La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 22 ottobre 2015

Il manifesto della sinistra Pd, quasi ex

di Daniela Preziosi
No, non si può par­lare di scis­sione nean­che que­sta volta. E non solo per­ché Roberto Spe­ranza, gio­vane lea­der man­cato dell’altrettanto man­cato rin­no­va­mento dell’area ber­sa­niana, non accetta «nean­che di sen­tirla nomi­nare» e così il gruppo di una mino­ranza Pd bersanian-cuperliana in piena voca­zione mino­ri­ta­ria e pro­fonda crisi di iden­tità. Non se ne può par­lare per­ché, al momento, i numeri della pros­sima migra­zione dal Pd verso il deserto della sini­stra, data per immi­nente, restano incerti e comun­que magri.
Se n’è discusso lunedì sera in un «ape­ri­cena» in un locale vicino alla camera. Pre­senti molti della mino­ranza Pd, i più cri­tici, i più tor­men­tati dall’idea di lasciare il par­tito ma anche da quella di restarci dopo aver espresso, come stanno medi­tando di fare alcuni, l’ennesimo no: no alla riforma costi­tu­zio­nale, che sta per appro­dare a Mon­te­ci­to­rio, e no alla legge di sta­bi­lità, che si voterà a dicem­bre. Gli invi­tati all’informalissimo appun­ta­mento, con­vo­cati con un pas­sa­pa­rola con­fi­den­ziale, erano meno di una ven­tina, i cui nomi sareb­bero coperti da un patto di discre­zione: in molti sono sin­ce­ra­mente inde­cisi sul da farsi e non hanno alcuna voglia di finire anzi­tempo nelle liste di pro­scri­zione renziane.
Di certo c’era Alfredo D’Attorre, che ha già sco­perto le carte: detto che se la finan­zia­ria «non cam­bierà segno» lascerà il Pd; Franco Monaco, l’ulivista ancora oggi vici­nis­simo a Romano Prodi, il depu­tato che dalle colonne del mani­fe­sto ha invi­tato la sini­stra Pd a «pren­dere atto di dif­fe­renze ideali, poli­ti­che e pro­gram­ma­ti­che non com­po­ni­bili in un mede­simo par­tito» e a «sepa­rarsi senza reci­proci ana­temi»; Cor­ra­dino Mineo, uno dei due sena­tori dem che hanno votato no alla riforma costi­tu­zio­nale (l’altro è Wal­ter Tocci, aste­nuti Mario Tronti e Felice Cas­son); l’ex diret­tore di Rai­news fin qui non ha rispo­sto al richiamo di Civati ma ora sta­rebbe medi­tando l’addio al par­tito. C’era anche Vin­cenzo Folino, ber­sa­nia­nis­simo depu­tato della Basi­li­cata (come D’Attorre); Ste­fano Fas­sina, che è già nel gruppo misto dal giu­gno scorso; e infine il poli­to­logo bolo­gnese Carlo Galli, cri­tico impla­ca­bile dell’era renziana.
L’aperitivo c’era, ma l’atmosfera non aveva niente di mon­dano. I con­ve­nuti si sono scam­biati le idee su un docu­mento scritto negli scorsi giorni pro­prio dal pro­fes­sore Galli, dal titolo ri-fondativo «Tesi per una sini­stra demo­cra­tica sociale repub­bli­cana». Il testo è stato inviato a una quin­di­cina di col­le­ghi, fra cui Pier Luigi Ber­sani e Gianni Cuperlo. Sette pagine arti­co­late in cin­que capi­toli. Si parte dalla neces­sità di «supe­rare il togliat­ti­smo senza Togliatti» per­ché «il rea­li­smo senza una grande idea da pre­ser­vare e da rea­liz­zare non è sini­stra, ma è solo oppor­tu­ni­smo»; si passa per la cri­tica al blai­ri­smo, all’«ordoliberismo», e, in Ita­lia, per il fal­li­mento dell’idea che «non esi­ste un mer­cato, un’economia, senza una poli­tica che la sorregga».
Ma il core busi­ness di quello che è nei fatti un mani­fe­sto della sini­stra Pd quasi ex Pd si legge nei due capi­toli finali. «La tra­sfor­ma­zione lea­de­ri­stica e accla­ma­to­ria della poli­tica va di pari passo con l’indebolimento poli­tico, cul­tu­rale e orga­niz­za­tivo del Pd (tranne che nel dato elet­to­rale rela­tivo, che non a caso viene assunto come base delle riforme elet­to­rali) e con il suo spo­sta­mento al cen­tro», scrive Galli. «E la grande forza è il suo appa­rire privo di alter­na­tive, soprat­tutto di sini­stra». Oggi è però arri­vato il momento della «grande deci­sione»: «Se ci sia spa­zio per la sini­stra, e in caso affer­ma­tivo se tale spa­zio sia interno o esterno al Pd».
Esterno, pare sug­ge­rire il pro­fes­sore: per­ché dopo il primo anno di governo Renzi la «sini­stra degli emen­da­menti» che si accon­tenta delle «lima­ture» ha dimo­strato la sua inef­fi­ca­cia e via via la sua irri­le­vanza. E invece que­sta nuova sini­stra «deve guar­darsi dall’estremismo, e tut­ta­via essere deci­sa­mente di oppo­si­zione, in con­sa­pe­vole alter­na­tiva alla stra­te­gia del Pd di oggi».
Ormai il «mani­fe­sto» cir­cola nelle mail di molti par­la­men­tari della mino­ranza che si chie­dono che fare. Se ne ripar­lerà dopo la riu­nione dei depu­tati dem sulla legge di sta­bi­lità e defi­ni­ti­va­mente dopo il voto sulla riforma costi­tu­zio­nale.
Ma un nuovo gruppo alla camera ormai è certo. Sel si sta già pre­pa­rando allo scio­gli­mento del suo in un nuovo con­te­ni­tore più grande che spa­lan­cherà le brac­cia ai dem in fuga da Mat­teo Renzi. «Ci saremo», spiega uno di loro, «la nostra cri­tica alla finan­zia­ria di Renzi diven­terà il mani­fe­sto di uno sbocco poli­tico largo e acco­gliente di una sini­stra popo­lare, aperta e non mino­ri­ta­ria. Sarà, per­ché no, un ritorno alle abban­do­nate radici uli­vi­ste».
Una parola d’ordine, quella uli­vi­sta, pra­ti­ca­mente ban­dita dal tavolo della ’cosa rossa’ che si è riu­nito in que­sti ultimi giorni con l’ambizione di lan­ciare un nuovo sog­getto di sini­stra anti-Renzi. Un altro, però.

Fonte: il manifesto 

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