La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 21 novembre 2015

Fiscal combat

di Tommaso Di Francesco
Il presidente della Commissione Ue Juncker, a tre giorni dagli attentati di Parigi, ha aperto i cordoni del fiscal compact, il patto d’acciao dell’Unione europea: «I soldi spesi per la sicurezza e la difesa non saranno considerati nella valutazione sui limiti del deficit». Era accaduto anche per i profughi nel tentativo di compattare il fronte ormai maggioritario dei recalcitranti ad accogliere rifugiati emigranti. Serviranno, temiamo, per realizzare sulla pelle dei disperati in fuga da guerre e miseria una indicizzazione di spesa utile alla fine ad esternalizzare nei Paesi «sicuri» un universo di campi di cocentramento.
Ma ora questa nuova decisione su «sicurezza e difesa» è davvero illuminate quanto a trasformazione istituzionale della governance internazionale. Vuol dire che viene rimesso in discussione l’intoccabile fiscal compact, quel diktat Ue che ha bloccato e blocca ogni espansione della spesa pubblica, arma ineludibile e necessaria per i governi di fronte al disastro sociale provocato dalla crisi economica del modello di sviluppo nel quale viviamo, obbligando fin qui ogni Paese a restare dentro le logiche dei mercati e della finanza internazionale. È un cappio al collo per ogni governo e un handicap sui valori fondanti dell’Unione europea. Ha infatti impedito interventi sociali, fino a ridurre al taglio del welfare e spesso alla fame paesi come la Grecia, condizionando le scelte di Spagna, Portogallo, Italia e non solo.

Non è il Corano a colpire l’occidente

di Michele Prospero
Anche chi di mestiere fa lo storico tende ad interpretare i fatti di Parigi come episodi di una guerra di religione. Con queste categorie non si capisce però ciò che sta accadendo. Se si vuole comprendere la minaccia che incombe, è meglio non assecondare certe semplificazioni storiografiche. Sarebbe un’impresa vana accostarsi a un fenomeno armato, che minaccia di incendiare l’occidente, pretendendo di rintracciare la sua genesi ispiratrice nel Corano.
Come non si spiega la politica estera di Putin leggendo i testi ortodossi, così non si può cogliere il senso delle stragi ispirate al fanatismo religioso consultando il Corano. Non tiene, a un minimo vaglio critico, il diffuso pregiudizio per cui in occidente si fa politica con la logica della potenza e in medio oriente o altrove invece si fa terrore con la logica della fede.

Le risposte possibili al popolo del 20%

di Aldo Carra
Il cammino della nuova sinistra italiana è appena cominciato. Secondo il cronoprogramma concordato dai promotori esso dovrebbe vedere a fine gennaio lo start ufficiale ed entro l’anno la nascita del nuovo partito. In mezzo, un lavoro alla base e nei territori per dare testa, corpo e gambe al nuovo soggetto. Naturalmente il suo cammino non sarà facile e già vediamo spinte contrastanti: quella di chi lo aspettava da tempo e vorrebbe vederlo già sgambettare forte e felice e quella, opposta, di chi “gufa” (usiamo questo termine tanto per ricambiare) e lo vorrebbe già far rientrare nelle statistiche sulla mortalità infantile.
In ambo i casi è utile ricordare:
a) che il soggetto prende il via da una “operazione di vertice” esplicita e riconosciuta, e dalla consapevolezza delle tante anime esistenti che occorre mettersi insieme, camminare insieme, costruire cammin facendo;
b) che nel panorama politico italiano di oggi tutti i principali soggetti nascono da un lavoro durato diversi anni, con percorsi diversi, ma tutti abbastanza lunghi: il radicamento territoriale ed il cammino travagliato della Lega, la pluriennale seminagione di Grillo attraverso i suoi spettacoli impegnati, la lunga e calcolata scalata di Renzi gestendo il potere locale da una postazione privilegiata come Firenze per farne il trampolino di lancio verso i vertici nazionali.

venerdì 20 novembre 2015

No alla guerra. Ecco perchè sto col Papa

Intervista a Fausto Bertinotti di Federico Ferraù
Il terrorismo islamico getta nella paura l'Europa. Ieri le forze speciali francesi hanno compiuto nuove operazioni antiterrorismo, mentre gli Stati Uniti hanno allertato i nostri servizi di sicurezza su possibili attacchi e in cima alla lista ci sarebbero la basilica di san Pietro, il duomo di Milano e il teatro alla Scala. Ripetuti allarmi, poi rientrati, hanno riguardato le metropolitane di Roma e Milano. Per Fausto Bertinotti, uomo simbolo della sinistra italiana, presidente della Camera dal 2006 al 2008, siamo divenuti incapaci di vedere, e rischiamo di "proclamare una guerra che invece come tale non c'è". Con lui, come al solito, la conversazione è a tutto campo.
Bertinotti, nel mirino c'è anche l'anno santo. Che ne pensa?Credo che una manifestazione religiosa sia per il tipo di terrorismo meno esposta al rischio di altri luoghi, come quelli di divertimento, che nella visione fondamentalista sono considerati la manifestazione della degenerazione di una civiltà, mentre la prima è un fenomeno non totalmente secolare.

Il terrorismo si appresta a stare con noi per lungo tempo

di Nadia Urbinati
Non sappiamo quanto lunga sarà la convivenza con il terrorismo. I timori per la vita non sono amici diretti della libertà; eppure sono condizioni essenziali per creare la sicurezza, grazie alla quali soltanto la libertà può crescere. Su questo paradossale legame di paura, sicurezza, libertà - il paradosso del Leviatano-- si incastonano le nostre istituzioni e i nostri diritti. Non si dà diritto e quindi libertà senza una cornice di sicurezza e di sovranità statale le cui funzioni siano costituzionalizzate e il potere limitato e temperato dalla legge. Su questo "abc" si basa l'Occidente, quel grappolo di libertà, civili, politiche, morali che contraddistingue la nostra vita quotidiana. Se la guerra è una condizione tragica (e a volte necessaria) che ci accomuna tutti alla specie umana, la pratica della legge e dei diritti è quella straordinaria costruzione che qualifica la nostra tradizione dall'antichità, permeando tutte le sfere di vita, religiosa e secolare, privata e pubblica. Questo è l'Occidente.

La retorica della guerra

di Alfredo Morganti 
Ve lo dico francamente. Io non avrei sdoganato la retorica della ‘guerra’, soprattutto se fossi stato un Presidente socialista. Nemmeno per dire: ‘ci siamo dentro, è uno stato imposto da altri’. Il linguaggio è importante, è evocativo. Suscita scenari, delinea un contesto. Dire ‘guerra’ (anche quale mera ‘constatazione’, ammesso che si possa ‘constatare’ in modo distaccato l’esistenza di una guerra) è come dire che la guerra c’è, e quindi deve essere combattuta, non c’è scelta. È come dare corpo a una escalation linguistica che è, tout court, una escalation politica e bellica. Se ammetto l’esistenza di una guerra, se interpeto come guerra quel che accade (anche quando è qualcosa di inedito o di diverso) ecco che la guerra si manifesta e deve essere combattuta. E quindi lo stato d’emergenza deve essere prorogato, e quindi esso deve entrare in Costituzione, e quindi si decide ‘sullo’ stato d’eccezione e si ‘eccede’ la norma, modificando quella fondamentale. In realtà non c’è parola più inadatta oggi a indicare come ‘guerra’ il sistema sparso di focolai bellici, conflitti regionali e atti di terrorismo che punteggiano l’intero mondo.

Quella contro i cambiamenti climatici è una lotta di classe

di Luca Aterini
La battaglia contro l’avanzamento dei cambiamenti climatici ne contiene in realtà molte altre: la lotta per la democrazia, la difesa dei beni comuni, la lotta contro l’accaparramento delle terre e lo sfruttamento senza limiti delle risorse a favore di pochi, togliendone il diritto alle prossime generazioni ma anche oggi ai popoli e ai paesi più poveri. Difendere l’equilibrio ecosistemico che oggi rende il pianeta una casa accogliente (anche) per l’uomo significa inoltre lottare per l’abbattimento dei confini, perché non si possono creare barriere per arrestare i flussi migratori, ignorando la connessione tra l’attuale modello produttivo, i cambiamenti climatici e le migrazioni ad essi dovute, per le carestie e la siccità, per le guerre legate all’accaparramento delle risorse, per le contaminazioni e le opere impattanti sulle risorse ambientali da cui dipendono intere comunità: non a caso si stima che diverranno oltre 250 milioni i rifugiati ambientali entro il 2050.

Alieni e terroristi: c'è bisogno della guerra per uscire dalla crisi?

di Paul Krugman
La Grande Depressione [degli anni ’30, NdT] non finì grazie ad una vittoria intellettuale del pensiero economico keynesiano. La pubblicazione della “Teoria Generale dell’Occupazione, dell’Interesse e della Moneta” [la più celebre opera di John Maynard Keynes, NdT] fu infatti seguita dal grande errore del 1937, quando Franklin D. Roosevelt tentò di riportare il bilancio pubblico in pareggio con eccessivo anticipo, il che rigettò l’economia statunitense in una grave recessione. Ciò che mise definitivamente termine alla crisi economica fu la Seconda Guerra Mondiale, che spinse la spesa in deficit verso livelli che prima erano politicamente impossibili.
È questo fatto che mi ha spinto a suggerire, scherzando, che ci potremmo inventare la minaccia di un’invasione aliena per fornire una giustificazione politicamente accettabile per lo stimolo economico.

Serve una radicale riforma dei Trattati europei, con al centro la dignità del lavoro

Intervista a Stefano Fassina di Alessandro Ricci
Un’Europa da rifare, come l’Italia, dando voce a chi non ce l’ha, rimettendo il lavoro al centro delle politiche. Stefano Fassina, tra i fondatori di Sinistra Italiana, spiega a Eunews i progetti europei della neonata formazione che raccoglie parlamentari ex Sinistra Ecologia Libertà, Pd, Movimento Cinque Stelle e punta a diventare partito il prossimo anno.
Sinistra italiana, il nuovo progetto politico nato qualche settimana fa, che cos’è? Dove vuole andare? Ma soprattutto quali sono i progetti per il futuro anche da un punto di vista europeo.
"Sinistra italiana per ora è un gruppo parlamentare che raccoglie esponenti che appartenevano a Sinistra Ecologia Libertà, al PD al Movimento Cinque Stelle.
È parte di un progetto politico che in questi mesi abbiamo avviato nei territori e che a metà gennaio avrà l’avvio formale della fase costituente con l’obiettivo di costituire un partito.
Sinistra italiana si propone come terminale sociale per dare rappresentanza a quegli uomini e donne che oggi ne hanno poca o che non ne hanno affatto.

Clima e COP21: la guerra da vincere

di Antonio Lumicisi 
Come ricorda l’acronimo, si tratta della 21esima Conferenza sul clima e se ci aggiungiamo anche tutti gli incontri preparatori di natura politica e tecnica, sono diverse centinaia gli incontri svolti ad oggi a livello internazionale (migliaia se ci aggiungiamo quelli a livello interregionale) per cercare di adottare una politica climatica che sia “compatibile” con la sopravvivenza della specie umana, almeno alle condizioni di cui una parte della popolazione terrestre beneficia già oggi e tenendo in mente i limiti che dobbiamo porre alla nostra impronta ecologica.
Per la prima volta (o forse la seconda, se andiamo con la memoria all’11 settembre 2001) ci si sta ponendo la domanda se vi siano comuni interessi tra gli attacchi terroristici accaduti pochi giorni fa e un malaugurato fallimento della COP21 e, inoltre, se sia opportuno far riunire a Parigi oltre 10.000 delegati – numero che verosimilmente potrebbe raddoppiare se si considerano gli attivisti ed esponenti della società civile ed imprenditoriale che parteciperanno, a meno che non si introdurranno stringenti misure selettive – provenienti da tutto il mondo. Il primo aspetto viene ben descritto da Oliver Tickell su The Ecologist che mette in guardia i leader politici dai rischi di un fallimento della COP21, ipotizzando un introito di circa 500 milioni di dollari all’anno dalle vendite del petrolio che in parte è nella disponibilità dei terroristi di ISIS per finanziare le proprie attività criminali.

Cosa resta dei nuovi obiettivi Onu per lo sviluppo sostenibile

di Massimiliano Montini e Francesca Volpe
L’assemblea generale delle Nazioni unite ha recentemente adottato i “Sustainable development goals” (Sdgs) nell’ambito dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. L’obiettivo dichiarato degli Sdgs è quello di trasformare il nostro mondo (“transforming our world”) partendo dall’esperienza dei “Millennium development goals” (Mdgs), che erano stati adottati dalle Nazioni Unite nel 2000 come agenda mondiale per lo sviluppo nel periodo 2000-2015. L’ambiziosa agenda 2030 si basa su una serie di obiettivi e target che dovranno essere monitorati in modo costante e sistematico attraverso una complessa serie di indicatori che al momento sono ancora in corso di elaborazione. Da parte loro, gli Stati, dovranno sviluppare dei piani nazionali di azione finalizzati all’attuazione dell’agenda 2030.
Gli Sdg sono stati definiti a partire dai precedenti Mdgs dopo un lungo processo negoziale iniziato nel contesto della Conferenza Rio+20. Questi ultimi costituivano la traduzione operativa della Dichiarazione del Millennio, sottoscritta nel settembre del 2000 alle Nazioni Unite da 191 Capi di Stato e di governo. Gli Mdgs, che arriveranno a scadenza alla fine del 2015, erano strutturati in 8 goal, ciascuno articolato in un numero di target variabile da uno a sei. Negli Sdgs, invece, i goal sono più che raddoppiati, arrivando a 17, e i target sono cresciuti in maniera ancora più netta passando a 169.

Poste italiane: una decisione sbagliata

di Salvatore Biasco
Occorre chiedersi in nome di quale strategia per il Paese ciò stia avvenendo e se non ricominci la stagione delle alienazioni del patrimonio pubblico per puro scopo di cassa. Non voglio entrare nella discussione generale sulle privatizzazioni - che poi tanto generale non è, perché abbiamo studi specifici sul loro esito in Italia (dal quarto volume sulla Storia dell’Iri, ai lavori puntuali di Massimo Florio, al giudizio della Corte dei Conti) – ma voglio fermarmi sulla specificità del patrimonio che ora viene sottoposto alla logica della Borsa.
Parto da una considerazione (ormai) inconsueta che prescinde per un momento dalle logiche aziendali. L’assetto attuale e l’evoluzione inevitabile (e annunciata) verso un azionariato di tipo public company, oppure di tipo Enel, fa perdere a Poste la vocazione come parte di uno spazio condiviso tra Stato e cittadini, che le è sempre appartenuto; quello spazio che è tra gli elementi della coesione sociale. Lo Stato italiano dalla sua formazione, era presente e identificato nel territorio con le Ferrovie, le Poste, la scuola elementare e i Carabinieri. E questo è entrato talmente nella coscienza popolare da aver radicato il convincimento che la presenza fisica dell’ufficio postale sia parte del servizio universale, quindi un diritto di cittadinanza (quando lo è di fatto solo la consegna della corrispondenza).

Da refugees welcome per le foto di Aylan Kurdi, alle frontiere sigillate in due mesi

di Martino Mazzonis
Giovedì la Camera dei rappresentanti Usa a maggioranza repubblicana ha approvato una legge che restringe di molto la possibilità di accesso dei rifugiati siriani negli Stati Uniti. Diversi democratici degli Stati tendenzialmente più di destra, hanno votato a favore.
Tra le cose previste per poter essere ammessi nel Paese c’è la richiesta della firma del capo dell’Fbi, del Segretario per la Homeland Security (il ministro degli Interni) e del capo della Agenzia nazionale per la sicurezza su un permesso che dice che dopo accurato screening si certifica che il rifugiato non è un rischio per la sicurezza nazionale. Dal canto suo Donald Trump pensa che sarebbe utile schedare i musulmani o dare loro dei documenti speciali, un passo in più e in peggio rispetto alla stretta che diede Bush dopo l’11 settembre.
L’applicazione della legge renderebbe l’idea di Obama di accogliere 100mila persone nel prossimo anno impossibile da realizzare. Ora la legge passerà al Senato e, poi, arriverà sul tavolo del presidente per la firma.

Lotta al terrorismo? Gli Usa vendono 22mila bombe all’Arabia Saudita

di Salvo Ardizzone
Il Dipartimento di Stato Usa ha firmato un accordo per la fornitura all’Arabia Saudita di 22mila smart bomb (bombe intelligenti), destinate ad essere impiegate nei brutali bombardamenti che Riyadh da mesi sta conducendo in Yemen e in quelli mai avviati (e mai avvierà) che “dovrebbe” condurre in Siria.
Il contratto, addizionale ai tanti già siglati e del valore di 1 miliardo e 290 Ml di dollari, comprende 1000 Cbu-10 Paveway II a guida laser, 5mila kit Jdam per trasformare bombe ordinarie in bombe guidate a guida gps, oltre ad altri ordigni.
La Defence Security Cooperation Agency del Pentagono, che sovrintende alla vendita di armamenti Usa all’estero, ha dichiarato che l’aviazione saudita è attualmente a corto di armi a seguito del lungo impegno in Yemen; la fornitura gli permetterà di continuare e con maggiore efficacia i bombardamenti.

La frontiera

di Alessandro Leogrande 
Il sommozzatore si cala in fondo al mare, si tira giù con l’aiuto di una corda, sembra una pertica conficcata sul fondale. L’uomo pare danzare, la tuta nera è avvolta da scie di bollicine. A tratti si sente il rumore dell’aria sputata fuori. Al primo sommozzatore se ne aggiunge un altro, poi un altro ancora. Tutti hanno scritto sul braccio destro guardia costiera. Dopo alcuni secondi circondano il relitto.
Adagiato a quaranta metri di profondità, al largo dell’isola di Lampedusa, il peschereccio sembra in secca, incuneato nella sabbia chiarissima del fondale. I tre sub, le bombole sulle spalle, calcano il ponte della piccola imbarcazione ed entrano da una porta laterale. Passa qualche secondo, ed estraggono il corpo di una donna.
Assomiglia a una bambola gonfiabile per la lievità con cui, sul fondo del Mediterraneo, scivola fra le loro mani. La donna è di spalle, il corpo è fasciato da pantaloni scuri e una maglietta. All’estremità spuntano le braccia e i piedi neri.

I prescelti in attesa dell’apocalisse

Intervista a Frédéric Lenoir di Guido Caldiron
Tra i più noti filosofi francesi, ricercatore presso l’École des hautes études en sciences sociales di Parigi e a lungo direttore di Le Monde des religions, una delle riviste europee che meglio hanno cercato di affrontare negli ultimi anni sia gli aspetti sociali che quelli spirituali della fede, Frédéric Lenoir è l’autore de L’anima del mondo, Bompiani, (pp. 238, Euro 14) un testo che arriva oggi in libreria e che racconta di come sette persone, appartenenti a sette «mondi religiosi» diversi possano incontrarsi di fronte al caos e alla guerra che regnano sul pianeta per cercare quella che i filosofi dell’antichità chiamavano l’«anima del mondo»: la forza per cercare insieme pace e armonia.
All’indomani della strage di venerdi scorso, Alain Touraine ha spiegato come l’atteggiamento degli jihadisti sia profondamente religioso, ma in senso fanatico, apocalittico. Qualcosa che nelle società secolarizzate si fatica perfino a comprendere. È così?

Se neanche il Parlamento sa in quali mani finiscono le armi italiane (e in quali guerre)

di Claudio Paudice
In quali mani finiscono le armi italiane? E per combattere chi? Se non conoscete la risposta, consolatevi: nemmeno i parlamentari italiani la conoscono. Associazioni come Amnesty International, Opal e Archivio Disarmo da tempo chiedono al Governo maggiore trasparenza sulle armi esportate da aziende italiane. L'argomento è piuttosto complesso e il governo, che ogni anno è tenuto a presentare una relazione al Parlamento (comprensiva anche di singoli rapporti dei ministeri), non aiuta a risolvere i numerosi dubbi su un traffico legale che presenta però diverse ombre.
Il governo, in base alla legge 185/90 del governo Andreotti e alle modificazioni apportate nel 2012, ogni anno presenta i dati sulle esportazioni di armamenti: faldoni di pagine, più di mille, che però tacciono alcuni dati fondamentali oppure li presentano in maniera confusa. Tanto che le associazioni e Ong rimpiangono la "chiarezza" di Giulio Andreotti.

Perché Garanzia Giovani funziona male

di Federica Bruni
Molti iscritti (742.653), un buon numero di “presi in carico”, proposte di formazione o tirocinio per il 28% di loro. A conti fatti, 213.000 giovani in 24 mesi hanno ricevuto una proposta. Non ci sono dati nazionali sul numero di giovani che hanno aderito concretamente alle proposte ricevute. Come dire, 80 giovani al mese, in ogni provincia italiana, hanno valutato se partecipare a un corso o un tirocinio. Costo dell'operazione: 1 miliardo e 200 milioni. Risorse investite per ciascun giovane (a prescindere dalla sua attivazione concreta): 5.600 euro. Questa Garanzia Giovani, pur in presenza di alcuni risultati positivi, non ha l'efficienza dei motori rodati, sembra più un prototipo, bisognoso di aggiustamenti e rettifiche per funzionare a regime. Entrando in pista, la corsa è stata ostacolata da dispositivi concepiti a tavolino, che non hanno superato la prova della strada.
Molto sinteticamente, Garanzia Giovani funziona così: i giovani inseriscono i propri dati nel portale, poi si recano al Centro per l'Impiego o presso enti accreditati e firmano un “patto di servizio”.

La trasformazione di una tragedia in una guerra

di Jonah Birch 
Meno di due settimana fa bazzicavo al le Carillon, un bar del decimo arrondissement di Parigi e una delle scene degli orribili attacchi di venerdì. E’ un posto famoso, un po’ più avanti rispetto al mio appartamento di Belleville e a un solo isolato dal Saint-Martin Canal, dove giovani parigini e hobos (hipster) amano raccogliersi per bene vino e cazzeggiare. Ho incontrato alcuni amici al bar e ci siamo seduti fuori a parlare di politica.
I miei amici, per la maggior parte militanti di lungo corso, non erano ottimisti riguardo alla situazione in Francia. Erano preoccupati dello stato della sinistra francese (non buona di questi tempi) ed erano agitati per la prospettiva della forte avanzata del Fronte Nazionale, di estrema destra, alle imminenti elezioni regionali. Al tavolo vicino al nostro una coppia più anziana, che sembrava essere di clienti abituali, fumava una sigaretta dietro l’altra e chiacchierava con il barista di mezza età. Appena di là dalla strada Le Petit Cambodge, un popolare ristorante cambogiano, si stava riempiendo di commensali tardivi.

Il limbo di Calais e la politica cinica dello scoraggiamento



di Andrea Inglese
I borghesi di Calais è un celebre gruppo scultoreo in bronzo che la città di Calais commissionò ad Auguste Rodin alla fine del Diciannovesimo secolo. Il primo esemplare (altri ne fece circolare l’autore in Francia e nel mondo) è stato inaugurato nel 1895 di fronte al municipio della città. Il monumento commemora un atto di eroismo della Francia medioevale: dopo un lungo assedio di Edoardo III d’Inghilterra, la città di Calais cede e nel 1347 sei abitanti della città (i “borghesi”) offrono al conquistatore la loro vita, affinché quella di tutti gli assediati sia risparmiata. Così Rodin li ha immaginati: con delle spesse corde al collo e le mani intrappolate in catene, che si presentano al loro carnefice. Saranno alla fine risparmiati, così come verrà risparmiata la popolazione di Calais, che diverrà però inglese per circa due secoli.
Quali protagonisti sceglierebbero oggi gli abitanti di Calais per realizzare un gruppo scultoreo di altrettanta efficacia? Il poliziotto francese a guardia delle frontiere britanniche, che rischia di essere ferito durante gli interventi contro i migranti?

Dalla paura nascerà un nuovo legame sociale. Rileggere Ulrick Beck contro il terrorismo

di Marco Dotti
Il suo lavoro più noto lo aveva pubblicato nel 1986, l’anno della catastrofe di Černobyl. Risikogesellschaft, tradotto in italiano nel quattro anni dopo col titolo La società del rischio, non ha solo fatto conoscere a tutti il lavoro del sociologo tedesco Ulrich Beck, nato a Stolp il 15 maggio del 1944 e scomparso il 1 gennaio 2015, ma ha anche portato all’evidenza una tesi che, nel corso degli anni, Beck non si è mai stancato di ribadire: “la produzione sociale di ricchezza è oramai inseparabile dalla produzione sociale di rischi”.
Un nuovo principio politico
Per questa ragione, la vecchia politica di redistribuzione dei beni non può più reggere. Serve una politica di ridistribuzione dei rischi. Ma qui il piano diventa particolarmente complesso proprio perché – osservava Ulrich Beck – nessuna istituzione può più farsi garante per quei rischi. Lo stato di paura, da cui il politico classico garantiva il sociale, non è dietro, ma davanti a noi: è un potenziale che può sempre esplodere, in forma di guerra, catastrofe, crollo di Borsa. In una parola: siamo passati dalla società dei beni e servizi alla società dei rischi e delle perdite. Contenere non basta, prevedere non è forse più possibile. Occorre altro.

Arabia Saudita, mentore dell’Isis

di Robert Fisk
Il paese che ha prestato il suo credo sunnita wahabita agli assassini dell’Isis a Parigi, non darà la minima importanza al fatto che François Hollande sbuffa e risbuffa sulla guerra. L’Arabia Saudita tutto questo lo ha già ascoltato, tutto sul Nuovo Ordine Mondiale fin dal 1991 quando George Bush padre, con una espressione filo-hitleriana, sognava che in Medio Oriente avrebbe potuto esistere un’oasi di pace, un luogo senza armi, e la ricchezza che da essa proviene invece che in spade si trasformano in aratri, o almeno in pozzi di petrolio più grandi e oleodotti più lunghi.
I sauditi sono troppo occupati a fare a pezzi lo Yemen, nella sua folle guerra contro gli Houthi sciiti, per preoccuparsi di quei pazzi sunniti wahabiti dell’Isis.
Il suo nemico continua ad essere il nuovo migliore amico degli Stati Uniti, l’Iran sciita, e sono come sempre incaponiti a destituire il presidente alauita sciita della Siria, anche se l’Isis è in prima fila tra i nemici di Bashar al Assad.

L’autunno del generalissimo

di Alfonso Botti
Fu quando il capo del governo, Carlos Arias Navarro, con voce e volto spettrali ne diede l’annuncio davanti alle telecamere, il 20 novembre del 1975, che gli spagnoli seppero. Intubato e da giorni agonizzante, il dittatore che aveva retto le sorti della Spagna per trentasei anni, aveva esalato l’ultimo respiro.
A riprova che la faglia del 1936 non era stata ricomposta, una parte degli spagnoli pianse, un’altra festeggiò. La maggioranza rimase in attesa degli eventi, convinta tuttavia della necessità di voltar pagina. L’accanimento terapeutico aveva trascinato in vita Franco fino al 20 novembre: lo stesso giorno in cui, nel 1936, era stato fucilato il fondatore della Falange, José Antonio Primo de Rivera. Accanto al «fondatore», con cui mai era stato in buoni rapporti e del quale poi male aveva sopportato la concorrenza sul piano simbolico, Franco fu poi sepolto nella tetra basilica del Valle de los Caídos. Il mausoleo che circa vent’anni prima aveva fatto costruire anche con il lavoro forzato dei prigionieri di guerra dell’esercito repubblicano.

La banlieue che è in noi

di Ilaria Bussoni
Cara J.,
grazie molto per questa tua. Mentre venerdì sera ricevevo un messaggio che diceva «Hai visto?», e al quale rispondevo con Pas de mots, pensavo: ma come Chez nous? in quel quartiere che tutti conosciamo bene, dove si incontrano i compagni e si vedono i collettivi, e abitano gli studenti in gran parte italiani che vanno a Paris VIII, quando a Saint-Denis non c’è ancora la fermata per l’università, per seguire Toni o Rancière? Aboulevard Voltaire, con i drappelli di gente ferma ad aspettare un passaggio che arriva da lì a poco in un inverno gelido ma non così tanto del ’95 e una sfera pubblica che si allarga a dismisura durante gli scioperi? E si va a bere un caffè che costa 6 franchi, ci si può stare e dura ore, tanto nei bar si può ancora fumare? Non mi sentivo così immonda, quando al Bataclan suonavano i Blur, Street’s like a jungle / So call the police / Love in the 90′s / Is paranoid, e probabile che tra il pubblico c’era qualche casseur.
Non si era scritto che nelle lotte degli studenti e dei precari (già si chiamavano così) contro il Contratto di Inserimento Professionale del ’93, che discriminava, precarizzava, svalutava, impoveriva la formazione e non solo, si dava il possibile di un’alleanza con la banlieue (che già esisteva) e che quella rompeva la cintura del colore del périphérique?

Il fanatismo religioso oltre le epoche. Abelardo, il dialogo e i rapporti tra culture

di Daniele Valli
Le difficoltà, i metodi e i luoghi delle relazioni interculturali sono problematiche che hanno da sempre, nel tempo, accompagnato l’uomo. In ogni epoca della storia di cui abbiamo testimonianze possiamo individuare con facilità momenti di contatto, più o meno riusciti, fra culture diverse, trascorsi con maggiore o minore consapevolezza dei contemporanei.
E’ certamente inutile sottolineare come anche nei nostri anni tali vicende siano di primo piano nello svolgersi dei rapporti internazionali. Tuttavia, in modo quasi inedito, oggi esse esercitano un ruolo sempre più pressante nell’opinione pubblica. Il terrorismo islamico, lo stravolgente fenomeno dell’IS, unito all’emergenza dei richiedenti asilo e ai numerosi e drammatici episodi di cronaca di guerra provenienti dal Medio Oriente hanno acceso e portato la discussione sui rapporti con le culture islamiche nei bar sportivi, nelle tavole da pranzo, sui social network. Ci si domanda, infatti, come e in quale misura debba avvenire il dialogo con il mondo musulmano, se sia opportuno o non lo sia, se sia necessario o sia evitabile. Del resto, così come non rappresentano novità questi temi, non sono affatto nuovi nemmeno questi interrogativi, e non dobbiamo faticare per trovare personaggi di altre epoche porsi, in contesti storici lontani, i medesimi dubbi.

Deleuze e il «fortuito nel mondo»

di Francesco Raparelli
E' «un capitolo di storia della filosofia contemporanea». Lo chiarisce l'autore nelle prime battute, lo affermiamo dopo aver letto con passione. Eppure non appare sbagliato parlare di una nuova ricerca sul materialismo. Della vita, della «materia intensa», del divenire. È questo il materialismo insolito di cui, da tempo, va alla ricerca Ronchi, occupandosi della pragmatica di Bachtin o leggendo il Sartre meno battuto (quello degli scritti giovanili), seguendo Brecht o Bergson. È questo il materialismo di Deleuze.
Fare di Deleuze un materialista non è mai operazione facile. Ronchi, che dell'autore di Differenza e ripetizione segnala nel dettaglio le genealogie, conosce la difficoltà e non si sottrae. Anzi, tra i reagenti chimici utilizza l'attualismo gentiliano, e le difficoltà non possono che aumentare. Come pensare in termini materialistici facendo a meno della «negazione determinata»? Come, se il piano in cui ci si colloca è quello del reale o dell'«esperienza pura»? L'immanenza di una vita impersonale, «un puro evento liberato dagli accidenti della vita interiore ed esteriore», è uno scarto irriducibile nei confronti del materialismo o una sua rinnovata potenza?

Francesco: «Basta armi». Intanto nel 2015 la Francia ne ha vendute per la cifra record di 15 miliardi

di Lorenzo Maria Alvaro
«Facciamo armi, così l’economia si bilancia un po’, e andiamo avanti con il nostro interesse. C’è una parola brutta del Signore: “Maledetti!”. Perché lui ha detto: “Benedetti gli operatori di pace!”. Questi che operano la guerra, che fanno le guerre, sono maledetti, sono delinquenti». Così, durissimo, Papa Francesco durante l'omelia della consueta messa mattutina nella cappella della sua residenza di Casa Santa Marta di qualche giorno fa. Con particolare attenzione agli armamenti: «C’è chi si consola dicendo: sono morti “solo” venti bambini. Siamo diventati pazzi! Milioni di morti e tanti soldi nelle tasche dei trafficanti di armi. Si producono armi per bilanciare le economie. Sarà un Natale truccato».
In molti hanno interpretato le parole del Papa come un attacco ai trafficanti d’armi, dimenticando, o facendo finta di dimenticare, il passaggio in cui il Santo Padre si riferise chiaramente alla produzione di armamenti.

Boulevard Voltaire

di Amalia Signorelli
Un caso, certo, ma un caso amaro, macabro ha voluto che le vittime di Parigi fossero massacrate dai fanatici integralisti dell’Is proprio nei pressi del Boulevard intitolato a Voltaire, al maestro della tolleranza, al filosofo simbolo di quella filosofia basata sui lumi della ragione, che è il più bel regalo che la Francia ha fatto all’Europa e al mondo.
Regalo che ora rischia di finire in cantina ad ammuffire tra polvere e ragnatele, scartato perché inutile.
Loro con le loro tute nere che li rendono indistinguibili e i loro kalashnikov che li rendono terrificanti, non ragionano: sono in missione per conto di Dio, devono purificare il mondo sterminando gli infedeli, il loro martirio sarà premiato in paradiso. L’unico infedele buono è l’infedele morto (vi ricorda niente?), quindi non c’è da fare distinzioni. Invocano Allah misericordioso, ma giustamente loro misericordiosi non sono. Non è la parte che tocca a loro, quella della misericordia.

Arabia Saudita, condannato a morte un poeta per apostasia. Il sistema giuridico è uguale a quello dell’Isis

di Martino Mazzonis 
Un tribunale saudita ha condannato un poeta palestinese a morte, l’accusa secondo i documenti visionati dal ricercatore di Human Rights Watch in Medio Oriente Adam Coogle, è di apostasia.
Ashraf Fayadh è stato arrestato dalla polizia religiosa del Paese nel 2013 a Abha, nel sud-ovest dell’Arabia Saudita, e poi nuovamente arrestato nei primi mesi del 2014.
Il primo verdetto del tribunale lo aveva condannato a quattro anni di carcere e 800 frustate, ma dopo l’appello un secondo giudice ha sentenziato che Fayadh deve morire.
Il sistema giudiziario dell’Arabia Saudita si basa sulla legge islamica della Sharia e suoi giudici sono chierici ultra conservatori di scuola wahhabita. Nell’interpretazione wahhabita della Sharia, i crimini religiosi, tra cui la blasfemia e l’apostasia comportano la pena di morte.

Papa Francesco in Africa: la speranza oltre guerra, terrorismo e corruzione

di Giampaolo Petrucci
Dopo quelli in America Latina, Asia e Medio Oriente, papa Francesco si appresta ad affrontare il suo primo viaggio apostolico nell'Africa subsahariana, tra il 25 e il 30 novembre. Evento che si preannuncia carico di aspettative, date le delicate condizioni politiche, economiche, sociali ed ecclesiali in cui versano i Paesi attraversati dal pontefice. Tre le tappe, secondo il programma comunicato a settembre dal direttore della Sala Stampa vaticana p. Federico Lombardi: Kenya (25-27 novembre), Uganda (27-29 novembre) e Repubblica Centrafricana (29-30 novembre). Per il “continente nero”, grande dimenticato e per lo più mal raccontato dall'informazione globale, la visita del papa è soprattutto un'occasione per riconquistare qualche titolo di copertina e per costringere l'opinione pubblica mondiale a puntare i riflettori su una regione del continente crocevia di interessi politici ed economici non solo africani, e forse proprio per questo motivo ricca di ambiguità ed enormi problematiche.

Da dove vengono le armi usate dai terroristi?

Intervista a Cédric Poitevin di Ludovic Lamant
Gli attentati di Parigi del 13 novembre hanno riaperto il dibattito sul traffico illegale di armi in Europa e, in particolare, sul ruolo del Belgio. L’intervista di Mediapart a Cédric Poitevin, ricercatore belga e vicedirettore del gruppo di ricerca e d’informazione sulla sicurezza e la pace (Grip) che ha sede a Bruxelles.
Il Belgio è al centro del traffico illegale di armi in Europa?
"In un certo senso sì, il Belgio ha un ruolo fondamentale. Ma dire che è il fulcro di questo traffico è un’esagerazione. Dal gennaio 2015 le questioni relative al traffico d’armi vengono esaminate solo in relazione agli attentati di Parigi (quelli di gennaio e quelli di novembre) oppure all’attentato del treno Thalys ad agosto. Ma questi terroristi hanno delle caratteristiche diverse dai protagonisti del traffico d’armi nell’Unione europea: sono perlopiù francofoni. Se altri terroristi avessero voluto prendere di mira Berlino o Vienna, per esempio, non sono sicuro che sarebbero passati dal Belgio.

Il mito del Bataclan

di Andrea Colasuonno
In una notte come tante, durante la stagione degli alberi tristi
nella città della grande torre, accadde il misfatto che vi voglio cantare.
Spiriti tetri, irte le barbe, mandati d’altrove con il tuono in mano
portarono in terra l’ira del cielo, chiamarono guerra, levarono il velo.
Mille fragori squarciarono il buio, mille anime lasciarono i corpi
mille mamme piansero i figli, mille padri strinsero mogli.
Poscia “chi sono?” si chiese la gente, “cerchiamo a levante oppure a ponente?”.
Eran lontani eppur dappertutto, sprezzavan la vita, sprezzavano il lutto.
Ci fu chi disse blocchiamo l’impero, via i forestieri
veniamo alle armi, zittiamo i pensieri.
Ci fu chi disse che nostro è il torto prima di tutti
fummo i carnefici, oggi distrutti.
Ci fu chi adirato con la sua gente
che per i suoi piange, per gli altri per niente.
Si tinsero i volti del tricolore, chi accese un cero e chi porse un fiore.
Finì così, deserte le strade, a chiedere ai morti di aspettarci nell’Ade.

Spagna, un paese che ha rimosso il suo passato

di Luca Tancredi Barone
Quarant’anni fa esatti gli spagnoli ascoltarono in televisione le storiche parole «Spagnoli, Franco è morto». Le pronunciava con voce rotta l’allora presidente del governo Carlos Arias Navarro. Due giorni dopo divenne capo di Stato l’erede del dittatore: Juan Carlos di Borbone. Arias, conosciuto anche come il macellaio di Malaga per la sanguinosa repressione che portò a termine dopo la guerra civile, rimase a capo del governo fino al luglio del 1976, quando il giovane re decise di affidare ad Adolfo Suárez l’incarico di traghettare la Spagna verso la democrazia. La transizione culminò nel 1978 con l’approvazione di quella Costituzione che oggi molti – da Podemos a Izquierda Unida fino ai catalani – vorrebbero se non buttare via certamente riformare in profondità.
La Spagna di oggi, guidata da un altro Borbone, non ha ancora fatto i conti con il suo passato. I familiari delle vittime del franchismo non hanno mai avuto giustizia, la maggior parte di loro giacciono in fosse comuni senza essere stati identificati. La legge di amnistia del 1977 e la prescrizione hanno impedito di incriminare chicchessia.

Che fine fanno i fondi per i centri antiviolenza?

di Rossana Scaricabarozzi
A un anno dal lancio dell’iniziativa di#donnechecontano, ActionAid ha voluto cercare e analizzare informazioni sui fondi della L. 119/2013 per il biennio 2013-2014 che le regioni hanno erogato a favore di centri antiviolenza e case rifugio. Ne risulta un quadro parziale e disomogeneo, da cui trarre lezioni per i futuri stanziamenti. 
Una mappa parziale
La mappa mostra che solo per 10 amministrazioni è possibile consultare la lista delle strutture beneficiarie dei fondi. Di queste, 5 regioni - Veneto, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Puglia - hanno pubblicato on line i nomi di ciascuna struttura e i fondi ricevuti. 
Per l’Abruzzo è stato possibile risalire alle strutture beneficiarie attraverso la consultazione di diversi atti, poiché l’assegnazione dei fondi ai centri è stata fatta sulla base di strutture che in precedenza avevano vinto bandi regionali.

Il destino di Raqqa ai tempi del Califfato

di Alberto Negri
Come si vive in Siria ai tempi del Califfato? Il destino di Raqqa, capitale dell'Isis bombardata da russi e francesi, racconta una storia emblematica della guerra siriana che racchiude prima la paura per la repressione esercitata dal regime di Bashar Assad, poi le speranze sollevate dall'avanzata dei ribelli e infine il cupo terrore imposto da al- Baghdadi. Ma la sorte di Raqqa descrive anche quanto sarà complicato sradicare i jihadisti, sempre che si trovi l'accordo per farlo.
Il 6 marzo 2013 Raqqa era un città in festa che accoglieva gli insorti sventolando bandiere. Per Assad la sconfitta era stata umiliante: questa città di 200mila abitanti, 160 km a Est di Aleppo, era il primo capoluogo regionale a cadere in mano ai ribelli con un'offensiva che aveva visto schierate fianco a fianco le milizie dell'Esercito libero siriano (Els) e quelle di Jabhat al-Nusra. La gioia per la liberazione della città si trasformò in timore quando le brigate Els vennero cacciate dai salafiti di al-Nusra, affiliati di al-Qaeda e fedeli a una versione radicale dell'Islam.

Il lavoro minorile nel mondo e in Italia

Nel mondo circa 200 milioni di minori lavorano, spesso a tempo pieno, e sono privati di un’educazione adeguata, una buona salute e del rispetto dei diritti umani fondamentali. Di questi, circa 126 milioni — ovvero 1 ogni 12 bambini al mondo — sono esposti a forme di lavoro particolarmente rischiose, che mettono in pericolo il loro benessere fisico, mentale e morale. Inoltre circa otto milioni di minori sono sottoposti alle peggiori forme di lavoro minorile: la schiavitù, il lavoro forzato, lo sfruttamento nel commercio sessuale, nel traffico di stupefacenti e l’arruolamento come bambini soldato in milizie.
Negli ultimi 15 anni il mondo ha preso consapevolezza che il lavoro minorile è un pressante problema economico, sociale e umano. Oggi il fenomeno sta diminuendo in tutto il mondo e, se questa tendenza continuerà, le peggiori forme potrebbero essere eliminate entro i prossimi dieci anni. Questo è il risultato diretto di un grande movimento internazionale impegnato contro il lavoro minorile. I risultati sono evidenti nel numero di paesi che ratificano la Convenzione n. 182 dell’ILO sulle peggiori forme di lavoro minorile. Adottata nel 1999, la Convenzione è stata ratificata dalla quasi totalità degli Stati membri.

Dalla parte del terrore o dalla parte dei migranti

di Coordinamento migranti
Il taxi vuoto di un tassista musulmano a New York la notte del 13 novembre simboleggia il significato di ‘terrore’. «La gente», ha raccontato il tassista, «ha paura di me, pensa che io sia parte di quanto accaduto a Parigi, non si sente sicura e io non posso lavorare». Il rischio è infatti che ogni musulmano, ogni persona identificata solo dalla sua pelle, ogni migrante venga considerato un terrorista.
Il terrorismo ha conseguenze che vanno oltre i singoli attacchi e a dispetto della sua vocazione antioccidentale colpirà soprattutto i migranti, musulmani e non. Li colpirà nella vita quotidiana, con il razzismo più o meno velato dei piccoli gesti, ma soprattutto con il razzismo ufficiale delle cosiddette misure di sicurezza che sfruttano il terrore per limitare indiscriminatamente i diritti di cittadinanza, con la restrizione della libertà di movimento, annientando all’improvviso la fatica di migliaia e migliaia di uomini e donne che hanno costruito la loro vita in Europa, anche per sfuggire la guerra, anche per sfuggire il terrore, ma soprattutto per migliorare la propria vita, per qualcosa di più del solo salario. I seguaci del terrore lo sanno. Per questo nei loro scritti e nelle loro azioni dichiarano guerra ai migranti che cercano tutto questo in Europa.

Nel regno degli invisibili

Intervista a Giovanni Troilo di Giovanna Ferrara
Il ritratto della crisi finanziaria in Europa coincide con quello degli abitanti di Charleroi nel lavoro firmato da Giovanni Troilo, vincitore del Sony World Photography Awards (per il suo reportage sulla Ville Noire), esposto fino a fine novembre alla galleria Carlo Virgilio, in via della Lupa a Roma. Qui, nella ex città delle miniere diventata landa da crisi industriale, il futuro è deserto, il passato è lontano, il presente è tristissimo. L’immagine totem è quella di una tipica palazzina di edilizia popolare, abitata dai turnisti delle fabbriche collegate all’indotto di Marcinelle, drammaticamente nota per essere diventata, a causa di uno scoppio nel sottosuolo, la tomba dei corpi invisibili addetti ad estrarre gli ori neri del novecento. Il tetto è sovrastato dal braccio di alluminio che alimentava l’altoforno schiacciando, col suo ineluttabile peso, le vite degli operai, conglobati, a partire dai corpi stretti tra le mura di casa, nella produzione (cos’è la biopolitica se non la consapevolezza di questa immagine?).

Facebook censura chi resiste contro Daesh

Il sito francese streetpress ha denunciato la censura della campagna “Fuck Daesh, support PKK” da parte di Facebook. Tre giorni dopo gli attentati di Parigi, alcuni collettivi antifascisti francesi avevano lanciato su change.org una petizione per chiedere di: sostenere attivamente tutte le forze curde che stanno combattendo i miliziani del Califfato islamico (YPG/YPJ/PKK); eliminare il PKK dalle liste del terrorismo internazionale; interrompere le relazioni con la Turchia di Erdogan, l’Arabia Saudita e tutti i paesi che sostengono Daesh. La compagnia di Palo Alto avrebbe spiegato al sito francese che sul social network non c’è spazio per contenuti a favore di organizzazioni terroristiche. E il PKK, almeno secondo Stati Uniti e Unione Europea, sarebbe una di queste.

Gli Stati Generali di Possibile. Cosa succede a Napoli

I deputati di Possibile, guidati da Pippo Civati, non hanno voluto partecipare alla nascita del gruppo parlamentare Sinistra Italiana, che ha riunito i deputati di Sel e sei fuoriusciti dal Pd, tra cui Alfredo D’Attorre e Stefano Fassina. «Non facciamo operazioni di palazzo» ha spiegato più volte Civati, che tanto D’Attorre quanto Fassina dicono però di attendere a braccia aperte. Agli Stati Generali di Possibile, questo sabato a Napoli, all’Arenile di Bagnoli, i deputati civatiani arrivano però avendo fatto nascere una nuova componente in parlamento. Operazione giudicata meno di vertice, e forse perché invece che un nome nuovo si è solo messo un trattino tra Alternativa Libera, la componente del gruppo misto di alcuni ex 5 stelle, e Possibile.
Ci sarebbe spazio per polemizzare, cosa che fanno, dai due fronti, ma forse possiamo concentrarci sulla nota di Rifondazione Comunista di Paolo Ferrero (come Civati critico all’operazione di Sinistra Italiana) che dice soltanto «l’importante è che ci si ritrovi tutti a gennaio», quando cioè è stato convocato un primo appuntamento per la costituente di un nuovo partito unitario, il 15, 16 e 17 gennaio.

Uccisori e uccisi

di Francesco Pecoraro
Ragazzi arabi con poca istruzione, senza soldi e senza lavoro o con un lavoro di merda, ragazzi schizofrenizzati dal conflitto tra cultura di provenienza e cultura di approdo, dove pure sono nati e di cui parlano perfettamente la lingua, cultura di cui hanno studiato almeno gli elementi essenziali, ma senza riuscire ad assimilarli e senza farsene assimilare (perché?), fino al colpo di coda dell’estraneità di ritorno, al rigurgito dell’appartenenza e del dettato religioso, dunque fino al Rigetto. Ragazzi senza futuro, incagliati in un presente per loro immutabile, ragazzi incapaci di compiere il passo necessario alla mescolanza con Europa, che pure (ma solo a certe condizioni) può completamente accogliere, ragazzi senza visione dell’avvenire, ragazzi con barbe islamiche, ragazzi di cui non frega a nessuno sono disposti a morire pur di fare strage di altri ragazzi come loro, ma diversi perché istruiti, sofisticati, sostanzialmente integrati, completamente consenzienti al sistema e tuttavia ornati di deboli orpelli oppositivi. Ragazzi europei belli levigati creativi, super-qualificati, con buone prospettive di lavoro e quasi sicuramente un futuro, ragazzi con dottorato alla Sorbona e barbe e baffi e capelli da hipster, che si muovono disinvolti attraverso le frontiere ormai virtuali d’Europa, ragazzi che coltivano liberamente i loro rapporti, che non hanno regole sessuali, ragazze prive di alcun senso di minorità, libere, che ti guardano dritto negli occhi, ragazzi protetti dall’Occidente, di cui sono la crema e probabilmente i futuri dominanti.

Tutti barzotti per la guerra

di Giulio Cavalli
Se noi non fossimo qui, se noi fossimo degli stranieri appena sbarcati in Italia e per uno strano caso qualsiasi ci capitasse stamattina di passare in un’edicola, davanti alle prime pagine dei quotidiani, oggi verrebbe da pensare che abbiamo dichiarato guerra a cannone battente e siamo nel pieno dell’ubriacatura da militarismo greve.
Le foto di Abdelhamid Abaaoud, nelle sue patetiche pose da Rambo in salsa orientale e la fierezza con cui viene annunciata la sua avvenuta uccisione (anche sul moderato Corriere della Sera) farebbero credere, a prima vista, non solo che il conflitto abbia ufficialmente sdoganato l’uso della violenza ma anche che ci sia una generale soddisfazione per questa guerra alla guerra fatta con la guerra. Un’avvincente partita a Risiko su scala mondiale in cui si fatica a trattenere l’esultanza per l’ultimo tiro di dadi e si espongono i trofei dell’ultimo ammazzato tra i cattivi. Ma davvero credono che noi si possa abboccare alla storiella che questi giovanotti in stitiche pose da soldati possano da soli giustificare l’orrore? Ma davvero le bombe francesi su Raqqa possono essere considerate l’inevitabile conseguenza?

Si chiudono le frontiere, si esportano le armi

di Gianluca Graciolini
Ricapitoliamo, demistifichiamo. L'Europa chiude sine die le sue frontiere e si appresta ad innalzare muri contro i profughi. In Usa, la Camera dei rappresentanti a maggioranza repubblicana ha approvato una legge che renderà impossibile l'accoglienza ai profughi siriani, con Donald Trump che arriva a proporre di schedare tutti i musulmani o dare loro dei documenti speciali.
Contemporaneamente: il Dipartimento di Stato Usa ha firmato un accordo per la fornitura all’Arabia Saudita di 22mila smart bomb (le cosiddette bombe intelligenti). Il contratto, addizionale ai tanti già siglati e del valore di 1 miliardo e 290 milioni di dollari, comprende 1000 Cbu-10 Paveway II a guida laser, 5mila kit Jdam per trasformare bombe ordinarie in bombe guidate a guida gps, oltre ad altri ordigni.
Sempre contemporaneamente: Laurent Collet-Billon, delegato generale sugli armamenti presso la Commissione Difesa francese, trionfa così: "l’anno 2015 sarà un anno record per le esportazioni di armi francesi".

Guerra e austerità, risposte sbagliate e in malafede

di Giorgio Cremaschi 
La terribile strage di Parigi non ha solo colpito centinaia di innocenti, ma anche le nostre più sempre più traballanti democrazie che stanno rispondendo al terrorismo fondamentalista suicidandosi. Cento anni fa fece la stessa cosa l'Impero austroungarico, che nel 1914 reagì con la guerra al terrorismo serbo. Il risultato fu la distruzione di quello stato e la catastrofe immane della prima guerra mondiale. Cambiato il mondo l'Occidente, questa volta trascinato dalla Francia, sta intraprendendo lo stesso percorso.
Da 25 anni, dalla prima guerra in Iraq, il mondo occidentale risponde con la guerra al terrorismo. Il risultato è che oggi il fondamentalismo musulmano sunnita ha un suo nuovo stato terrorista. Non è il primo perché già il regime dei Telebani in Afghanistan alimentava e sosteneva il terrorismo, allora quello di Bin Laden. Rovesciato quel regime, ucciso Bin Laden, il terrorismo islamico si è rafforzato ed esteso. Ammesso quindi che i bombardamenti aerei occidentali e russi riescano a far cadere il califfato, non c'è alcuna garanzia che il terrorismo non si diffonda ulteriormente.

Al mercato della paura

di Norma Rangeri
Vogliono farci vivere con la paura addosso. Vogliono condizionare la nostra vita quotidiana. Vogliono limitare la nostra libertà. Tutti siamo d’accordo su questo aspetto non secondario, anzi direi centrale, degli effetti del terrorismo stragista.
Chi mette bombe allo stadio, chi si fa esplodere in un bar, chi agisce come i cecchini nella sala di un concerto abbattendo ragazze e ragazzi uno dopo l’altro, questo intende dirci: vogliamo farvi vivere nel terrore e siamo capaci di colpirvi dove e quando vogliamo. Capire questo è fondamentale.
Ma il terrore passa, si diffonde e ci invade anche attraverso l’informazione. E di questo «effetto collaterale» sono certamente responsabili i mass-media, per il modo in cui scelgono di interpretare i fatti, i protagonisti, le circostanze, i contesti. Così se un aereo abbattuto dai terroristi scarica duecento vittime sul Sinai, grazie alla minore pressione mediatica, resta appena impresso nella memoria.

Due bandiere: pace e lavoro

Intervista a Maurizio Landini di Antonio Sciotto
«Ad aprire il corteo saranno i lavoratori immigrati, con la scritta “Contro la guerra io non ho paura”. Alcuni di loro parleranno anche dal palco». La manifestazione Unions! di domani a Roma, indetta dalla Fiom e dalla Coalizione sociale, non poteva certo ignorare i fatti di Parigi. Anzi, le riflessioni che Maurizio Landini ci consegna incontrandoci nella nostra redazione — con noi Norma Rangeri e Tommaso Di Francesco — sono in gran parte dedicate ai gravi fatti che accadono in Europa. Subito dopo, ovviamente, parliamo del contratto dei metalmeccanici, e del contrasto del sindacato alla legge di Stabilità e al Jobs Act. Di Renzi e del Pd, della nuova Sinistra italiana, dei Cinquestelle.
È un errore rispondere con la guerra ai terroristi? Quale altro strumento contro gli attentati?
"Lo diciamo chiaramente: noi siamo contro il terrorismo ma anche contro la guerra. Leader importanti come Blair stanno riconoscendo gli errori delle guerre del passato, e non si può non vedere che quello che viviamo oggi è in parte frutto dei conflitti armati. Dobbiamo muoverci su due terreni: innanzitutto smettere di vendere armi e di comprare petrolio dall’Isis.

L’ordine dominante cova i germi della barbarie

di Annamaria Rivera
Lo sappiamo bene e lo andiamo scrivendo da molti anni: il terrorismo jihadista è fenomeno tanto potentemente iscritto nel mondo della comunicazione globale, quanto totalitario. Tale non solo in sé, per la mortifera ideologia fondamentalista e pan-islamista, e per il ricorso alla violenza estrema, ma anche per il fatto di produrre effetti totalitari.
La strategia jihadista mira, infatti, a far cadere l’avversario nella trappola, provocandone reazioni destinate ad aggravare lo stato di guerra su scala mondiale e a far emergere il versante aggressivo e repressivo delle democrazie occidentali. È accaduto più volte nel corso della storia contemporanea: si pensi alle legislazioni d’emergenza adottate dalla Francia dopo gli attentati anarchici degli anni ‘90 dell’Ottocento e, più recentemente, durante la guerra d’Algeria, ma anche dall’Italia negli «anni di piombo» e dagli Stati Uniti dopo l’11 settembre, in specie col Patriot Act.

Sinistra: la svolta è nell'unità reale

di Sergio Cofferati e Andrea Ranieri
Forse è a portata di mano un obiettivo che solo qualche mese fa sembrava impossibile: ricostruire una vera e seria forza di sinistra nel nostro Paese.
Una forza alternativa al quadro politico ed economico dominante, all’appiattimento della stessa socialdemocrazia europea sulla gestione dell’esistente, alla riduzione degli spazi di democrazia nel nostro Paese. Radicale nei suoi assunti, ma non velleitaria. Capace di porsi in una prospettiva di governo, ma già oggi al servizio di quanti, movimenti, realtà associative, persone, non si rassegnano all’impoverimento della democrazia e delle condizioni di vita della gran parte della popolazione, che sanno come una prospettiva diversa si può far vivere già oggi conquistando spazi di autogoverno nei territori, nei luoghi della vita e del lavoro.
Una forza politica che non si ritiene e non si riterrà mai autosufficiente, perché ha imparato in questi anni che nessun potere istituzionale è in grado di cambiare davvero le cose se non è contestuale ad una ripoliticizzazione della società, ad una rivitalizzazione del sindacato e delle realtà associative, la ricchezza della democrazia.

La scomunica del papa contro guerra e trafficanti d’armi

di Adriana Pollice 
Dopo gli attentati di Parigi l’Europa si avvia allo scontro armato e papa Francesco ieri ha pronunciato una vera e propria scomunica: siano «maledetti» ha esclamato, durante la messa a Santa Marta, quanti per arricchirsi fanno la guerra, che provoca vittime innocenti e riempiono le tasche dei trafficanti. «La guerra — ha denunciato — è proprio la scelta per le ricchezze: ’Facciamo armi, così l’economia si bilancia un po’, e andiamo avanti con il nostro interesse’. C’è una parola brutta del Signore: ’Maledetti!’. Perché Lui ha detto: ’Benedetti gli operatori di pace!’. Questi che operano la guerra, che fanno le guerre, sono maledetti, sono delinquenti».
E poi ha sollevato il velo sulla retorica che sta accompagnando gli attacchi in Medio Oriente, Terzo conflitto mondiale non dichiarato ufficialmente: «Una guerra si può giustificare, fra virgolette, con tante, tante ragioni. Ma quando tutto il mondo, come è oggi, è in guerra, tutto il mondo!, è una guerra mondiale a pezzi: qui, là, là, dappertutto, non c’è giustificazione».

900 mila bambini in cerca di asilo nido

di Roberto Ciccarelli 
C’era una volta la promessa di Renzi sui «mille asili in mille giorni». Di giorni dal suo insediamento ne sono passati quasi 700, ma di nuovi asili non c’è alcuna traccia. Oggi novecentomila bambini tra i sei mesi e i due anni cercano asilo. E la legge di Stabilità non stanzia un euro per finanziare il disegno di legge Puglisi (Pd), inglobato nella cosiddetta «Buona scuola», che renderà i nidi e le scuole dell’infanzia un diritto universale e non più un servizio a domanda individuale. In compenso, alle scuole paritarie arriveranno altri 25 milioni di euro, portando così quasi a livello dello scorso anno (497 milioni totali rispetto su 500) il fondo riservato.
Lo prevede un emendamento alla legge di Stabilità che sarà approvata oggi in prima lettura dal Senato. Mentre il governo si appresta a sforare il Fiscal Compact sulle spese militari, finanzia le scuole private e quelle cattoliche, ma non gli asili o per il diritto allo studio degli universitari a cui ha destinato risorse irrisorie.