La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 22 agosto 2015

Il motore del debito

di Marco Bertorello
Gli ultimi dati Istat sul ral­len­ta­mento della cre­scita eco­no­mica ita­liana chiu­dono il cer­chio sul pano­rama asfit­tico in cui stiamo vivendo. I dati del secondo tri­me­stre 2015 indi­cano un +0.2% del Pil, che rischia di essere lon­tano dall’obiettivo gover­na­tivo di una cre­scita annuale dello 0.7%. I dati al di sotto delle attese riguar­dano anche le due prin­ci­pali potenze con­ti­nen­tali e danno il senso del qua­dro gene­rale: la Ger­ma­nia aumenta il pro­dotto interno per un mode­sto 0.4%, la Fran­cia è tor­nata a una cre­scita zero.
In Europa con­ti­nuano a non vedersi vere e pro­prie loco­mo­tive, se non nelle scelte di poli­tica eco­no­mica basate su rigore finan­zia­rio e auste­rità, e buona parte dei vagoni con­ti­nua ad arran­giarsi in un con­te­sto di sostan­ziale sta­gna­zione intorno allo zero­vir­go­la­qual­cosa. Eppure non sono solo le rigi­dità di bilan­cio a non pro­durre gli effetti attesi, ma nep­pure alcuni fat­tori rite­nuti par­ti­co­lar­mente van­tag­giosi per le eco­no­mie euro­pee, quali il calo dei prezzi delle mate­rie prime e la dimi­nu­zione del valore dell’euro, con­se­guenza della moneta facile immessa con il cosid­detto quan­ti­ta­tive easing. Secondo la logica mer­can­ti­li­sta a guida tede­sca pro­prio que­ste dovreb­bero essere le ricette per la ripresa, invece sem­pre nuovi fat­tori desta­bi­liz­zanti costrin­gono a riman­dare un’inversione di ten­denza compiuta.
Ieri la crisi greca, oggi gli affanni delle eco­no­mie emer­genti. Rara­mente si mette in evi­denza come il con­te­sto gene­rale resti così fra­gile da sof­frire qual­siasi ele­mento nega­tivo e come i pro­blemi di ordine strut­tu­rale non siano stati ancora risolti. È suf­fi­ciente riflet­tere sui dati che inchio­dano l’Italia. Non si tratta di met­tere o meno in evi­denza lo zero­vir­go­la­qual­cosa in più, ma di com­pren­dere come tale mode­sto rim­balzo avvenga dopo una con­tra­zione durata sostan­zial­mente sette lun­ghi anni, con un crollo del Pil supe­riore a 10 punti per­cen­tuali e che Con­fin­du­stria ha para­go­nato ai danni pro­vo­cati da una guerra. Per recu­pe­rare i livelli pre­ce­denti si ipo­tizza tassi di cre­scita straor­di­nari e al con­tempo inve­ro­si­mili per il pros­simo decen­nio. Il ritorno all’attuale mode­stis­sima cre­scita appare in con­co­mi­tanza con un pro­gres­sivo aumento del debito pub­blico, che dall’inizio del 2014 alla metà del 2015 è pas­sato in ter­mini asso­luti da 2.089 a 2.203 miliardi di euro, cioè dal 128 al 135% circa del Pil. Un dato cor­ri­spon­dente alle ten­denze glo­bali descritte dalla società Mc Kin­sley che indica nel tra­vaso dai debiti pri­vati a quelli pub­blici una delle ope­ra­zioni finan­zia­rie in corso. Un tra­vaso nato per sal­vare i debiti pri­vati, ma anche il risul­tato di una tra­sfor­ma­zione nelle pro­por­zioni tra debito pri­vato e pub­blico cau­sata, per­lo­meno nei paesi occi­den­tali, pro­prio dalla crisi. Il con­te­sto di incer­tezza, infatti, ha ridotto con­sumi e indebitamento.
Una recente ricerca della Cgia di Mestre rac­conta di come in Ita­lia vi siano stati «meno acqui­sti, meno inve­sti­menti e più risparmi» a par­tire dal 2011. Tale ten­denza è stata il frutto di un pro­cesso per rien­trare dai debiti, con­trarne di meno e rispar­miare in maniera più con­si­stente. Quest’ultimo aspetto va sot­to­li­neato, poi­ché a fronte di anni di ridu­zione dei red­diti com­ples­sivi i risparmi sono aumen­tati del 15.8%, con i depo­siti ban­cari che sono pas­sati da 756 a 875 miliardi di euro. Le cause della ridu­zione dei debiti sono mol­te­plici, dalla stretta cre­di­ti­zia alla dif­fu­sione dell’insicurezza sociale, ma gli effetti sem­brano rica­dere tutti sull’economia interna piut­to­sto che sulla finanza crea­tiva. Il debito, poi, incide per­cen­tual­mente di più sui nuclei più poveri, ma la con­tra­zione in ter­mini asso­luti si regi­stra nelle aree più ric­che del paese, a con­ferma di una crisi che col­pi­sce ovun­que. Il debito resta così il prin­ci­pale motore dell’attuale eco­no­mia, ma resta un motore ingol­fato. Con buona pace delle sirene governative.

Fonte: il manifesto

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