La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 20 agosto 2015

Caro sindacato...

di Matteo Pucciarelli
«Ne ho prese tante di botte eh, ma non sai quante gliene ho dette!». Ecco, alla fine la storia è tutta qui. Il mondo lì fuori cambia velocemente, tu non sai più parlarci da troppo tempo, eppure resti rinchiuso nel fortino a difendere ciò che resta di un glorioso passato, utilizzando una lingua sconosciuta ai più.
Ieri su Repubblica un mio servizio ha scatenato la reazione della Cgil; reazione non inaspettata, per certi versi comprensibile, eppure così miope e corporativa, lontana anni luce dai mille interrogativi e i mille dubbi che dovrebbe porsi una grande organizzazione che ha a cuore il proprio futuro (masoprattutto quello dei lavoratori). Riducendo tutto il dibattito su cosa è fare sindacato oggi, su come si struttura un sindacato oggi, su come un sindacato riesce a parlare ai giovani di oggi, a una diatriba sui numeri, sulla interpretazione di una tabella che in realtà parlava chiarissimo - peraltro offendendo la professionalità dei giornalisti del più importante quotidiano italiano, nonché l’intelligenza dei lettori.
Il sindacato perde migliaia di tessere l’anno, ed è vero. Fosse solo un problema di iscritti sarebbe tutto più semplice. Il punto è che la Cgil, la Cisl, la Uil, sono considerate da buona parte della popolazione strumenti vetusti e anacronistici. Un po’ come i partiti, del resto. Un po’ come la democrazia rappresentativa e i corpi intermedi. Un po’ come lo stesso mondo dell’informazione. Una crisi di sistema che può solo peggiorare se la risposta è la chiusura a ogni tentativo di riflessione, l’arroccamento, il grido al complotto, il burocratese che preferisce trastullarsi nel proprio piccolo mondo antico che di questo passo sparirà del tutto.
Del sindacato, dei partiti, dell’informazione, c’è bisogno, ce n’è bisogno soprattutto oggi, con le disuguaglianze in aumento e la mancanza di una cultura critica nella società. Con lo strapotere di un modello economico (politico e culturale) che riduce il lavoro a merce monetizzabile e ne chiede, anzi ne pretende, una svalutazione continua. Ma se la riflessione su ciò che si è e su ciò che si deve essere è rivolta sempre e solo agli altri e mai a se stessi, è un gioco destinato a fallire. Se la trasparenza vale solo per gli altri. Se la messa in discussione delle rendite di posizione vale solo per gli altri.
Il mondo del lavoro negli ultimi 20 anni è migliorato o è peggiorato? L'occupazione è aumentata o è calata? I diritti sono aumentati o sono diminuiti? E di questo innegabile declino i gruppi dirigenti della Cgil cosa ne pensano? Se ne sentono in qualche modo responsabili oppure sono immuni da ogni contestazione?
Perché, ad esempio, i giovani rifuggono dal sindacato? La precarietà, la vita lavorativa sotto ricatto: tutto vero. Ma la domanda resta: perché non chiedono aiuto al sindacato? E anzi, lo ritengono potenzialmente un avversario, un difensore dei diritti di qualcuno e non di tutti? Gli approcci alla questione sono due: “i giovani sono stupidi e non capiscono”; oppure, “non riesco a farmi capire dai giovani e non riesco più a comunicare ciò che vorrei ai giovani”.
Di questo passo, fra trenta anni, la Cgil esisterà ancora? Se sì, come personalmente mi auguro, sarà un soggetto vivo oppure il solito comodo recinto rinchiuso nelle proprie liturgie, troppo spesso confinato sui tavoli di trattativa di questo o quel ministero a beneficio dei fotografi?
Chi vuole bene alla Cgil – e non perché si chiami Cgil, ma per quel che rappresenta o dovrebbe rappresentare, cioè l’unione dei lavoratori – sa che le vere domande per l’oggi e per il domani sono queste. Chi vuole bene alla Cgil e non ha carriere personali e giochi di componenti interni da difendere, sa che non mettere in discussione dalla radice il ruolo e la natura del sindacato è il modo più semplice per suicidarsi. Una morte lenta, ma sicura.
Sarebbe bello avere delle risposte a tutte queste domande. Da cronista posso limitarmi ad osservare e a raccontare la realtà, una realtà soggettiva sicuramente, ma animata (nel mio caso) da grande passione e sicura buonafede.

Fonte: MicroMega - blog dell'autore

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