La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 2 luglio 2016

La nostra acqua

di Paolo Cacciari
In questo articolo proverò a rispondere a una domanda che continua a circolare nei movimenti e anche tra i media (vedi, ad esempio, uno degli ultimi numeri de “l’Espresso”, il servizio “Acqua, il referendum tradito”, che ha questo incipit: “Quanto valgono 26 milioni di voti in Italia? Niente”). Come mai un movimento così vasto e persino suggellato da una (rarissima) vittoria a un referendum popolare, come quello sull’acqua, non ha dato tutti i risultati attesi? Come è accaduto al mio povero albero di mele quest’anno: un splendida fioritura, ma una misera fruttificazione. La prima, più semplice spiegazione è che interessi fortissimi e potentissimi non rinunceranno mai al boccone appetitoso dei servizi idrici e, in generale, di tutti i servizi pubblici tariffabili, bigliettabili, enormemente redditizi, capaci di generare cash flow e di costituire quelle garanzie (economie reali sottostanti) che costituiscono la base del castello di carte del traballante sistema finanziario.
L’accumulazione originaria permanente, ce l’ha insegnato già Rosa Luxemburg, ha bisogno di invadere sempre nuovi spazi fisici e nuovi settori delle attività umane, riducendo, contestualmente, la sfera delle economie informali, solidali, comunitarie. Il capitalismo si nutre deicommons, per l’appunto. Il fatto che le oligarchie del capitalismo finanziario non si fermino nemmeno davanti ad un referendum popolare (il massimo dell’espressione democratica di un popolo, così come anche la Corte Costituzionale ha riconosciuto, grazie al ricorso voluto e scritto da amici giuristi combattenti!) non dovrebbe farci meravigliare più di tanto. Indignare sì, ma non dovrebbe coglierci di sorpresa. Ricordiamoci le parole del rapporto della Goldman Sachs con cui critica l’eccesso di democrazia delle Costituzioni degli stati europei.
A nostra parziale consolazione, possiamo dire – con Woody Allen – che nemmeno loro se la cavano bene. Le risposte neoliberiste ai bisogni fondamentali delle popolazioni non mi pare stiano dando grandi risultati. L’immagine del Lungarno Torregiani (leggi anche Abito a due passi dal luogo del crollo di Firenze, ndr) sprofondato in un buco d’acqua provocato dall’incuria nella gestione dell’acquedotto mi sembra un eloquente emblema della “superiore efficienza” del modello privatistico di gestione dell’acqua.L’idea che solo la competizione economica tra imprese capitalistiche possa generare benefici per tutti – è il caso di dirlo – fa acqua da tutte le parti! Ma anche questo lo sapevamo bene, l’avevamo analizzato in vari contesti e in vari settori. Persino lì dove l’ideologia neoliberista è egemonica (la Gran Bretagna) e l’abbiamo sentito anche in questi giorni dagli amici francesi.
Nonostante tutte le difficoltà, la scarsità dei risultati concreti acquisiti, il relativo isolamento del movimento e altro ancora, dovremmo in ogni caso essere consapevoli che la partita non è affatto chiusa, che le contraddizioni sociali permangono acutissime, che nessun colpo di mano legislativo per favorire le privatizzazioni (vedi il decreto Madia) eviterà il conflitto attorno all’accesso ai beni comuni fondamentali e per la loro gestione democratica. Ha scritto Wolfgang Streek in Tempo guadagnato:
“La colonizzazione attraverso il mercato continua a scontrarsi con la logica della vita”.
Le ragioni per cui non tutti gli obiettivi del referendum sono andati in porto vanno ricercati anche al nostro interno, nelle nostre debolezze, nelle timidezze e forse anche negli errori che il movimento per l’acqua pubblica e, in generale, per i beni comuni – a mio modestissimo avviso – continua a commettere. Senza per questo cadere nel tranello peggiore che si apre in questi casi: quello di farsi tentare dal vittimismo, dalla logica del tradimento e dello scaricare le colpe su altri.

Fonte: comune-info.net

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