La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 22 giugno 2016

Spagna, grande coalizione o governo delle sinistre?

di Steven Forti
Domenica gli spagnoli tornano a votare dopo soli sei mesi. Nuove elezioni dunque, anche se Pablo Iglesias preferisce chiamarle “il secondo turno” del 20 dicembre. Secondo i sondaggi, il Partido Popular (PP) si confermerebbe primo partito, mentre Unidos Podemos potrebbe diventare la seconda forza nel Parlamento di Madrid, superando anche i seggi il Partido Socialista Obrero Español (PSOE). Saranno chiave i risultati di alcune circoscrizioni per determinare la correlazione di forze e le possibili maggioranze di governo. Due le opzioni al momento: o una grande coalizione o un governo di sinistra. I comizi dello scorso 20 dicembre hanno cambiato radicalmente il panorama politico spagnolo figlio della transizione dalla dittatura franchista alla democrazia.

Il nostro populismo

di Loris Caruso 
A pochi giorni dalle elezioni spagnole, dai sondaggi emerge un quadro uniforme: il primo partito dovrebbe essere ancora il PP di Rajoy (28-30%), la coalizione di Podemos e Izquierda Unida (Unidos Podemos) sarebbe seconda (24-26%), il Psoe terzo (20-22%), Ciudadanos quarto (13-15%). Uno dei temi più dibattuti in campagna è quello delle alleanze post-elettorali. Con chi si alleerebbero i diversi partiti? Si assiste a un paradosso. Tutti cercano di sedurre il partito socialista. Il PP gli propone una grande coalizione, Unidos Podemos un governo progressista, Ciudadanos un governo riformista. Tutti lo vogliono, ma il Psoe si nega. Non esprime preferenze. Non può farlo. Le sue divisioni interne e la necessità di mobilitare la base per resistere all’«assalto» di Unidos Podemos lo rendono afono, timoroso di scontentare una parte dei propri dirigenti ed elettori. Ma il Psoe, in realtà, ha scelto. Lo ha fatto già dopo le elezioni di dicembre, firmando un accordo di governo con Ciudadanos. Tutto lascia pensare che anche questa volta eviterà di governare con Podemos.

Il No antifascista spiegato a Boschi

di Mauro Volpi 
Alle 17.30 di oggi a Perugia si svolgerà una iniziativa per il No al referendum costituzionale organizzata dall’Anpi alla quale parteciperà il suo presidente nazionale Carlo Smuraglia, che si svolgerà al Teatro del Pavone, lo stesso luogo dove il 6 maggio la ministra Boschi ha insultato i sostenitori democratici del No equiparandoli ai fascisti di CasaPound. L’iniziativa, oltre ad essere una risposta civile alla sguaiata provocazione della ministra, vuole mettere l’accento sullo stravolgimento di alcuni principi tipici del costituzionalismo democratico che sono capovolti dall’insieme delle due leggi, elettorale e costituzionale, approvate dalla maggioranza parlamentare. Innanzitutto viene ribaltata l’idea di fondo secondo la quale «I governi cambiano, la Costituzione rimane», soppiantata da quella per cui «La Costituzione deve cambiare perché il governo resti».

Torino, strategia contro il dissenso

di Livio Pepino
Il copione si ripete. Ieri mattina, appena ventiquattrore dopo il terremoto elettorale che ha rimesso in discussione, a Torino, gli equilibri politici intorno alla Nuova linea ferroviaria Torino-Lione, un ennesimo grappolo di misure cautelari si è abbattuto su esponenti del movimento No Tav. Ancora una volta le misure si riferiscono a fatti accaduti un anno prima (il 28 giugno 2015 intorno al cantiere della Maddalena di Chiomonte allorché un gruppo di dimostranti tentò e in parte riuscì ad agganciare e rimuovere, con un gesto di evidente significato simbolico, pezzi delle reti di recinzione). Ancora una volta l’accusa è di resistenza a pubblico ufficiale (con l’appendice di alcuni reati minori). Ancora una volta gli indagati colpiti dalle misure sono, nella stragrande maggioranza, persone note nel movimento, ben conosciute dalle forze dell’ordine, non certo interessate a sottrarsi alle indagini con la fuga o a manomettere e inquinare le prove dei fatti.

martedì 21 giugno 2016

Stop ai palazzinari. Intervista a Paolo Berdini

Intervista a Paolo Berdini di Paolo Boccacci
Sarà proprio lui, Paolo Berdini, il nemico giurato del nuovo piano regolatore di Roma e della città disegnata dai sindaci Rutelli e Veltroni, il nuovo assessore all'Urbanistica nella futura giunta di Virginia Raggi. Magro, un paio di baffi sottili, classe 1948, docente, saggista (La città in vendita è un suo saggio uscito per Donzelli), da sempre un "uomo contro", ha collaborato con Italo Insolera all'ultima edizione di un testo storico come Roma Moderna, una bibbia dell'urbanistica.
Per cominciare, la domanda che si fanno tutti: ma Berdini, da sempre vicino alla sinistra radicale e fautore di un'urbanistica altrettanto radicale, che ci fa a braccetto con i 5 Stelle?

Il vicolo cieco dell’Europa

di Jean Bricmont
La costruzione dell’Europa è iniziata come il sogno delle èlite europee ed è divenuta l’incubo dei popoli europei. Per un certo numero di intellettuali e politici europei il sogno consisteva nel trasformare l’Europa in una specie di super-stato, in grado di rivaleggiare con gli Stati Uniti. Per altri l’idea era di liberarsi dello stato-nazione una volta per tutte, poiché era considerato prevalentemente responsabile dei mali del ventesimo secolo. Tuttavia, a parte il fatto che questo sogno ha sempre goduto del forte sostegno degli Stati Uniti, il che getta dubbi sulla sua affermazione di costituire un’alternativa al dominio statunitense, esso soffre di un difetto fatale: l’inesistenza di un popolo europeo. Cioè una maggioranza schiacciante dei cittadini europei si sente parte dei propri rispettivi stati-nazione o addirittura di entità ancora più piccole (Scozia, Catalogna, Fiandre, ecc.) molto più di quanto si senta “europea”.

Immobilizzare il PD per poterlo meglio colpire

di Commonware
Il voto non è quasi mai espressione pura della composizione sociale, non lo era neanche in epoche in cui la rappresentanza sembrava riflettere le classi intese in senso sociologico. Il riformismo operaio si esprimeva nel voto al PCI, ma quanti operai votavano “bianco”? In fondo, di cosa votassero ci è sempre importato relativamente. Nei primi anni Sessanta i nuovi operai venuti dal Mezzogiorno, alle elezioni sindacali votavano “giallo”, prendevano la tessera della Cisl o della Uil, gli stessi che nel 1962 la Uil la assaltarono guadagnandosi dal PCI la patente di provocatori. Non sappiamo cosa votino i lavoratori delle raffinerie e dei trasporti francesi, né i risparmiatori italiani truffati dal decreto salva-banche, anche se sappiamo contro chi hanno votato a questo giro.

Trump e il crollo della società americana. Intervista a Noam Chomsky

Intervista a Noam Chomsky di CJ Polychroniou
Gli Stati Uniti stanno affrontando tempi incerti. Anche se restano l’unica superpotenza globale, non sono più in grado di influenzare eventi e risultati a proprio piacimento, almeno non del tutto. La frustrazione e la preoccupazione per il rischio di disastri imminenti sembrano superare di gran lunga le speranze degli elettori statunitensi per un ordine mondiale più razionale e giusto. Nel frattempo, secondo Noam Chomsky, la crescita e la popolarità di Donald Trump è dovuta al fatto che la società americana sta collassando. In questa intervista esclusiva con Truthout, Noam Chomsky prende in esame gli sviluppi contemporanei sia negli Stati Uniti che in tutto il mondo e sfida i punti di vista predominanti sulla lotta di classe, il neoliberismo come risultato delle leggi economiche, il ruolo degli Stati Uniti come potenza globale, lo stato delle economie emergenti e il potere della lobby israeliana.

Brexit e non solo, le scelte cieche delle élites

di Alberto Burgio 
Il destino ce la mette tutta per farci capire, eppure sembra che intendere sia per molti una missione impossibile. Soprattutto per chi ci governa. Raramente, nella storia recente, si sono verificate congiunture tanto limpide. Mentre in regioni critiche delicati equilibri geopolitici vanno in frantumi e ovunque si segnala il rischio di attentati, in molti paesi occidentali si profila la vittoria delle forze populiste. In Francia il Front National è il primo partito e da noi i 5 Stelle potrebbero far saltare il banco se si alleassero davvero con la Lega. In Austria Hofer ha perso per un soffio. In Germania la destra di Pegida e AfD è sempre più forte mentre in tutta l’Europa ex-socialista monta la marea neofascista.

Referendum, tutti uniti contro Renzi

Intervista a Giuseppe Civati di Valerio Valentini
C’era una volta il partito dei sindaci. «Vogliamo rievocare un fatto vecchio di 25 anni? Pensavo di dover parlare del presente». Fa finta di non capire Pippo Civati, rievocando la stagione dei Bassolino e dei Cacciari, dei Rutelli e dei Formentini. O forse è naturale che Civati abbia voglia di scherzare, all’indomani della batosta elettorale subita da quel Partito democratico da cui l’attuale leader di Possibile decise di uscire nel maggio del 2015. No, onorevole Civati. Il riferimento era al partito dei sindaci di cui Matteo Renzi si è più volte proclamato paladino. Un partito che proprio in occasione di elezioni amministrative è uscito sconfitto. Come si spiega?

È finita l'aria serena dell'Ovest


di Alessandro Gilioli
Se Aristotele ci diceva che non c'è effetto senza causa, i risultati delle elezioni ci dicono sempre che ogni effetto ha più cause: insomma che è sciocco individuare un unico motivo di una stessa ondata. Il che è tanto più vero quando si tratta di elezioni amministrative, quindi le tendenze nazionali (che pure ci sono) si mescolano a situazioni locali. Però qualche ipotesi si può farla, a iniziare dal confronto con l'onda molto diversa di due anni fa, quella delle europee con il Pd oltre il 40 per cento. Già nei giorni successivi a quel voto chi non era ipnotizzato aveva abbastanza chiaro il fatto che il risultato di Renzi fosse gonfiato da un mix di cause coincidenti: un'assenza di accountability quasi virginale (era premier da soli tre mesi, insomma non doveva ancora render conto di niente); la narrazione ancora fresca del nuovo contro il vecchio (quindi la possibilità di incanalare nei suoi consensi una fetta del desiderio diffuso di cambiamento); la provvisoria chance di assommare questi voti nuovi a tutto il corpaccione storico del Pd (cioè l'abbrivio di provenienza Pci, il 20-25 per cento che votava Pd senza se e senza ma).

Meno crescita e più disuguaglianza: effetti del neoliberismo secondo l'Fmi

di Maurizio Franzini
Jonathan Ostry – vicedirettore del Dipartimento economico del Fondo Monetario Internazionale formatosi a Oxford, alla London School of Economics e alla Università di Chicago – dopo avere prodotto, con diversi coautori, importanti studi empirici sul rapporto tra disuguaglianza e crescita, poche settimane fa ha pubblicato sulla rivista trimestrale del FMI, Finance and Development, un breve paper scritto con Prakash Loungani e Davide Ferceri, dal titolo Neoliberalism: Oversold? la cui principale conclusione è che alcune politiche distintive del neoliberismo – fortemente sostenute in passato dal FMI – hanno sortito effetti opposti a quelli che ci si attendeva.

L’Europa chiama populista chi rifiuta le oligarchie

Intervista a Barbara Spinelli di Silvia Truzzi
La parola è populismo. «Queste elezioni rappresentano una svolta che mette in dubbio molte granitiche certezze nella classe politica tradizionale. In particolare confutano slogan che sembravano punti di forza e invece si sono rivelati fragilissimi», spiega Barbara Spinelli, giornalista, scrittrice ed europarlamentare, Indipendente del gruppo GuE-Ngl (Sinistra unitaria europea). «La prima accusa che in genere viene rivolta al Movimento 5 Stelle è quella di populismo. Ma le urne di domenica ci dicono che il populismo di cui si parla con tanto disprezzo non è in fondo altro che il desiderio, profondo, di restaurare in pieno la sovranità popolare».

Con Renzi si perde. E di brutto. Il Pd dovrebbe licenziarlo

di Michele Prospero
Che botta. Ha incassato il duro colpo quando ha fatto il presidente conduttore per tirare la volata a Giachetti, che non c’è stata. E le ha buscate anche quando ha giocato (ma solo giocato) a fare lo statista che si fa riprendere con Putin a discutere sulle grandi cose del mondo. Per Renzi suona la campana, con il rintocco lento che annuncia il commiato: dà fastidio agli elettori con la sua presenza (i candidati sindaco non l’hanno più voluto dalle loro parti in vista del ballottaggio) e viene inseguito dalla rabbia anche quando, per evitare di condividere la sconfitta, si fa notare con la sua plateale assenza. Un dato pare assodato. Non è credibile un uomo di governo che adotta lo stile del comico che non prende nulla sul serio e cavalca l’onda dell’antipolitica pensando così di sbarazzare la concorrenza con riduzioni degli spazi di democrazia giustificate con la finzione di tagliare i costi della politica. Il populismo dall’alto, che mostra un capo di governo che con simulazioni di estraneità si presenta come il becchino della classe politica, viene rigettato come fastidioso.

Oltre la crisi, tra green economy e cambiamento tecnologico

di Daniela Palma 
Stretta da anni nella morsa di una crisi profonda e persistente, l’economia mondiale è oggi anche sempre più obbligata a confrontarsi con le drammatiche conseguenze del riscaldamento globale e del cambiamento climatico connessi alle attività umane. In tale contesto, i rinnovati e più estesi accordi internazionali sulla riduzione delle emissioni di gas serra, scaturiti dalla Conferenza sul Clima di Parigi del 2015 (con l’obiettivo di mantenere il surriscaldamento del pianeta al di sotto dei 2 gradi, l’adesione degli Stati Uniti e la programmazione di finanziamenti per mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici nelle aree più arretrate), rappresentano lo scenario entro cui i paesi avanzati debbono guardare al superamento dell’attuale fase di depressione, di cui sono protagonisti, tenuto conto del processo di sviluppo che si è innescato nelle economie di nuova industrializzazione a partire dal nuovo millennio.

Quando un voto parla chiaro

di Ida Dominijanni
Due giovani donne moderate e determinate, trasversali e discrete, hanno rottamato senza spocchia e senza urla il rottamatore Renzi, il suo inguaribile bullismo politico e il suo partito tutt’intero, che d’un tratto appare invecchiato d’un secolo. Il dato è tanto netto che nemmeno lo stesso Pd ha provato a offuscarlo nella nota ufficiale emessa in piena notte, anche se Renzi, attraverso i suoi giornalisti di fiducia (chiamiamoli così), fa sapere che non ha perso per un eccesso ma per un difetto di nuovismo, rottamazione e sicumera, e che dunque insisterà. Contro ogni evidenza, perché il messaggio è omogeneo e parla chiaro. Parla Roma, dove la fine del credito al Pd passato e presente è stata più travolgente di quanto chiunque si aspettasse. Parla Torino, dove gli effetti della crisi economica e sociale sono stati più forti del riformismo à la Marchionne del partito che vide la luce – non dimentichiamolo – al Lingotto.

Brexit? Cameron ha sbagliato tutto. Intervista a Donald Sassoon

Intervista a Donald Sassoon di Leonardo Clausi 
Allievo di Eric Hobsbawm, Donald Sassoon è professore emerito di Storia europea comparata presso il Queen Mary College, University of London, autore di una sequela di testi sulla storia del comunismo italiano, del socialismo e dei consumi culturali europei, ed è da qualche tempo al lavoro su un opus magnum sulla parabola del capitalismo globale. Profondo conoscitore dell’Italia, cura dal 2007 il festival storiografico genovese La storia in piazza, e i suoi libri sono tradotti in molteplici lingue. Quando si tratta di rivolgere lo sguardo alla cruciale data referendaria che attende il Regno Unito, il prossimo 23 giugno, non sembra nutrire troppi dubbi: l’incombente rischio di autoesclusione della Gran Bretagna dal consesso europeo sembrerebbe oscillare fra il tragico e il farsesco, ma potrebbe avere ripercussioni – reali – d’inusitata gravità.

La crisi dei "due Mattei" e le (tante) alternative possibili

di Thomas Müntzer
Nulla più di questa campagna elettorale certifica l’elemento di cui si parla da tempo: la distanza accumulata tra la Politica – quella degli apparati che hanno governato alternativamente negli ultimi 25 anni – e la società. Distanza e incomprensione della realtà che sicuramente in questa tornata ha trovato i suoi campioni nel Pd renziano. Solo tre mesi fa, con l’arroganza tipica della “generazione Renzi”, il membro della segreteria Pd Ernesto Carbone ebbe la geniale idea di lanciare su twitter l'hashtag #ciaone subito dopo aver visto il quorum del referendum sulle trivelle fermarsi al 35%. Fu Maurizio Crozza, ben più ancorato alla realtà, a fargli notare: “Guarda che tu insulti così chi ha votato… ma poi quelli rivotano!”. Bastava in fondo un po’ di percezione della realtà, o almeno una calcolatrice, per scoprire che in una fase in cui l’affluenza alle urne non arriva nemmeno al 60%, il 35% fa presto a diventare maggioranza, e magari non conviene insultarlo.

Psichiatria e potere. Intervista a Giorgio Antonucci

Intervista a Giorgio Antonucci di Moreno Paulon
Dalla collaborazione con Franco Basaglia fino alla chiusura dei manicomi di Imola, uno dei più noti psicanalisti italiani ripercorre la sua vita professionale, ci ricorda che le “malattie mentali“ non esistono e spiega perché il principale nemico è ancora lo Stato. Giorgio Antonucci (Lucca, 1933) è un medico italiano che ha dedicato i suoi studi e il suo lavoro ad abolire la violenza psichiatrica. Ha lavorato con Franco Basaglia nell'ospedale di Gorizia, ha diretto vari istituti psichiatrici sul territorio nazionale ed è autore di numerose pubblicazioni di ispirazione libertaria nelle quali pone in discussione gli assunti stessi dell'epistemoligia psichiatrica. Assumendo lo spirito dell'etica basagliana, ha lavorato allo smantellamento del manicomio di Imola.

Il reddito di cittadinanza. Limiti da non ingigantire, luci da non oscurare

di Elena Granaglia 
La bocciatura del reddito di cittadinanza sancita dal referendum svizzero dello scorso mese è stata da molti accolta come inevitabile e salutare. Ciò non dovrebbe stupire. L’idea che ciascuno possa avere un reddito incondizionato, a prescindere dalle risorse detenute e dalla disponibilità a lavorare, come richiesto dal reddito di cittadinanza, incontra molte resistenze. Alcune di esse, ossia, il costo finanziario, la disincentivazione del lavoro e il rischio di abolizione dello stato sociale, sono esaminate nella scheda di Del Buono e Gianni su questo numero del Menabò. Altre concernono la vera e propria ingiustizia di dare a tutti, compresi i ricchi, di “fare parti uguali fra i disuguali”.

Democrazia e verità: vite nella gabbia delle identità

Intervista a Julian Nida Rümelin di Gianpaolo Cherchi
L’idea di cosa sia una democrazia appare offuscata da interessi di carattere tecnocratico, che alla prassi parlamentare oppongono l’esigenza e la necessità di un governo di esperti. Questo fenomeno, oltre al rischio di sfociare in nuove forme di autoritarismo, pone una questione fondamentale, ovvero quella di comprendere fino a che punto la democrazia nella sua forma parlamentare sia in grado di mantenere e difendere le proprie pretese di verità, non solo sul piano normativo ma anche sul piano empirico. Abbiamo intervistato Julian Nida Rümelin, uno dei più conosciuti intellettuali in Germania, ex ministro della cultura nel primo governo del socialdemocratico Gerhard Schröder, professore ordinario di filosofia e teoria politica alla Ludwig Maximilian Universität di Monaco, e autore di numerosi saggi di teoria politica, tra i quali Democrazia e verità (Franco Angeli editore, pp. 128, euro 17), il suo primo libro tradotto in Italia.

La Costituzione e il No a Renzi dal punto di vista di un cristiano

di Raniero La Valle
Questo incontro di Perugia “per il No allo stravolgimento della Costituzione” riunisce, in diversi Comitati, socialisti, cattolici, democratici, ex comunisti, partigiani, sindacalisti e dunque riproduce lo spirito stesso della Costituzione che nacque nel ’47 da un incontro di tante libertà diverse, unitesi per generare un popolo alla libertà. È proprio questo pluralismo che ora è sotto accusa. Nel nuovo linguaggio fiorentino esso è definito “un’ammucchiata”; ed è questa ammucchiata che la nuova Costituzione insieme all’Italicum, avrebbe lo scopo di impedire, come ha detto Renzi parlando ai Coltivatori diretti a Milano, prima della sconfitta e ha ripetuto poi a La 7 e in ogni altra occasione, dopo la sconfitta. In questa propaganda del SI si sente tutto il fascino della legge Acerbo, del listone, degli editti bulgari, si sente l’orrore del politicamente diverso.

Primo rapporto sul debito di Roma Capitale

di Decide Roma
1. Premessa
La questione del debito è ormai divenuta prioritaria per ogni iniziativa che voglia mettere al centro un altro modello di città. Da diversi anni il debito è agitato, su scala internazionale, nazionale e locale, come emergenza allo scopo di far accettare come inevitabili le politiche liberiste di alienazione del patrimonio pubblico, mercificazione dei beni comuni, privatizzazione dei servizi pubblici, sottrazione di democrazia. Di fatto, e in linea con quanto affermato dal teorico liberista Milton Friedman, il debito rappresenta lo shock che serve “a far diventare politicamente inevitabile ciò che è socialmente inaccettabile”.  E’ questa la ragione fondamentale, per la quale la questione del debito deve divenire tema centrale di ogni vertenza portata avanti dai movimenti che si oppongono alle politiche liberiste e che propongono un altro modello di città.

Perché la Brexit sarebbe un errore

di Nicola Melloni
Il referendum riguardo la permanenza della Gran Bretagna all’interno dell’Unione Europea si sta avvicinando. Il risultato, al contrario di ogni pronostico, sembra incertissimo (anche se il barbaro omicidio di Jo Cox potrebbe far prevalere il fronte Remain), atterrendo i mercati e mettendo in allarme le istituzioni europee. Ma di cosa stiamo parlando esattamente? Pierfranco Pellizzetti ha scritto un pezzo largamente condivisibile sul tema. La UE in questi anni ha fatto di tutto per screditarsi al cospetto dei suoi cittadini e un bello schiaffo da parte dei cittadini britannici potrebbe, in fondo, avere un effetto positivo – un segnale che mercati e burocrazia non sono superiori alla volontà popolare. Un messaggio che risuona forte anche nelle parole scritte da Dani Rodrik, un simpatizzante dell’Unione Europea che sembra però comprendere bene le ragioni di una possibile Brexit – in particolare l’idea che la UE stia progressivamente rimpiazzando la sovranità popolare dei Parlamenti eletti con il potere di alcuni governi su altri e più in generale con l’autorità di istituzioni non elette. 

Il governo dei numeri truccati

di Massimo Villone 
Diceva Andreotti che il potere logora chi non ce l’ha. Ma alla fine logora anche chi ce l’ha. Renzi spiega la pesante sconfitta del PD con la vittoria di volti giovani. Allora almeno il volto suo è precocemente invecchiato, perché candidati perdenti recano il suo imprimatur, e hanno avuto il sostegno persino troppo evidente suo personale e del governo. Renzi è l’uomo dei numeri taroccati. Ha scalato il partito con le primarie aperte mettendo ai margini gli iscritti con il voto di quelli che si trovavano a passare. Con i numeri taroccati degli organi dirigenti ha messo alla porta Letta, ha stretto nell’angolo la minoranza interna, ha sterzato a destra. L’esito ultimo è stato un esodo di militanti che si sono sentiti forzosamente espulsi dalla propria casa politica, certo non sostituiti dalla società civile che aveva votato nelle primarie.

Quali tutele per quali soggetti del lavoro autonomo e intermittente?

di Giuseppe Allegri 
In questi giorni presso la Commissione Lavoro e previdenza sociale del Senato della Repubblica verranno presentati gli emendamenti al Disegno di Legge (DdL) di iniziativa governativa collegato alla Legge di Stabilità e intitolato Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato (A.S. 2233) di cui ha già parlato sul Menabò Stefano GiubboniIl Relatore è il Senatore Maurizio Sacconi, che si è fatto promotore di un altro DdL, esaminato congiuntamente al precedente, Adattamento negoziale delle modalità di lavoro agile nella quarta rivoluzione industriale (A.S. 2229), tramite il quale si aspira a dare una «adeguata cornice legale entro cui ricondurre una nuova idea di lavoro e impresa che via via emerge con la diffusione della fabbrica digitale, della economia della condivisione e di quei “sistemi intelligenti” tra di loro connessi» (Relazione di accompagnamento all’articolato del DdL).

L'America nera e il sonnambulismo neoliberista. Intervista a Cornel West

Intervista a Cornel West di George Souvlis 
​​I​n questa intervista concessa in esclusiva a George Souvlis, Cornel West parla del neopopulismo di Bernie Sanders e del neo-fascismo di Donald Trump, puntando il dito contro “il carrierismo miope e il narcisismo cronico” che hanno impedito alla sinistra una seria critica del neoliberismo dell’amministrazione Obama. L’anno scorso, quando Bernie Sanders ha annunciato che si sarebbe candidato per il partito Democratico alla presidenza degli Stati Uniti, in pochi credevano che avrebbe avuto anche il minimo successo. Molti pensavano che sbandierare idee come “socialismo democratico” o “rivoluzione politica” gli avrebbe alienato l’elettorato americano. Da quel momento in poi si sono susseguite, al contrario, una serie di sorprendenti vittorie in vari stati. 

Distensione, socialdemocrazia, eurocomunismo. Intervista sugli anni Settanta

Intervista a Silvio Pons di Giacomo Bottos e Lorenzo Mesini 
Gli anni Settanta sono un periodo di grandi trasformazioni, nei quali si compiono alcuni dei passaggi cruciali che determinano l’assetto globale per tutto il trentennio successivo. Per approfondire questa fase storica abbiamo deciso di intervistare Silvio Pons, professore Ordinario di Storia dell’Europa orientale all’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e Direttore della Fondazione Istituto Gramsci a Roma, autore di numerosi saggi sulla storia della guerra fredda. In particolare questa intervista si concentra sul significato della distensione e delle strategie, in questo contesto, delle socialdemocrazie europee e dei comunisti italiani, per concludere infine con alcune considerazioni sul passaggio agli anni Ottanta, sull’affermarsi del neoliberismo e sulla crisi attuale della socialdemocrazia europea. L’intervista è a cura di Giacomo Bottos e Lorenzo Mesini.

Facciamo decollare l'economia circolare

di Rossella Muroni
Più coraggio e voglia di cambiamento. È questo il messaggio che il Parlamento italiano ha lanciato all'Unione europea e allo stesso governo Renzi, per accelerare il passaggio dall'attuale economia a "lineare" a quella "circolare". Lo ha fatto con una risoluzione approvata all'unanimità dalla Commissione Ambiente del Senato, lo scorso 14 giugno, in cui si chiede al governo di negoziare con Bruxelles il ritorno agli obiettivi fissati dal pacchetto di direttive dell'ex commissione Barroso, poi ridimensionati da quella guidata da Juncker: il 70% di rifiuti urbani da avviare al recupero e il riciclo entro il 2030, un target dell'80% per quelli da imballaggio e appena il 5% di rifiuti da smaltire in discarica.

Non lascia e raddoppia

di Norma Rangeri
Era obiettivamente difficile negare l’evidenza, e infatti ieri pomeriggio dalla sala stampa di palazzo Chigi è arrivato il commento del premier-segretario. Renzi ammette la sconfitta e riconosce la vittoria «netta e indiscutibile» del Movimento 5Stelle. Ma nonostante il terremoto elettorale e le centinaia di migliaia di voti persi, si capisce che non ha alcuna intenzione di assumersene la responsabilità. Dopo una scivolata nel politichese «sull’analisi di un risultato frastagliato…», nel dire che il voto ai pentastellati «non è un voto di protesta ma un voto di cambiamento», il leader del Pd invia un messaggio chiaro. Il grande consenso ricevuto dai giovani esponenti del M5Stelle non sarebbe il segno di una diffusa e forte protesta, non sarebbero voti “contro” ma voti “per” il cambiamento.

L’amore radicale del filosofo Srecko Horvat


di Benedetto Vecchi
Basta una foto per riassumere le asperità e le felici intuizioni presenti in un libro. Quella che campeggia sulla copertina de La radicalità dell’amore (DeriveApprodi, pp. 141, euro 15, collana Opera viva) del filosofo d’origine slovena ma cosmopolita per convinzione Srecko Horvat è di questo tipo. Ritrae due giovani distesi sull’asfalto che si baciano appassionatamente mentre intorno è in corso una battaglia di strada tra manifestanti antiausterità e forze dell’ordine. Il tema è dunque quello che vede il legame tra desiderio e rivoluzione, come evidenzia sia il sottotitolo che l’insieme del libro. Horvat è convinto che il sentimento dell’amore e della passione sovverta ritmi, consuetudini, vita quotidiana.

Città ribelli. Luigi de Magistris e Yanis Varoufakis s’incontrano a Roma

Anche il recentissimo esito dei ballottaggi per le elezioni amministrative in Italia vede la sconfitta di quelle “grandi coalizioni” che, in tutta Europa, hanno imposto prima le politiche di austerità, impoverendo e precarizzando milioni di persone, e poi le politiche di chiusura della frontiere a donne, uomini, bambini in cerca di protezione. Ma, proprio in nome di una rinnovata battaglia per i diritti sociali e civili, per l’uguaglianza e per l’autonomia, è dalle città ribelli di diversi Paesi che parte la sfida a ricostruire dal basso un’Europa democratica. Per discutere di tutto questo e delle prossime tappe di questo percorso – giovedì 23 giugno alle ore 18 a Roma presso BAOBAB (via Cupa, 5), spazio autogestito e luogo simbolo dell’accoglienza per rifugiati e migranti – si incontreranno il sindaco di Napoli Luigi de Magistris e l’ex ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis.

Ma che fastidio, ‘sta democrazia…

di Dante Barontini
Due giorni dopo i ballottaggi che segnano l’inizio della fine per la stagione “renziana”, ci sembra utile vedere come “i mercati” intendono la politica. Utile per tutti, perché anche quando si arriva dentro le mitiche “stanze dei bottoni”, da cui si dovrebbe esercitare il potere, si scopre che in realtà sono stanze vuote. La testimonianza di Yanis Varoufakis, al suo primo giorno da ministro dell’economia greco, resta una pietra miliare per le illusioni riformiste (stupisce semmai che lui stesso non ne abbia tratto le necessarie conclusioni). L’articolo apparso non per caso sul giornale di Confindustria, Il Sole 24 Ore, è altrettanto illuminante. Esplicito in modo quasi imbarazzante, se pensiamo a quanto il potere sia in genere attento a non apparire troppo invadente e sprezzante nei confronti delle classi popolari.

Lo Stato messicano dichiara guerra ai maestri

di Giovanni Cattaruzza
Nel silenzio assordante dei media nazionali ed internazionali in Messico è in corso una carneficina che, ora dopo ora, ci parla di morti ammazzati nelle piazze e sulle barricate in mezzo alle autostrade del sud del paese. Possiamo affermare che gli stati di Chiapas e Oaxaca sono stati attaccati,invasi e occupati dall’esercito della Repubblica e dalla polizia federale. Lo sciopero dei maestri e del settore dell’educazione sta lasciando sull’asfalto un saldo di morti e feriti che ha tutte le caratteristiche di una vera e propria guerra dichiarata dallo Stato contro la sua stessa popolazione.

Soggetti confinati e cittadinanza insorgente

di Edoardo Greblo
Un recentissima pronuncia della Corte di giustizia Ue – in risposta al caso di una cittadina ghanese sottoposta a fermo in Francia – ha stabilito che un cittadino extracomunitario non possa essere recluso, prima di essere sottoposto alla procedura di rimpatrio, a causa del suo ingresso irregolare nel territorio di uno Stato membro attraverso una frontiera interna dello spazio Schengen. Solo quando l’allontanamento rischia di essere vanificato, l’“irregolare” può essere trattenuto, per un periodo che non può comunque superare i diciotto mesi. La Corte precisa che “gli Stati membri non possono consentire la reclusione dei cittadini di Paesi non Ue, nei confronti dei quali la procedura di rimpatrio non sia stata ancora conclusa, in quanto tale reclusione è idonea a ostacolare l’applicazione della procedura stessa e a ritardare il rimpatrio, pregiudicando quindi l’effetto utile della direttiva”.

La logica del plebiscito permanente

di Loredana Biffo
Le recenti elezioni, hanno ancor più che in passato, dimostrato con numeri alla mano, che è sempre più diffuso l’astensionismo. Un fenomeno che è sempre stato presente, ma che in questi ultimi anni è diventato tanto importante quanto preoccupante. Si potrebbe ragionevolmente sostenere che all’astensionismo “fisiologico” del passato, si sia aggiunto in modo consistente l’astensionismo di coloro che non si sentono rappresentati da alcun partito e pertanto non sono disposti a “turarsi il naso” – secondo il vecchio adagio di Montanelli – e di coloro che sono decisamente convinti che sia “tutto inutile” perché la politica è territorio di furbastri che non fanno l’interesse dei cittadini (come se i cittadini fossero immaccolati ed esuli da questa mentalità).

Mi chiamo Erdogan e mangio i bambini. In missione per l’Europa

di Giulio Cavalli 
L'Europa piange lacrime di polistirolo per celebrare la Giornata Mondiale del Rifugiato che, visto il quadro generale, sembra uno scherzo mal riuscito. Invece no. Ieri tutti i burocrati hanno finto almeno per un minuto di essere tutti contriti per poi lasciarsi andare all’ammazzacaffè. La Giornata Mondiale del Rifugiato è un po’ come il progetto di un distributore automatico di diritti: buono per farci sopra narrazione da campagna elettorale ma poi alla fin fine semplicemente una perversione da calendario. Intanto, ventiquattro ore prima, le guardie turche (i militari servetti di una nazione indegna di essere considerata democratica eppur profumatamente pagata dall’Europa per “risolvere” il problema dei rifugiati) hanno pensato di schiacciare il grilletto per disinfettare il confine: sarebbero otto morti di cui quattro bambini. Un presepe di cadaveri. Una cosa così.

La rotta tempestosa del socialismo bolivariano

di Geraldina Colotti 
Fame, saccheggi, rivolte, scontri con la polizia. Addirittura un allarme di religiosi dominicani che sembrava provenire da uno dei punti più caldi di qualche regione africana. Le notizie sul Venezuela si battono da un solo lato della tastiera per indurre alla seguente conclusione: il paese è in preda a una crisi umanitaria, esiste “rottura dell’ordine democratico” ergo occorre un intervento esterno, preceduto dall’”aiuto umanitario della comunità internazionale”. Sullo sfondo, le prossime elezioni spagnole e – naturalmente – quelle di novembre negli Stati uniti. Dietro i fatti di cronaca, uno scontro di poteri e di interessi per due diversi progetti di paese. Di partenza, un elemento logico: perché un governo che si richiama al socialismo e che ricava il consenso dalla riuscita dei piani sociali di sviluppo dei settori popolari dovrebbe essere così folle da tagliarsi l’erba sotto i piedi affamando e esasperando il proprio elettorato?

M5S a Torino ha vinto su temi di sinistra

Intervista a Giovanni Semi di Marco Vittone
Il voto di domenica ha spaccato in due la città: il nucleo che si estende dal centro alla collina solidale con il sindaco uscente Piero Fassino, abbracciato da un mantello di diverso colore, in questo caso a Cinque Stelle. Giovanni Semi insegna Sociologia delle culture urbane e Sociologia generale all’Università di Torino, tra i suoi testi più noti Gentrification. Tutte le città come Disneyland? (Il Mulino, 2015) su come riqualificazioni artificiose di quartieri, attraverso il risanamento di aree popolari, il più delle volte con interventi di speculazione immobiliare, provochino l’espulsione degli abitanti originari, a favore di classi più agiate.

Proposte per un sussidio di disoccupazione europeo

di Elena Monticelli 
Nell’ultimo anno, da diverse fonti istituzionali ed accademiche è emersa la proposta di introdurre un sussidio di disoccupazione europeo, che sia in vigore quantomeno nei paesi dell’Eurozona come possibile strumento di stabilizzazione contro i c.d. shock macroeconomici asimmetrici (quelli, cioè, che colpiscono con diversa intensità i paesi membri dell’Eurozona). Un dispositivo del genere viene visto con favore dai suoi proponenti dato che la definizione di un sussidio di disoccupazione europeo, da un lato, rappresenterebbe un’importante novità nel panorama delle misure anticrisi adottate dall’Unione Europea e, dall’altro, favorirebbe la riapertura di una riflessione profonda sulla necessità o meno di procedere verso una maggiore armonizzazione degli strumenti di protezione sociale a livello europeo.

Erdogan minaccia i parlamentari di Berlino (ma Merkel fa spallucce)


di Alessandro Somma
Tra il 1915 e il 1916, al principio del primo conflitto mondiale, l’Impero ottomano sterminò circa un milione e mezzo di armeni e altri appartenenti a minoranze cristiane, portando così a termine un progetto di pulizia etnica iniziato sul finire dell’Ottocento. Nel corso degli anni, circa trenta Paesi, tra cui l’Italia, hanno riconosciuto che si è trattato di genocidio, ovvero, per usare le parole delle Nazioni Unite, di un “crimine di diritto internazionale” commesso “con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”[1].  La Germania è stata l’ultimo Paese ad adottare una risoluzione in questo senso. Alla fine del mese scorso il Parlamento tedesco l’ha votata su iniziativa di tutti i gruppi parlamentari, cogliendo anche l’occasione per precisare alcune vicende rilevanti per la storia della Germania.

Ballottaggi amari

di Augusto Illuminati
Che bilancio possiamo trarre dai ballottaggi? Non facciamo parte dei vincitori (tranne che a Napoli), però a nostro modo abbiamo vinto anche noi. Se vincere vuol dire cominciare a sgomberare la strada da ostacoli, abbiamo vinto. Il Faraone è sgomento per le piaghe, ma noi stiamo ancora in Egitto. Se vincere vuol dire costruire basi positive sufficienti per avviare un’alternativa, allora non ci siamo, se non inizialmente a Napoli. Abbiamo goduto come ricci per la sconfitta tattica e strategica di Renzi e per lo scacco dell’arroganza sabaudo-fordista di Fassino e della liquidità postfordista del “doganiere” Giachetti. Non parliamo neppure delle campagne tutte fallite di Repubblica, la cui irrilevanza dovrebbe spingere alle dimissioni il suo direttore, secondo solo al menagramo Stefano Esposito nella navetta Torino-Roma.

Etnicità: infuocata, impermanente, importante

di Immanuel Wallerstein 
L’etnicità si riferisce a una delle realtà fondamentali del moderno sistema mondiale. Siamo tutti inseriti in uno o più gruppi che hanno un presunto (anche se remoto) grado di parentela. Di questi tempi tendiamo a riferirci a tali gruppi come a “identità”. Molto spesso i nostri sentimenti di lealtà nei confronti di tali gruppi divengono molto appassionati. Raramente riconosciamo quanto impermanenti siano i nomi e i confini di tali gruppi. Quel che è certo e che i nostri sentimenti riguardo alle nostre identità, che variano d’intensità, sono sempre una parte molto importante delle nostre realtà politiche attuali.

La sanità greca è al collasso

di Keep Talking Greece
La crisi economica e la dura austerità associata agli aiuti del piano di salvataggio uccidono. Uccidono i greci. La banca di Grecia forse non lo scrive in modo melodrammatico nella sua relazione di politica monetaria del 2015-2016. Tuttavia, le conclusioni del capitolo su “Riforme della salute, crisi economica e impatto sulla salute della popolazione” sono scioccanti e confermano ciò che abbiamo udito e letto da parenti e amici negli ultimi anni: che la salute fisica e mentale dei greci si è deteriorata – in parte a causa dell’insicurezza economica, della disoccupazione, della precarietà del lavoro, della diminuzione del reddito della costante esposizione allo stress. In parte anche a causa dei problemi economici che impongono ai pazienti di interrompere le loro cure, in parte a causa degli incredibili tagli e delle carenze del sistema di sanità pubblica.

È possibile un'azione politica a partire dalla teoria critica del valore-lavoro?

di Capital Y Crisis
Con l'espressione azione politica mi riferisco alla possibilità di far germinare nella popolazione una critica della società del lavoro e delle merci che sia in grado di portare a forme di organizzazione e di partecipazione politica antagonista (movimenti sociali, gruppi di azione diretta, ecc.). Evito di considerare fra le forme di organizzazione politica, quella dei partiti, anche nelle circostanze della falsa dicotomia che viene oggi stabilita fra "vecchio" e "nuovo", dal momento che in entrambi i casi la gerarchizzazione e l'aspirazione a governare rendono impossibile che dal loro seno emerga una critica radicale. Perciò, la questione è sapere se siamo pronti a superare il feticismo della merce e a sovvertire l'idea di lavoro in quanto asse organizzativo della società, del tempo e della vita.

La situazione sociale dell'Italia è drammatica. Servono risposte radicali. Ora

di Nicola Fratoianni
La campagna elettorale, così come l'esito del voto, dovrebbero sempre essere un momento di inchiesta sociale. Il momento in cui il termometro segna la temperatura del contesto in cui si vive, che esprime bisogni, necessità e lo stato di salute della rappresentanza. In sostanza, un'analisi del voto non può prescindere dall'analisi compiuta di ciò che nella società è accaduto in questi mesi e in questi anni. "Non ho rottamato abbastanza" dice il Presidente del Consiglio, nel tentativo di salvaguardare i cardini del suo discorso pubblico, riproponendo lo schema che è parte del problema e non la soluzione. Questo perché l'affermazione del movimento 5 stelle a Roma e Torino, o la vittoria schiacciante di De Magistris a Napoli vengono lette con le lenti del voto di protesta. Come se tutto si giocasse sul terreno "viscido e melmoso" del "nuovismo" a qualunque costo, a prescindere da cosa si propone e da come si vuole farlo.

Il referendum svizzero sul Reddito di Base Incondizionato: l’iter, i risultati e i problemi aperti

di Marco Valerio Del Buono e Tommaso Gianni
Il 5 giugno 2016 i cittadini svizzeri si sono espressi sull’opportunità di introdurre un Reddito di Base Incondizionato (RBI) su scala nazionale, così da dare concreta attuazione al diritto ad avere un’esistenza dignitosa e a partecipare alla vita pubblica. L’iniziativa popolare prevedeva la modifica della Costituzione federale del 1999 mediante l’inserimento dell’art. 110a strutturato in tre commi:
La Confederazione provvede all’istituzione di un reddito di base incondizionato. Il reddito di base deve consentire a tutta la popolazione di condurre un’esistenza dignitosa e di partecipare alla vita pubblica. La legge disciplina in particolare il finanziamento e l’importo del reddito di base.

La Turchia sprofonda nel fascismo

di Marco Santopadre
A scorrere solo alcune delle notizie degli ultimi giorni che riguardano la Turchia appare più che evidente quanto il paese stia sprofondando nel fascismo. Il regime del partito islamista e nazionalista di Erdogan occupa ormai ogni spazio nelle istituzioni e nei gangli del potere politico ed economico, e sembra intenzionato a regolare tutti i conti con la dissidenza senza fare sconti a nessuno. Il rapporto tra le forze reazionarie e gli apparati di sicurezza e giudiziari sembra ormai ampiamente rodato: alle minacce e alle provocazioni contro i “nemici della patria e dell’Islam” da parte dei gruppi estremisti seguono immancabilmente arresti, divieti e repressione nei confronti non degli aggressori ma delle vittime.

Torino: un voto contro l’oligarchia

di Giuseppe Berta
A una parete dell’ufficio da sindaco di Piero Fassino è appesa la foto di un evento che ha pesato nella sua storia personale come in quella della città da lui amministrata sino a ieri. Ritrae Enrico Berlinguer davanti alla Fiat. L’anno è con tutta probabilità il 1980 e l’occasione il grande sciopero, detto dei «35 giorni», quando il giovane Fassino era il responsabile della commissione fabbriche della federazione locale del Pci. Mi sono spesso chiesto che senso avesse per lui conservare un’immagine che probabilmente l’avrà accompagnato appesa alle pareti dei vari uffici occupati nel tempo. Da sindaco di Torino ha appoggiato con convinzione e autorevolezza la trasformazione della Fiat in Fiat Chrysler Automobiles.

Economia di sopravvivenza


di Giovanna Cracco
Il processo di globalizzazione non si arresta. Una tappa dietro l’altra, le politiche degli Stati proseguono nella creazione di un unico libero mercato mondiale, senza barriere protezionistiche per merci, servizi e capitali. A Occidente dodici Paesi, tra cui gli Stati Uniti, hanno firmato il TPP, il Trattato di libero scambio dell’area del Pacifico (1), e sono in corso i negoziati tra Usa e Europa per il TTIP (2). A Oriente la Cina preme per esse-re riconosciuta dall’Unione europea come ‘economia di mercato’, un cambiamento di status che cancellerebbe i dazi doganali oggi applicati ai suoi prodotti. Difficilmente accadrà ora, ma è solo questione di tempo. A fine 2016 avrebbe dovuto infatti concludersi il processo avviato nel 2001, quando il Paese asiatico entrò nel Wto accettando un periodo di osservazione di quindici anni.