La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 22 ottobre 2015

I tweet del governo scrivono una debacle annunciata

di Michele Prospero
C’è un’overdose di comunicazione che scorre con incontinenza e comincia a destare visibili segnali di rigetto. Il governo del cinguettio infinito si vanta di aver presentato, per la prima volta nella storia, la legge di stabilità con un fiume di tweet. E però la trovata del marketing pubblicitario, come surrogato dell’argomentazione istituzionale verosimile, va incontro alla disillusione. Sebbene abbiano una grande pazienza, i nudi fatti, a un certo punto, si infastidiscono. E reagiscono in malo modo al potere sfacciato che, con la sua dittatura dell’ottimismo, sfida ogni senso del limite.
L’hashtag “Italia col segno più” rientra in un chiacchiericcio che produce ormai più irritazione che consenso. Senza opposizione, il governo riesce nell’impresa di affondarsi da solo.
Le sue metafore, spacciate per fascinosa ipermodernità, cominciano a stufare anche i più distratti consumatori di spot. Il pubblico avverte che le colossali palle della narrazione delle “buone notizie”, sfornate con 25 tweet conditi con il campionario della banalità, non corrispondono al vissuto reale.
Con il tetto alzato a 3 mila euro per l’uso dei contanti, con altri soldi e decontribuzioni a favore dell’impresa (“ancora sgravi per chi assume, meno di prima però, affrettarsi prego”), con il taglio della Tasi per i castelli (anche per il Cavaliere sarebbe stato osare troppo), il governo ha costruito il suo programma con l’obiettivo di sgonfiare la destra. Pensa cioè che, con una finanziaria che regala risorse ai ricchi, allargando la maglia del deficit pubblico, diventa un giochino tranquillo la conquista dell’elettorato moderato, peraltro orfano di Berlusconi.
Per questo mette al bando ogni questione relativa all’evasione fiscale. E, dopo la cancellazione dell’articolo 18, la guerra alla scuola pubblica, il taglio alla sanità, Renzi può vantarsi di aver realizzato per intero il programma massimo di governo che la destra ha invano cercato di attuare, urtando ogni volta contro il muro di un’opposizione politica e sociale. Il governo dei nuovi arrivati gongola, rivendicando la velocità del potere grazie all’inebriante effetto della leadership energica che decide su cose che parevano impossibili.
Una celerità, in effetti, si riscontra, ma è la rapidità che accompagna un governo che accelera alla cieca solo per realizzare il programma dell’avversario. È chiaro che portando a compimento il sogno ventennale della destra, il cammino dell’esecutivo risulta quanto mai spedito. Quando però si tratta di rispondere a problemi reali che incidono sul destino delle persone, il governo procede a passo di gambero.
Non si indicano risorse per sboccare i contratti pubblici fermi da lustri (altro che “la Quaresima è finita”, di cui fantastica “la Repubblica”). Ancora esistono sul lastrico migliaia di esodati. Le timide aperture sui diritti civili camminano a ritmo lento. Neppure un cenno viene fatto a politiche economiche contro la disoccupazione giovanile. Di misure urgenti contro la morte civile ed economica del Sud, neanche a parlarne.
Il governo procede a passo ostruzionistico per bloccare le innovazioni che hanno un volto di sinistra e poi corre di scatto per far approvare manu militare le misure care all’impresa. L’illusione di occupare lo spazio della destra, per strapazzarla al voto, potrebbe incontrare però clamorose smentite. Il calcolo che ha ispirato la legge elettorale, disegnata nella sicurezza di vincere senza alcun problema contro un avversario di cui si è realizzato il programma, potrebbe rivelarsi del tutto infondato.
Non è infatti dalla destra che verranno le insidie. La sua prova di arroganza, il governo potrebbe pagarla assai cara alle urne vedendosela con il M5S, che potrebbe raccogliere un trasversale voto di rifiuto dei logori segni del comando. Più allontana il giorno del voto e più il governo contribuisce a bucare il pallone della narrazione. Non rimane che un’impalpabile fabbrica di annunci, e una tangibile strafottenza del potere. Quella che si sta sempre più chiaramente definendo è una radicale contrapposizione tra i nuovi arroccati al governo e la società, che non sopporta più il regno della chiacchiera, il tweet di continua strafottenza (“si scrive legge di stabilità, si pronuncia legge di fiducia”). E quindi non sarà una destra azzoppata e acefala a contendere il governo al Partito della Nazione.
Verso il M5S, nelle passate elezioni europee, ha funzionato l’arma della drammatizzazione, con il grido di dolore sui nuovi cosacchi in arrivo e pronti al sorpasso. Ma questo effetto d’immunizzazione si sta ora sgonfiando. Dinanzi al nulla che stravolge la Costituzione, maltratta il lavoro rendendo un affare per l’impresa assumere cancellando i diritti, distrugge il pubblico, anche un moto primitivo di rivolta potrà sembrare liberatorio. Gramsci diceva che la biscia è la prima a essere morsa dal serpente. E cioè che il demagogo è la prima vittima della sua stessa demagogia.
Un gigantesco grido di “basta” accoglierà l’ennesimo tweet del governo contro “il vittimismo che è un ostacolo alla crescita”. I tweet di Palazzo Chigi scrivono quindi la cronaca di una sconfitta annunciata e però la costruzione di un’alternativa sociale e politica arranca. Peccato che i lavori in corso a sinistra siano così lenti e ancora con così pochi pensieri.

Fonte: Rassegna sindacale

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