo storico della sinistra nel Vecchio Continente. Le difficoltà elettorali e identitarie del Labour Britannico non bastano infatti a spiegare la quasi totale estraneità di una narrazione di sinistra rispetto ai pro e i contro di rimanere in Europa. Se forse è esagerato affermare che il referendum sia stato semplicemente il prodotto di una bega interna al partito conservatore, appare evidente come le destre abbiano completamente monopolizzato la discussione politica riducendola a due posizioni alternative chiare e semplici(stiche): da una parte chi, come Cameron, vuole una Gran Bretagna in Europa per i vantaggi che ne derivano dalla libertà di movimento di merci e capitali e dall'integrazione dei mercati finanziari, e dall'altra chi, come Boris Johnson e Farage, rivendica un Regno Unito indipendente da scelte eterodirette e in grado di esercitare in pieno la propria sovranità.

Italia piattaforma di lancio NATO

di Antonio Mazzeo
Forze armate dotate di mezzi, sistemi d’arma, capacità operative e livelli d’addestramento adeguati, prontamente impiegabili in ambito NATO nei termini richiesti, per lunghi periodi e al di fuori delle normali aree stanziali. Un dispositivo bellico superefficiente in grado di respingere eventuali aggressioni militari che si dovessero manifestare contro l’Italia e i suoi “interessi vitali”, sempre pronto a “rimuovere le minacce” e contribuire alla “difesa integrata” dei territori dell’Alleanza Atlantica e alla “lotta al terrorismo internazionale”. Sono alcuni degli obiettivi strategici prefigurati dal Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa 2015 per quelle che dovranno essere le strutture militari nazionali del prossimo ventennio.

Il mercato libero crea le disuguaglianze. Intervista a Angus Deaton

Intervista a Angus Deaton di Eugenio Occorsio
Globalizzazione e diseguaglianze, due facce della medaglia. Come valorizzare la prima senza accentuare le seconde, un'equazione intorno alla quale si scervellano da anni economisti di tutto il mondo. E la missione di una vita per Angus Deaton, classe 1945, nato a Edimburgo e oggi docente a Princeton dopo aver insegnato a Cambrige e Brixton, che grazie ai suoi studi sulla povertà e le ingiustizie insite nella globalizzazione ha vinto il Nobel per l'economia nel 2015. "Quello che non riesco a spiegarmi, che non mi dà pace, è che a favore della conservazione più retriva, da Farage a Trump, si siano schierate le fasce più svantaggiate, dagli abitanti di Tower Hamlets, il distretto degli immigrati di Londra dove il 30% dei bambini vive sotto la soglia di povertà, a quelli di Sunderland, una cittadina che grazie alla globalizzazione vive quasi esclusivamente in virtù di una fabbrica della Honda".

Banche, una soluzione (pubblica) per uscire dalla crisi

di Enrico Grazzini
Per salvare il sistema bancario nazionale ed eventualmente nazionalizzare qualche istituto in crisi, la Cassa Depositi e Prestiti potrebbe raccogliere ingenti risorse a basso costo sul mercato grazie alla moneta fiscale. Il sistema bancario italiano è da tempo l’oggetto privilegiato della speculazione al ribasso. E’ gravato da 360 miliardi di prestiti a rischio dovuti non solo alla crisi globale iniziata nel 2007 ma anche, e forse soprattutto, alla stupida politica di austerità che l’Unione Europea ci ha imposto. I numerosi fallimenti aziendali dovuti alla suicida politica europea di restrizione della domanda pubblica e privata, e la cattiva (o anche spesso ladronesca) gestione di alcuni istituti bancari regionali, colpiscono tutta l’industria italiana del credito. Le banche sono soprattuttopenalizzate da normative e da politiche europee squilibrate e punitive, come il bail in, che in pratica favoriscono gli istituti esteri concorrenti e puniscono i risparmiatori nazionali.

Carta di Algeri, 40 anni dalla parte dei diritti dei popoli

Intervista a Gianni Tognoni di Duccio Facchini
“Coscienti di interpretare le aspirazioni della nostra epoca, ci siamo riuniti ad Algeri per proclamare che tutti i popoli del mondo hanno pari diritto alla libertà”. Così, già nel preambolo, iniziava il suo cammino laDichiarazione universale dei diritti dei popoli, il 4 luglio di quarant’anni fa. Un “foglio di carta”, come ebbe a descriverla Lelio Basso, uno dei suoi padri, nato dalla decennale esperienza del Tribunale internazionale contro i crimini di guerra -o Tribunale Russell-. Una sorta di completamento in trenta articoli di quella Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 che aveva lasciato “scoperti” i diritti all’identità nazionale e culturale, all’autodeterminazione, i diritti economici, il diritto alla cultura, all’ambiente e alle risorse comuni, i diritti delle minoranze.

Crisi di regime in Gran Bretagna

di Mark Bergfeld 
Lunedì scorso la sterlina inglese è crollata al livello più basso di scambio con il dollaro degli ultimi 31 anni. Goldman Sachs ha dovuto rivedere le sue previsioni di crescita per la Gran Bretagna dall'1,7% allo 0,5% dopo che duemila e quattrocento miliardi di dollari (2,4 trillioni) sono stati spazzati via dalla borsa. Illustri economisti hanno comparato le turbolenze dei mercati seguite alla Brexit al collasso di Lehman Brothers di settembre 2008. Mentre non è ancora chiaro come la cancelliera tedesca Angela Merkel punirà i britannici, le élite europee nel frattempo stanno facendo parlare i mercati. Niente di nuovo. Si tratta di un replay di quello che è successo dopo l'OXI in Grecia [il no al referendum, ndr] quasi un anno fa. Tagli di riserve di denaro e fuga di capitali.

Donne, essenzialmente corpi

di Lea Melandri
Non dovremmo meravigliarci se gli uomini uccidono le donne. Finché sono identificate (e nell’immaginario dominante lo sono tuttora) con la sessualità e la maternità, considerate dall’uomo doti femminile «al suo servizio», o a lui finalizzate, è scontato che esploda la possessività nel momento in cui le donne decidono (separandosi) di non essere più quel corpo a disposizione. È questa idea della donna, posta a fondamento della nostra, così come di tutte le civiltà finora conosciute, che va scalzata in modo radicale, dalla cultura alta, come dal senso comune, e da quella rappresentazione di sé e del mondo forzatamente fatta propria anche dal sesso femminile. È sulla «normalità», dentro cui la violenza è meno visibile, ma per questo più insidiosa, che va portata l’attenzione. Di che altro parlano i pensatori che ancora fanno testo nelle nostre scuole?

Tornano a crescere contratti a termine e precari

di Roberto Ciccarelli 
A maggio il mercato del lavoro rallenta. La crescita rispetto ad aprile di 21 mila occupati (+0,1%) è compensata dai 24 mila disoccupati in più e dai 27 mila inattivi. Secondo i dati provvisori forniti ieri dall’Istat la crescita dell’occupazione è data dalla componente femminile e riguarda soprattutto i dipendenti con un contratto a termine (+37 mila), mentre il lavoro «fisso» cresce di 11 mila unità. Sempre male il lavoro indipendente (autonomi e assimilati) che cala ancora: meno 28 mila, probabilmente un effetto della riforma Fornero e del Jobs Act, impegnati nella lotta contro le «false partite Iva». Su base trimestrale e annuale il saldo resta positivo, soprattutto sugli occupati e inattivi.

Renzi-Merkel. Quale sistema bancario deve morire per primo?

di Claudio Conti
Quando si parla di banche è meglio non farsi deviare dalle dichiarazioni in conferenza stampa, dove i primi ministri danno il peggio di sé per tranquillizzare i propri grandi elettori di riferimento. Se dovessimo infatti cercare di capire dalle dichiarazioni cosa si sono detti ieri Merkel e Renzi rimarremmo a guardare il dito, anziché la luna. A chiacchiere, infatti, si è trattato di uno scontro sulle “regole” che riguardano le crisi di singole banche, con l’Italia che chiede di sospendere il meccanismo del bail in (prima di ogni intervento di salvataggio pagano di tasca propria azionisti, obbligazioni anche inconsapevoli e correntisti per la parte eccedente i 100.000 euro) e la Germania a ribadire che “non si cambiano le regole ogni due anni” (il tempo che è passato dal trattato in vigore sull’unione bancaria).

Effetti derivati

di Marco Bertorello 
Più si avvicinava il referendum nel Regno Unito e più aumentavano le rassicurazioni del governo, il quale minimizzava le possibili ricadute del Brexit per l’Italia e in particolare per il suo sistema bancario. Il ministro Padoan, in particolare, sembrava esorcizzare questo pericolo garantendo che gli istituti di credito erano solidi, nessun «problema italiano specifico dal punto di vista della Brexit» dichiarava. A distanza di pochi giorni dal risultato referendario imperversano preoccupazioni e possibili soluzioni. Nel frattempo il sistema creditizio italiano è andato immediatamente in affanno, crollando i primi due giorni e faticando a recuperare anche dopo un primo rimbalzo in Borsa.

L’immigrazione è!

di Paolo Benvegnù
“Le conquiste di quella parte del proletariato che si trova in una condizione più favorevole, saranno sempre messe in pericolo finché ne godrà solo una minoranza” […] “Ciò vale per le masse all’interno di un paese, come per tutto il mercato mondiale. Un proletariato di avanguardia può mantenersi solidarizzando, appoggiando quelli che sono rimasti indietro, e non separandosi da essi, non distaccandosene non opprimendoli. Là dove, sotto l’influenza di un miope corporativismo, il proletariato segue questo ultimo metodo, questo prima o poi fallisce e diviene uno dei mezzi più pericolosi per indebolire la lotta di emancipazione proletaria”.

Le manovre del quarto potere

di Carlo Crosato e Francesco Postorino
Il giornalista non può essere neutrale. Ridursi a «cronisti» di professione e mostrare indifferenza per l’onestà ricorda per vie traverse l’avvocato di oggi, colui che esibisce in Tribunale un logos elegante con il preciso intento di crear confusione e inseguire la clausola che dia «ragione» a chi ha torto. L’avvocato postmoderno, lontanissimo parente di quell’Atticus Finch in Il buio oltre la siepe, è un uomo di studio che all’Università impartisce lezioni di diritto, alimenta la dottrina ma si rivela neutrale rispetto alla verità. In questa direzione serpeggia la mafiosità tra i rami della giustizia, il potente può salvarsi e così la carta che contiene i nostri valori viene stracciata da figure competenti che leggono i codici con un occhio di riguardo al denaro.

Cgil, tre milioni di firme contro il Jobs Act e i voucher

di Antonio Sciotto
Tre milioni e trecentomila firme complessive su tre quesiti (1,1 milioni per quesito): gli attivisti della Cgil ieri hanno dovuto scaricare un enorme camion pieno di scatoloni davanti agli uffici della Corte di Cassazione. Il primo passo è fatto: i tre mesi di raccolta sono andati oltre le aspettative e hanno superato la soglia necessaria alla indizione dei referendum (500 mila firme). Ora i documenti dovranno essere ovviamente validati dalla Corte, e se tutto andrà bene tra maggio e giugno prossimo saremo chiamati a votare per l’eliminazione dei voucher, la responsabilizzazione in solido dei committenti negli appalti e per la reintegra in caso di licenziamento illegittimo (articolo 18).

Finanza, inquinamento e capitalismo. Quale futuro?

di Spohn
L’ultimo libro scritto da Luciano Gallino prima della sua scomparsa (L. Gallino, Il denaro, il debito e la doppia crisi, spiegata ai nostri nipoti, Einaudi, Torino, 2015) fa parte di quelle indagini economiche e sociali che non negano le contraddizioni capitalistiche, pur non utilizzando a pieno gli strumenti di comprensione del materialismo storico e della critica all’economia politica di Karl Marx. Tuttavia, la questione ecologica e soprattutto le colpe dell’attuale situazione ambientale nel mondo non vengono imputate, come in genere si suol fare, a un generico e impalpabile responsabile collettivo quanto, invece, vengono ascritte direttamente alla cerchia capitalista che governa il mondo dell’industria e della finanza mondiale.

La Brexit e gli apprendisti stregoni

di Felice Roberto Pizzuti
La Brexit sta evidenziando le conseguenze di aver affidato la costruzione europea all’attivismo degli apprendisti stregoni di tutte le risme. Il giovane Cameron, da sempre favorevole all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea, è riuscito nell’intento, ma senza rendersene conto e quando non voleva, avendo organizzato un referendum solo in funzione della sua carriera politica e puntando alla vittoria del remain: siamo all’opportunismo controproducente (!) dei politici rampanti. Adesso tutto il mondo è costretto, in varia misura, a fare i conti con le conseguenze di cotanta sapienza politica che ha portato ad una decisione di dimensioni storiche (almeno per l’Europa), presa dalla maggioranza degli elettori anziani della provincia inglese, gallese e della Cornovaglia (che annualmente usufruiscono di ingenti trasferimenti dall’UE) contro la maggioranza dell’area di Londra, della Scozia, dell’Irlanda del Nord e delle persone più istruite e giovani di tutto il Regno Unito: tutto questo c’entra poco con la democrazia, è solo una sua strumentalizzazione caricaturale.

Brasile: il gigante del sud dovrà combattere

di Manuel E.Yepe
“Ora i poveri, gli esclusi, i senza terra e i senzatetto che avevano sperato di raggiungere la felicità, dovranno cercare altre associazioni di partiti oppure creare nuovi strumenti politici basati sull’etica, l’eliminazione delle cause della disuguaglianza sociale, e la ricerca di un altro Brasile possibile”. Questa è la previsione di Frei Betto, il giornalista militante, scrittore, rivoluzionario, religioso dell’Ordine Domenicano e della Teologia della Liberazione – ex consigliere del Presidente della Repubblica del Brasile, quando Ignazio Lula da Silva ricopriva quella carica – data la grave crisi di quel paese dopo il colpo di stato del parlamento e dei media contro l’ordine costituzionale nel suo paese.

60mila in più per Corbyn

di Leonardo Clausi
Giornata di relativa calma sul fronte Corbyn. Non volendo prolungare l’increscioso sfoggio di trame e orditi di partito nel giorno dell’anniversario di quella colossale e insensata mattanza che fu la battaglia della Somma, i deputati laburisti ammutinati hanno osservato una tregua precaria. Momentum, il comitato nato per capitalizzare sull’elezione del segretario, appena nove mesi fa, ha organizzato una serie di piccoli raduni delle sedi Labour di Manchester, Plymouth, Liverpool, Exeter, Penzance sotto la bandiera ♯keepcorbyn. La sfida ufficiale di Maria Eagle, che avrebbe dovuto avanzare la sua candidatura per scalzare lo sfiduciatissimo ma inamovibile leader, non si è ancora materializzata. Complice forse il fatto che un sondaggio di Yougov commissionato dal Times ha evidenziato che Corbyn, malgrado una consistente flessione nelle ultime settimane, mantiene un buon margine di consensi.

Gilles Deleuze: un apprendistato in filosofia

di Michael Hardt
Molti autori americani hanno cercato di definire il problema delle conseguenze politiche del post-strutturalismo. Le loro ricerche hanno avuto esiti molto diversi, collocandosi all’interno di un ampio spettro politico. A dire il vero, non ci si dovrebbe aspettare di trovare una risposta chiara a un problema simile, che investe un ampio ambito teoretico. Ad esempio, negli ultimi centocinquant’anni, la filosofia di Hegel è stata il punto di partenza di una grande varietà di posizioni politiche, tanto reazionarie che progressiste, molte delle quali in aperto dissenso con la visione politica personale di Hegel. È ovvio che non è possibile ricavare la posizione politica, come se fosse una conseguenza necessaria di un corpusteoretico. Passando dalla teoria all’azione le vie perseguibili sono infatti molte. Per questo non serve a granché tentare una definizione anche generica della politica post-strutturalista o della politica della filosofia deleuziana.

Palestina: nel ricordo, nel viaggio, nella memoria

di Sara Marchesi
Salah è nato nel 1953 in una delle tende del campo profughi cisgiordano di Dheisheh, alle porte di Betlemme, oggi il secondo in Palestina per estensione – 1,5 kmq per più di 13mila persone provenienti da quarantacinque villaggi, tutti occupati a partire dal 1948. Salah ricorda quando è avvenuta la prima transizione, dalle tende ai parallelepipedi di cemento, una sola stanza di 9 metri quadri nella quale la sua famiglia, composta di dieci persone, viveva ammassata. Quel cemento gettato di fretta, come capitava, ha segnato il destino dei profughi palestinesi cacciati dai propri territori: alcuni di loro potranno tornare a visitare il terreno, in molti casi ormai insensatamente vuoto, dove una volta sorgeva il loro villaggio; alla maggior parte questo permesso non sarà mai accordato dall’autorità israeliana.