La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 20 agosto 2015

Palmira, orrore senza fine

di Valentina Porcheddu
L’hanno deca­pi­tato e poi hanno appeso il corpo a un palo della luce, nel cen­tro di Tad­mor. In alto, i piedi incro­ciati. In basso, fra le mani – la destra stretta in un pugno, la sini­stra arresa al destino – hanno posto la testa, il pegno alla crudeltà.
Lui era lo stu­dioso siriano Kha­led As’ad e per mezzo secolo aveva diretto l’area archeo­lo­gica e il museo di Pal­mira, la città cosmo­po­lita, cro­ce­via di caro­vane del deserto ma soprat­tutto di popoli e cul­ture. Gli ese­cu­tori del delitto sono jiha­di­sti dello Stato Isla­mico, che dal 23 mag­gio scorso occu­pano il sito, patri­mo­nio Une­sco fin dal 1980, tenendo col fiato sospeso il mondo intero. La morte di As’ad è stata annun­ciata il 18 ago­sto da Maa­moun Abdul­ka­rim, diret­tore delle Anti­chità e dei musei siriani, il quale era stato infor­mato dai fami­gliari della vit­tima. La noti­zia è stata con­fer­mata il giorno suc­ces­sivo dall’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, che fa sapere tra­mite un comu­ni­cato che «As’ad è stato deca­pi­tato in una piazza di Pal­mira davanti a decine di persone».
Alcuni media stra­nieri e ita­liani – fra cui La Repub­blica – rife­ri­scono che il corpo dell’archeologo pen­deva da una colonna tra le rovine ellenistico-romane. Una nar­ra­zione che, pur nell’orrore, vor­rebbe con­se­gnare la morte di As’ad al grembo della civiltà. Tale imma­gine è però falsa, così come paiono inat­ten­di­bili le voci secondo le quali lo stu­dioso ormai in pen­sione, sarebbe stato impri­gio­nato e tor­tu­rato allo scopo di con­fes­sare il «nascon­di­glio» di cen­ti­naia di sta­tue, gli idoli abor­riti dall’Isis, che in Siria e in Iraq hanno già subito più volte la furia ico­no­cla­stica degli uomini del Califfo.
A rive­lare le ragioni del cri­mine sono gli stessi jiha­di­sti, che in un cre­scendo di vio­lenza, fanno maca­bro sfog­gio delle loro «tat­ti­che» di guerra. In un car­tello bianco, scritto con inchio­stro rosso e posto sul capo senza vita di As’ad, cam­peg­gia infatti la sentenza.
Gli assas­sini dello Stato Isla­mico mar­chiano l’ottantaduenne stu­dioso come «l’Apostata» e det­ta­gliano in un arabo sgram­ma­ti­cato i motivi dell’impietosa con­danna. As’ad, con­si­de­rato soste­ni­tore del regime Nusayri (nome con cui ven­gono defi­niti tal­volta gli Ala­witi e dun­que il pre­si­dente siriano al-Assad), è accu­sato nell’ordine: di aver rap­pre­sen­tato la Siria in con­fe­renze bla­sfeme; di esser stato il Diret­tore degli anti­chi idoli di Pal­mira; di aver visi­tato l’Iran e di aver par­te­ci­pato alle cele­bra­zioni per la vit­to­ria della rivo­lu­zione kho­mei­ni­sta; di aver comu­ni­cato con suo fra­tello – il Gene­rale Issa – capo di un set­tore dei ser­vizi siriani; di aver intrat­te­nuto rela­zioni con il Gene­rale Hos­sam Suk­kar della Guar­dia Presidenziale.
Il pro­filo scien­ti­fico inter­na­zio­nale di As’ad, che nel corso della sua lunga e apprez­za­bile car­riera aveva col­la­bo­rato con mis­sioni archeo­lo­gi­che fran­cesi, ame­ri­cane, tede­sche e sviz­zere e il suo inca­rico di diret­tore delle Anti­chità, ben­ché citati all’inizio del docu­mento, non paiono essere le ragioni fon­da­men­tali della sua ese­cu­zione. Si tratta senza dub­bio di un omi­ci­dio anche poli­tico, un mes­sag­gio in stile nazi­sta mirato forse – attra­verso l’esposizione del corpo – ad avver­tire i nemici del Calif­fato sulle pos­si­bili con­se­guenze di una non-sudditanza ai loro dettami.
Lo scorso luglio l’Isis ha dif­fuso il video di un’esecuzione di gruppo – ven­ti­cin­que sol­dati ingi­noc­chiati, abbat­tuti con un colpo di fucile alla nuca da alcuni ragaz­zini – svol­tasi nel tea­tro antico di Pal­mira, inau­gu­rando una nuova forma di distru­zione del patri­mo­nio, quella della memo­ria imma­te­riale dell’arte che ogni monu­mento porta con sé.
Oggi, con l’uccisione di Kha­led As’ad, un uomo che viene descritto da stu­denti e col­le­ghi come aperto alla cono­scenza e al dia­logo, abbiamo capito che non sono solo i volti sera­fici delle divi­nità meso­po­ta­mi­che o le loro grandi ali-ponte tra pas­sato e pre­sente a spa­ven­tare l’Isis. Siamo oltre una guerra all’Occidente e a uno sfre­gio delle cul­ture estra­nee all’Islam.
Gli occhiali ancora sul naso sulla testa moz­zata di As’ad – attra­verso le cui lenti avrà scru­tato da vicino la bel­lezza di cen­ti­naia di reperti – ci inse­gnano che non c’è più un Oriz­zonte comune a cui guar­dare. Rico­struirne uno, sarebbe ora com­pito della comu­nità internazionale.

Fonte: Il manifesto

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