La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 24 ottobre 2015

Senza crescita

di Alfonso Gianni
Un impatto pari allo 0,3%. Que­sta sarebbe la forza espan­siva che il Cen­tro Studi di Con­fin­du­stria rico­no­sce alla legge di sta­bi­lità pre­sen­tata con ritardo dal governo Renzi. Dato e non con­cesso che la stima sia atten­di­bile, non è dav­vero un granché.
Tanto più che in Europa vi è grande ecci­ta­zione dopo l’annuncio di Dra­ghi che dichiara la Bce pronta a un nuovo Quan­ti­ta­tive Easing e addi­rit­tura ad una ridu­zione del tasso già nega­tivo dei depo­siti delle ban­che presso la Banca cen­trale euro­pea. Il tutto dovrebbe essere deciso nella riu­nione di dicem­bre, ma l’euforia è già scat­tata. Le Borse volano, spread sotto i 100, l’euro sci­vola in pochi minuti a 1,12 nei con­fronti del dollaro.

La cosa rossa

di Paolo Ferrero 
Per anni la discussione sulla costruzione della sinistra è stata confinata ai margini del dibattito politico. Adesso l’occupazione da parte di Renzi del centro destra dello spettro politico, apre oggettivamente uno spazio a sinistra assai rilevante. Così rilevante da essere oggetto di forti manovre politiche di cui l’articolo di ieri sul giornale “La Repubblica” è una testimonianza chiara.
Il punto di battaglia politica che si è aperto è: lo spazio politico lasciato sulla sua sinistra da Renzi deve essere occupato da una formazione di sinistra antiliberista o da un centro sinistra di tipo prodiano? La sinistra che dobbiamo costruire deve dar vita ad un quarto polo, in concorrenza ed in alternativa al PD o deve puntare a ricostruire il centro sinistra?

Il futuro della sinistra non è il trapassato dell’Ulivo

di Bia Sarasini
Allora, era qui che dove­vamo arri­vare, il futuro della sini­stra è il ritorno al pas­sato dell’Ulivo di Prodi? Mesi e mesi di tavoli, incon­tri, riu­nioni, e annessi rin­vii che spez­zano il cuore e i pro­getti in vista del magic moment, sem­pre alla ricerca della mai rag­giunta con­giun­tura per­fetta, era per ritro­vare l’antico cen­tro­si­ni­stra? Quello bello, di un tempo, quando non c’era la crisi all’orizzonte, il wel­fare era soste­ni­bile e l’Europa era ancora un bel sogno in cui cre­dere, men­tre nes­suno imma­gi­nava l’apparire del par­tito della nazione?
Non che ci sia da stu­pirsi. La fram­men­ta­zione dello spa­zio poli­tico a sini­stra è sem­pre rima­sta tale, nono­stante l’impegno gene­roso di tante e tanti, nono­stante lo sforzo di tenere un filo che leghi le mille espe­rienze tra sociale senza rap­pre­sen­tanza e poli­tico che non trova una forma.

Le alleanze locali e il partito dei padroni

di Paolo Favilli
Nell’intervista a Nichi Ven­dola pub­bli­cata su il manifesto del 16 otto­bre scorso su alcune que­stioni, e non certo secon­da­rie, le parole si sono chia­rite. Su altre, invece, mi sem­bra per­man­gano tracce evi­denti di una meta­fora teo­riz­zata qual­che tempo fa da lui stesso: la meta­fora dell’anguilla. «Non voglio essere lo scor­pione sulla spalla del Pd, ma nep­pure un grillo par­lante o un cama­leonte. Dob­biamo essere un’anguilla nei con­fronti del Pd per sfug­gire alla cat­tura di chi ci vuole por­tare indietro».
Sulle spalle, vicino alle orec­chie, o sgu­sciante tra le mani, comun­que sem­pre in con­ti­guità col Pd, per­ché c’è il peri­colo di essere ripor­tati «indie­tro», verso «rin­culi minoritari».
In verità tutti siamo stati «ripor­tati indie­tro» e tutti siamo di fatto «mino­ri­tari».

Per essere Sinistra, caro Vendola, ci vuole coraggio

di Andrea Colli 
“Civati dice: senza Pisapia, a Milano nessuna coalizione con il Pd. Troverete una quadra?”
E’ una delle domande che il Manifesto fa a Nichi Vendola in un’intervista: “Con Civati la vedo difficile. Si comporta come un elefante in cristalleria. In ogni città in cui passa lascia una scia di polemiche e divisioni. Siamo tutti impegnati in una sfida gigantesca che non si può affrontare con le battute. Su una cosa invece Civati ha ragione: sul profilo di autonomia politico-culturale che deve avere la nuova sinistra. Ma l’autonomia non può essere interpretata come la propone l’ultimo che è uscito dal Pd e cioè una rottura generalizzata con il Pd senza guardare in faccia le situazioni specifiche. La posta in gioco è alta, è il destino di comunità importanti. Chi parla di condivisione dal basso non può considerare i territori come terminali muti di una politica fatta dai palazzi romani.”

Mobilitarsi contro la Nato è un dovere: la guerra è l'antitesi del Vangelo

di Alessandro Bianchi
Dal 3 ottobre in Italia, Spagna e Portogallo è in corso la «Trident Juncture 2015» (TJ15) - «la più grande esercitazione Nato dalla caduta del Muro di Berlino» nella definizione data dallo U.S. Army Europe: 36 mila uomini, oltre 60 navi e 200 aerei da guerra di 33 paesi (28 Nato più 5 alleati) sono schierati nel sud del nostro continente, già stremato economicamente da una partecipazione ad una zona euro che ha distrutto diritti e Welfare e ora costretto a prestare il fianco a chi continua a giocare con scenari apocalittici di guerra termonucleare. Ed il tutto per assecondare una politica estera di aggressione e ingerenza da parte degli Stati Uniti.
Di tutto questo, purtroppo, in Italia si sa poco o niente, perché i mezzi di informazione di massa, quelli che decidono delle nostre vite e delle sorti di un governo, hanno gettato la scure dell'oblio. 

Unione fiscale, ecco perché diciamo di no

di Thomas Fazi e Guido Iodice
La crisi finanziaria ha messo a nudo il “peccato originario” dell’euro: l’aver privato gli Stati membri della loro autonomia fiscale – attraverso la creazione di un’autorità monetaria del tutto separata dalle autorità politiche (sia nazionali che europee) e l’istituzione di ferrei vincoli di bilancio – senza prevedere il trasferimento di questo potere di spesa ad un’autorità più alta (un “Tesoro europeo”). Sicché gli Stati membri si sono trovati del tutto disarmati di fronte alla crisi economica. Quest’ultima, però, non ha portato né al “completamento” dell’unione monetaria, come prevedevano alcuni dei padri fondatori dell’euro, né al rilassamento degli “stupidi” vincoli di Maastricht. Al contrario, essa è stata utilizzata come pretesto per rafforzare ulteriormente la gabbia del patto di stabilità e crescita (attraverso il fiscal compact) e per “germanizzare” ulteriormente l’Europa, mentre veniva contestualmente ridotto il già misero bilancio europeo.

La Costituzione e le tasse sulla casa

di Nadia Urbinati 
A Bruxelles si discute in questi giorni la scelta del governo italiano di tagliare le tasse sulla prima casa. Il ministro Pier Carlo Padoan ha riconosciuto che «c’è una tassa oggetto di dibattito» e di dissenso, non solo dentro il Pd. E l’esito di questo dibattito e di questo dissenso è stata la dichiarazione di Matteo Renzi per cui viene abolita la tassa sulla prima casa se la prima casa non è assimilabile a un castello o comunque non è di lusso. Come sappiamo, la rimozione della tassa sulla prima casa ha sempre incontrato resistenze, non solo nella sinistra del Pd, ma anche negli organismi internazionali (l’Fmi, l’Ocse, la Commissione Ue), favorevoli sì a un taglio delle imposte, ma in primo luogo sul lavoro e per incentivare i consumi. E in Italia, come già Mario Monti ebbe a dire quando introdusse l’Imu, la tassa sulla casa è l’unica vera imposta patrimoniale: un tentativo di riequilibrare i divari di ricchezza e un antidoto all’evasione, in quanto nella nostra società le proprietà sono più rintracciabili dei redditi.

Austerity, supervisione e ristrutturazioni bancarie: il ruolo controverso della BCE

di Raffaele Giammetti
In letteratura sussistono vari riscontri a sostegno della esistenza di una relazione tra politiche fiscali restrittive, calo della produzione e dei redditi e connesso deterioramento dei coefficienti patrimoniali delle banche europee. Le analisi suggeriscono che una restrizione dei bilanci pubblici può compromettere la stabilità dei bilanci bancari, inducendo piani di ricapitalizzazione e al limite liquidazioni e acquisizioni estere: vale a dire, fenomeni di “centralizzazione” dei capitali bancari in Europa. Se si accetta questa chiave di lettura, si può trarre anche una riflessione critica sul nuovo duplice ruolo della BCE, di gendarme dell’austerity e di supervisore bancario.
Dal novembre 2014 la Banca Centrale Europea ha preso in consegna la supervisione regolamentare diretta di circa 130 gruppi bancari dell’area euro.

La cura dei tagli

di Stefano Cecconi
Ora è ufficiale con la nuova legge di stabilità il Fondo sanitario del 2016 scende a 111 miliardi, nonostante le proteste delle Regioni e le dimissioni di Sergio Chiamparino dalla presidenza della Conferenza Stato-Regioni. Con due sole manovre Renzi taglia 6,7 miliardi al finanziamento previsto, cancellando nei fatti il Patto per la salute (vedi tabella). E non è finita, dal 2017 al 2019 sono previsti altri tagli: che potrebbero arrivare a 20 miliardi, tra quelli già decisi con la precedente manovra e quelli in arrivo sulle spese regionali, che comprendono esplicitamente il finanziamento della sanità (un copione che abbiamo già visto con la precedente legge di stabilità).
Si confermano così le fosche previsioni del Def, che indicano un crollo della spesa sanitaria rispetto al Pil (dal 7% al 6,5%), che ci relega agli ultimi posti in Europa negli investimenti per la protezione sociale.

Le donne dovrebbero essere le più attente a difendere la sanità

di Mara Gasbarrone
Perché la sanità pubblica dovrebbe stare a cuore soprattutto alle donne? Se la popolazione invecchia e le donne sono la maggioranza degli anziani, e anche la grande maggioranza dei caregiver, qualsiasi ridimensionamento delle risorse destinate alla sanità pubblica va inevitabilmente a peggiorare il benessere delle donne. Non solo, anche una mancata crescita di queste risorse, in presenza di un contemporaneo aumento dei fabbisogni, va nella stessa direzione. Certo, si può e si deve spendere meglio le risorse esistenti, ma non illudiamoci che basti tagliare sprechi per trovare un tesoro che risolva un problema che è strutturale.
Le ricorrenti denunce sulla “malasanità” impediscono di vedere che la sanità pubblica italiana, nonostante tutto, ottiene risultati eccellenti e costa poco. Spesso lo dimentichiamo, ma siamo terzi nel mondo per durata attesa della vita, dopo Hong Kong e Giappone e prima della Svizzera (United Nations, World Population Prospects, 2015 pag. 44).

La sconfitta del regionalismo e la nuova insostenibile complessità della Carta costituzionale

di Giacomo Nicolucci
La riscrittura in corso dell’art. 117 Cost., e cioè del riparto di competenze legislative fra Stato e Regioni, suggerisce alcune riflessioni. Il regionalismo, all’indomani della Costituente (Salvemini descrisse la disciplina costituzionale del Titolo V come un “vaso vuoto con sopra la targhetta Regione”) riverberò immediatamente su di sé l’insostenibile compromesso che ne aveva caratterizzato la genesi.
Paladin ebbe a sostenere che dal Titolo V della Costituzione «non si ricavavano elementi atti a configurare quei congegni di collaborazione fra le Regioni e lo Stato, che pure sono affatto indispensabili in un sistema modernamente fondato sul metodo della programmazione globale delle attività pubbliche».

Landini: «In piazza contro il governo»

di Riccardo Chiari 
Forte di numeri — cer­ti­fi­cati — che ne fanno il sin­da­cato più rap­pre­sen­ta­tivo della cate­go­ria, la Fiom parte alla ricon­qui­sta del con­tratto nazio­nale. E in paral­lelo va all’attacco della legge di sta­bi­lità, pro­po­nendo alle altre forze sociali, asso­cia­tive e poli­ti­che che cri­ti­cano l’ex finan­zia­ria una mani­fe­sta­zione nazio­nale, «in un sabato di fine novem­bre». O il 21, data più pro­ba­bile, o il 28 del pros­simo mese.
Non è ancora tutto, per­ché dall’assemblea nazio­nale dei metal­mec­ca­nici Cgil, che ha all’ordine del giorno la defi­ni­tiva messa a punto della piat­ta­forma riven­di­ca­tiva da sot­to­porre al voto di tutti i lavo­ra­tori, arriva anche la pro­po­sta di una “con­sul­ta­zione” sul jobs act, in vista di un pos­si­bile refe­ren­dum nel 2016.

Più tasse per tutti, ma non per i ricchi

di Claudio Conti
Premessa: è difficile discutere una una "legge di stabilità" che ben pochi hanno visto. I ministri l'hanno approvata prima che fosse scritta, le due Camere non l'hanno ancora ricevuta, il Presidente della Repubblica, ieri sera alle 22, non l'aveva ancora tra le mani. Figuratevi noi, poveri cronisti sprovvisti di "entrature a palazzo"...
Ma qualcuno ne ha sicuramente dovuto assaggiare le conseguenze. Per esempio i presidenti di Regione - quelli pomposamente chiamati "governatori" - almeno per la parte riguardante la sanità, per Costituzione (quella emendata in solitudine dal Pd quasi venti anni fa, introducendo il principio suicida della "legislazione concorrente" tra regionie Stato, solo per "recuperare i voti alla Lega") affidata appunto alle Regioni.

Legge di Stabilità e docenti: se in tempi di crisi lo Stato penalizza i più deboli

di Marina Boscaino
In condizioni di crisi, l’anello debole della catena è quello che subisce le conseguenze più devastanti. La situazione dei docenti italiani, recentemente beneficiati di un obolo annuale per la formazione e l’aggiornamento (quelli che una buona parte di loro ha sempre svolto a proprie spese) ma – contemporaneamente – raggiunti dalla umiliante notizia che l’imminente legge di Stabilità (ancora in bozza) prevede solo 200 milioni di euro, come sostengono varie fonti sindacali scolastiche, per il rinnovo del contratto nel pubblico impiego, vacante dal 2009, e oggetto di una pronuncia della Corte Costituzionale (c’è chi dice 4 caffè ciascuno al mese in più, c’è chi dice una pizza; la sostanza non cambia, si tratterebbe di un aumento di 7 euro a lavoratore) sembrano colti da un devastante senso di disorientamento a pochissimi mesi da uno dei più clamorosi periodi di mobilitazione della storia della scuola italiana.

Se potessi avere 500 euro all’anno…

di Donatella Coccoli
Tanto per riflettere sulle diseguaglianze della Buona scuola. Nella sala insegnanti di ogni scuola d’Italia d’ora in poi siederanno fianco a fianco due tipi di insegnanti. Uno di serie A e l’altro di serie B. Fanno lo stesso lavoro, le stesse ore, nelle stesse classi. Ma alcuni avranno sul proprio conto corrente (la spedizione è già iniziata) il bonus di 500 euro per la formazione e l’aggiornamento, altri invece non avranno assolutamente niente. Sì, perché il provvedimento contenuto nella Legge 107/2015 “Carta del docente” (qui il testo) esclude una bella fetta di docenti. Non godranno dei benefici della “Carta” infatti tutti quei docenti che non rientrano nel piano straordinario delle assunzioni e che hanno ricevuto “soltanto” una supplenza annuale e che quindi lavoreranno fino al 30 giugno o i più fortunati fino al 31 agosto.

Finanziaria 2016: liberismo in salsa berlusconiana

di Leonardo Mazzei
Chiariamo subito una cosa: la manovra reale contenuta nella Legge di Stabilità varata dal governo nei giorni scorsi non è di 27, bensì di circa 10 miliardi (mld). Per l'esattezza 9,8 sul lato delle uscite ed 11,9 su quello delle entrate (ma di questi, 2 miliardi e mezzo sono solo entrate una tantum). Quello di gonfiare i numeri per gonfiarsi il petto è un antico vizietto del prestigiatore di Palazzo Chigi. Fece così anche lo scorso anno, parlando di una manovra da 36 mld, quando invece i numeri reali si fermavano a 16 (leggi QUI).
Considerata dal punto di vista macro-economico, quella del duo Renzi-Padoan è in definitiva una manovricchia. Ma naturalmente anche 10 mld sono una cifretta di tutto rispetto.

Eni, il gigante fragile

di Luca Martinelli
Il 31 agosto 2015, dopo l’annuncio della scoperta di un maxi giacimento di gas nel Mediterraneo, di fronte all’Egitto, le azioni di Eni hanno “volato”. Alla Borsa di Milano il valore della multinazionale dell’energia è salito del 2,78%. È un dato “istantaneo” e senz’altro positivo (per l’azienda e i suoi azionisti), che però non dovrebbe distrarre da una lettura di medio-lungo periodo: una settimana prima, il titolo aveva toccato il suo minimo per il 2015 (13,05 euro per azione); negli ultimi 12 mesi Eni ha perso quasi un quinto del suo valore (le azioni si sono deprezzate del 19,2%); a fine 2014, la capitalizzazione di Borsa era del 40 per cento inferiore rispetto al 2005. 
Questo è un primo esempio delle debolezze del “cane a sei zampe”, che è possibile cogliere sfogliando il bilancio aziendale.

Verso il referendum No Triv

di Coordinamento “Verso il referendum No Triv”
Il 30 Settembre scorso è accaduto qualcosa di unico e straordinario nella storia dell’Italia repubblicana: la pressione esercitata da 200 associazioni, comitati, movimenti e personalità della cultura e delle scienze, che danno lustro al nostro Paese, ha spinto le Assemblee di metà delle Regioni italiane a deliberare, in modo pressoché unanime e trasversale, la richiesta di sei quesiti referendari contro le trivelle in mare e su terraferma. Superato positivamente il duplice controllo della Cassazione e della Corte Costituzionale, i cittadini potranno così riappropriarsi del diritto, spesso negato, di decidere di se stessi e del futuro dei rispettivi territori.

Le mani sull’accoglienza. Al Viminale, tanti proclami ma tragica realtà

di Stefano Galieni 
Capita di restare sorpresi, non tanto e non solo politicamente ma anche umanamente da come si sia capaci sotto governi come l’attuale di travisare la realtà. Avviene in molti settori, ascoltare ministri e portavoce nei talk show descrivere un paese sorridente e giulivo, ormai uscito dalla crisi, in cui le riforme fatte (?) stanno già migliorando la vita degli italiani, cozza e stride con la quotidianità di un paese impoverito e spesso imbarbarito. Facile dire che i volti patinati, giovanili e perennemente sorridenti poco vedono di quanto non rientri nel proprio piccolo orizzonte, di mondi chiusi e ovattati, dove il dolore non arriva. Sì utilizziamo una categoria prepolitica forse, come il dolore dopo aver passato una mattinata nella sala Cerimoniale del Ministero dell’Interno e aver assistito alla presentazione del Rapporto sull’accoglienza di migranti e rifugiati in Italia, realizzato in pochissimi giorni grazie ad un “team efficiente”.

Gli immigrati salvano l'economia italiana

di Danilo Giannese
Gli imprenditori immigrati in Italia aumentano di anno in anno e marocchini, egiziani e senegalesi figurano tra le prime dieci nazionalità, con gli imprenditori originari del Marocco in testa a questa speciale classifica.
Lo rivela il quinto Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione della Fondazione Leone Moressa, presentato quest’oggi a Roma, che ha analizzato il ruolo economico degli stranieri nel nostro paese.
Secondo il rapporto oggi, in Italia, risiedono oltre 5 milioni di immigrati, pari all’8,2% della popolazione complessiva, che rappresentano dei veri e propri “attori dello sviluppo” per la nostra economia.

Eran cinquecento, erano giovani e forti e …..

di Patrizio Dimitri e Giorgio Prantera 
La settimana scorsa Matteo Renzi in diretta televisiva ha promesso “una misura ad hoc per portare in Italia cinquecento professori universitari anche italiani che insegnano all’estero”. Un inatteso coup de téâtre che merita alcune doverose considerazioni.
Molti stati europei programmano in anticipo piani di spesa dettagliati e investono percentuali significative del PIL in ricerca perché essa rappresenta un elemento cardine per la crescita di un paese. In Italia, al contrario, la ricerca pubblica vive da anni in assenza di risorse e di programmazione. A fronte di uno dei più bassi investimenti mondiali in rapporto al PIL, dal 1996 al 2010 l’Italia è comunque all’ottavo posto nel mondo per produzione scientifica. Una sorta di miracolo definito “italian paradox”. Immaginiamo quali risultati potremmo ottenere, se avessimo dei finanziamenti adeguati.

Processi resistenti

di Andrea Incorvaia
Quando i Pm Antonio Rinaudo e Andrea Padalino hanno concluso la seduta dell'aula torinese con la sentenza ben scandita (“il fatto non sussiste”) , un grande urlo di giubilo si è alzato dalle platee del tribunale piemontese, collegato idealmente con le reti mediatiche e con i luoghi di socialità. Tutti contenti, tutti convinti che quel processo sia stato nel complesso un'ingiustizia, una vergogna per uno stato che si definisce democratico. Pensare infatti che personaggi arcinoti come Silvio Berlusconi dicano esplicitamente in pubblico: “Se mi arrestano, spero che abbiate il coraggio di fare una rivoluzione”, mentre personaggi come lo scrittore napoletano rischino la galera per molto meno e per delle dichiarazioni quasi banali per chi ha fatto della lotta uno dei punti della propria vita, fa quantomeno sorridere e riflettere.

Cariche, sgomberi e pistole. Che succede nell’università?

di Roberto Ciccarelli
Cari­che, sgom­beri, arre­sti e pistole. Che suc­cede nell’università? L’incapacità di gover­nare, la man­canza di una visione stra­te­gica, l’assenza di un sapere rela­zio­nale e di un’idea di demo­cra­zia non auto­ri­ta­ria mol­ti­plica solu­zioni peri­co­lose e improv­vi­sate. Lo si è visto a Roma il 16 otto­bre scorso con il pestag­gio (e l’arresto di 4 ragazzi poi rila­sciati) da parte delle forze dell’ordine di una set­tan­tina di stu­denti paci­fici della Sapienza che pro­te­sta­vano con­tro la con­ces­sione in affitto dello spa­zio uni­ver­si­ta­rio alla Maker Faire, la sua chiu­sura a lavo­ra­tori e stu­denti non con­cor­data con i sin­da­cati.
Lo si è visto a Pisa dove, gio­vedì pome­rig­gio, in un’occupazione uni­ver­si­ta­ria ha fatto irru­zione la Digos con pistola in pugno, scor­tata da cin­que volanti e tre camio­nette. Ieri a Udine, ai ricer­ca­tori pre­cari la Celere ha impe­dito di entrare in un’aula dell’università per con­fron­tarsi con il par­tito demo­cra­tico che ha orga­niz­zato una «Leo­polda» sulla ricerca.

Marco Revelli: Renzi lascerà solo macerie

L’emergere di “un populismo di tipo nuovo, virulento e nello stesso tempo istituzionale”. È il tema di “Dentro e contro”, il nuovo libro del sociologo Marco Revelli, in uscita oggi, di cui il Fatto Quotidiano pubblica un estratto. Dal 25 febbraio 2014 l’Italia danza sull’abisso, nelle mani di un funambolo che cammina sulla fune senza rete.E tutti lì sotto,con il naso in aria, a gridargli di accelerare. È l’immagine che emerge dai tanti messaggi augurali pervenuti a Renzi nella giornata del compimento della sua resistibile ascesa. Di Eugenio Scalfari. Di Gad Lerner. Di Mario Calabresi. Di Massimo Cacciari. Del Messaggero e del Sole 24 Ore.
Delle Coop e di Confindustria. Tutti improntati a un’euforia di maniera (bisognava “fare qualcosa”). Tutti in realtà segnati dalla paura. E dalla vertigine.

Intellettuali senza popolo. Leggendo «Scrittori e massa» di Alberto Asor Rosa

di Damiano Palano
Il conformista non è forse il romanzo più importante di Alberto Moravia, ma le sue pagine restituiscono nitidamente la visione del rapporto fra individuo e società che contrassegna molti lavori dello scrittore romano. Dalla trama aggrovigliata del racconto emerge sicuramente un ritratto impietoso del ceto medio impiegatizio che si strinse attorno alla causa del fascismo.

Ma l’Italia degli anni del regime era solo il simbolo di una condizione più generale, perché Moravia concepì il romanzo come una sorta di indagine sul «conformismo», e cioè sulle radici di quel fenomeno – sociale, psicologico, culturale – che spinge il singolo verso la «massa». Secondo lo schema che strutturava il romanzo, Marcello Clerici, il protagonista, cercava infatti costantemente di negare a se stesso la ‘diversità’ in cui si era imbattuto in occasione di un episodio traumatico dell’infanzia. E proprio per negare questa ‘anormalità’, tentava di confondersi nella «massa» degli individui mediocri.

Gianni Rodari o dell’importanza della fantasia

di Ilaria Capanna
Esattamente novantacinque anni fa, il 23 ottobre del 1920, ad Omegna, nasceva colui che tutti conosciamo come l’autore di “Favole al Telefono” e “Grammatica della Fantasia”, ma Gianni Rodari, uomo riservato ma dotato di grande sensibilità e curiosità, è stato un intellettuale e un artista assai più ricco e complesso di quanto comunemente si creda.
Rodari infatti, oltre ad essere scrittore e poeta per bambini è stato maestro elementare, giornalista dell’“Unità” e di “Paese Sera”, fu direttore del “Pioniere” e del “Giornale dei Genitori”, è stato pedagogo e politicamente attivo, è stata una figura poliedrica che anche attraverso versi e filastrocche ha richiamato l’attenzione a temi sociali di grande importanza.

A lezione di oggi da Saskia Sassen

di Elena Filicori
Sala stracolma per la lectio magistralis di Saskia Sassen, sociologa alla Columbia University di New York, che ha presentato in anteprima il suo nuovo libro “Espulsioni. Brutalità e complessità nell'economia globale” (Il Mulino): la settima edizione del Salone dell'Editoria Sociale, “Gioventù bruciata”, è iniziata con l'appuntamento attesissimo con una delle più importanti studiose dei fenomeni socio-economici, intervistata dal giornalista Giuliano Battiston.
“È un libro molto ambizioso – spiega Battiston, introducendo la studiosa -, che analizza lanuova geografia del potere, nella sua storia e nelle sue pratiche, e lo fa con un metodo poco ortodosso, attraverso ladecomposizione dell'economia politica del ventesimo secolo, per vedere cosa rimane, quali sono i processi opachi, sotterranei”.

La trappola degli “intellettuali”

di Pierre Dardot e Christian Laval
Al tempo in cui la politica subisce un discredito di massa, i media dominanti orchestrano la pessima musica che ha per tema ossessivo la perdita d’identità, il declino della cultura, il «suicidio» della nazione. Gli Zemmour, Onfray, Sapir o Finkielkraut non generano tutto questo vocio per effetto della potenza del loro solo pensiero.Come la banda dei «nouveaux philosophes» non era a suo tempo composta da intellettuali seri, cioè da produttori di pensiero forte e di conoscenza originale, i componenti della banda dei vecchi pamphlettisti amareggiati – che ci propina la propria visione malinconica, le proprie passioni tristi e il proprio risentimento malato – non sono « intellettuali » se non per la grazia ricevuta dal «marketing letterario o filosofico».
L’efficacia della loro impresa si deve alla presunta trasgressione dell’ «ipocrisia benpensante» di cui questi falsi ribelli si pregiano e che i giornalisti amplificano in tante trasmissioni e riviste.

Post digital: Internet nel tutto. L'arte e la globalizzazione

di Marotta e Russo
“La globalizzazione è un processo di interdipendenze economiche, sociali, culturali, politiche e tecnologiche i cui effetti positivi e negativi hanno una rilevanza planetaria, tendendo ad uniformare il commercio, le culture, i costumi e il pensiero”.
– Wikipedia –
Leggendo questa voce di Wikipedia abbiamo chiaramente avvertito il fatto che la globalizzazione stava così – in questo modo preciso ed apodittico – dichiarando se stessa. Si potrebbe infatti tranquillamente sostituire il soggetto della definizione, “globalizzazione”, con il termine “Internet”, di cui Wikipedia è un paradigma fenomenico culturalmente assai rilevante e proprio nei termini proposti dall’enunciato.

Non è facile sottrarsi all’infelicità ribelle

di Paolo Mottana
A volte mi chiedo se non lavoro per il disadattamento. Può apparire una domanda futile ma io me la pongo. E, più o meno direttamente, me la pongono anche altri. Futile perché è difficile sottrarsi a quello che si è o forse anche perché è così difficile definire cosa sia disadattamento.
Veniamo ad verba, e alla parola sotto processo. Disadattato: sul mio vecchio Zanichelli neppure compare, surrogata dalla voce disadatto, che però non ci serve a nulla (se non a denotare la zona semantica). Vediamo: sull’Hoepli online troviamo, con una bella sigla PSIC.: “chi è caratterizzato da incapacità di affrontare in modo adeguato i problemi posti dall’ambiente in cui vive”.

Gamal al Ghitani, ruvida voce d’Egitto

di Elena Chiti
Gamal al-Ghitani era uno dei più noti e accla­mati scrit­tori egi­ziani degli ultimi decenni. Un clas­sico, anche se aveva solo set­tanta anni. I suoi libri, tra­dotti in tante lin­gue, sono capo­la­vori della let­te­ra­tura araba. In Zayni Bara­kat, pub­bli­cato nel 1974 e ambien­tato nel sedi­ce­simo secolo, la rap­pre­sen­ta­zione di un potere mame­lucco cor­rotto e decli­nante diventa meta­fora dell’individualismo dei potenti e dell’ipocrisia delle riforme nell’Egitto di Nas­ser. E c’è chi sostiene che con que­sta denun­cia poli­tica, che si legge come un romanzo sto­rico, al-Ghitani si sia impo­sto come il degno erede di Nagib Mah­fuz.
Nel Libro delle illu­mi­na­zioni («Kitâb al-tajliyyât»), la morte del padre diventa il punto di par­tenza per un viag­gio inte­riore il cui scopo è tra­scen­dere se stessi. E que­sta opera auto­bio­gra­fica, che si legge come un trat­tato filo­so­fico, lo ha tra­sfor­mato nell’erede di tutto un patri­mo­nio nar­ra­tivo, in cui la mistica sufi è così pre­sente da essere vita vissuta.

Gli avvoltoi

di Vito Mancuso
C’è un detto di Gesù da sempre inquietante che in queste ore assume una dimensione ancora più sinistra. «Dove sarà il cadavere, lì si raduneranno insieme anche gli avvoltoi » (Luca 17,37). Il detto si ritrova anche in Matteo 24,28, e in entrambi i Vangeli la frase è del tutto fuori contesto, appare come una specie di masso erratico piovuto dall’alto, completamente a prescindere da ciò che viene prima e ciò che viene dopo. Non è nota l’occasione concreta che spinse Gesù a pronunciare quelle parole, tuttavia esse nella loro forza icastica non fanno che fotografare un’esperienza concreta della vita naturale, a quei tempi sotto gli occhi di tutti. Anche ai nostri giorni però, mutate le forme, non manca la presenza degli avvoltoi. Soprattutto se a essere in gioco è il corpo del Papa. E ancora di più se si tratta del corpo di “questo” Papa.

Corvi e gabbiani in Vaticano

di Stefano Porcari
Era il 27 gennaio del 2014 quando una colomba bianca, una di quelle che ogni domenica vengono fatte volare dal balcone di San Pietro come simbolo di pace, venne aggredita simultaneamente da una cornacchia e da un gabbiano. Fino a cinque secoli fa si sarebbe parlato di terribile presagio. Nell'epoca della modernità gli stili, gli approcci e le percezioni sono cambiate, ma dentro le mura del Vaticano forse non tutti si sono accorti che il tempo passa, anche per la Chiesa di Roma.
Le notizie di questi giorni lasciano trapelare come tra le mura di San Pietro non ci siano falchi e colombe ma aggressivi gabbiani e cornacchie decise a eliminare la colomba più influente e ingombrante del mondo: il Pontefice.

In difesa della democrazia: siamo tutto portoghesi!

di Alberto Rotondo
Giovedì il Portogallo ha conosciuto una delle pagine peggiori della sua recente storia politica .
E’ successo che il presidente della repubblica Cavaco Silva , che nel Paese lusitano come da noi è il supremo garante della costituzione, ha deliberatamente ignorato le indicazioni emerse dalle consultazioni con i partiti politici per la formazione del nuovo governo.
Come si sa i partiti della sinistra parlamentare ( socialisti, comunisti, verdi e Bloco de esquerda), forti di un consenso maggioritario in Parlamento e nel Paese, avevano rappresentato al presidente la loro ferma determinazione ad appoggiare un esecutivo di sinistra a guida socialista.

La germanizzazione dell’Europa va avanti

di Francesco Saraceno
L’ultimo articolo di Daniel Gros mi ha lasciato perplesso. In esso, Gros afferma che la posizione dominante della Germania all’interno dell’eurozona potrebbe avere i giorni contati. Il suo ragionamento si basa su due elementi. Il primo è il tasso di crescita fiacco della Germania, che sembra destinato a tornare ai “normali” livelli pre-crisi di bassa crescita (tra il 1992 e il 2007 il tasso di crescita della Germania è stato inferiore a quello della media dell’eurozona). Il secondo è di natura più geopolitica, e riguarda la riluttanza (o l’incapacità) della Germania di gestire le crisi che l’Europa si trova a fronteggiare (in particolare la crisi dei rifugiati).
Secondo Gros, il declino dell’influenza tedesca in Europa è un pericolo, perché vuol dire che la Germania non sarà più in grado di ostacolare le istanze di cambiamento che arrivano dai paesi periferici e dalla BCE. È implicito nel ragionamento di Gros che tali istanze siano da considerarsi dannose.

Bce pronta a tutto, ma serve a qualcosa?

di Dante Barontini
Borse in festa, economia al palo. “Houston, abbiamo un problema”, si dovrebbe dire dai vertici delle istituzioni finanziarie globali. Ma solo la Bce dà corpo, tra le righe ingessate lette da Mario Draghi, a preoccupazioni serie per la tenuta del sistema. E solo qualche analista più attento prova a mettere nero su bianco la domanda delle domande: “perché l'inflazione non riparte nonostante anni di iniezioni straordinarie di liquidità da parte delle principali banche centrali?”I fatti. Ieri la Bce ha confermato a zero (0,05%) il tasso di interesse chiesto per i prestiti alle banche. Non esistevano dubbi che così sarebbe stato, visto che Francoforte è impegnata in uno sforzo straordinario (60 miliardi di euro al mese) di acquisto di titoli (di stato e privati, “roba buona” e “spazzatura derivata”) fino al settembre del 2016 “e anche più in là, se necessario”.

Mobilitiamoci per il disarmo nucleare: tre richieste per il governo italiano

di Azione non violenta, Rete Italiana per il Disarmo e Beati i Costruttori di Pace
Sono passati 70 anni esatti dalle bombe atomiche che distrussero Hiroshima e Nagasaki. Fare memoria in modo sincero e serio per noi significa impegnarci, perché riguardo alle atomiche vengano prese dagli Stati decisioni concrete, non solo firmati documenti. Per questo proponiamo 3 firme x 3 richieste… da inviare poi al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio e al Ministro degli Esteri, nonché al Ministro degli Esteri della Repubblica delle Isole Marshall, Tony De Brum.
Sono passati 70 anni esatti dalle bombe atomiche che distrussero Hiroshima e Nagasaki. Fare memoria in modo sincero e serio per noi significa impegnarci, perché riguardo alle atomiche vengano prese dagli Stati decisioni concrete, non solo firmati documenti. I fatti nel presente non sono incoraggianti.

«Il riscaldamento del pianeta riduce il Pil». Al via la mobilitazione globale sul clima

di Raffaele Lupoli
Secondo una ricerca della Stanford University pubblicata sulla rivista Nature, il riscaldamento globale in atto farà sì che il Prodotto interno lordo dell’intero Pianeta nel 2100 sarà inferiore del 23 per cento rispetto a quello che potrebbe essere senza gli sconvolgimenti climatici. «Stiamo fondamentalmente buttando via i soldi nel momento in cui non affrontiamo la questione», ha spiegato Marshall Burke, docente della Stanford University. «Consideriamo il nostro studio uno strumento per fornire una stima dei benefici legati alla riduzione delle emissioni». Lo studio, intitolato “Global non-linear effect of temperature on economic production”, ha preso in considerazione i dati storici relativi al rapporto tra aumento di temperatura e produttività, senza tener conto dell’impatto economico dell’innalzamento del livello dei mari, delle tempeste o degli altri effetti del cambiamento climatico.

L'economia, gli Stati nazionali e le imprese multinazionali

di Paolo Andreozzi
Se ordiniamo tutte le economie nazionali secondo i PIL rispettivi, abbiamo una certa lista di Stati. E se ordiniamo tutte le economie private secondo i rispettivi fatturati societari, abbiamo una certa lista di multinazionali.
Ora, se interpoliamo le due liste ne abbiamo una terza che allinea indifferentemente Stati e multinazionali in base alla loro potenza economica.
Le prime cento entità di questa lista, in ordine decrescente, sono economie pubbliche in 56 casi ed economie private in 44. La multinazionale che fattura di più al mondo è Walmart; è 27ma in classifica ‘mista’ e il suo fatturato è maggiore del PIL dell’Austria, per esempio.

Le parole di Benyamin «Bibi» Netanyahu e la rivolta palestinese

di Carlo Tagliacozzo
Nel 2000 Nor­man Fin­kel­stein, sto­rico e scrit­tore ebreo ame­ri­cano e figlio di soprav­vis­suti allo ster­mi­nio, scrisse «L’Industria dell’Olocausto», un libro pro­vo­ca­to­rio, apprez­zato da Noam Chom­sky ma di alterna for­tuna e scon­tro, dichia­ra­ta­mente scritto «con­tro ogni forma di spe­cu­la­zione, eco­no­mica e poli­tica, sulla memo­ria della Shoah». Egli rispon­deva così alle domande sul per­ché della sua pro­vo­ca­zione e indi­gna­zione: «La rispo­sta più ovvia è che è stato usato per giu­sti­fi­care la poli­tica cri­mi­nale dello Stato di Israele e il soste­gno ame­ri­cano a tale politica».
Le dichia­ra­zioni di Benya­min Neta­nyahu sulle respon­sa­bi­lità del Gran Muftì di Geru­sa­lemme come prin­ci­pale respon­sa­bile della «Solu­zione finale» ne sem­brano ora una diretta testi­mo­nianza.

TTIP, a dispetto della forte contrarietà dei popoli

di Eric Zuesse
I termini del TPP, il trattato sul “commercio” proposto da Obama alle nazioni asiatiche, non saranno resi pubblici fino a che il trattato non sarà in vigore da almeno quattro anni. I termini del TISA (accordo sul commercio dei servizi), proposto da Obama a 52 nazioni, non saranno resi pubblici fino a che il trattato non sarà in vigore da almeno cinque anni. Il TTIP, il trattato proposto da Obama ai paesi europei, è stato tenuto nascosto così bene che non si sa nemmeno per quanti anni dovrà essere tenuto nascosto all’opinione pubblica. Buongiorno, fascismo internazionale! — tutto fatto in segreto, fino al punto in cui è troppo tardi perché l’opinione pubblica possa reagire.
In Europa si sta andando proprio di corsa, per scongiurare che venga meno la segretezza, e il trattato non riesca quindi a passare.

Argentina al voto per l’era post Kirchner ma non del kirchenerismo

di Alfredo Somoza
Alle elezioni presidenziali del 25 ottobre, per la prima volta dal 2003 i 30 milioni di elettori argentini non troveranno sulle schede il nome Kirchner. Con queste elezioni si chiude infatti il decennio abbondante del “kirchnerismo”, la corrente progressista del peronismo che ha condotto il Paese fuori dalle macerie del default del 2001. Prima Néstor, deceduto nel 2010, poi sua moglie Cristina Fernández, non più ricandidabile dopo due mandati, hanno lasciato il segno su un periodo politico e sociale fortemente condizionato da quel tracollo economico.
I capisaldi positivi del kirchnerismo sono stati il negoziato con i creditori del default che ha permesso di far tornare a crescere l’economia, la riapertura dei processi sui crimini compiuti dalla dittatura, la legge sul matrimonio paritario e quella contro la discriminazione di genere, la legge sui media, il ritorno dello Stato nelle aziende fallite dopo le privatizzazioni e l’allargamento del welfare.

C’è del marcio nelle aziende tedesche ma se ne parla poco

di Gian-Paolo Accardo
Lo scandalo che coinvolge la Volkswagen, che ha ammesso di aver manipolato i sistemi di rilevamento delle emissioni di alcuni motori diesel ed è stata costretta a richiamare milioni di vetture, ha messo in luce un aspetto del mondo dell’imprenditoria tedesco poco noto all’opinione pubblica: l’elevata tendenza alla corruzione e alla frode.
Una tendenza che appare in contrasto con l’atteggiamento moralizzatore delle autorità tedesche nella crisi greca – la Germania è stata la capofila dei paesi che mostravano scarsa fiducia nella volontà della Grecia di rispettare i patti – e più in generale con l’immagine che gli europei hanno del mondo degli affari tedesco e dei suoi prodotti: rigorosi, seri, affidabili.

Israele: nell’agonia di un sogno razzista

di Susan Abulhawa
Nel 1845 il Luogotenente Colonnello George Gowler ha presentato un rapporto dettagliando il potenziale per la colonizzazione ebraica della Palestina. Gli ostacoli che prevedeva avevano a che fare con le risorse e la fattibilità di convincere gli ebrei a immigrare in Palestina. Nessuna considerazione fu data alla popolazione palestinese nativa che viveva già lì da secoli.
Decenni dopo, nel decidere il destino della Palestina, il cosiddetto mandato britannico, Lord Balfour, dichiarò: “Non proponiamo neanche di adottare il sistema di informarsi sui desideri degli attuali abitanti del paese.” Però, davanti a una rivolta palestinese, i britannici si ritirarono, resisi conto dell’errore di avere ignorato la volontà e l’umanità della popolazione indigena.

Tra regimi e giacimenti

di Luca Manes
Eni opera in decine di Paesi, e alcuni hanno una situazione politica a dir poco controversa e problematica. La Libia, ad esempio, la compagnia italiana ha continuato a operare anche dopo la caduta del regime di Gheddafi: nel 2014 è stato il primo produttore di idrocaburi per Eni. Sempre nell’area del Mediterraneo c’è l’Egitto, il cui governo di democratico ha solo una timida apparenza, così come quello algerino. Spostandoci verso l’Asia, Turkmenistan,Iraq e Kazakhstan non costituiscono esempi di esecutivi “virtuosi”, così come quello dell’Azerbaigian, dove l’Eni è presente con una partecipazione minore nell’oleodotto Baku Tbilisi Cheyan e nella costruzione delle nuove infrastrutture parte del Corridoio Sud del Gas, tramite la consociata Saipem.

Palestina. In morte di un numero

di Cecilia Dalla Negra
Questo non è un articolo. Non è equidistante, non è imparziale, non è neutrale. Racconta una storia. La storia di Hashem al-Azzeh, numero 48, ucciso a Hebron dopo una vita passata a resistere.
Succede così. Che scorrendo tra le notizie del giorno che arrivano da quella terra, un nome nella lista delle persone da piangere sia più vicino al tuo cuore. E allora trovare le parole per descrivere la frustrazione per come viene raccontato dai media quello che accade diventa inutile. E’ una stanchezza, quella che coglie, fatta di rabbia, di nomi che negli anni si sono susseguiti, di definizioni sbagliate, di parole a vuoto, dette a caso, dette male. Di cronache tanto ignoranti da essere violente, di luoghi comuni da sfatare, pregiudizi da smontare, battaglie perse un giorno dopo l’altro.

L’approccio USA al disarmo nucleare: colpevolizzare le vittime

di Ray Acheson
A metà strada tra la conferenza di revisione del TNP a maggio e la discussione generale del Primo Comitato, gli Stati Uniti hanno deciso di ridefinire il loro approccio al disarmo nucleare: non più “graduale” ma “a spettro totale”. Come prima, contrappongono questo approccio alla ricerca di un trattato che vieti le armi nucleari, cosa che, a loro dire, non è né funzionale né realistico. Ad un certo punto, sempre in questo lasso di tempo, gli Stati Uniti hanno poi deciso di lanciare la rivendicazione seconda la quale qualsiasi potenziale trattato di messa al bando pregiudicherebbe la sicurezza internazionale ad un punto tale da portare persino proprio all’utilizzo di armi nucleari.
Esempio piuttosto scioccante di colpevolizzazione delle vittime, il governo degli Stati Uniti sembra suggerire che se i paesi che non possiedono o non apprezzano queste terribili armi di distruzione di massa si accordano e le vietano, gli Stati con armi nucleari potrebbero esserne così destabilizzati da usarle.

La sconfitta della rivoluzione tiene gli egiziani lontani dalle urne

di Hani Shukrallah
È arrivato il momento delle elezioni parlamentari in Egitto, le seconde dai tempi della rivoluzione del gennaio 2011. Finalmente. Tutti gli ingranaggi elettorali sono partiti. Le strade sono addobbate con poster, striscioni e cartelli, l’alta commissione elettorale lavora a pieno ritmo e la polizia, l’esercito e oltre mille persone dell’apparato giudiziario sono impiegate per garantire sia la sicurezza sia la supervisione giudiziaria delle votazioni.
La prima fase delle elezioni, che riguarda 14 province sulle 27 totali del paese, è quasi finita e si è svolta regolarmente, con pochi incidenti. C’è solo un piccolo dettaglio: gli elettori non si sono mostrati interessati.

venerdì 23 ottobre 2015

Lo zero assoluto tra scontrini e manieri

di Marco Bascetta
Nean­che Gul­li­ver, nei suoi straor­di­nari viaggi, si è mai imbat­tuto in un paese in cui scon­trini e castelli occu­pas­sero il cen­tro del dibat­tito poli­tico. Del resto quando si pro­cede lungo binari obbli­gati e com­pa­ti­bi­lità senza varianti tro­vare oggetti di disputa richiede un sem­pre mag­giore sforzo di fantasia.
Così il pre­mier avrebbe fatto mar­cia indie­tro sulla detas­sa­zione dei primi castelli. Non l’aveva mai pre­vi­sta? Si è lasciato con­vin­cere?, si inter­roga la stampa più mali­ziosa. Nel secondo caso la sini­stra dem avrebbe inferto un colpo mor­tale al feu­da­le­simo solo 226 anni dopo la Rivo­lu­zione fran­cese. In entrambi i casi è evi­dente che la que­stione conta meno di zero. Ragion per cui occupa da giorni edi­to­riali, com­menti, vignette, indi­gnate dichia­ra­zioni su gran parte dei media ita­liani. Insomma sta in buona com­pa­gnia, quanto a rile­vanza effet­tiva, con tutti gli altri “suc­cessi” con­se­guiti dalla sini­stra del Pd sotto il regno di Mat­teo Renzi.