La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 22 ottobre 2015

Gli stranieri laureati? Li regaliamo al resto d’Europa

di Gianni Balduzzi
A dispetto delle cronache recenti non vi sono solamente i profughi o gli immigrati economici che premono alle nostre frontiere marittime e terrestri provocando, a seconda delle occasioni, panico, xenofobia o solidarietà come sta accadendo negli ultimi mesi.
In Europa, e in particolare in Italia, la presenza di stranieri è già realtà da diverso tempo, a gennaio 2015 secondo le stime dell’Istat sono 5 milioni gli immigrati presenti nel nostro Paese, più dell’8% della popolazione.
Le condizioni di queste persone, come vivono, se lavorano, se studiano o hanno studiato, ci dicono già molto non solo del nostro atteggiamento verso l’immigrazione, ma in parte anche delle cause della nostra situazione economica.
Già, perchè sappiamo che le possibilità di crescita di un Paese dipendono anche dalla capacità di attirare talenti, o comunque persone che possano contribuire positivamente all’economia del Paese non solo costando meno.
Nel caso del nostro Paese questo non è accaduto, non siamo riusciti nè ad attirare laureati nè ad occuparli in modo proficuo come accaduto altrove. Anzi, sembra quasi che l’Italia abbia mirato a un utilizzo, potremmo dire in molti casi sfruttamento, principalmente delle persone con un livello d’istruzione basso, che hanno infatti un tasso d’occupazione addirittura superiore del 10% di quello degli italiani con analogo titolo di studio.


Naturalmente l’occupazione degli stranieri sale con il grado di istruzione, ma meno di quella degli italiani.
Il confronto con gli altri Paesi europei è molto chiaro, se consideriamo gli immigrati con meno competenze, l’Italia è nella parte alta della classifica dei tassi d’occupazione, come molto raramente capita al nostro Paese.


Se invece è la percentuale di stranieri con alto titolo di studio con una occupazione che vogliamo analizzare, il Belpaese si colloca in fondo.


Certo, la posizione sarebbe simile anche se parlassimo di occupazione dei laureati italiani.
Vi è però un dato che rende la situazione più grave: in Italia i laureati stranieri sono pochissimi, solo il 10%, e siamo veramente ultimi in Europa in questa statistica.

Tutti questi dati ci dicono quindi molto non solo sull’immigrazione, ma anche sul grado di arretratezza dell’economia italiana, che fa in modo che non vi sia domanda di competenze più complesse, italiane o straniere, a dispetto dell’offerta particolarmente bassa, perchè ricordiamo che l’Italia è agli ultimi posti per il tasso di laureati anche tra gli autoctoni.
Se osserviamo il 47% di laureati tra gli immigrati nel Regno Unito o il 39% in Svezia, tra l’altro occupati per l’80% circa, appare chiaro come sia lo sviluppo del terziario avanzato uno dei principali motori che attirano e occupano immigrati di valore.
Naturalmente si innescano circoli virtuosi, o viziosi nel caso del nostro Paese: non è un caso che Svezia e Regno Unito siano i Paesi che dal 2000 a oggi sono cresciuti maggiormente, anche se seguendo dinamiche diverse.
Queste economie non hanno solamente offerto migliori condizioni agli immigrati, ma principalmente ne hanno tratto vantaggio, iniettando nella propria economia lavoratori mediamente più giovani, più mobili, consumatori di beni e servizi più che percettori di pensioni, persone senza un paracadute nella famiglia o in una rendita, che possono versare contributi pensionistici più che beneficiarne.
L’apertura delle frontiere ai profughi siriani, mediamente più istruiti rispetto ad altri immigrati, è anche un segno di lungimiranza da parte della Germania, oltre che di solidarietà.
L’Italia rimane a guardare.

Fonte: Linkiesta

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