La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 21 agosto 2015

Joan Robinson, la più grande economista

di Cristina Marcuzzo
Joan Violet Maurice nasce il 31 Ottobre 1903 da una famiglia che si distingue per posizione sociale, ma anche per il coraggio di dissentire dall’autorità. Tratto che Joan eredita e ne fa non solo la più grande economista donna della storia, ma anche l’appassionata iconoclasta del conformismo in economia. Si iscrive all’Università di Cambridge nel 1922, entrando in uno dei due college riservati alle donne, il Girton, e si laurea, ma non a pieni voti. Le donne poterono assumere posti di docenza solo a partire dal 1923, e dovettero aspettare fino al 1948 per poter essere membri a pieno titolo dell’Università.
L’economia che si insegnava a Cambridge era quella di Alfred Marshall (il fondatore del corso di laurea in quella disciplina) resa matematicamente più elegante dal suo successore come Professore della materia, Cecil Pigou. Con un suo allievo, Austin Robinson, che gli succederà alla cattedra molti anni dopo, Joan si sposa nel 1926; insieme partono per l’India, dove Austin farà per due anni il tutor del figlio di un Maraja.
Questo periodo suggella il legame fortissimo che la Robinson mantenne con l’India per tutta la vita. Di ritorno a Cambridge, senza ancora un lavoro, la Robinson frequenta il corso di Piero Sraffa, un giovane italiano, scampato con l’aiuto di Keynes alla persecuzione di Mussolini. Suo compagno di corso era Richard Kahn, l’allievo prediletto di Keynes, con cui la Robinson stabilisce il rapporto personale e intellettuale più importante della sua vita.
Sraffa metteva in discussione la solidità logica dell’apparato Marshalliano: il metodo della curve di domanda e offerta per determinare prezzi e distribuzione del reddito, l’irrealismo dell’ipotesi che le imprese operassero in concorrenza perfetta. Era inevitabile che i giovani economisti raccogliessero la sfida. Il primo libro della Robinson, L’economia della concorrenza imperfetta (1933) nasce proprio con lo scopo di riscrivere la teoria a partire dall’ipotesi che ciascuna impresa sia come un monopolio. Sperava in questo modo di offrire una risposta alle critiche di Sraffa, mantenendo valida l’impostazione di Marshall. Nel giro di pochi anni si rese conto che la sfida era persa e con caratteristica onestà liquidò il libro che le aveva dato fama e riconoscimento accademico, “un vicolo cieco”.
In realtà l’abbandono di quella prospettiva fu favorito dal clima intellettuale che ferveva a Cambridge nel 1930, seguito alla pubblicazione del Trattato della Moneta di Keynes. Un drappello di giovani, tra cui Sraffa, Kahn, Austin e Joan Robinson diedero vita ad un gruppo di discussione (battezzato dall’ironia di Sraffa, il Circus) che in pochi anni portò Keynes a rivedere le posizioni delTrattato e a intraprendere quella “Rivoluzione Keynesiana” di cui la Teoria Generale dell’occupazione, interesse e moneta (1936) è il manifesto. La Robinson non solo è tra i pochi a cui Keynes manda le bozze da commentare, ma è anche colei che nel giro di un anno produce due libri, Saggi sulla Teoria dell’occupazione e Introduzione alla Teoria dell’Occupazione, che sono ancora oggi dei classici del pensiero keynesiano. Grazie a questi lavori, nel 1938, dopo una battaglia che vede Keynes impegnato per vincere varie resistenze, la Robinson ottiene finalmente un posto d’insegnamento permanente all’Università.
L’altro incontro importante nella vita della Robinson avviene nel 1936, ed è con Michael Kalecki. L’economista polacco senza saperlo, e seguendo Marx non Marshall, aveva autonomamente elaborato i principi keynesiani e, arrivato in Inghilterra, dovette rendersi conto che il libro che si accingeva a scrivere era già stato scritto. La Robinson si rese immediatamente conto della grandezza di Kalecki e ne divenne la paladina, arrivando addirittura –dopo la morte di Keynes- a dichiarare che per alcuni versi l’impostazione di Kalecki era migliore di quella di Keynes.
Sotto l’influenza di Kalecki, e con la supervisione di Maurice Dobb, il marxista confidente e collaboratore di Sraffa, la Robinson si butta a capofitto a leggere e a studiare Marx. Nel suo Marx e la scienza economica (1942) rivaluta –andando ancora una volta controcorrente- molti punti dell’analisi di Marx, ma denuncia la teoria del valore come irrilevante o peggio errata, suscitando la dura reazione dei marxisti di allora e forse anche di oggi.
La lezione che la Robinson trasse da Marx fu, nelle sue parole, “la necessità di pensare non in termini di equilibrio, ma facendo i conti con la storia”. Il programma di quegli anni ’50 a Cambridge era proprio quello di andare oltre Keynes, estendendo la sua analisi del funzionamento del capitalismo al lungo periodo. La Robinson la interpreta nel senso di costruire un’analisi della accumulazione fuori dalle strettoie marshalliane, nel solco degli economisti classici, di Smith, Ricardo e Marx.
La difficoltà nasceva però dalla mancanza di un’adeguata concezione del saggio di profitto, che i classici avevano imperfettamente compreso. Sulla base della teoria di Keynes e Kalecki, basata sul principio della domanda effettiva, è possibile determinare il livello dei profitti totali, ma non il saggio di profitto che richiede di misurare il valore del capitale; ma questo è impossibile senza conoscere il saggio di profitto, che a sua volta richiede di conoscere il valore del capitale. Un impasse che solo Sraffa, con la pubblicazione di Produzione di merci a mezzo di merci nel 1960 riuscirà a superare.
Nel frattempo però la Robinson coglie alcuni indizi, sparsi nell’Introduzione aiPrincipi di Ricardo (1951) di Sraffa e riesce per prima a vedere con chiarezza il problema, e insiste sulla necessità di abbandonare la teoria ortodossa del capitale. I suoi libri degli anni ‘50 e ’60, L’ Accumulazione del Capitale (1956),Exercises in Economic Analysis (1960), Essays in the Theory of Economic Growth(1962) sono risultato dello sforzo di abbandonare la concezione dell’accumulazione come processo di sostituzione del capitale al lavoro, in un dato stato di conoscenze tecniche, e al pari dei classici individuare come motori dello sviluppo le innovazioni e il progresso tecnico. Divenne sempre più chiaro alla Robinson che il ruolo dell’ideologia era un ostacolo alla possibilità di svelare le forze operanti in economia. La teoria neoclassica continuava a spiegare i salari e i profitti come contributi del lavoro e del capitale alla produzione, nascondendo le incoerenze logiche che Sraffa aveva portato alla luce. Nel 1962, con uno sforzo di ottimismo, in Ideologia e scienza economica, la Robinson insiste che dobbiamo separare le proposizioni empiriche – che possono essere usate per comprendere la realtà- da quelle ideologiche che servono solo a costruire consenso su posizioni preconcette.
Quando finalmente nel 1965 – a pochissimo dalla pensione– diventa Professore all’Università di Cambridge, sceglie come titolo della sua prolusione il tema della teoria del libero scambio, denunciando come essa sia intrisa di ideologia: “è solo una forma più sottile di mercantilismo. E’ difesa solo da coloro che ne traggono un vantaggio”
Nei primi anni ‘70 si impegna e propagare la teoria post-keynenesiana, quella che ai suoi occhi appare l’unica strada possibile per salvare la teoria economia, e la descrive come “quell’erede della tradizione –keynesiana, resuscitata da Sraffa, che discende da Ricardo attraverso Marx, stemperata da Marshall e arricchita dall’analisi della domanda effettiva di Keynes e Kalecki”
Ma alla fine della sua vita, diviene sempre più disillusa sulle possibilità di cambiamento e lascia come testamento morale uno scritto, pubblicato postumo, dal titolo significativo, Pulizie di primavera:“Credo che tutti questi modelli e insieme di teorie che troviamo nei libri di testo abbiamo bisogno di una bella pulizia di primavera. Dovremmo buttare tutte le proposizioni contradditorie, le quantità non misurabili, i concetti non definiti e costruire una base logica per l’analisi di quello che rimane, ammesso che ci sia.”
Joan Robinson muore a Cambridge, dopo 7 mesi di coma, il 3 di agosto 1983. Ammirata, temuta e apprezzata da più di una generazione la ricordiamo ancora oggi.

Fonte: ingenere.it

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