La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 21 agosto 2015

Il «martire» dell’archeologia il giorno dopo

di Valentina Porcheddu
Due giorni dopo l’annuncio della ter­ri­bile ese­cu­zione di Kha­led As’ad per mano dello Stato Isla­mico, sui media abbonda la reto­rica legata alla sua morte. Se i mezzi d’informazione arabi non esi­tano a defi­nirlo «mar­tire», le mag­giori testate ita­liane imba­sti­scono la sto­ria «roman­tica» dell’archeologo-eroe.
Secondo le noti­zie ripor­tate – fra gli altri – da Repub­blica, Cor­riere e La Stampa, As’ad sarebbe stato impri­gio­nato un mese fa. Sot­to­po­sto a tor­ture da parte dei mili­tanti dell’Isis allo scopo di rive­lare il luogo dove aveva prov­ve­duto a nascon­dere pre­ziosi reperti, si sarebbe dun­que «sacri­fi­cato» nel ten­ta­tivo di sal­vare Pal­mira, il sito che aveva diretto fino al 2003 con­se­gnando poi il testi­mone al figlio. La ver­sione che vuole il suo corpo appeso a una colonna romana tra le rovine dell’antica città caro­va­niera, è l’immagine che corona un rac­conto costruito ad arte, in cui l’archeologia diventa il nobile pre­te­sto per soc­com­bere alla jihad.
As’ad diviene dun­que sim­bolo dell’integrità morale che si oppone alla bru­ta­lità della vio­lenza. Pron­ta­mente, in Ita­lia, si lan­ciano ini­zia­tive per «ono­rare» la memo­ria dello sven­tu­rato stu­dioso siriano. A Torino espo­si­zione delle ban­diere a lutto nei musei e nelle isti­tu­zioni cul­tu­rali della città. Il mini­stro dei Beni Cul­tu­rali Dario Fran­ce­schini rilan­cia l’idea su Twit­ter e chiede ban­diere a mezz’asta in tutti i luo­ghi di cul­tura dello Stato. Renzi fa sapere che As’ad verrà ricor­dato in tutte le feste dell’Unità per «non ras­se­gnarsi alla barbarie».
Intanto, dalla Siria, mem­bri della Dire­zione Gene­rale alle Anti­chità, rife­ri­scono che l’anziano archeo­logo non aveva voluto lasciare Pal­mira, mal­grado bene­vole rac­co­man­da­zioni. Non con­fer­mate, invece, le voci di un tra­sfe­ri­mento di reperti in un nascon­di­glio segreto da parte di As’ad, in quanto le ope­ra­zioni di sal­va­tag­gio di opere d’arte sareb­bero state por­tate a ter­mine dalla stessa Dire­zione Gene­rale prima che gli uomini del Califfo occu­pas­sero il sito lo scorso mag­gio. Altre fonti tutte da veri­fi­care dipin­gono As’ad come un uomo vicino al regime di Assad sospet­tato di traf­fico di reperti. Un gio­vane archeo­logo siriano, attual­mente rifu­giato in Ita­lia, che pre­fe­ri­sce restare ano­nimo, rac­conta di esser stato cac­ciato dall’ex diret­tore di Pal­mira in quanto stu­dioso di anti­chità cri­stiane in un paese musulmano.
Resta il gesto effe­rato com­piuto dallo Stato Isla­mico e in cui l’archeologia – così come scritto nella «sen­tenza» decre­tata dai mili­tanti di Daesh – è solo uno degli aspetti della con­danna. Nella tri­ste vicenda della sua deca­pi­ta­zione s’intrecciano dun­que reli­gione e fana­ti­smo, ma anche poli­tica e «inte­ressi».
I beni cul­tu­rali riman­gono dun­que sullo sfondo, come cor­nice di bel­lezza che con­tra­sta l’orrore ma anche come stru­menti di mani­po­la­zione della realtà. La «ven­detta» dell’Isis non riguarda solo gli odiati idoli ma s’inserisce in un con­te­sto di lotte interne all’Islam, nel quale sem­brano ora gio­carsi le sorti della Siria.

Fonte: il manifesto

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