La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 21 agosto 2015

Sindacato: l'ora della federazione? La Uil ci prova

Intervista a Carmelo Barbagallo di Antonio Sciotto
È il suo pal­lino da quando, 9 mesi fa, Car­melo Bar­ba­gallo è stato eletto segre­ta­rio gene­rale della Uil: unire le tre con­fe­de­ra­zioni, tor­nare a quel «patto fede­ra­tivo che è morto con l’accordo di San Valen­tino» (era il 1984 e al governo c’era Craxi, ere geo­lo­gi­che fa). Per il sin­da­cato, a suo parere, è l’ultimo treno: stretto com’è tra i licen­zia­menti e la pre­ca­rietà dila­gante, la fine dell’articolo 18 e le cre­scenti dif­fi­coltà dei pen­sio­nati, può gio­carsi ormai solo la carta di un nuovo pro­ta­go­ni­smo poli­tico. Senza tra­scu­rare la pre­senza nei posti di lavoro — «dob­biamo andarci noi, pro­prio lì dove ci sono i pro­blemi» — e la capa­cità di con­trat­tare. Il lea­der della Uil, d’altronde, è par­tito molto gio­vane dalle linee della Fiat di Ter­mini Ime­rese: e nel suo pae­sino sici­liano è tor­nato in que­sti giorni per tra­scor­rere le vacanze.
In que­sti giorni si sono ria­perte le pole­mi­che sulla rap­pre­sen­tanza dei lavo­ra­tori: vi accu­sano di per­dere iscritti. E scon­tri sulle cifre a parte, non sem­bra che godiate di ottima salute.
"Se pen­siamo che negli anni della crisi ci sono stati 1,5 milioni di licen­ziati credo che stiamo reg­gendo bene. Comun­que sì, il sin­da­cato deve cam­biare: innan­zi­tutto deve stare in mezzo alle per­sone, dove c’è biso­gno. E poi serve una nuova fede­ra­zione uni­ta­ria di Cgil, Cisl e Uil: quella che si è inter­rotta con l’accordo di San Valen­tino del 1984. Pro­prio a voi del mani­fe­sto avevo rac­con­tato che stavo ristrut­tu­rando appo­sta la saletta per le segre­te­rie uni­ta­rie, e dopo tante insi­stenze final­mente il mese scorso ci siamo incon­trati. La riu­nione è durata 4 ore, ci sono punti su cui abbiamo già una sin­tesi, men­tre su altri i nostri esperti sono al lavoro, per­ché ci sono dif­fi­coltà. Anche se liti­ghiamo al nostro interno, pre­sen­tia­moci però uni­ta­ria­mente di fronte alle imprese e al governo."
Con que­sto governo non riu­scite pro­prio ad andare d’accordo. Ora si pensa a una legge sulla rap­pre­sen­tanza e la Cisl ha già detto no. Voi cosa ne dite?
"Il governo finora ha spo­stato i rap­porti di forza a favore degli impren­di­tori, ha dato tutto a loro e tolto diritti a chi lavora. Adesso vuole met­tere le mani anche sulla rap­pre­sen­tanza. Noi siamo con­trari a una deci­sione per legge. Segnalo che c’è già un accordo tra le parti, siglato un anno e mezzo fa con la Con­fin­du­stria, e che stiamo esten­dendo alle altre asso­cia­zioni. Non avemmo pro­blemi ad accet­tare le regole della rap­pre­sen­tanza nel pub­blico impiego, e siamo d’accordo con la soglia del 5% per san­cire il diritto di sedersi al tavolo. Dovremmo fare un accordo per indi­vi­duare un nuovo ente cer­ti­fi­ca­tore, visto che il Cnel scom­pa­rirà. Potrebbe essere l’Aran, o il Civ dell’Inps."
Altra riforma in can­tiere, quella del con­tratto nazio­nale. Tor­ne­reb­bero le gab­bie salariali.
"Noi siamo per la riforma del modello con­trat­tuale, ma senza can­cel­lare il con­tratto nazio­nale. Que­sto resta una garan­zia visto che il 90–95% delle imprese ita­liane sono pic­cole e pic­co­lis­sime: e se la stessa Con­fin­du­stria si rifiuta di fare con­trat­ta­zione di ter­ri­to­rio o di set­tore, ci dicano poi come si fa a fare con­trat­ta­zione dove hai 4 o 5 dipen­denti. Ciò detto, siamo per la valo­riz­za­zione del secondo livello. Noi la defi­niamo «geo­me­tria varia­bile»: dove non c’è il con­tratto azien­dale, con­servi le garan­zie del nazio­nale, men­tre se l’impresa accetta di siglare un secondo livello, lì si può discu­tere ad esem­pio di produttività."
Siete sem­pre con­vinti della neces­sità di aggan­ciare gli aumenti del con­tratto nazio­nale alla cre­scita del Pil? È un modello su cui per ora con Cgil e Cisl non c’è una intesa.
"Adesso che la ripresa può e deve arri­vare — da tempo chie­diamo inve­sti­menti pub­blici e pri­vati per soste­nerla — noi dob­biamo redi­stri­buire la ric­chezza che si pro­duce. E se tu sostieni i red­diti, poi a tua volta aiuti la cre­scita: ricor­diamo che il 75% delle imprese ita­liane pro­duce per il mer­cato interno. E ricor­diamo un altro dato: i veri “ammor­tiz­za­tori sociali”, ovvero i pen­sio­nati, hanno avuto man­cati ade­gua­menti per 18 miliardi di euro negli ultimi anni. E un man­cato ade­gua­mento c’è stato, ma per ben 35 miliardi, anche per i dipen­denti pubblici."
Il governo vuole met­tere mano anche al diritto di scio­pero, limi­tarlo a par­tire dal pubblico.
"In tempi non sospetti, e lo abbiamo già spe­ri­men­tato una volta in Ali­ta­lia, abbiamo pro­po­sto lo scio­pero vir­tuale. Non dan­neg­gia gli utenti dei pub­blici ser­vizi, ma viene pagato da lavo­ra­tore e azienda: il dipen­dente che scio­pera perde una gior­nata di lavoro, come accade già oggi, men­tre l’impresa dovrà retri­buirlo tre volte la nor­male gior­nata: ovvia­mente i soldi non vanno a lui, ma postranno essere inve­stiti per ini­zia­tive bene­fi­che o di uti­lità pub­blica. Su que­sto tema sì, per rego­larlo, ci vor­rebbe una legge."
Ma sul refe­ren­dum per lo scio­pero sì o no siete d’accordo?
"Nel pub­blico, pro­prio per le soglie di rap­pre­sen­tanza, di fatto accade già: poi se si vuole miglio­rare il mec­ca­ni­smo, ok, ma il governo stia attento a non favo­rire i pic­coli sin­da­cati che agi­scono senza con­trollo, magari fomen­tati dalla poli­tica. Nel pri­vato no: si andrebbe a ledere un diritto costi­tu­zio­nale. Comun­que, per par­lare di que­sto e di altri temi, abbiamo indetto un’assemblea nazio­nale a Bari, il 17 set­tem­bre, dove abbiamo invi­tato il pre­mier Renzi. Spero ci ascolti: altri­menti in autunno riav­vie­remo tutte le nostre ini­zia­tive e mobi­li­ta­zioni, a par­tire dal rin­novo dei contratti."

Fonte: il manifesto

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