La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 24 ottobre 2015

Eran cinquecento, erano giovani e forti e …..

di Patrizio Dimitri e Giorgio Prantera 
La settimana scorsa Matteo Renzi in diretta televisiva ha promesso “una misura ad hoc per portare in Italia cinquecento professori universitari anche italiani che insegnano all’estero”. Un inatteso coup de téâtre che merita alcune doverose considerazioni.
Molti stati europei programmano in anticipo piani di spesa dettagliati e investono percentuali significative del PIL in ricerca perché essa rappresenta un elemento cardine per la crescita di un paese. In Italia, al contrario, la ricerca pubblica vive da anni in assenza di risorse e di programmazione. A fronte di uno dei più bassi investimenti mondiali in rapporto al PIL, dal 1996 al 2010 l’Italia è comunque all’ottavo posto nel mondo per produzione scientifica. Una sorta di miracolo definito “italian paradox”. Immaginiamo quali risultati potremmo ottenere, se avessimo dei finanziamenti adeguati.
Nel 2008, Renato Dulbecco, premio Nobel per la Medicina, ammoniva: “Un paese che investe lo 0,9% del PIL in ricerca, contro la media del 2% degli altri, non può essere scientificamente competitivo, né attirare a sé o trattenere i suoi ricercatori migliori” e da allora è andata sempre peggio.
I tagli sempre più pesanti e indiscriminati, inflitti da tutti i recenti governi ai fondi di finanziamento ordinario degli atenei e il blocco del turn over deciso dalla premiata ditta Gelmini & Co, hanno portato al collasso definitivo del sistema universitario e della ricerca. Sono aumentate le tasse universitarie, sono diminuiti gli studenti iscritti e si è verificata un’emorragia di professori. Basti pensare che dal 2008 al 2014 gli ordinari sono calati del 30% e gli associati del 17%: nel complesso si assiste a una riduzione del 25% rispetto media europea, come segnalato dal CUN
I finanziamenti per la ricerca di base hanno toccato il fondo. Il caso paradigmatico è quello dei Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale (Prin) istituiti nel 1996 dal governo Prodi, che rappresentavano il principale supporto per la ricerca pubblica. Da un budget di 137 milioni di euro destinati nel 2003 alle 14 aeree disciplinari, dopo nove anni, grazie alla spending review del governo Monti, si è arrivati al minimo storico di 38 milioni di euro! Un’elemosina e un insulto alla professionalità di migliaia di ricercatori che nei casi migliori hanno racimolato solo briciole. Infine, il governo Letta, invece di rimediare a tale scempio, ha addirittura cancellato il bando Prin 2013. In questi giorni si vocifera che un nuovo bando Prin stia per essere pubblicato con un budget di circa 90 milioni di euro, una somma che, a causa dello stop di tre anni, sarà comunque insufficiente per garantire risorse adeguate alle valanghe di ricercatori che presenteranno domande di finanziamento.
In tali frangenti “di doman non c’è certezza” e molti giovani e non, sono stati spinti a cercar fortuna presso università e centri di ricerca esteri. Se da una parte è più che giusto dare ai “cervelli fuggiti” la possibilità di rientrare in Italia, dall’altra non dobbiamo dimenticare i “cervelli nostrani”, quelli che sono rimasti e mandano avanti la baracca da anni, sottopagati e in condizioni ambientali che definire avverse è un eufemismo. Il problema, quindi, non è solo far rientrare i cervelli meritevoli o attirare quelli stranieri (ci chiediamo quali saranno mai questi temerari), ma soprattutto arrestare o ridurre la fuga di talenti dal nostro paese: dobbiamo trattenerli con azioni concrete e investimenti degni di questo nome, non con proclami spesso disattesi dalla realtà dei fatti e dall’instabilità dei governi.
Caro Renzi, per risollevare Università e Ricerca italiana non servono azioni occasionali, ma interventi incisivi e di ampio respiro. Nell’imminente legge di stabilità è necessario prevedere un programma di investimenti sostanziosi e duraturi per il reclutamento dei giovani, la progressione delle carriere e il finanziamento della ricerca pubblica. Solo così, garantendo nuove risorse e certezze a tutti, giovani e meno giovani, si potrà diventare ancora più competitivi nel panorama internazionale. Per tornare finalmente “a riveder le stelle” e uscire da questo inferno quotidiano, vedendo riconosciute qualità e competenze, senza dover più improvvisare, senza più vivere alla giornata.
Una nota finale: mentre da noi i governi tagliano la ricerca, in USA il budget del National Institutes of Health, che finanzia vari settori della ricerca, è passato dai 28 miliardi di dollari del 2008 ai 32 del 2013! Che in Italia la soluzione per uscire dal guado non sia quella di reclutare una nuova classe politica dall’estero?

Fonte: roars.it

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