La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 23 ottobre 2015

La sinistra e la liturgia del buonismo unitario

di Maria Teresa Accardo
«Quando vivi in un luogo a lungo, diventi cieco per­ché non osservi più nulla. Io viag­gio per non diven­tare cieco». Parte da que­ste parole di Josef Kou­delka, il corag­gioso foto­grafo dell’invasione sovie­tica di Praga, il sag­gio «A fat­tor comune» (Edi­zioni Bor­deaux, da lunedì in libre­ria) un’incalzante e par­ti­giana rifles­sione sulla sini­stra che si misura con il «fare», e cioè il governo, a qual­siasi lati­tu­dine: dal cor­tile di casa nostra all’altro mondo; dai comuni di Madrid, Bar­cel­lona e Milano alla cru­ciale Gre­cia di Tsi­pras, all’Uruguay di Mujica, ai curdi di Kobane, eroici soli­tari com­bat­tenti sul fronte dell’Europa con­tro l’Isis. Per­ché, come dice appunto Kou­delka, biso­gna guar­dare altrove per poter vedere dav­vero quello che c’è a casa nostra. E che l’abitudine, la pigri­zia — e le incro­sta­zioni ideo­lo­gi­che — spesso non fanno più vedere.
Si tratta di un cata­logo ragio­nato delle espe­rienze com­piute, pra­ti­che sociali e ammi­ni­stra­tive della sini­stra del ’si può fare’. L’autore, Mas­si­mi­liano Sme­ri­glio (oggi vice­pre­si­dente della Regione Lazio e scrit­tore noir, ieri asses­sore alla pro­vin­cia di Roma, l’altro ieri mili­tante di Sel, prima di Rifon­da­zione e prima ancora della sini­stra radi­cale romana), lo com­pila con orgo­glio di parte, ma anche pro­vando a non tacerne i limiti. In alcuni casi, vedremo poi, per­sino facendo pro­fonda autocritica.
Pre­messa una lunga ana­lisi sull’Europa, sul ren­zi­smo e sui popu­li­smi, il core busi­ness del ragio­na­mento è il con­fronto ruvido in corso a sini­stra. Nel quale l’autore entra a gamba tesa e con parole espli­cite. Per­ché, è il senso, la sini­stra è fatta di tante cul­ture spesso in dis­senso fra di loro, ma è stuc­che­vole l’ipocrisia ecu­me­nica di chi mette tutte le mili­tanze sullo stesso piano: Sel, il par­tito in cui Sme­ri­glio milita e di cui è diri­gente, ha un patri­mo­nio di «nessi ammi­ni­stra­tivi, mili­tanti, gruppo par­la­men­tare e cen­to­mila cit­ta­dini che hanno deciso di finan­ziarla con il due per mille». Oggi per la sini­stra è finito il tempo dei sani pro­po­siti e quello dei cat­tivi esempi: non è più il momento della litur­gia buo­ni­sta e uni­ta­ria. E per Sel ora si tratta di «deci­dere col­let­ti­va­mente e in fretta quale ruolo giocare».
Una scelta gui­data dal filo di Arianna delle espe­rienze inter­na­zio­nali e nazio­nali. Un filo che si dipana in un per­corso non facile fra «apo­ca­lit­tici inte­grati», e cioè «gli arresi che accet­tano le com­pa­ti­bi­lità e si muo­vono nel solco della ridu­zione del danno» e «apo­ca­lit­tici disin­te­grati», quelli che «con­sta­tata l’impraticabilità di campo, allu­dono a rot­ture rivo­lu­zio­na­rie, tifano per i riot e le rivolte metro­po­li­tane». I rife­ri­menti ai pro­ta­go­ni­sti e alle ana­lisi in cir­co­la­zione sono evidenti.
In mezzo, fra gli uni e gli altri, ci sono «i popoli, i corpi inter­medi, i con­flitti, gli urti, i pro­getti soste­nuti dalla coscienza di luo­ghi. E i sin­daci di tante città grandi e pic­cole» appunto Madrid, Bar­cel­lona, Milano, Genova, Cagliari, Rieti e le altre. L’unica strada per com­porre le dif­fe­renze è il «vin­colo di popolo»: «più la sini­stra è ferma, ideo­lo­gica, lon­tana dal vin­colo di popolo, quindi in sostanza eli­ta­ria, (…) e più frat­ture e scis­sioni sono die­tro l’angolo». È la chiave per ogni deci­sione del per­corso uni­ta­rio in corso: la prima, la più vicina — e dicia­molo, la mic­cia accesa sotto il tavolo della cosid­detta ’cosa rossa’ — è il voto di pri­ma­vera. «Chi pensa di uti­liz­zare le ammi­ni­stra­tive per con­tarci in un pro­cesso a freddo di anta­go­ni­smo al Pd anzi­ché misu­rarci con un pro­getto città per città sba­glia», «alle ammi­ni­stra­tive si misura l’internità alla comu­nità locale e la cre­di­bi­lità delle per­sone e del pro­getto poli­tico», scrive l’autore rispon­dendo a un’intervista del mani­fe­sto alle­gata al sag­gio. È la cul­tura poli­tica «l’oggetto più deli­cato della con­tesa nel nuovo cantiere».
E al capi­tolo cul­tura poli­tica apriamo una paren­tesi su un’autocritica desti­nata a susci­tare malu­mori anche nel suo par­tito. L’autore torna sul ’98, anno cru­ciale per la sini­stra ita­liana, quando la Rifon­da­zione di Ber­ti­notti si inte­stò orgo­glio­sa­mente la caduta del governo Prodi. Sme­ri­glio, all’epoca gio­vane diri­gente e tifoso della ’rot­tura’, oggi la pensa diver­sa­mente: «Un errore dram­ma­tico (…) in una società fra­gile come quella ita­liana, quel governo era un’opzione vera di costru­zione di un campo demo­cra­tico in cui la sini­stra poteva svol­gere la sua fun­zione». Una rifles­sione su ieri che parla all’oggi, forse anche a domani. Anche per que­sto il sag­gio pia­cerà ad alcuni e dispia­cerà ad altri, e parec­chio. Ma è una rifles­sione che ha il pre­gio di essere espli­cita per­ché ormai, vi si legge, «c’è biso­gno di chia­rezza senza tat­ti­ci­smi. C’è biso­gno di una bat­ta­glia poli­tica a volto sco­perto, sana e dispiegata».

Fonte: il manifesto 

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