La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 23 ottobre 2015

Regioni da vendere

di Roberto Ciccarelli
Lo strappo con il governo è forte, anche se ingen­ti­lito da parole di cir­co­stanza. Le dimis­sioni di Ser­gio Chiam­pa­rino da pre­si­dente della Con­fe­renza delle Regioni sono irre­vo­ca­bili e sono state con­ge­late fino alla con­clu­sione delle trat­ta­tive sui tagli alla sanità con­te­nuti nella legge di Sta­bi­lità. A pesare, certo, c’è il disa­vanzo da 5,8 miliardi di euro della sanità pie­mon­tese accer­tato dalla Corte dei Conti, ma i motivi sono pro­fon­da­mente poli­tici e con­fer­mano l’esistenza di una forte ten­sione con Palazzo Chigi.
Una delle poche cose certe della finan­zia­ria, ancora ieri in corso di «lima­tura» e data sulla strada verso il Qui­ri­nale, è il taglio al fondo sani­ta­rio nazio­nale dai 113 miliardi pro­messi a luglio ai 111 miliardi con­fer­mati da Renzi. Chiam­pa­rino ha spe­ci­fi­cato che una parte dei tagli da 2,2 miliardi sono stati «neu­tra­liz­zati»: in pra­tica, ha otte­nuto uno «sconto» da 1,3 miliardi, por­tando il taglio a 900 milioni di euro. «C’è un lavoro — ha aggiunto — da fare uti­liz­zando il fondo per il riac­qui­sto dei bond, la pos­si­bi­lità’ di riu­ti­liz­zare il dispo­ni­bile per coprire una parte dei tagli. Se va in porto que­sto la parte extra sanità è in parte coperta». In man­canza del testo «uffi­ciale» i pre­si­denti delle regioni ieri igno­ra­vano se gli 800 milioni dei nuovi Livelli essen­ziali di assi­stenza (Lea) sono com­presi nei 111 miliardi del fondo sani­ta­rio nazio­nale. In caso affer­ma­tivo, l’aumento di un miliardo del Fondo pro­messo dal governo solo qual­che giorno fa sarebbe «neu­tra­liz­zato». Il «gruz­zo­letto» per la sanità di cui ha par­lato Renzi diven­te­rebbe addi­rit­tura «inca­piente» se il con­tratto dei medici (400 milioni) e la spesa per i far­maci inno­va­tivi o per com­bat­tere l’epatite C (600 milioni) fosse adde­bi­tato al Ser­vi­zio Sani­ta­rio nazio­nale. «Una rispo­sta da parte del governo non è irri­le­vante per capire se que­sto miliardo in più messo in legge di sta­bi­lità nel fondo sani­ta­rio è suf­fi­ciente o no» ha detto Chiamparino.
Que­sta era ieri la foto­gra­fia del caos pro­vo­cato dall’annuncite di Renzi. Altri nodi sono arri­vati al pet­tine delle regioni: il divieto impo­sto dal governo di aumen­tare le tasse locali, ad esem­pio. L’annuncio di Renzi ha preso in con­tro­piede le regioni al punto da por­tare Chiam­pa­rino ad esclu­dere una simile misura: «Non credo sia pos­si­bile, al mas­simo può arri­vare una moral sua­sion – ha detto — Cer­ta­mente la nostra inten­zione non è met­tere nuove tasse». Ma que­sto non è affatto detto. Dipende dall’entità dei tagli in arrivo alla sanità. Nel pro­flu­vio delle voci incon­trol­late ieri è spun­tata una clau­sola fatale: l’aumento auto­ma­tico delle addi­zio­nali Irpef e Irap. Per evi­tarlo, le regioni potranno aumen­tare i tic­ket sani­tari. Lo ha soste­nuto Mas­simo Gara­va­glia, coor­di­na­tore degli asses­sori regio­nali al Bilan­cio il quale, in poche parole, ha rias­sunto le con­se­guenze dei tagli in una poli­tica dell’austerità. «Il disa­vanzo in Sanità non sem­pre è frutto di mal­go­verno – ha aggiunto – ma anche di un’eccessiva ridu­zione del Fondo sani­ta­rio». Tale ridu­zione ha messo nei guai molte regioni. Ancora oggi sono otto in piano di rien­tro dal disa­vanzo della spesa sani­ta­ria. Lazio, Abruzzo, Cala­bria, Molise, Sici­lia, Cala­bria, Pie­monte, Puglia potreb­bero essere costrette ad aumen­tare il tic­ket per pagare i tagli del governo al fondo nazionale.
L’aumento delle tasse non ci sarà, a meno che i gover­na­tori delle regioni in defict sani­ta­rio deci­dano altri​menti​.La con­ferma è arri­vata dal sot­to­se­gre­ta­rio all’economia Enrico Zanetti: «Il blocco all’aumento delle tasse locali varrà per tutti fatta ecce­zione per situa­zioni straor­di­na­rie legate all’addizionale regio­nale per le Regioni in even­tuali disa­vanzi sani­tari». L’aumento delle tasse è qual­cosa che «non deve suc­ce­dere». Quanto al rischio di un rin­caro effet­tivo nelle Regioni che più sof­fri­ranno della revi­sione delle risorse desti­nate alla sanità, «que­sto è uno spa­zio che deve essere lasciato aperto — ha spie­gato ancora — ove ci siano pro­blemi di gestione della sanità». «Tutte le altre impo­ste — ha aggiunto Zanetti — sono bloc­cate». A que­sto si aggiunge anche il rischio dell’aumento della tas­sa­zione sulle seconde case, per com­pen­sare il taglio di quelle sulla prima.
Ci ritro­viamo, dopo il bom­bar­da­mento di annunci, nel cir­colo vizioso dell’austerità. E poi c’è il dato poli­tico di fondo: la gestione della sanità deve tor­nare allo Stato? Oppure le regioni devono con­ti­nuare ad averla in esclu­siva? La mini­stra della Salute Bea­trice Loren­zin ha defi­nito un «errore fatale» la delega della sanità alle regioni. L’uscita non è pia­ciuta alle regioni. E infatti ieri Chiam­pa­rino ha rispo­sto a Loren­zin (e a Enrico Rossi della Toscana): «Se il governo ha lo stesso giu­di­zio si prenda la sanità e la gesti­sca. Tra cin­que anni faremo un con­fronto e vedremo se la sanità della Toscana, del Veneto o dell’Emilia saranno gestite meglio con una gestione centralizzata».
Sullo sfondo emerge un pro­blema comune a molte regioni: il man­cato varo del decreto «Salva Regioni» da parte del governo. Bloc­cato da Mat­ta­rella per un trucco con­ta­bile, il decreto è fon­da­men­tale per coprire 20 miliardi di euro di fondi per i cre­di­tori degli enti locali. è una con­se­guenza della resti­tu­zione dei cre­diti della Pa. Da quando la Corte costi­tu­zio­nale ha impo­sto di con­ta­bi­liz­zarli nei bilanci regio­nali i governi hanno fatto ricorso al fondo «Salva Cre­diti» per ero­garli. Ora che il prov­ve­di­mento è bloc­cato, gli enti locali vedono rosso.

Fonte: il manifesto 

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