La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 20 agosto 2015

Il cammino impervio dell'economia socialista

Intervista a Rafael Enciso di Geraldina Colotti
L’economista colom­biano Rafael Enciso ha appena finito il suo inter­vento e accetta di rispon­dere alle nostre domande. Del suo paese cono­sce bene l’esperienza del Sec­tor Coo­pe­ra­tivo Agro­pe­cua­rio, in par­ti­co­lare il lavoro orga­niz­zato delle coo­pe­ra­tive del caffè. Come stu­dioso e mili­tante di vari movi­menti, ha accom­pa­gnato per 25 anni i ten­ta­tivi – sem­pre nau­fra­gati — di por­tare a solu­zione il con­flitto armato che dura da oltre 50 anni. Dopo il fal­li­mento dei dia­lo­ghi di pace, nel 2002, ha dovuto lasciare la Colom­bia – paese alta­mente peri­co­loso per l’opposizione sociale — e vive da nove anni in Vene­zuela. Adesso è con­su­lente al Mini­stero del Lavoro e si occupa di imprese recu­pe­rate. In uno dei suoi saggi ana­lizza “Gli inse­gna­menti del modo di pro­du­zione sovie­tico per il socia­li­smo del secolo XXI in Venezuela”.
L’alternativa alla crisi siste­mica del capi­ta­li­smo – lei scrive – implica una rot­tura pro­fonda, un nuovo ordine inter­na­zio­nale a carat­tere mul­ti­po­lare e un nuovo modello pro­dut­tivo basato sul con­trollo ope­raio e comu­ni­ta­rio. Come si può costruire que­sta alter­na­tiva in un’economia ancora così basata sulla ren­dita petro­li­fera come quella venezuelana?
"In que­sta fase di tran­si­zione, in cui l’impalcatura dello stato bor­ghese con­ti­nua a esi­stere, occorre arti­co­lare un sistema di con­trap­pesi per poterlo tra­sfor­mare dal basso sotto la spinta del potere popo­lare. Penso si possa svi­lup­pare un modello di gestione mul­ti­pla e socia­li­sta deter­mi­nato dalla par­te­ci­pa­zione dei diversi sog­getti orga­niz­zati. La prima è quella dei lavo­ra­tori orga­niz­zati in con­si­gli, nelle imprese e nelle isti­tu­zioni; la seconda è quella dei con­si­gli comu­nali e delle comuni, e riguarda la costru­zione del governo nei ter­ri­tori; la terza è quella dei con­si­gli dei pro­dut­tori e distri­bu­tori di mate­ria prima – pesca­tori, con­ta­dini -, che non sono sala­riati ma si pos­sono orga­niz­zare e par­te­ci­pare alla gestione della società. E poi c’è lo stato, che deve ade­guarsi, tra­sfor­marsi e agire come un attore in più, come fat­tore di coor­di­na­mento e di arti­co­la­zione, non di cen­tra­liz­za­zione ege­mo­nica. Que­sto mec­ca­ni­smo di con­trollo serve a impe­dire che una parte pre­valga sull’altra, che si svi­lup­pino inte­ressi paras­si­tari e buro­cra­tici, ma al con­tra­rio si impie­ghino le ener­gie per pia­ni­fi­care un’economia del bene comune basata sugli inte­ressi collettivi."
Osta­coli e con­trad­di­zioni, però, non mancano
"Uno degli osta­coli prin­ci­pali è l’assenza di una cul­tura del lavoro, deter­mi­nata dal poco svi­luppo indu­striale, pro­dut­tivo e agri­colo. Per tutto il corso del XX secolo, i governi hanno pun­tato sull’estrazione e l’esportazione del petro­lio. Durante gli anni del neo­li­be­ri­smo sel­vag­gio (tra gli ’80 e il ’90), anche quei set­tori dell’economia che ave­vano rag­giunto un certo svi­luppo sono stati distrutti. Quando Cha­vez vince le ele­zioni, nel 98, trova un paese in ginoc­chio in cui, a fronte degli ele­vati indici di povertà estrema si è svi­lup­pata un’economia for­male di sus­si­stenza. Da un altro lato, pro­li­fe­rano forme di delin­quenza ende­mica e di cri­mi­na­lità orga­niz­zata legata al nar­co­traf­fico, forag­giato dagli Usa a par­tire dalla fine degli anni ’70. L’incidenza del para­mi­li­ta­ri­smo colom­biano e del ter­ro­ri­smo di stato impe­rante nel mio paese è sem­pre stata forte. In Vene­zuela vivono circa 5 milioni di colom­biani. Con l’arrivo del socia­li­smo abbiamo avuto accesso ai ser­vizi e alle coper­ture sociali, di cui hanno appro­fit­tato le orga­niz­za­zioni cri­mi­nali. Quando Alvaro Uribe va al governo in Colom­bia, aumenta in modo mas­sic­cio la pre­senza dei para­mi­li­tari in Vene­zuela, che cer­cano di appro­priarsi della ric­chezza del paese, in modo diretto o indi­retto. Nel 2006, ogni per­sona poteva inviare all’estero 300 dol­lari al mese, anche a un parente alla lon­tana. In molti si sono tra­sfe­riti qui per fare que­sto tipo di traf­fici. L’imperialismo cerca con ogni mezzo di “bal­ca­niz­zare” il Vene­zuela per distrug­gere il cam­bia­mento. La guerra eco­no­mica si ali­menta però anche di una catena per­va­siva di cor­ru­zione e pre­bende. I Con­si­gli ope­rai o quelli comu­nali si tro­vano a volte di fronte gruppi di potere o buro­crati che hanno accesso al con­trollo delle risorse e vedono minac­ciati i pro­pri inte­ressi. D’altro canto, manca la con­sa­pe­vo­lezza poli­tica che il socia­li­smo non è solo wel­fare, non basta ridi­stri­buire meglio la ric­chezza come si è fatto in Ita­lia per un periodo, occorre un cam­bia­mento strut­tu­rale nelle dina­mi­che pro­dut­tive e di potere. E il potere non si tra­sfe­ri­sce, si costrui­sce. Non pos­siamo idea­liz­zare la figura dell’operaio, del pro­le­ta­rio, né cer­care lo schema a tutti i costi. Ma non pos­siamo nep­pure igno­rare che, nella gestione dello stato, esi­stono gruppi il cui modo di pen­sare – al di là della loro estra­zione sociale – è legato a quello della pic­cola bor­ghe­sia e che eser­ci­tano il potere in fun­zione degli inte­ressi che rap­pre­sen­tano. Con loro, a un certo punto, biso­gnerà essere chiari: o accet­tano il potere dal basso oppure se ne devono andare."

Approfondimento: Venezuela, fabbrica e compasso
di Geraldina Colotti

Un modello “inte­grato e soste­ni­bile, gestito dai lavo­ra­tori”. Così, Akram Maka­rem, pre­si­dente di Vtelca, rias­sume al mani­fe­sto la filo­so­fia della Vene­zo­lana de Tele­co­mu­ni­ca­cio­nes. Una fab­brica all’avanguardia nella costru­zione di tele­fo­nia e cel­lu­lari, la più grande del Venezuela.
Siamo a Punto Fijo, nella regione di Fal­con, peni­sola di Para­guana. Il Con­si­glio di fab­brica di Vtelca è stato uno dei pro­mo­tori del V Incon­tro inter­na­zio­nale sull’Economia dei lavo­ra­tori, che ha riu­nito rap­pre­sen­tanti di imprese recu­pe­rate e auto­ge­stite pro­ve­nienti da ogni parte del mondo.
C’era anche il mani­fe­sto, nella dop­pia veste di impresa auto­ge­stita da gran tempo, e poi recu­pe­rata di recente dal col­let­tivo di gior­na­li­sti e poli­gra­fici che la pro­duce. E tra i punti del docu­mento finale, che ha sot­to­li­neato l’importanza dell’informazione auto­ge­stita nella lotta “al lati­fondo media­tico”, si è espressa anche forte soli­da­rietà al nostro gior­nale, accom­pa­gnato nell’incontro da altre due coo­pe­ra­tive edi­to­riali auto­ge­stite in Argen­tina, di cui par­liamo in que­ste pagine.
Entriamo in una fab­brica che avanza nel futuro con lo sguardo vol­tato all’indietro, come l’Angelus Novus: l’angelo della sto­ria, qui, sug­ge­ri­sce ancora che “anche la cuoca può diri­gere lo stato”. Cam­mi­niamo fra i reparti, gli ope­rai salu­tano e spie­gano. Akram inter­viene per for­nire dati e cifre. E intanto risponde alle nostre domande.
E’ un qua­ran­tenne ener­gico di sta­tura media. La sua fami­glia è di ori­gine liba­nese, “antim­pe­ria­li­sta da sem­pre e sem­pre dalla parte del popolo pale­sti­nese”. L’8 marzo del 2010, l’allora pre­si­dente Cha­vez lo ha nomi­nato diret­tore di Vtelca, la cui infra­strut­tura si esten­deva su un peri­me­tro di 4200 mq, e ora supera i 30.000. Un’impresa pub­blica a cui par­te­cipa capi­tale cinese per poco più del 15%: “Dipen­diamo ancora da loro per la for­ni­tura dei mate­riali – dice il diret­tore – ma in que­sta fase stiamo avan­zando verso la piena autonomia”.
Qui si pro­duce il cel­lu­lare Ver­ga­ta­rio, da un’espressione popo­lare che signi­fica “uno in gamba”. Riprende il diret­tore: “Sarebbe molto più eco­no­mico con­ti­nuare con le for­ni­ture esterne, ma dob­biamo affran­carci dalla sto­rica dipen­denza dal petro­lio: non per seguire le orme dello svi­luppo capi­ta­li­sta, ma per prov­ve­dere alle neces­sità effet­tive dell’essere umano. A par­tire dalla fab­brica inte­grata, che mette al cen­tro la costru­zione di nuove rela­zioni sociali, stiamo pro­muo­vendo una visione del mondo alter­na­tiva alla cosid­detta effi­cienza capi­ta­li­sta, basata sulla rapina e la distru­zione delle risorse. Pro­du­ciamo tec­no­lo­gia soste­ni­bile in base a quel che serve dav­vero alla comu­nità. La nostra con­ce­zione dello svi­luppo non è la stessa che ha preso piede nel cosid­detto primo mondo: per pre­ser­vare la spe­cie, occorre eser­ci­tare un con­trollo sulla tec­nica e sui mezzi per pro­durla. Per que­sto non pen­siamo solo alla pro­du­zione mate­riale, ma a uno svi­luppo inte­grale dell’essere umano, il più pos­si­bile in armo­nia con la natura”.
Vtelca è un labo­ra­to­rio di nuove rela­zioni sociali. Entriamo nel reparto rici­clag­gio. Qui tutti gli scarti e i mate­riali recu­pe­rati ven­gono tra­sfor­mati in gio­cat­toli per bam­bini, in biblio­te­che o ban­chi per le scuole, o strut­ture per i par­chi pub­blici: non si pos­sono ven­dere, ma distri­buire gra­tui­ta­mente e l’occasione serve per mol­ti­pli­care i corsi sul rici­clag­gio e per far cono­scere il nuovo modello. Nella regione, vi è un grande parco eolico che pro­duce ener­gia alternativa.
“Quando rici­cliamo – spiega il respon­sa­bile per le rela­zioni pro­dut­tive, Nil Rodri­guez – agiamo anche sul sim­bo­lico, creiamo la meta­fora di un mondo diverso. Inol­tre, chie­diamo sem­pre ai lavo­ra­tori se vogliono par­te­ci­pare ai gruppi musi­cali, alla squa­dra spor­tiva, ai corsi di mura­les o di gior­na­li­smo comunitario”.
Durante l’orario di lavoro? Ma allora è vero quel che dice la destra, che la pro­du­zione crolla quando le fab­bri­che sono gestite dai lavoratori?
Akram Maka­rem sor­ride, mostra tabelle e gra­fici. “Abbiamo scelto di inve­stire sulla qua­lità della vita, sulla dignità del lavoro e della per­sona — dice — Non si può star bene in fab­brica se ci sono pro­blemi intorno. Cer­chiamo di agire come un com­passo: far leva su un punto e agire in cir­colo, per modi­fi­care l’ambiente intorno. Gli ope­rai pia­ni­fi­cano la pro­du­zione, che ogni anno aumenta. Lavo­riamo otto ore al giorno dal lunedì al venerdì, ma se rea­liz­ziamo la meta anzi­tempo, com­pen­siamo con tempo libero. Per que­sto, non abbiamo paura di sospen­dere la pro­du­zione quando c’è una gior­nata di ven­dita di qua­derni per i figli degli ope­rai, o una ven­dita di ali­menti, una gior­nata per la salute”.
In que­sti giorni, c’è stata una gior­nata di auto­di­fesa. La mili­zia popo­lare ha mostrato come resi­stere ai sabo­taggi e agli attac­chi desta­bi­liz­zanti. “Stiamo sof­frendo una guerra eco­no­mica da parte delle grandi imprese pri­vate che pro­vo­cano scar­sità dei pro­dotti, ma qui abbiamo un Pdval, una delle catene di distri­bu­zione ali­men­tare del governo”, dice il direttore.
Visi­tiamo anche il resto del com­plesso indu­striale. In que­sta zona c’è una delle cin­que più grandi raf­fi­ne­rie di petro­lio al mondo. La peni­sola di Para­guanà custo­di­sce anche un enorme patri­mo­nio in ter­mini di bio­di­ver­sità ed è una delle mete più fre­quen­tate dai turi­sti. Una Zona eco­no­mica spe­ciale (Zes) che si estende per 2.687,51 kmq e com­prende i comuni di Fal­cón, Los Taques e Carirubana.
Qui si pos­sono com­prare pro­dotti esen­tasse. Le stesse imprese – la cui par­te­ci­pa­zione deve comun­que rima­nere mino­ri­ta­ria rispetto a quella sta­tale — sono eso­ne­rate dalle impo­ste sulla ren­dita (Islr) al 100% : a con­di­zione di ade­guare il pro­cesso pro­dut­tivo alle esi­genze del mer­cato locale e alle espor­ta­zioni. Il secondo anno, se espor­tano il 70% della pro­du­zione, con­ti­nuano a non pagare le tasse, altri­menti ver­sano il 50% della Islr, e così via per 18 anni. Le com­pa­gnie stra­niere devono comun­que lasciare i gua­da­gni nella banca pub­blica nazio­nale per almeno cin­que anni e dar conto seme­stral­mente delle attività.
L’anno scorso, sono state isti­tuite altre Zes, una delle quali nel Tachira, alla fron­tiera con la Colom­bia, dove più lucroso per le mafie e deva­stante per l’economia vene­zue­lana è il traf­fico di pro­dotti al mer­cato nero.
Il Vene­zuela volta pagina nel 2007. Dopo aver assunto il suo secondo man­dato, Cha­vez spinge sul pedale delle nazio­na­liz­za­zioni: dalla tele­fo­nia, al petro­lio, dall’elettricità alla banca e alla finanza, dalla side­rur­gia ad alcune indu­strie di pro­du­zione di ali­menti. Un qua­dro con­tem­plato dalla costi­tu­zione – che comun­que tutela anche la pro­prietà pri­vata — e inau­gu­rato con l’espropriazione del grande lati­fondo. Un cam­bia­mento che ha già pro­vo­cato la rea­zione dei poteri forti e il colpo di stato del 2002, ma che non si è fermato.
Un pro­cesso basato comun­que più su com­pen­sa­zioni che su veri espro­pri. Nella Faglia dell’Orinoco – una zona di circa 55000 km2 che custo­di­sce le più grandi riserve di petro­lio al mondo – quasi tutte le mul­ti­na­zio­nali hanno accet­tato le com­pen­sa­zioni o le nuove regole per restare sotto l’egida di Pdvsa, la petro­li­fera statale.
Solo la mul­ti­na­zio­nale Usa Exxon Mobil è scesa sul piede di guerra e con­ti­nua il con­flitto nei tri­bu­nali inter­na­zio­nali o nelle acque dell’Esequibo, una zona con­tesa tra Vene­zuela e Guyana.
In molti casi, i lavo­ra­tori hanno spinto dal basso le deci­sioni di governo acce­le­rando il pro­cesso, come nel caso della Sidor, nazio­na­liz­zata nel 2009.
Al con­tempo, si è andato con­so­li­dando un qua­dro nor­ma­tivo per la crea­zione di Comu­nas e Imprese di pro­du­zione sociale, e si è dato nuovo impulso alla par­te­ci­pa­zione diretta dei lavo­ra­tori e delle lavo­ra­trici nella gestione, nella pia­ni­fi­ca­zione e nel con­trollo della pro­du­zione. Ma si apre il con­flitto anche all’interno delle fab­bri­che di stato, dove i con­si­gli ope­rai più com­bat­tivi accu­sano alcuni gerenti di fre­nare la tran­si­zione al socialismo.
“Qui assu­miamo il dibat­tito e la con­trad­di­zione – dice Akram – ma con spi­rito costrut­tivo e senza set­ta­ri­smi”. Su que­sti temi, nel V incon­tro inter­na­zio­nale di Punto Fijo, il dibat­tito teo­rico si è tra­sfe­rito nel con­fronto diretto con le diverse espe­rienze con­crete. “Da noi – spiega Jesus Gomez, del Movi­mento pro­le­tari uniti di Fal­con — l’intento è quello di tra­sfe­rire la gestione delle risorse diret­ta­mente nelle mani del popolo orga­niz­zato, per depo­ten­ziare dall’interno le strut­ture del vec­chio stato bor­ghese: per­ché il vec­chio tarda a morire e il nuovo fa ancora fatica a nascere”.
Wil­liam Godeyo, argen­tino che fa parte del movi­mento popo­lare Patria grande, ha osser­vato dall’interno lo svi­luppo delle Comu­nas. Per 3 anni, una bri­gata di 45 com­pa­gni ha tenuto corsi in varie comu­nità, appog­giati dal Mini­stero delle Comu­nas e da quello di Planificacion.
“Si tratta di un pro­cesso di costru­zione comu­nale dal basso – spiega – basato sulla fede­ra­zione di diversi con­si­gli comu­nali che, dopo essersi regi­strati, orga­niz­zano un pro­prio par­la­mento, deci­dono di cosa ha biso­gno la comu­nità. Spesso tutto si mette in moto con l’occupazione di edi­fici o ter­reni abban­do­nati, che poi ven­gono recu­pe­rati dal governo e resti­tuiti ai cit­ta­dini. Abbiamo par­te­ci­pato a pro­getti di costru­zione auto­ge­stita di case popo­lari, che pre­ve­dono anche lo svi­luppo di unità pro­dut­tive per garan­tire l’economia par­te­ci­pata sul territorio”.
Adesso siamo in una sala di Vtelca in cui tro­neg­giano grandi mani­fe­sti e mura­les: da una parte i padri sto­rici del mar­xi­smo, dall’altro quelli delle indi­pen­denze lati­noa­me­ri­cane e l’omaggio agli indi­geni e ai primi schiavi ribelli che qui hanno costruito le prime “repub­bli­che libere”.
Akram mostra un’altra parte dei pro­getti dedi­cata ai bam­bini: un per­corso ludico per­ché impa­rino a cono­scere il lavoro in fab­brica fin da pic­coli “e a impa­dro­nirsi della tec­no­lo­gia”. Un’operaia sale sul palco, spiega il per­corso di cono­scenza che ha por­tato la fab­brica a que­sto livello.
“Cre­diamo nel pen­siero di genere e nel ruolo pro­pul­sivo della donna nel socia­li­smo boli­via­riano”, approva il diret­tore. E cede la parola all’operaio Pacheco, che arriva sor­retto da un bastone.
A Vetelca, i diver­sa­mente abili dicono la loro. “E parte della tec­no­lo­gia pro­dotta viene modi­fi­cata per ren­dere più age­vole la loro condizione”.
Poi, si canta e si balla con le can­zoni di Ali Pri­mera, a cui la zona ha dato i natali.

Fonte: Il manifesto

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