La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 22 agosto 2015

Tsipras e la lezione a Renzi

di Lucia Annunziata
Caro Presidente del Consiglio, leggendo di Tsipras, in queste ultime ore, ha provato qualcosa, una increspatura, un sobbalzo, un filo, anche solo un filo, di nostalgia? Nostalgia per quello che avrebbe potuto essere e non è stato?
Alexis Tsipras ha preso le decisioni che lei avrebbe potuto (e forse dovuto) prendere alcuni mesi fa. Sì, parlo di elezioni, di quelle che avrebbe dovuto (e potuto) chiedere appena eletto segretario del Pd, e che invece preferì dimenticare a favore di un passaggio di mano da nominato a nominato a Palazzo Chigi. E sì, lo so, è molto impopolare ricordargli di quelle elezioni mancate: a chi fin da allora le chiedeva di andare alle urne in rispetto del suo impegno con gli elettori, i suoi fan rispondevano con tracotanza, in giro per trasmissioni tv: "In sei mesi avrà fatto tante cose per questo paese che nessuno si ricorderà nemmeno più come è arrivato a Palazzo Chigi".
Invece le elezioni - come dimostra la abilità con cui le manovra Alexis Tsipras - sono la migliore arma di rapporto con il popolo, e la loro efficacia sminuisce a strumenti vicari anche tv, web, twitter e tutti i media insieme. Cosi, oggi, sulla scorta di quel che è successo in Grecia, si potrebbe immaginare quanto diverso sarebbe stato il suo (e nostro) itinerario politico, e quanto più solido.
Tsipras, dicevo, ha manovrato la leva elettorale con spericolatezza, sapienza, furbizia e cinismo. In pochi mesi ha vinto nelle urne con un programma di sfida all'Europa, poi ha fatto un referendum per avere dalla sua parte di nuovo i cittadini nel "no" alle condizioni poste dall'Europa, e oggi, dopo aver ottenuto un accordo con i creditori, va di nuovo alle urne per chiedere al popolo di esprimersi con lui o contro di lui. Una vera e propria partita a scacchi, una sorta di permanente guerra di posizione per via di ballottaggio. Su abilità e coraggio, nulla da dire.
Nel merito c'è molto cinismo (o realismo, se si preferisce). In questi molti passaggi, Tsipras ha modificato le sue posizioni intransigenti iniziali sull'accordo con l'Europa, e ha spaccato il suo stesso partito. Ma lui stesso non nega il suo cambiamento di posizione, lo presenta anzi come inevitabile, il meno peggio: e per questo chiede una una rinnovata fiducia tramite voto. Molto su cui essere in disaccordo, ma poco da obiettare come trasparenza .
Se perde, perderà con l'onore di chi non è rimasto incollato al suo posto. Ma se non perde avrà vinto la sua battaglia su diversi piani. Con Berlino, contro cui ha ottenuto un ribaltamento di ruoli, e il disvelamento (che ha avuto impatto in tutto il mondo) del deformante ruolo della Germania. Con il suo partito, in cui avrà fatto chiarezza immediata e definitiva. Se Alexis vince a questo punto sarà perché avrà creato una nuova maggioranza nell'elettorato greco, marginalizzandone la parte di sinistra, e acquisendo una parte del voto moderato. In altre parole, caro Premier, se Tsipras vince, avrà fatto in pochi mesi quello che voleva fare lei: tenere testa all'Europa, marginalizzare la sinistra, e fare il Partito dell Nazione. Finirà che presto saranno i renziani e non più quelli di Sel a fare viaggi di solidarietà ad Atene.
Un percorso che, a guardarsi indietro, avrebbe potuto fare anche lei, se solo avesse avuto più fiducia nello strumento elettorale. Ci ripensi, se invece di andare a Palazzo Chigi in fretta e furia, passando per una frettolosa chiacchiera al Quirinale, avesse chiesto subito una verifica delle urne, nella primavera del 2014 lei sarebbe stato il Premier più giovane e con il maggior consenso mai registrato in Italia - quel 40 per cento delle europee sarebbe stato lì ad attenderla.
Con quel voto avrebbe avuto in Parlamento una maggioranza chiara e strepitosa con cui avrebbe potuto immediatamente fare le riforme che voleva senza mai dover chiedere voti a nessuno - né alla destra che non sarebbe stata più così forte né alla sinistra del suo partito che non avrebbe avuto i numeri di adesso. Il partito stesso nella sua espressione territoriale, che adesso non controlla, lo avrebbe rimodellato nella corsa elettorale - avrebbe conosciuto il paese, quel Sud che le è sconosciuto, quelle sezioni che sono della vecchia ditta, quei sindaci di altri tempi. E chissà quante vere connessioni avrebbe fatto - altro che la posta del sabato sull'Unità.
Appena eletto, con nuovi numeri solidi, avrebbe messo mano alle riforme, senza problemi di maggioranza, ma anche senza problemi di tempo: avrebbe navigato con comodità fino al 2019, e la riforma più importante, quella elettorale, non sarebbe nata strozzata dall'urgenza.
Sappiamo perché non fece questa scelta. Napolitano, e con lui un po' di establishment italiano, pensava che non si dovesse votare - che le urne avrebbero lasciato in libertà quei piccoli mostri dell'antisistema che sono i populisti, i razzisti, gli antieruopei. Da comunista convinto, Napolitano credeva che le masse italiane non fossero "mature" per votare in tempi tanto tumultuosi. Credeva che un gruppo di pochi ed esperti avrebbe dovuto rifare il sistema istituzionale e che solo poi si sarebbe potuto lasciar liberi i cittadini di votare. Di qui le sue scelte su Bersani, poi Letta, poi lei - una sospensione di fatto del ricorso al voto. Ma la Grecia ha provato falsa anche questa paura. Forse gli antieuropei non sono tutti mostri.
Una volta ci dirà come mai, anche lei, simbolo del rinnovamento, abbia accettato quella visione catastrofica della politica e della cittadinanza. Ma nel frattempo non può non notare che la scelta di non votare la sta pagando lei, e non solo i cittadini: le riforme sono insabbiate, e le poche che passano le costano lacrime e sangue di mediazioni, accordi e sfilacciamenti di consenso. Oggi lei è ostaggio, di volta in volta, della minoranza Pd e/o della destra. Ondeggia da una parte e dall'altra con un pallottoliere in mano.
Per questo sono certa che ogni tanto avrà pensato a quel 40 per cento delle Europee che avrebbero potuto essere politiche - e che le avrebbero dato in mano il paese. Una possibilità di stabilità che abbiamo perso tutti, non solo lei. E tutto questo per non aver capito, come ha capito invece l'abilissimo Tspiras, che le elezioni vanno tanto meglio quanto più turbolenti sono i tempi. Ma bisogna crederci, bisogna avere davvero coraggio, o, forse, bisogna essere, dopotutto, Greci. Quelli che la politica l'hanno inventata.

Fonte: Huffingtonpost.it

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.