La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 23 ottobre 2015

La prassi vivente ostaggio del partito della nazione

di Leonardo Paggi
È un luogo comune sot­to­li­neare con stu­pore il con­tra­sto tra la caduta degli inte­ressi per l’opera di Anto­nio Gram­sci in Italia(anche se fa ecce­zione un vero boom di pub­bli­ca­zioni sulle vicende car­ce­ra­rie) e il fio­rire degli studi nel mondo. Si finge così di dimen­ti­care, con un po’ di fili­stei­smo, che c’è di mezzo la scon­fitta subita dallo schie­ra­mento poli­tico che nella sua opera si era rico­no­sciuto. Gram­sci potrà tor­nare ad essere parte della cul­tura ita­liana solo se riu­scirà ad essere nuo­va­mente intrec­ciato con una let­tura del presente.
Sta qui l’interesse del semi­na­rio orga­niz­zato recen­te­mente a Lecce da un gruppo di gio­va­nis­simi stu­diosi pugliesi, orga­niz­zati da Enrico Con­soli e Alfredo Fer­rara, su «Gram­sci, i par­titi e la crisi della demo­cra­zia» , con la pre­senza di Guido Liguori in rap­pre­sen­tanza della Inter­na­tio­nal Gram­sci Society. Met­tendo da parte una let­tura un po’ cir­co­lare e ripe­ti­tiva tutta interna ai Qua­derni, i pezzi costi­tu­tivi della teo­ria poli­tica gram­sciana sono stati messi diret­ta­mene a con­fronto con gli sce­nari della nostra vita quo­ti­diana: da face­book e la rete (rela­zioni di Marco Zanan­toni e Ric­cardo Cavallo) all’antipolitica, dai popu­li­smi (ana­liz­zati da Giu­seppe Mon­tal­bano) alla nuove ten­denze auto­ri­ta­rie che avan­zano con la crisi della costi­tu­zione, alla domanda cano­nica (di cui si è fatto carico Alfredo Fer­rara): quale nuovo blocco storico?
In nome della nazione
Vero è che i gio­vani pugliesi non sono soli in que­sta ricerca. Ci si è misu­rato di recente anche il pre­si­dente della Fon­da­zione Gram­sci e della Edi­zione Nazio­nale dell’Opera di Gram­sci, Giu­seppe Vacca, in una inter­vi­sta alla nuova Unità di Renzi del 21 ago­sto: «Gli elet­tori del Pd si rico­no­scono nelle riforme del governo». Vacca come Ver­dini è un fer­vente soste­ni­tore del par­tito della nazione, ma rispetto al par­la­men­tare ex ber­lu­sco­niano il pre­si­dente della Edi­zione Nazio­nale ha una mar­cia in più: si è pie­gato a lungo sugli scritti di Gram­sci. Se Ver­dini porta i voti, Vacca porta la teo­ria del moderno prin­cipe. Il par­tito della nazione «risponde a un con­cetto forte di par­tito eman­ci­pato dalle povere ridu­zioni socio­lo­gi­che più o meno incon­sa­pe­vol­mente intro­iet­tate, in seguito all’egemonia cul­tu­rale eco­no­mi­ci­sta impo­stasi nel dibat­tito sulla crisi della demo­cra­zia… Cos’è un par­tito poli­tico se non un punto di vista sulla sto­ria e il destino di una nazione?»
Qui la teo­ria di Gram­sci entra in presa diretta con la poli­tica fino a diven­tare pro­pa­ganda. Con un rispetto mag­giore della filo­lo­gia i gio­vani pugliesi si sono avvalsi delle sol­le­ci­ta­zioni del pre­sente per rimet­tere in evi­denza un dato erme­neu­tico a mio avviso estre­ma­mente impor­tante, ossia che tutta la teo­ria poli­tica gram­sciana è cen­trata sulla let­tura dei pro­cessi invo­lu­tivi che dopo la prima guerra mon­diale col­pi­scono le demo­cra­zie libe­rali, in modo più pre­coce in Ita­lia, e poi con vari gradi di inten­sità nel resto d’Europa.
Si è osser­vato che nei Qua­derni del car­cere non c’è una descri­zione del regime fasci­sta, ana­loga a quella con­te­nuta nelle Lezioni di Pal­miro Togliatti del 1935. Ma non è colpa della cen­sura. La ricerca di Gram­sci è orien­tata da un diverso inter­ro­ga­tivo forse così rias­su­mi­bile: per quali vie si estin­gue la rap­pre­sen­ta­zione poli­tica del con­flitto sociale? In effetti la crisi della demo­cra­zia passa tutta, per Gram­sci, attra­verso l’entropia del poli­tico. Qui sta la sua rin­no­vata attua­lità. La rot­tura tra rap­pre­sen­tanti e rap­pre­sen­tati, con cui si apre sem­pre una crisi orga­nica, lascia spa­zio ai poteri che si sot­trag­gono, egli dice, al con­trollo dell’opinione pubblica.
Sul filo di una geniale attua­liz­za­zione del 18 Bru­maio di Luigi Bona­parte di Karl Marx, Gram­sci vede assai pre­co­ce­mente( già nell’autunno del 1920 con la crisi fiu­mana) la pos­si­bi­lità del colpo di stato inteso non nella sua tra­di­zio­nale tea­tra­lità ma come pro­cesso di sosti­tu­zione dello Stato/burocrazia allo Stato/ sistema poli­tico. Nel car­cere la ten­sione tra il buro­cra­tico e il poli­tico diventa anche il filo con­dut­tore della ana­lisi della espe­rienza sovie­tica, in que­sto senso tutta segnata dalla invo­lu­zione statolatrica.
Legit­ti­mità perdute
Nel con­ve­gno di Lecce l’attualità delle ana­lisi sul cesa­ri­smo, che può avan­zare dice Gram­sci anche senza solenni forme cesa­ree, e anche nella per­ma­nenza di isti­tuti par­la­men­tari, è stata fine­mente pro­po­sta da Fran­ce­sca Anto­nini. Gae­tano Bucci si è invece avvalso di cate­go­rie gram­sciane per descri­vere come, sem­pre nella logica della entro­pia del poli­tico, la crisi della demo­cra­zia si svi­luppi oggi in Europa paral­le­la­mente al con­so­li­da­mento del potere sovra­na­zio­nale rap­pre­sen­tato dalla moneta unica. La gover­nance è il poli­tico senza stato che, non creando nuove isti­tu­zioni, ma avva­len­dosi di «tec­no­lo­gie» e «dispo­si­tivi» di potere, aggira gli stati nazio­nali e li sot­to­mette, tra­sfor­man­doli, con la sus­si­dia­rietà, in stru­menti ese­cu­tivi dei pro­pri indirizzi.
Poli­tica dell’austerità e crisi della demo­cra­zia avan­zano mano nella mano, non solo per i con­te­nuti sociali ma anche per la intro­du­zione di nuove pro­ce­dure di potere, che aggi­rano il poli­tico e che sem­brano voler pre­fi­gu­rare una lega­lità sem­pre più sgan­ciata e auto­noma da ogni forma di legit­ti­mità. Insomma, il pre­si­dente della Edi­zione Nazio­nale dovrebbe spie­gare come il pre­sunto nuovo prin­cipe di Renzi possa con­vi­vere con la piena sot­to­mis­sione alla «dit­ta­tura fiscale» della Bce, che non è in alcun modo inte­res­sata a «regnare», ma vuole invece sor­ve­gliare e punire, avva­len­dosi di quella che Jens Weid­mann pre­si­dente della Bun­de­sbank con lin­guag­gio incon­sa­pe­vol­mente fou­caul­tiano chiama la «disci­plina del mer­cati». Per altro verso i movi­menti popu­li­sti ripro­pon­gono l’entropia del poli­tico a par­tire della sua rina­scita cari­ca­tu­rale nella forma di un cari­sma sem­pre più inven­tato e di carta pesta.
Non ho più spa­zio a dispo­si­zione. Con­cludo accen­nando a un tema stra­te­gico degno a mio avviso di rifles­sione: la grande supe­rio­rità teo­rica che nella raf­fi­gu­ra­zione del moderno il poli­tico ribelle Anto­nio Gram­sci ha nei con­fronti del pro­fes­sor Max Weber (la Sar­de­gna ver­sus Hei­del­berg), sta nella capa­cità di sosti­tuire il «disin­canto» con la ricerca costante dei con­tro movi­menti, muo­vendo dall’assunto di natura onto­lo­gica che la vita, la prassi, finirà sem­pre per scom­pa­gi­nare i piani pre­di­spo­sti dalle tec­no­lo­gie e dai dispositivi.

Fonte: il manifesto 

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