La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 22 ottobre 2015

Una politica della paura: il disperato tentativo dell’UE di fermare i profughi

di Joris Leverink
La scorsa settimana hanno annunciato che era stato concluso un accordo tra l’Unione Europea e la Turchia riguardante il contenimento dei flussi di profughi che entrano in Europa passando per la Turchia. Al prezzo di 3 miliardi di euro, di promesse di facilitare i viaggi senza il visto per i cittadini turchi verso le nazioni di Schengen, della riapertura dei colloqui di ammissione nell’UE che si erano bloccati dopo che si erano sollevate domande sulla svolta autoritaria della Turchia negli anni recenti, la Turchia ha promesso di aiutare l’Europa a occuparsi della “crisi per i profughi” (non la crisi dei profughi, ma la crisi dell’incapacità dell’Europa di accogliere i profughi in maniera umana e sensibile).
In cambio, la Turchia ha concesso un aumento di controlli al confine, un miglioramento della vita dei profughi, e la riammissione dei profughi che erano già entrati nell’UE passando dalla Turchia, ai quali era stato negato l’asilo e che ora si sarebbero dovuti deportare in qualche altro luogo.
Come tocco finale, e come segno della buona volontà dell’UE, la Turchia sarebbe stata anche aggiunta alla lista dei paesi sicuri, dove potevano essere deportate le persone, dove non avrebbero fatto domande – neanche riguardo alle migliaia di prigionieri politici attualmente dietro le sbarre delle prigioni turche, né riguardo ai milioni di persone che vivono nelle città curde e soggette ad assedi militari e a assalti notturni, guardando i corpi senza vita dei loro compagni trascinati attraverso le strade dietro i veicoli della polizia; oppure riguardo agli innumerevoli bambini assassinati – naturalmente un danno collaterale – le cui giovani vite venivano interrotte da pallottole “rimbalzate”, da bombole di gas lacrimogeni “deviate” o da “incidenti sfortunati”.
Malgrado il fatto che da giovedì la Turchia sembra aver fatto marcia indietro rispetto all’accordo con il presidente Erdogan – questo implica un debole caso di perdita di qualsiasi contatto con la realtà – che affermava sprezzantemente che soltanto un’adesione all’UE sarà sufficiente a spingere la Turchia a rimanere attaccata dalla sua parte nella faccenda, la politica in gioco qui rivela i marci meccanismi dell’UE.
L’accordo tra UE e Turchia non nasce da un desiderio di aiutare un essere umano che ne ha necessità (o un paio di milioni, per dirla tutta), e non è il segno che i governi europei hanno finalmente deciso di fare l’opera di migliorare davvero le infelici vite di quelle molte e molte persone i cui membri della famiglia sono scomparsi, le cui case sono bombardate, le cui macchine sono saltate per aria in fiamme, i cui animali sono stati macellati, i cui figli morivano di fame, il cui denaro è svanito e le cui vite si sono trasformate soltanto in una serie di momenti vuoti, insignificanti, legati in insieme con lacci sfilacciati di dolore, perdita e sofferenza.
No. Questo accordo è il prodotto di pura paura. Paura per ciò che è differente. Paura di dover condividere ciò che è proprio. Paura dello straniero che parla una lingua incomprensibile, indossa vestiti diversi e che – Dio non voglia – occasionalmente mangia con le mani. Ma, più di tutto, è la paura di perdere il potere.
E’ questa paura radicata, interiore, ha messo infine in moto le cose. La paura dei politici di perdere i voti di coloro che hanno accettato la retorica populista degli xenofobi di destra, pervasi di odio, rabbia e xenofobia. Il potere corrompe, rende insensibili, chiede, ambisce. Ogni rifugiato che entra in questo paese è un voto in meno per coloro che stanno al potere. “Ci dispiace Non abbiamo più scelta. Questo è per far stare meglio tutti noi. Realmente.’
Milioni di vite distrutte stanno venendo usate come leva in un piano politico che serve soltanto a mantenere intatto lo status quo. Un aspirante dittatore viene considerato un salvatore mentre i leader europei rimangono a occhi chiusi davanti alle violazioni quotidiane dei diritti umani, le loro orecchie chiuse ai gridi di che chiedono giustizia da un popolo in difficoltà, e le labbra serrate per impedire a chiunque di parlare apertamente, nel caso che la parola sbagliata o una frase non appropriata provochi la rabbia del Sultano.
Il modo in cui l’Europa sta trattando la crisi dei profughi è quello di fare ogni cosa in suo potere per non lasciare che essa arrivi sulla sua soglia. Le porte sono state chiuse, nuove recinzioni sono state costruite. Manganelli, gas lacrimogeni e idranti vengono dispiegate allo scopo di mantenere a bada le ”orde barbariche”.
Per i pochi fortunati che sono riusciti a violare le mura apparentemente inespugnabili della Fortezza, la lotta è lungi dall’essere finita. L’ospitalità di quelle poche comunità che aprono le loro porte e accolgono coloro che ne hanno necessità è oscurata dagli insulti razzisti scritti con bombolette spray sui muri di edifici scolastici abbandonati e trasformati in centri per migranti, dalla retorica discriminatoria che caratterizza ogni discussione pubblica sul destino degli immigrati, e dai pregiudizi xenofobi dei loro nuovi vicini che apparentemente sanno tutto sulla vita, le abitudini, le idee, la religione e le convinzioni dei profughi senza aver mai parlato con nessuno di loro.
L’accordo tra UE e Turchia è un esempio scandaloso di come la crisi dei profughi si stia usando per vantaggi politici da entrambe le parti. Con importanti elezioni in arrivo fra due settimane e di fronte a un importante battuta d’arresto del suo appoggio, il governo di turco guidato dall’AKP è desideroso di ottenere qualche vittoria con facilità da offrire ai suoi elettori. Allo stesso tempo, i leader europei hanno concordato tutti insieme di chiudere un occhio su ogni cosa che sbagliata che fa la Turchia, soltanto per lasciarle fare il lavoro sporco al posto loro.
La crisi dei profughi è una crisi umanitaria, non una crisi politica. In quanto tale, una soluzione sta nella gente ordinaria e non nei giochi politici dei loro capi. Parlare chiaramente contro l’odio e la paura è importante tanto gli atti di ospitalità e solidarietà. La soluzione però non sta in atti isolati di gentilezza . Lasciando da parte tutte le critiche relative al sistema, è necessario che resistiamo a questo discorso di odio, che insorgiamo davanti alle politiche della paura. E’ necessario mostrare che il potere risiede in coloro che lo hanno costruito tramite la lotta, e che la protezione sarà garantita a coloro che ne hanno bisogno.
Lasciate che l’Europa sia un rifugio sicuro per coloro che fuggono dalla guerra, dalla povertà e dalla persecuzione, e che sia un suolo fertile dove piantare i semi di un futuro comune. E’ ora di dire ad alta voce e di dirlo chiaramente: “I rifugiati sono i benvenuti qui!”

Pubblicato da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivwww.znetitaly.org
Originale: Roarmag.org
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0

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