La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 22 agosto 2015

Il «Segno dei Tempi»

 
di Sarantis Thanopulos
Il nostro pre­si­dente del Con­si­glio è la rap­pre­sen­ta­zione vivente, assai pre­oc­cu­pante, di un gover­nare indi­pen­dente dalle (poche) cose che si fa e dalle (molte) cose che si devono fare. La fidu­cia dei cit­ta­dini è sosti­tuita dalla curiosa per­ce­zione psi­co­lo­gica, non esat­ta­mente una con­vin­zione, che non esi­sta altra solu­zione. Sul piano delle qua­lità per­so­nali il pre­si­dente Renzi ha, per dirla in gergo uni­ver­si­ta­rio, tutte le «mediane»: né bello né brutto, né sim­pa­tico né anti­pa­tico, né colto né incolto, intel­li­gente piut­to­sto che stu­pido, esperto di tutto e di niente. Par­te­ci­passe a un con­corso, un’idoneità acca­de­mica, in qual­siasi mate­ria, sarebbe sua di diritto. La dif­fi­coltà enorme che devono affron­tare i suoi cri­tici è la loro con­vin­zione che lui esi­sta. Ben inteso una per­sona reale chia­mata Mat­teo Renzi è pre­sente tra di noi e fa la sua vita. Respira, man­gia e beve, si gode i pano­rami, ha le sue pre­oc­cu­pa­zioni e le sue intui­zioni, sogna e fan­ta­stica, ama i suoi figli e sua moglie e ne prende cura. Non è peg­gio di tanti ed è meglio di molti.
Le qua­lità che più gli hanno per­messo di fare strada nella vita pub­blica sono la fede asso­luta in sé e la spre­giu­di­ca­tezza.

La scelta democratica di Tsipras

di Alfonso Gianni
La decisione di Alexis Tsipras di dimettersi e di andare alle elezioni anticipate fa parecchio discutere e qualcuno dice di essere stato colto di sorpresa. Non c'è da stupirsi che questo accada in un continente come il nostro così disabituato ormai a frequenti pronunciamenti popolari diretti. Eppure Tsipras non aveva mai nascosto la probabilità di una soluzione del genere.
Aveva di fronte due scelte: o accettare l'invito di Schauble a una Grexit che in realtà avrebbe significato l'uscita definitiva della Grecia dall'euro o compiere parecchie rinunce pur di rilanciare la discussione sul debito greco nel suo complesso.
Ha scelto questa seconda strada. L'accordo è tutt'altro che bello e gli spazi per resistere ai suoi lati peggiori e più invasivi sono davvero stretti. Ma questo la leadership greca, eccezione si può dire unica rispetto alla retorica dominante dei governi europei, non lo ha nascosto né al popolo né al parlamento.
Il prezzo pagato è probabilmente quello di una scissione di Syriza, tutt'altro che indispensabile e auspicabile.

Un nuovo approccio al debito sovrano


di Yanis Varoufakis
Il debito pubblico della Grecia è stato reinserito nell’agenda dell’Europa. É stato forse il principale obiettivo del governo greco. Dopo anni di “estensioni e pretese”, oggi sono quasi tutti d’accordo sulla necessità della ristrutturazione del debito. E non vale solo per la Grecia.
In febbraio, ho presentato all’Eurogruppo una lista di opzioni, inclusi i bond indicizzati al Pil, obbligazioni perpetue per estinguere il debito contratto sui registri della Bce.
La domanda più interessante è cosa ciò significa per l’Eurozona. Gli appelli di Joseph Stiglitz, Jeffrey Sachs e di altri economisti per un diverso approccio al debito sovrano devono essere modificati per adattarsi alle caratteristiche della crisi Ue. L’Eurozona è unica tra le aree valutarie: la sua banca centrale non ha uno Stato che sostenga le sue decisioni, mentre gli Stati non hanno una banca centrale che le supporti nei momenti difficili. I leader europei hanno tentato di colmare questa lacuna con regole complesse non credibili che finiscono per soffocare gli Stati.

Sinistra, ci vuole un soggetto che marchi il campo


di Fabio Vander

Nell’importante edi­to­riale di avvio di que­sta discus­sione Norma Ran­geri invita a rico­no­scere «l’urgenza di tro­vare forme, obiet­tivi, uni­tari» per una sini­stra capace di «alter­na­tiva poli­tica oggi e di governo domani». Dun­que alter­na­tiva e governo le parole chiave.
Dichiaro subito la mia posi­zione: occorre costruire un nuovo par­tito della sini­stra ita­liana. Un par­tito del lavoro e dei saperi, dei diritti sociali e civili, della giu­sti­zia, della libertà. Paci­fi­sta e inter­na­zio­na­li­sta, euro­pei­sta ma cri­tico dell’Europa del neo­li­be­ri­smo e della Troika. Un par­tito del socia­li­smo (bene ha fatto Vit­to­rio Melan­dri a ricor­dare l’attualità del ter­mine), nel senso pro­prio di cri­tica del capi­ta­li­smo e di pro­cesso di liberazione.
Natu­ral­mente un par­tito non si improv­visa, dun­que occor­rerà lan­ciare in autunno una fase costi­tuente, in cui dovranno farsi scelte, dare il senso di una pro­spet­tiva, sta­bi­lire sca­denze (poli­ti­che pos­si­bil­mente, prima che elet­to­rali), ela­bo­rare un pro­gramma fon­da­men­tale. Ma dovrà ini­ziarsi anche la «costru­zione di un nuovo gruppo diri­gente», come sag­gia­mente ricorda Alfonso Gianni (ma ne aveva già par­lato giorni fa Michele Pro­spero, sem­pre sul manifesto).

Niente compromessi su diritto di sciopero e contratti

Intervista a Maurizio Landini di Matteo Pucciarelli
È soprattutto sulla stretta degli scioperi paventata dal governo che Maurizio Landini mette in guardia: "La Costituzione parla chiaro, è un diritto individuale garantito".
Cosa ne pensa del piano anticipato da Repubblica?
"La Fiom nel 2010 ha depositato una proposta di legge popolare con 120mila firme per varare una legge sulla rappresentanza. Nel mentre alla Camera c'è la stessa proposta in discussione. Non siamo colti di sorpresa sul tema, abbiamo delle proposte".
Come vede la soglia di sbarramento al 50 per cento per poter firmare un accordo?
"Che l'eventuale accordo va anche sottoposto al voto di tutti i lavoratori, compresi quelli precari. Chiediamo una legge di rappresentanza semplice, non invasiva, in base agli iscritti e ai voti delle Rsu, garantendo che in tutti i posti di lavoro ci si possa iscrivere al sindacato che si vuole e votare. E però la rappresentanza deve valere anche per le associazioni imprenditoriali, non solo per il sindacato".

Lo scomodo terreno di un sindaco di sinistra


di Marco Doria

Con­si­dero impor­tante che si apra e si svi­luppi una discus­sione vivace sulla sini­stra oggi. E che si apra sulle colonne del mani­fe­sto, che svolge un ruolo posi­tivo di sti­molo e di pun­golo cri­tico. Ho seguito il con­fronto con atten­zione, mi rendo conto di quanto le mie parole e le mie osser­va­zioni siano legate all’esperienza di sin­daco di Genova, di una grande città, e quindi costan­te­mente alle prese con i tanti pro­blemi del governo e più in gene­rale della res publica. La pro­spet­tiva in cui mi pongo è dun­que quella di chi, essendo di sini­stra, governa o ammi­ni­stra. Ovvero di chi ritiene che com­pito impre­scin­di­bile della sini­stra sia anche, se non soprat­tutto, quello di affron­tare le que­stioni del governo e dun­que di pro­porsi come cre­di­bile forza di governo.
Alcune que­stioni sono ine­lu­di­bili. Le affronto con la sin­tesi obbli­gata dallo spa­zio asse­gna­tomi. Primo punto: i conti pub­blici e il loro equi­li­brio. Credo che il livello della spesa pub­blica non vada aumen­tato. La pres­sione fiscale com­ples­siva è già alta (su que­sto la per­ce­zione e il pen­siero dei cit­ta­dini sono lar­ga­mente con­cordi) e non credo che aumen­tare l’indebitamento sia sag­gio. Subiamo oggi le con­se­guenze delle poli­ti­che finan­zia­rie degli anni Ottanta, quelle dei governi del Caf (Craxi, Andreotti, For­lani), che fecero esplo­dere il nostro debito pub­blico. Tenerlo sotto con­trollo è un dovere nei con­fronti delle gio­vani gene­ra­zioni che già stanno pagando gli effetti delle poli­ti­che del passato.

È l'Europa reale che ha tradito il popolo greco e tradisce i suoi cittadini

Intervista a Yanis Varoufakis di Pavlov Kapatais
Abbiamo incontrato l’ex ministro delle Finanze greco un giorno prima che Alexis Tsipras annunciasse le elezioni anticipate. Sarà l’ospite d’onore, la prossima Domenica, della Festa della Rosa organizzata da Arnaud Montebourg. Ci parla delle sue dimissioni e delle sue relazioni con il primo ministro greco. Si tratta di un uomo sorridente, apparentemente pacificato, che ci accoglie nella sua seconda casa sull’isola di Egina. Sua moglie, Danae, e un caro amico sono seduti sulla terrazza con vista sul mare. Intervista di Pavlos Kapantais.
Lei è stato contrario alla decisione di Alexis Tsipras, il 13 luglio, di aderire alle richieste dei creditori. La vedremo nelle liste elettorali di un altro partito alle prossime elezioni?
Yanis Varoufakis: Se le elezioni anticipate portano a un governo di un partito che ha ricevuto un mandato popolare per attuare l’accordo del 13 luglio, io ovviamente non posso essere incluso. Alexis Tsipras ha gestito il vertice UE del 12 luglio, dove abbiamo partecipato, con una capitolazione di fatto del paese, spiegando la sua posizione. Ci si trovava, ha detto, in un serio dilemma: o accettiamo questo programma insostenibile, oppure il piano Schäuble di “defenestrazione” della Grecia dalla zona euro verrà messo in atto.

Tsipras e la lezione a Renzi

di Lucia Annunziata
Caro Presidente del Consiglio, leggendo di Tsipras, in queste ultime ore, ha provato qualcosa, una increspatura, un sobbalzo, un filo, anche solo un filo, di nostalgia? Nostalgia per quello che avrebbe potuto essere e non è stato?
Alexis Tsipras ha preso le decisioni che lei avrebbe potuto (e forse dovuto) prendere alcuni mesi fa. Sì, parlo di elezioni, di quelle che avrebbe dovuto (e potuto) chiedere appena eletto segretario del Pd, e che invece preferì dimenticare a favore di un passaggio di mano da nominato a nominato a Palazzo Chigi. E sì, lo so, è molto impopolare ricordargli di quelle elezioni mancate: a chi fin da allora le chiedeva di andare alle urne in rispetto del suo impegno con gli elettori, i suoi fan rispondevano con tracotanza, in giro per trasmissioni tv: "In sei mesi avrà fatto tante cose per questo paese che nessuno si ricorderà nemmeno più come è arrivato a Palazzo Chigi".
Invece le elezioni - come dimostra la abilità con cui le manovra Alexis Tsipras - sono la migliore arma di rapporto con il popolo, e la loro efficacia sminuisce a strumenti vicari anche tv, web, twitter e tutti i media insieme. Cosi, oggi, sulla scorta di quel che è successo in Grecia, si potrebbe immaginare quanto diverso sarebbe stato il suo (e nostro) itinerario politico, e quanto più solido.

Il motore del debito

di Marco Bertorello
Gli ultimi dati Istat sul ral­len­ta­mento della cre­scita eco­no­mica ita­liana chiu­dono il cer­chio sul pano­rama asfit­tico in cui stiamo vivendo. I dati del secondo tri­me­stre 2015 indi­cano un +0.2% del Pil, che rischia di essere lon­tano dall’obiettivo gover­na­tivo di una cre­scita annuale dello 0.7%. I dati al di sotto delle attese riguar­dano anche le due prin­ci­pali potenze con­ti­nen­tali e danno il senso del qua­dro gene­rale: la Ger­ma­nia aumenta il pro­dotto interno per un mode­sto 0.4%, la Fran­cia è tor­nata a una cre­scita zero.
In Europa con­ti­nuano a non vedersi vere e pro­prie loco­mo­tive, se non nelle scelte di poli­tica eco­no­mica basate su rigore finan­zia­rio e auste­rità, e buona parte dei vagoni con­ti­nua ad arran­giarsi in un con­te­sto di sostan­ziale sta­gna­zione intorno allo zero­vir­go­la­qual­cosa. Eppure non sono solo le rigi­dità di bilan­cio a non pro­durre gli effetti attesi, ma nep­pure alcuni fat­tori rite­nuti par­ti­co­lar­mente van­tag­giosi per le eco­no­mie euro­pee, quali il calo dei prezzi delle mate­rie prime e la dimi­nu­zione del valore dell’euro, con­se­guenza della moneta facile immessa con il cosid­detto quan­ti­ta­tive easing. Secondo la logica mer­can­ti­li­sta a guida tede­sca pro­prio que­ste dovreb­bero essere le ricette per la ripresa, invece sem­pre nuovi fat­tori desta­bi­liz­zanti costrin­gono a riman­dare un’inversione di ten­denza compiuta.

Per l’abolizione del carcere

di Luigi Manconi e Stefano Anastasia
“L’esistenza stessa di un sistema penale induce a trascurare la pensabilità di soluzioni alternative e a dimenticare che le istituzioni sono convenzioni sociali che non rispondono a un ordine naturale”1. Il primo mito da sfatare per chi voglia sostenere la ragionevole proposta dell’abolizione del carcere è quello secondo cui non se ne possa fare a meno perché è sempre esistito, perché – in qualche modo – connaturato all’animo umano e al modo di stare insieme delle sue contingenti incarnazioni. Non è così. Anzi. La storia del carcere come modalità punitiva è una storia relativamente recente, e ha a che fare con la modernità giuridica. Prima di allora, non che non esistessero luoghi di clausura, anche a fini di giustizia, ma avevano altri scopi, non quello di punire il condannato per un periodo di tempo più o meno lungo.
Nel nostro mondo, gli albori del diritto si è soliti farli risalire agli antichi romani, ai quali è possibile attribuire una prima compiuta sistemazione delle regole giuridiche e una complessa organizzazione giudiziaria. La cultura giuridica occidentale ancora non riesce a fare a meno di quanto pensarono, dissero e scrissero quegli uomini in toga.

Il calcio e la pedagogia della disuguaglianza

di Piero Bevilacqua
Già ad agosto, sulla pagina sportiva di Repubblica, si poteva leggere: «Austerity? In serie A è già finita». E proseguiva, «Big mai così spendaccione». Dunque lo sport più popolare del mondo torna ai fasti dei grandi acquisti di campioni, dei colpi clamorosi a suon di milioni di euro.Torna? Come se quei fasti li avesse per qualche momento abbandonati. Il calcio – sport meraviglioso, ça va sans dire – oltre a far sognare, dar senso alla vita, istupidire da una settimana all'altra centinaia di milioni di persone, è uno straordinario veicolo ideologico. Della società dello spettacolo costituisce forse il mezzo più popolare e potente per fare accettare, come naturali, le disuguaglianze che lacerano la società del nostro tempo. Un ragazzo di 22 due anni è acquistato al prezzo di 40 milioni di euro? Guadagna in un solo giorno, da contratto, quanto un operaio non riuscirà mai a racimolare in una intera vita di fatica? Ma quel ragazzo è «una forza della natura», è «il terrore delle difese», «segna goal incredibili». Una giustificazione di merito, una gerarchia di valore, una speciale aristocrazia dello spirito vengono frettolosamente messi in piedi per giustificare l'accaparramento di immense fortune da parte di un singolo individuo.

La sinistra impari da Bergoglio


Intervista a Fausto Bertinotti di Giovanna Casadio
"La sinistra impari dalla Chiesa di Bergoglio, impari la rottura, la discontinuità ". Fausto Bertinotti, l'ex leader di Rifondazione comunista, per la prima volta sarà al Meeting di Cl a Rimini martedì prossimo. Ha accettato l'invito perché "è un'occasione di dialogo".
Bertinotti, è un marxista convertito?
"No. Marx a chi gli dava del marxista diceva che non lo era, ma lui era Marx. Io sono stato un marxista eretico e lo sono ancora grosso modo, per nulla rinnegato".
Condivide lo schiaffo di monsignor Galantino alla politica" harem di cooptati e furbi"?
"Sì, e penso che questa verità possa essere detta quando il punto di vista non è interno alla politica politicante. L'operazione che Galantino sta facendo è quella di una fuoriuscita dalla logica della vicinanza con uno schieramento politico. E la collocazione non è tra centrodestra e centrosinistra, ma è la critica alle forme di potere e di governo di questa società. Non è casuale che la sollecitazione venga proprio dagli ultimi cioè dagli immigrati, da coloro che stanno fuori dalla cittadella. L'assunzione di questa collocazione dà allo sguardo un orizzonte profetico ".

Contratto, a Fiom e Confindustria piace nazionale


 
di Antonio Sciotto
Il governo intende pro­ce­dere sulla riforma della rap­pre­sen­tanza e della con­trat­ta­zione — incluse nuove regole sugli scio­peri — ma le pro­po­ste in ballo con­ti­nuano a susci­tare pole­mi­che. Ieri in una inter­vi­sta al mani­fe­sto il segre­ta­rio gene­rale della Uil Car­melo Bar­ba­gallo ha spie­gato di essere con­tro l’azzeramento del con­tratto nazio­nale e la limi­ta­zione del diritto di scio­pero, spe­cie nel set­tore pri­vato, e ugual­mente con­trari al supe­ra­mento del primo livello di con­trat­ta­zione si sono detti sia il vice­pre­si­dente di Con­fin­du­stria Ste­fano Dol­cetta che il segre­ta­rio gene­rale della Fiom, Mau­ri­zio Landini.
«Gli impren­di­tori sono con­trari ad abo­lire il con­tratto nazio­nale», ha spie­gato Dol­cetta a Repub­blica, defi­nendo la pro­po­sta Ichino su que­sto tema «un po’ hard»: «Molta parte delle 154 mila imprese a noi asso­ciate — ha detto il numero due di Con­fin­du­stria — non hanno la dimen­sione per reg­gere una con­trat­ta­zione azien­dale. Sem­mai pen­siamo sia meglio ren­dere i con­tratti nazio­nali dero­ga­bili a livello aziendale».

La buona scuola? No, non cancella il precariato

di Roberta Carlini
Ventitremila maestre della scuola materna. Dai venti ai trentamila supplenti annuali. Più le migliaia di abilitati entrati in graduatoria fuori tempo massimo per mano del giudice. Senza contare le decine di migliaia di iscritti alle liste d’attesa d’istituto. È abbastanza nutrita la schiera dei precari rimasti dopo il piano straordinario di assunzioni della Buona scuola.
Nonostante uno degli obiettivi espliciti e propagandati della riforma fosse proprio l’abolizione del precariato, un breve sguardo ai numeri (ove disponibili: nell’opaco mondo del precariato scolastico non è impresa facile trovarli e distinguerli) rivela che la missione è fallita. Il precariato scolastico, alla vigilia dell’apertura dell’anno 2015-2016, è più vivo che mai.
Il piano straordinario di assunzioni è riservato a loro, i precari storici delle gae (graduatorie a esaurimento). Li assumiamo – creando ad hoc l’universo dell’organico potenziato per coloro che non riescono ad avere la cattedra quest’anno per il normale avvicendamento del turn over – e chiudiamo la gae, era la promessa: del resto, non lo dice la parola stessa? “Graduatorie a esaurimento”: nel senso che devono esaurirsi, non far entrare più nessuno. Così aveva detto l’allora ministro Giuseppe Fioroni, smentito poi dai fatti del decennio successivo.

La scomunica di Francesco e la Chiesa dei rapporti con i clan


di Luca Kocci
Nel 1990, nella stessa par­roc­chia di San Gio­vanni Bosco a Cine­città che l’altro ieri ha ospi­tato il fune­rale di Vit­to­rio Casa­mo­nica, furono cele­brate le ese­quie di Rena­tino De Pedis, uno dei boss della banda della Magliana, il cui corpo venne poi tumu­lato – con l’autorizzazione del Vica­riato – nella cripta della basi­lica di San Apol­li­nare (dove è restato fino al 2012, quando poi fu cremato).
Corsi e ricorsi sto­rici che, al di là delle coin­ci­denze, mostrano quanto le rela­zioni fra Chiesa e mafie siano state e siano ancora intrec­ciate. Una sto­ria che comin­cia da lon­tano, e lon­tano da Roma, già nell’800, quando i livelli erano con­ti­gui. Fino al 1963, quando a Cia­culli c’è la prima grande strage di mafia, e la Chiesa comin­cia a porsi il pro­blema, anche per­ché a Palermo il pastore val­dese Pana­scia aveva preso una posi­zione pub­blica netta, men­tre il car­di­nale Ruf­fini mini­miz­zava. Per arri­vare alla prima svolta biso­gna aspet­tare il 1993, con l’anatema di Gio­vanni Paolo II nella Valle dei tem­pli e l’omicidio di don Puglisi (e, l’anno suc­ces­sivo, di don Diana, a Casal di Principe).

I manager sono la rovina dei musei (e dell'arte)

Intervista a Jean Cairo di Raffaella De Santis
In questi giorni Jean Clair è a Venezia, in giro con la moglie per calli e mostre. Vent’anni fa curò una Biennale dedicata al volto e al corpo umano, ma oggi è deluso. Non gli piacciono le esposizioni affollate di turisti e quando gli si chiede di commentare la nuova riforma dei musei, all’inizio sembra possibilista, ma poi di fronte all’idea di una nuova figura di direttore-manager si accalora: «Un direttore di un museo non deve fare grandi mostre, ma far conoscere il patrimonio spirituale di una nazione. È la fine. L’arte ha perso ogni significato».
L’argomento lo appassiona. Risale ormai a qualche anno fa un suo saggio intitolato La crisi dei musei, mentre nel più recente L’inverno della cultura ha disseminato pagine durissime contro i musei-luna park ridotti a magazzini di opere preziose. Per il grande critico e storico dell’arte, il sistema museale è ormai asservito alla logica mercantile, come qualsiasi altro prodotto. Nel suo ultimo libro, intitolato Hybris. La fabbrica del mostro nell’arte moderna ( Johan & Levy), studia la morfologia dell’arte moderna, le sue deformazioni morbose, il suo progressivo allontanamento dalla bellezza. Il fatto che Jean Clair sia stato anche direttore del Centre Pompidou e del museo Picasso, lo spinge a guardare con curiosità a quanto sta accadendo nel nostro paese.

Come Togliatti ispirò la Primavera di Praga

Il 21 agosto 1964 moriva a Yalta in Crimea Palmiro Togliatti. Per ricordarne l’anniversario riproponendo un articolo del 1988 di Milos Hajek, un grande storico del movimento comunista internazionale, protagonista della “primavera di Praga” di cui ricorre pure oggi l’anniversario dell’invasione sovietica ed esponente di primo piano del dissenso negli anni della “normalizzazione”. A chi in Italia – come facevano allora i craxiani – lanciava campagne strumentali contro lo stalinista Togliatti lo storico cecoslovacco, e allora portavoce di Charta77, ricordava la profonda influenza che esercitò sui comunisti che con Dubcek avviarono l’esperimento del “socialismo dal volto umano”. Oggi ricorre anche il 75° anniversario della morte di Lev Trotski, assassinato in Messico nel 1940 da un sicario di Stalin. Una coincidenza di anniversari che invita a riflettere sulla complessa e tragica grandezza della vicenda storica del movimento comunista nel Novecento. Segnaliamo che sul sito del partito, nella sezione dedicata alla formazione in continuo aggiornamento, si trovano molti testi di e su Togliatti e la storia dei comunisti. Nel momento in cui la Costituzione è sotto attacco e si confezionano nuove leggi truffa è bene anche ricordare il ruolo fondamentale di Togliatti nella costruzione della democrazia italiana. Consigliamo vivamente le relazioni e i video del convegno su Togliatti e la Costituzione organizzato da Futura Umanità.

Il fallimento di un sapere appiattito su un triste presente

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di Mauro Trotta
Se si pensa all’influenza che nel recente pas­sato una disci­plina come l’antropologia cul­tu­rale ha avuto nei con­fronti di tutti i campi del sapere, può sem­brare quanto meno impro­ba­bile che oggi tale mate­ria sia alla ricerca di un pro­prio spa­zio, si inter­ro­ghi radi­cal­mente sulle pro­prie fina­lità e sui pro­pri obiet­tivi, arrivi a rimet­tere in discus­sione i pro­pri pre­sup­po­sti. Eppure è pro­prio que­sto che emerge leg­gendo l’ultimo lavoro di Fran­ce­sco Remotti, inti­to­lato Per un’antropologia inat­tuale e pub­bli­cato da elèu­thera (pp. 136, euro 13).
L’autore è stato pro­fes­sore di Antro­po­lo­gia cul­tu­rale all’Università di Torino e rac­co­glie in que­sto agile libretto alcuni arti­coli, già pub­bli­cati in pre­ce­denza, che hanno il merito di comu­ni­care con lim­pi­dezza anche al let­tore non spe­cia­li­sta lo stato attuale della mate­ria e, soprat­tutto, di indi­care con chia­rezza e pre­ci­sione alcune solu­zioni volte a modi­fi­care la situa­zione resti­tuendo alla disci­plina auto­no­mia, dignità, impor­tanza all’interno del mondo del sapere.

Immigrazione, solo il "buonismo" potrà salvarci

di Fabio Marcelli
“Buonismo” è una parola in realtà priva di significato preciso.Introdotta nel comune vocabolario dalla destra per indicare un presunto atteggiamento benevolo e tollerante nei confronti delle trasgressioni alla legge vigente , ha avuto in particolare come bersaglio le persone che indicano la necessità di una politica che parta dalle esigenze degli esseri umani. In particolare per quanto riguarda l’immigrazione, fenomeno che più di ogni altro caratterizza la nostra epoca, richiedendo una vera e propria rivoluzione copernicana nel modo di pensare, che sappia mettere al centro gli interessi e i diritti dell’umanità in quanto tale.
Certo si tratta di un cambiamento difficile. Su tale difficoltà speculano coloro che si propongono, come la Lega di Salvinima purtroppo non solo loro, di ricavare dei facili dividendi politici da questa situazione. Specie tenendo conto della situazione di crisi economica e di valori in cui siamo immersi enon certo per colpa dei migranti. Ecco allora che si inventano notizie, diffondono un falso senso comune, fatto di informazioni sensazionalmente infondate come quelle secondo cui lo Stato spenderebbe più per i migranti che per i cittadini e simili.

Svimez

di Andrea Saba
Una parte rilevante dell'enorme debito pubblico italiano è conseguenza del fallimento della politica di sviluppo del mezzogiorno. La SVIMEZ, anziché limitare la sua attività di studio alla descrizione annuale della situazione meridionale, dovrebbe dedicare un ampia indagine per chiarire le cause del fallimento di una politica durata sessantacinque anni, dalla fondazione della Cassa del Mezzogiorno nel 1950.
In una prima fase, dedicandosi solo alla realizzazione di una nuova rete di infrastrutture, la Casmez fu certamente positiva. Sul modello della Tennessy Valley Authority godeva di una totale libertà economica e di decisione e le sue realizzazioni - es. l'acquedotto pugliese- sono ancora modelli imitati nel mondo. Con la creazione delle regioni, e il loro mediocre risultato, anche la Casmez perse vitalità. Ma il grande disastro è stato il tentativo di industrializzazione.

Sfruttamento dei minori, Italia vergogna d'Europa

di Carmine Gazzanni
«Ho perso mio padre quando avevo 7 anni – racconta Ahmad, diciottenne egiziano – e da quel momento la vita è diventata molto dura per la mia famiglia. Ho lasciato la scuola a 10 anni per poter lavorare e aiutare mia madre e le mie sorelle. Ho lavorato per un falegname pitturando mobili per sei anni. Guadagnavo l’equivalente di neanche 5 euro al giorno».
Un giorno, però, Ahmad viene a sapere che «un sacco di gente del mio villaggio era tornata dall’Italia e aveva costruito grandi case e aveva belle macchine, così con mio fratello sono andato a incontrare un mediatore e abbiamo concordato il pagamento per essere portato dall’Egitto in Italia via mare». Dopo 12 giorni in mare e con solo qualche panino che «ho fatto durare più a lungo possibile», arrivando a non mangiare per quattro giorni interi, e dopo aver cambiato cinque barche differenti perché «i trafficanti sanno che possono essere catturati e che la barca può essere confiscata dalle autorità italiane», Ahmad approda in Italia.

Tsipras: realisti e rivoluzionari

 
di Teodoro Andreadis Synghellakis
Le con­sul­ta­zioni del pre­si­dente della repub­blica, Pro­ko­pis Pavlo­pou­los, sono già ini­ziate. Ale­xis Tsi­pras ha rinun­ciato. Ovvia­mente, a pro­vare a for­mare un nuovo governo, per far ini­ziare, invece, il prima pos­si­bile, la cam­pa­gna elet­to­rale. Il pre­si­dente di Nuova Demo­cra­zia, tut­ta­via, Van­ghe­lis Mei­ma­ra­kis, ha scelto di fare l’esatto con­tra­rio e di tenere l’incarico per tutti e tre giorni pre­vi­sti, sino anche a dome­nica.
Mei­ma­ra­kis sta pro­vando, per quanto gli possa riu­scire, a met­tere Tsi­pras in dif­fi­coltà, con­scio del fatto che la com­pa­gine dei con­ser­va­tori non ha nes­suna reale pos­si­bi­lità di vin­cere le elezioni.
Ha incon­trato, quindi, Zoì Kon­san­to­pou­lou, (la pre­si­dente del par­la­mento che ha espresso la sua ferma con­tra­rietà all’accordo con i cre­di­tori), «per esplo­rare even­tuali vie che por­tino alla for­ma­zione di un nuovo governo, senza dover tor­nare alle urne». Ha par­lato anche con il respon­sa­bile del nuovo par­tito cen­tri­sta, Il Fiume, Sta­vros Theo­do­ra­kis, e domani si incon­trerà con i socia­li­sti e il lea­der della nuova for­ma­zione di sini­stra, Unità Popo­lare, di Pana­jo­tis Lafazanis.

La minaccia iraniana

di Noam Chomsky 
In tutto il mondo c’è grande sollievo e ottimismo per l’accordo sul nucleare raggiunto a Vienna tra l’Iran e il gruppo dei P5+1, i cinque membri del consiglio dell’ONU con diritto di veto più la Germania. La maggior parte del mondo apparentemente condivide la valutazione dell’Associazione USA per il Controllo degli Armamenti che “il Piano Congiunto Complessivo d’Azione stabilisce una formula forte ed efficace per bloccare tutte le vie attraverso le quali l’Iran potrebbe acquistare materiale per armi nucleari per più di una generazione e un sistema di verifica per individuare prontamente e scoraggiare possibili tentativi dell’Iran di perseguire segretamente armi nucleari che durerà indefinitamente”.
Ci sono, tuttavia, eccezioni appariscenti all’entusiasmo generale: gli Stati Uniti e i loro più stretti alleati regionali, Israele e Arabia Saudita. Una conseguenza di ciò è che alle industrie statunitensi, con loro grande disappunto, è impedito di riversarsi su Teheran assieme alle loro omologhe europee. Settori di punta del potere e dell’opinione statunitense condividono la posizione dei due alleati regionali e dunque sono in uno stato di virtuale isterismo per “la minaccia iraniana”.

Linke e Podemos appoggiano Tsipras


di Jacopo Rosatelli
«La Linke in Ger­ma­nia appog­gia con tutte le forze Ale­xis Tsi­pras nel suo ten­ta­tivo di otte­nere nuo­va­mente la mag­gio­ranza per un governo di sini­stra». È il passaggio-chiave del comu­ni­cato dif­fuso ieri dai ver­tici del prin­ci­pale par­tito di oppo­si­zione tede­sco. Nes­sun dub­bio: la Linke è al fianco del lea­der di Syriza. «Solo con un forte governo di sini­stra c’è la garan­zia che si uti­liz­zino gli spazi di mano­vra all’interno del “pac­chetto del ricatto” euro­peo per far pagare final­mente i ric­chi», con­ti­nua la nota fir­mata da Bernd Rie­xin­ger e Katja Kip­ping (segre­tari), e da Gre­gor Gysi (capo­gruppo al Bun­de­stag). In cui si evi­den­zia anche la chance di «lot­tare con­tro cor­ru­zione ed eva­sione fiscale, e aprire ulte­riori pos­si­bi­lità di svi­luppo sociale ed eco­no­mico del Paese all’interno dell’Eurozona».
Ma non tutto il par­tito è dav­vero su que­sta linea. La mossa di Tsi­pras ha ria­ni­mato un dibat­tito mai vera­mente sopito all’interno della sini­stra tede­sca: quello sul futuro dell’euro e dell’Unione euro­pea. La cor­rente più radi­cale è tor­nata a met­tere in discus­sione la moneta unica: «L’euro non fun­ziona, genera sem­pre mag­giori squi­li­bri eco­no­mici, come mostra in modo dram­ma­tico la Gre­cia», ha dichia­rato ieri Sahra Wagen­k­ne­cht al quo­ti­diano Die Welt.

L'alternativa era tra la morte e la morte

“L’alternativa era tra la morte e la morte…”
Intervista a Barbara Spinelli di Carlo Di Foggia
La riflessione più amara, Barbara Spinelli la riserva al mantra più forte degli europeisti: “Pensare che la soluzione al disastro antidemocratico che è stata la vicenda greca, sia una integrazione più forte dell’Unione così com’è, con i presenti Trattati, non significa rendere l’Europa più forte. Significa il contrario”.
Tsipras ha annunciato le dimissioni e chiesto le elezioni anticipate per il prossimo 20 settembre.
"Era prevedibile che Syriza si sfaldasse dopo l’umiliazione che il governo ha dovuto subire. Resta il profondo atto democratico: dimettersi e dare voce agli elettori."
Non è solo una mossa furba per evitare che l’ala sinistra di Syriza abbia il tempo di organizzarsi?
"La sinistra ha un forte peso nell’elettorato e il referendum del 5 luglio lo ha dimostrato. Quel voto rafforzerà i dissidenti ma non darà loro una maggioranza. L’elezione è rischiosa: può costringere il premier ad allearsi con socialisti e liberali. Ma anche questi ultimi sono stati indeboliti dal referendum, avendo lottato per il Sì. Più che furba, la mossa nasce da uno scacco e propone l’uscita democratica da un golpe post moderno. Ad Alexis Tsipras è stata lasciata la scelta tra la morte e la morte, tra Grexit e sottomissione."

I dubbi di Fassina sulla Grecia

Intervista a Stefano Fassina di Andrea Fabozzi
Ste­fano Fas­sina, tra Tsi­pras che riporta la Gre­cia alle ele­zioni e Lafa­za­nis che lo con­te­sta gui­dando la scis­sione da Syriza, lei con chi sta?
"Non ha senso sce­gliere, hanno perso entrambi. La deci­sione di tor­nare alle urne è un aggra­va­mento della scon­fitta del 13 luglio, quando Tsi­pras ha dovuto sot­to­scri­vere il nuovo memo­ran­dum «sotto ricatto», come ha detto lui stesso. Le ele­zioni pos­sono por­tar­gli qual­che van­tag­gio in ter­mini di nor­ma­liz­za­zione del gruppo par­la­men­tare di Syriza, ma il risul­tato finale sarà un inde­bo­li­mento del par­tito e quindi della sua lea­der­ship. Credo lo sap­pia anche Tsi­pras, la scelta di anti­ci­pare le urne in fondo testi­mo­nia la con­sa­pe­vo­lezza delle con­se­guenze nega­tive del memo­ran­dum."
Non crede che con un nuovo man­dato potrà gua­da­gnare mar­gini di inter­pre­ta­zione di quell’accordo? Magari strap­perà la rine­go­zia­zione del debito che adesso chiede anche il Fmi?

La tela europea di Varoufakis contro l'austerità riparte in Francia


di Angelo Mastrandrea
Nel giorno in cui da una costola di Syriza nasce la terza forza par­la­men­tare della Gre­cia, Yanis Varou­fa­kis se ne va a tes­sere la sua tela poli­tica in Fran­cia, alla tra­di­zio­nale festa estiva del Par­tito socia­li­sta a Frangy-en-Bresse. A invi­tarlo è la sini­stra anti-austerità capeg­giata dall’ex mini­stro dell’Economia Arnauld Mon­te­bourg, che vuole fare la guerra all’ala libe­ral del pre­mier Manuel Valls. Una dichia­ra­zione d’intenti, forse, che parla a Valls per­ché Tsi­pras intenda, ma forse pure alla neo­nata Unione popo­lare di Pana­gio­tis Lafa­za­nis, più aper­ta­mente antieuropeista.
La domanda del giorno è infatti con chi sta­ranno Varou­fa­kis e un’altra pro­ta­go­ni­sta dei mesi di governo Syriza: la pre­si­dente del Par­la­mento Zoe Kon­stan­to­pou­lou. Nella lista dei 25 depu­tati finiti nel nuovo gruppo messo in piedi dalla Piat­ta­forma di sini­stra spic­cano infatti le loro assenze. Vuol dire che rimar­ranno den­tro Syriza, pur su posi­zioni con­tra­rie ad Ale­xis Tsi­pras? Non pro­prio. Kon­stan­to­pou­lou è bloc­cata dal suo ruolo isti­tu­zio­nale, ma dif­fi­cil­mente rimarrà al seguito del pre­mier, con il quale è entrata più volte in rotta di collisione.

Dal web alla trincea in guerra contro lo Stato Islamico

di Giacomo Zandonini
«Mi hanno dato un visto per il Kurdistan, aspetti che lo tiro fuori.Non ha un valore formale, perché la regione curda è in parte dell’Iraq, ma può evitarmi qualche problema durante il viaggio. E poi ho un nuovo nome, da combattente». Albert è un soldato di vocazione. Basco con passaporto francese e tedesco, a 20 anni è entrato nella Legione straniera francese, per combattere a fianco dei marines a Bassora, Iraq del sud. L’esplosione di una mina nei pressi di Kuwait City, appena liberata dalle truppe della coalizione Nato, gli ha portato via tre amici. Oggi, 24 anni dopo quella “lunga battaglia nel deserto”, sta per partire di nuovo. «Ho lavorato dieci anni per Lufthansa e adesso lascio tutto. Casa, famiglia, lavoro. Vado per la libertà di tutti noi, la mia, la vostra. Perché stare a guardare significa essere complici». Albert, il nome è di fantasia, è fra le centinaia di uomini – e alcune donne – che hanno raggiunto negli ultimi mesi i combattenti curdi, yazidi e assiri in lotta contro lo Stato islamico in Siria e Iraq. Europei, australiani, americani, uniti da un nemico comune. Non raggiungono i numeri dell’Is, che secondo il dipartimento di Stato Usa può contare su 18.000 foreign fighters, 3.000 dei quali occidentali, eppure sempre più persone aspirano alla prima linea contro gli uomini di Al-Baghdadi.

La lotta contro l'austerità continua: noi tedeschi della Linke stiamo con Tsipras

di Gabi Zimmer
La nostra lotta continua!
Ieri l'altro il Bundestag ha deciso di sostenere l’accordo dell’Eurogruppo per quanto riguarda il terzo cosiddetto pacchetto di aiuti alla Grecia. Le conseguenze per il popolo greco e la loro economia sarà difficile.
La nostra lotta continua. La Grecia è stato solo il punto di partenza per i programmi neoliberisti contro la giustizia sociale e la democrazia. Schäuble e altri hanno perso il loro gioco di potere politico quando hanno cercato di spingere la Grecia fuori dall’euro. Una ” Grexit “ sarebbe stata una catastrofe, soprattutto per i poveri. e non solo in Grecia.Ma l’UE è ancora lontana dal rispetto e dalla solidarietà tra gli Stati membri.
Noi dovremmo ora aiutare la gente in Grecia con tre misure concrete per la crescita invece di ulteriore austerità. In primo luogo, il massiccio debito ha bisogno di un vero e proprio taglio in modo da renderlo sostenibile. In secondo luogo, i paesi dell’UE come la Germania che hanno tratto profitto della crisi nella zona euro , e in particolare in Grecia, dovrebbero trasferire questi profitti in un fondo per investimenti sostenibili in Grecia.

La misura è la democrazia


Con la scelta delle dimissioni Alexis Tsipras rende sempre più chiara la sua politica. La bussola è la democrazia, come è stato fin dall'inizio. In democrazia decide il popolo. Con la democrazia il popolo vince. Mentre in questa Europa dell'austerità e del potere tecnocratico e dei governi si fa di tutto per impedire che i popoli si esprimano e che possano cambiare le cose, Tsipras percorre la strada opposta, quella per cui è il popolo a decidere.
Contemporaneamente Tsipras non si sottrae alle proprie responsabilità, alla responsabilità della politica. Fa un discorso di trasparenza e chiede al popolo di esprimersi sulla durissima battaglia condotta in questi mesi. Le sue parole sono chiare. Tra la Scilla delle conseguenze delle colpe gravissime dei vecchi governi e la Cariddi della rovina del Paese, ha navigato nella tempesta per portare in salvo il suo popolo.

Ucraina, sul fronte della guerra dimenticata

di Francesca Borri
Un mazzetto di sedano, otto carote e sette cipolle. Accanto, quattro bicchieri di plastica con delle piccole prugne e un secchio di mele verdi. La signora con il cappello di paglia, invece, ha quattro cetrioli. Un uomo con la barba sfatta e la camicia strappata ha, su uno strofinaccio, per terra, diciotto peperoncini rossi e cinque zucchine.
Nell’est dell’Ucraina, dopo un anno di guerra, si vive così: rivendendo il poco trovato in giardino. Lungo la linea precaria della tregua di Minsk, che a febbraio ha più o meno congelato il fronte in attesa di una nuova costituzione basata sulle autonomie locali, come al solito sono rimasti solo quelli troppo poveri per andare via. Troppo fragili. Gli anziani. Chiedo a Volodja, l’uomo della camicia strappata, cosa pensa di tutto questo, e mi guarda fiero: nessuno, qui, dice, si arrenderà. “I tedeschi non vinceranno”. Crede che sia ricominciata la seconda guerra mondiale.

Israele va a caccia di vecchi nemici


di Chiara Cruciati
Ieri Kha­led Meshaal, lea­der del polit­buro di Hamas, ha con­fer­mato i nego­ziati in corso con Israele per una tre­gua di lungo periodo. Una dichia­ra­zione che smen­ti­sce quanto riba­dito pochi giorni fa dal primo mini­stro israe­liano: Tel Aviv «non tiene alcun mee­ting con Hamas né diret­ta­mente né tra­mite intermediari».
Se Hamas dovesse finire fuori dai gio­chi dell’aperto con­flitto con Israele, con l’Iran che gode di nuova legit­ti­ma­zione inter­na­zio­nale in seguito all’accordo di Vienna, Tel Aviv rischia di restare senza nemici con­tro i quali intes­sere le fitte trame della pro­pa­ganda di “Stato sotto assedio”.
Ed ecco che a tor­nare in auge è la Siria. Non certo da sola: negli ultimi due giorni il fuoco incro­ciato al con­fine israelo-siriano ha rimesso a ribol­lire nel gran cal­de­rone tutti gli sto­rici avver­sari di Tel Aviv, da Bashar al-Assad ai gruppi armati pale­sti­nesi fino a, com’è ovvio, Teheran.

venerdì 21 agosto 2015

Svegliare la società e rimuovere le macerie del ventennio

di Alberto Burgio
C’è vita a sini­stra? Forse la que­stione andrebbe posta in que­sta forma, come una domanda non reto­rica. La rispo­sta, se non si è in cerca di con­forto, non è scon­tata. Dipende da che cosa si intende per sini­stra e da dove si volge lo sguardo.
Per­lo­più ci si guarda intorno per regi­strare le (micro)realtà in cui è attual­mente fran­tu­mato il ter­ri­to­rio della sini­stra poli­tica e della cosid­detta sini­stra sociale, che è poli­tica anch’essa per­ché movi­menti e asso­cia­zioni sono sog­get­ti­vità cri­ti­che dotate di cul­tura poli­tica e orien­tate verso fina­lità poli­ti­che. In que­sta pro­spet­tiva è facile rispon­dere affermativamente.
L’arcipelago esi­ste. Si riduce, ma nono­stante tutto per­si­ste. In quest’ottica il pro­blema sta nel riscat­tarlo dall’attuale disper­sione bat­tendo le resi­stenze (le insi­pienze) di sedi­centi gruppi diri­genti gra­vati dai peg­giori difetti del ceto poli­tico: l’autoreferenzialità, il feti­ci­smo delle iden­tità (per sovrap­più cri­stal­liz­zate nella sot­to­cul­tura delle for­mule ideo­lo­gi­che), il set­ta­ri­smo alle­vato da una con­ce­zione fami­li­stica dell’appartenenza.

Se il lavoro non basta

Intervista a Chiara Saraceno di Giulio Sensi
Non basta avere un lavoro per uscire dal rischio povertà. “Perché -spiega la sociologa Chiara Saraceno- un reddito solo in famiglia può non bastare,soprattutto in assenza di trasferimenti, in particolare per il costo dei figli. Le famiglie monoreddito sono più vulnerabili alla povertà, e sono fortemente concentrate nei ceti più modesti e nelle regioni più povere. D’altra parte, l’aumento dell’occupazione, anche quando c’è o ci sarà, oggi non comporta necessariamente un aumento degli occupati nelle famiglie che ne avrebbero più bisogno”. È una delle tesi alla base del suo ultimo libro, “Il lavoro non basta” edito da Feltrinelli, con cui la Saraceno scardina alcuni luoghi comuni sulla società e ricostruisce un quadro aggiornato sulla povertà in Italia e in Europa.
Professoressa, cosa significa che il lavoro non basta? 
"Le faccio un esempio: negli anni pre-crisi stava aumentando l’occupazione femminile. Ma chi sono le donne occupate? Quelle ad alta istruzione, che normalmente mettono su famiglia con uomini di pari istruzione. L’aumento dell’occupazione femminile, così, privilegia le famiglie a doppio reddito a livelli alti e non a livelli bassi. Abbiamo una polarizzazione fra le famiglie ‘ricche di lavoro’ a livelli medio alti e ‘povere di lavoro’ a livelli bassi.

Sinistra, ricominciamo dalla riduzione dall’orario di lavoro

di Valentino Parlato
La sini­stra è in una crisi sto­rica e, direi, mon­diale. Su que­sto tema è in corso sul mani­fe­sto (che si defi­ni­sce ancora “quo­ti­diano comu­ni­sta”) un’utile ricerca, «C’è vita a sini­stra ?», avviata in luglio e che dovrebbe por­tarci almeno all’abbozzo di una con­clu­sione sulla base degli inter­venti pub­bli­cati e in arrivo.
Sap­piamo bene che da una crisi, spe­cie se grande e pesante, non se ne esce restando come prima e i rischi di andare al peg­gio sono forti. Già con Renzi pre­vale la poli­tica di destra: la pro­spet­tiva è che o resi­ste accre­scendo il suo potere per­so­nale o sarà sca­val­cato da un’avanzata delle forze dichia­ra­ta­mente di destra. Le crisi sono una cosa seria.
Non si ricorda mai abba­stanza che dopo la rivo­lu­zione russa del 1917 e le grandi lotte ope­raie in tutta Europa, ci fu una rispo­sta rea­zio­na­ria con il fasci­smo e il nazi­smo che acqui­sta­rono forza con la crisi del l929 e matu­ra­rono le con­di­zioni per la Seconda Guerra Mondiale.

Provaci ancora Tsi!

di Teodoro Andreadis Synghellakis
Ale­xis Tsi­pras ha voluto seguire con deci­sione la via che porta alle ele­zioni anti­ci­pate, il pros­simo 20 set­tem­bre. Alla riu­nione in cui si è deciso il ricorso anti­ci­pato alle urne hanno preso parte tutti i più stretti col­la­bo­ra­tori del pre­mier greco: il mini­stro alla pre­si­denza Nikos Pap­pàs, il capo­gruppo di Syriza alla camera, Nikos Filis, il mini­stro per il rias­setto pro­dut­tivo Panos Skourletis.
«Non si tratta dell’accordo che avremmo voluto, ma senza il soste­gno e la resi­stenza dimo­strata dal popolo greco, i cre­di­tori ci avreb­bero por­tato alla cata­strofe, o avreb­bero impo­sto total­mente la loro linea», ha sot­to­li­neato Tsi­pras, nel suo discorso di quat­tor­dici minuti, tra­smesso ieri sera dalla tele­vi­sione pub­blica Ert.
Secondo il lea­der greco, il paese sta ini­ziando ad uscire da una situa­zione molto dif­fi­cile, e «lot­terà per ridurre al minimo gli effetti nega­tivi del com­pro­messo, dirà no a tagli lineari, alle bar­ba­rie nella legi­sla­zione sul lavoro, com­piendo ogni sforzo per ricon­qui­stare pie­na­mente la pro­pria sovra­nità nazio­nale».

Il boss, i funerali e i poteri ciechi

di Massimo Villone
Un tempo avremmo detto che per qua­lun­que evento di rilievo ci sarebbe stato da qual­che parte un poli­ziotto, un cara­bi­niere o magari un vigile urbano avver­tito di quel che era acca­duto o sarebbe acca­duto. Ai meno gio­vani sarà forse suc­cesso di tro­varsi per caso in que­stura e sco­prire che al di là della scri­va­nia sedeva un tale per­fet­ta­mente infor­mato delle vicende per­so­nali, lavo­ra­tive, fami­liari, e per­sino sco­la­sti­che (quando è capi­tato a me, ero studente).
Per chi è favo­re­vole, que­sto essen­zial­mente accade per­ché, quando si parla di sicu­rezza e di ordine pub­blico, la parola d’ordine è cono­scere per pre­ve­nire. E uno Stato effi­ciente dispone a tal fine sul ter­ri­to­rio di occhi ed orec­chie. Ma pro­prio per que­sto stu­pi­sce, e molto, la dichia­ra­zione del pre­fetto di Roma di non essere stato infor­mato sul fune­rale del boss Casa­mo­nica. Un evento così impo­nente deve aver richie­sto un vasto impe­gno orga­niz­za­tivo. Pos­si­bile che nes­suno abbia visto, sen­tito, sospet­tato, sup­po­sto, ipo­tiz­zato alcun­ché?

L'Europa sta morendo di inedia

 
Intervista a Romano Prodi di Arturo Celletti e Eugenio Fatigante
Sfidiamo Romano Prodi con una domanda netta. Quattro sole parole. Come trova l’Europa? La risposta è cruda, come è cruda e amara l’analisi che ne segue: «La trovo in uno stato terribile». Una pausa leggera. Come se il 76enne ex presidente della Commissione Ue (reduce anche ieri da una 'passeggiata' di 58 km. in bicicletta) volesse darci il tempo di riflettere su quell’aggettivo: terribile. «Nessuno dei grandi problemi è stato affrontato con spirito europeo. Né la Grecia, né l’immigrazione. Sono stati tutti lasciati esplodere». Più volte Prodi aveva denunciato una mancanza di visione dei leader europei; e anche oggi, nel giorno in cui Berlino dice sì al piano di aiuti ad Atene, resta con i piedi per terra. «Il problema non è stato affrontato in maniera definitiva: abbiamo evitato il peggio e abbiamo fatto il male. All’ultimo momento si è scongiurata un’uscita drammatica, ma con rimedi del tutto insufficienti per un rientro della Grecia nella vita politico-economica della Ue che sia stabile e duraturo». Sfidiamo ancora Prodi: il nodo Grexit si ripresenterà? Il professore annuisce.

Riforma della scuola: signora preside, a Licata l’aspettano!

di Alex Corlazzoli
Facciamo una simulazione. Da domani la signora Alessandra Rucci, preside all’istituto superiore Savoia-Benincasa di Ancona, è trasferita a Licata, provincia di Agrigento. Se vuole lavorare il posto è lì, a 1.169 chilometri Dall’altro canto la signora Rucci ha chiarito che “chi ama questo lavoro affronterà meglio il sacrificio di allontanarsi da casa”.A Licata, senza marito e figli (se ne ha) potrà essere libera di dedicarsi totalmente ai suoi alunni e docenti. Finalmente potrà realizzare il sogno di una vita: soffrire per amore di un lavoro.
Immagino dall’altro canto che la signora Rucci, quando si è laureata come tutti i precari che sono pronti a partire verso destinazioni misteriose, sognava di finire a 1.169 chilometri da casa per poter meglio esprimere tutta la sua passione, la sua dedizione per la scuola pubblica.

Marijuana, il proibizionismo costa caro

di Stefano Vergine
La canna è una manna per lo Stato. Almeno potenzialmente. Se l'Italia liberalizzasse le droghe leggere, le casse pubbliche potrebbero guadagnare fino a 8,5 miliardi di euro all'anno, una cifra enorme. Quasi equivalente, per capirci, a quanto servirebbe oggi al governo di Matteo Renzi per evitare l'aumento dell'Iva previsto a partire dall'anno prossimo.
I calcoli sui benefici finanziari della cannabis li hanno fatti Ferdinando Ofria e Piero David, due docenti di Politica economica all'Università di Messina. Nel loro studio, appena pubblicato su lavoce.info , i due esperti sostengono che «la legalizzazione è un buon affare». La ricerca parte dall'esempio del Colorado, il primo Stato americano in cui la marijuana è diventata legale non solo per chi ne ha bisogno per curarsi ma anche per quelli che la vogliono usare come divertimento. Proprio quello che in Italia ha proposto un gruppo di parlamentari appartenenti a vari partiti.

Università e lavoro: il Fatto insiste e sbaglia ancora

di Antonio Scalari e Angelo Romano 
Stefano Feltri, vicedirettore del Fatto Quotidiano, torna per la terza volta sul tema “Università e lavoro”, rivolgendosi di nuovo ai «paladini del principio “bisogna studiare quello che ci piace e non quello che è utile a trovare lavoro” che commettono «grossolani errori nel leggere i dati» (come vedremo, non sono questi a commettere errori) e contro chi «rivendica il diritto di studiare come (e quanto) si crede». Feltri non spiega nemmeno questa volta perché pensa che gli studi che piacciono siano sempre e necessariamente inutili a trovare un lavoro. Come se i corsi di laurea ritenuti “utili” fossero frequentati solo da studenti che li detestano. Sì, è un nonsenso. Ma è un nonsenso, infatti, fondare un intero ragionamento sulla critica al “quello che ci piace” come metro di giudizio.
Come abbiamo stabilito, inoltre, che chi sceglie cosa studiare in base alla propria vocazione non consideri mai le prospettive? «In Italia studiamo le cose sbagliate» Come giustifica Feltri la sua tesi e il suo metro di giudizio sull’ “utile” e l’ “inutile”? Con i numeri, afferma. Feltri riporta, di nuovo, le cifre fornite dal consorzio Almalaurea sul tasso di disoccupazione a cinque anni dalla laurea.

L’ospitalità fondamento della nostra civiltà

di Luigino Bruni
Il dovere di ospitalità è il muro maestro della civiltà occidentale, e l’abc dell’umanità buona. Nel mondo greco il forestiero era portatore di una presenza divina. Sono molti i miti dove gli dèi assumono le sembianze di stranieri di passaggio. L’Odissea è anche un grande insegnamento sul valore dell’ospitalità (Nausicaa, Circe...) e sulla gravità della sua profanazione (Polifemo, Antinoo). L’ospitalità era regolata nell’antichità da veri e propri riti sacri, espressione della reciprocità di doni. L’ospite ospitante era tenuto al primo gesto di accoglienza e, nel congedarlo, consegnava un "regalo d’addio" all’ospite ospitato, il quale dal canto suo doveva essere discreto e soprattutto riconoscente.
L’ospitalità è un rapporto (ed è bello che in italiano ci sia un’unica parola, ospite, per dire colui che ospita e colui che è ospitato). Al forestiero che si accoglieva a casa non veniva chiesto né il nome né l’identità, perché era sufficiente trovarsi di fronte a uno straniero in condizione di bisogno affinché scattasse la grammatica dell’ospitalità.

Quando Engels scrisse a Turati, una lezione per Syriza e la Grecia di oggi

Il Partito socialista italiano (così dopo il Congresso di Reggio Emilia del 1893 fu denominato il precedente Partito socialista dei lavoratori italiani), pur non avendo avuta alcuna responsabilità diretta nei moti dei Fasci siciliani del 1894, per aver espresso la sua solidarietà ai lavoratorisiciliani in lotta fu messo al bando e i suoi massimi rappresentanti denunciati alle autorità giudiziarie, mentre il governo Crispi provvedeva a sciogliere i circoli, le associazioni operaie e le Camere del Lavoro.
Lo scatenarsi della reazione e la nuova situazione politica venutasi a creare, posero ai socialisti il problema dell’opportunità dell’alleanza con i partiti democratici, che miravano al ristabilimento e al consolidamento delle libertà nell’ambito del sistema borghese.
Nel momento culminante della repressione dei fasci siciliani, il problema fu posto da Anna Kuliscioff e da Turati a Engels, il quale rispose con la famosa lettera, che qui pubblichiamo, a Turati del 26 gennaio 1894, consigliandolo di evitare una critica puramente negativa nei riguardi dei partiti “affini” e prospettando la possibilità di una alleanza dei socialisti con i radicali e i repubblicani per l’instaurazione di un regime democratico borghese possibilmente repubblicano.

Combattere il caporalato, che è una vera mafia

di Luca Soldi
Le indagini sulla morte della povera Paola Clemente, come dei tanti migranti, devono andare avanti perché nascondono i segni dello sfruttamento e delle mafie. Se le cause sono naturali queste non possono l’alibi per fare di finta di niente di fronte a quello che succede nel mondo della terra, dell’agricoltura.
A maggior ragione quando questo avviene nell’anno in cui il Paese ospita l’Expo e giustamente eleva la qualità e l’eccellenza dei prodotti della sua terra. Anzi, proprio dall’opportunità data dall’esposizione internazionale, l‘attenzione, la cura, la tutela di chi vive su quella terra, vive e lavora deve essere maggiore e non può essere quantificata da un valore che si riflette in pochi centesimi. Si, perché deve essere chiaro, la linea sottile e feroce che separa la tutela dei diritti e della qualità, rispetto a quello che i consumatori pagano ai banchi del mercato o del supermercato, è fatta davvero di centesimi, di millesimi di euro. Soldi, elemosine, ininfluenti se guardiamo il prezzo corrisposto al già misero valore spesso “imposto” agli stessi produttori.

Morti di Cie

“Giustamente il volto di Stefano Cucchi, scavato e tumefatto, è impresso nella mente di tutti noi, come un monito; ma chi conosce Amin Saber? Chi ha mai sentito nominare Christiana Amankwa?”. Olivia Lopez Curzi sfoglia un quaderno scritto a matita, fitto e ordinato. Elenchi, nomi, date, sottolineature e frecce. Corruga un attimo la fronte. “Sai che della morte di Moustapha Anaki si è saputo solo nove giorni dopo? E in Italia ci viveva da parecchi anni, una parte della famiglia era qui…”. Anaki, Saber, Amankwa, Ben Said, Ramsi. Nomi senza un volto, identità sfocate, cancellate dalla storia nazionale. “Eppure quelle persone ci sono state, hanno vissuto, amato, lavorato in Italia e sono morte nelle mani dello Stato; ecco perché vogliamo raccontarle”.

Sindacato: l'ora della federazione? La Uil ci prova

Intervista a Carmelo Barbagallo di Antonio Sciotto
È il suo pal­lino da quando, 9 mesi fa, Car­melo Bar­ba­gallo è stato eletto segre­ta­rio gene­rale della Uil: unire le tre con­fe­de­ra­zioni, tor­nare a quel «patto fede­ra­tivo che è morto con l’accordo di San Valen­tino» (era il 1984 e al governo c’era Craxi, ere geo­lo­gi­che fa). Per il sin­da­cato, a suo parere, è l’ultimo treno: stretto com’è tra i licen­zia­menti e la pre­ca­rietà dila­gante, la fine dell’articolo 18 e le cre­scenti dif­fi­coltà dei pen­sio­nati, può gio­carsi ormai solo la carta di un nuovo pro­ta­go­ni­smo poli­tico. Senza tra­scu­rare la pre­senza nei posti di lavoro — «dob­biamo andarci noi, pro­prio lì dove ci sono i pro­blemi» — e la capa­cità di con­trat­tare. Il lea­der della Uil, d’altronde, è par­tito molto gio­vane dalle linee della Fiat di Ter­mini Ime­rese: e nel suo pae­sino sici­liano è tor­nato in que­sti giorni per tra­scor­rere le vacanze.
In que­sti giorni si sono ria­perte le pole­mi­che sulla rap­pre­sen­tanza dei lavo­ra­tori: vi accu­sano di per­dere iscritti. E scon­tri sulle cifre a parte, non sem­bra che godiate di ottima salute.