La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 16 gennaio 2016

Referendum e comuni le occasioni dell’unità

di Alfonso Gianni 
La rottura intervenuta all’ormai famoso tavolo promosso da L’Altra Europa con Tsipras per un processo costituente di un soggetto politico della sinistra – avvenuta per ben distribuite e differenziate responsabilità – non può e non deve significare l’abbandono di quel progetto. Diversi sono gli appelli unitari che vengono dai territori in questi giorni che ne reclamano giustamente il perseguimento. Certamente quel tavolo non può essere rimesso in piedi così come era. Probabilmente la sua stessa ristretta composizione non ha aiutato. Logiche identitarie e conservative hanno prevalso. Né si può accettare il paradosso che l’allargamento della sua composizione a chi nel frattempo ha abbandonato il Pd sia stato di per sé fattore di crisi anziché di arricchimento. Il percorso si fa quindi più articolato, complesso e forse più lungo. Ma non va abbandonato.
Tanto più che l’anno che comincia ci offre una occasione difficilmente ripetibile di fare rivivere alla politica una dimensione di massa.

La «Tempesta nel deserto» apriva la fase che viviamo

di Manlio Dinucci
Nelle prime ore del 17 gennaio 1991, inizia nel Golfo Persico l’operazione «Tempesta del deserto», la guerra contro l’Iraq che apre la fase storica che stiamo vivendo. Questa guerra viene lanciata nel momento in cui, dopo il crollo del Muro di Berlino, stanno per dissolversi il Patto di Varsavia e la stessa Unione Sovietica. Ciò crea, nella regione europea e centro-asiatica, una situazione geopolitica interamente nuova. E, su scala mondiale, scompare la superpotenza in grado di fronteggiare quella statunitense. «Il presidente Bush coglie questo cambiamento storico», racconta Colin Powell. Washington traccia subito «una nuova strategia della sicurezza nazionale e una strategia militare per sostenerla». L’attacco iracheno al Kuwait, ordinato da Saddam Hussein nell’agosto 1990, «fa sì che gli Stati uniti possano mettere in pratica la nuova strategia esattamente nel momento in cui cominciano a pubblicizzarla».

Europa, stato di eccezione permanente

di Italo Di Sabato e Eleonora Forenza
Poteri speciali ai prefetti, interruzione della libera circolazione, divieto di qualsiasi manifestazione pubblica, controllo dei mezzi di informazione, possibilità per le forze dell’ordine di perquisizioni a domicilio 24 ore su 24 e di indire il coprifuoco. Sono queste le principali misure dello “stato di emergenza” dichiarato da Hollande all’indomani della strage del 13 novembre scorso, a Parigi, ancora in vigore. Come è successo negli Usa dopo l’11 settembre, una misura straordinaria diventa la modalità attraverso la quale si normalizza l’andamento democratico in nome della sicurezza nazionale.
La repressione del dissenso è un punto cardine delle leggi antiterrorismo e dello stato di emergenza. La guerra come risposta al terrorismo, i fili spinati e il Frontex per respingere donne e uomini migranti, la costruzione del nemico interno ed esterno sono le facce di una stessa logica securitaria e repressiva che connota sempre più l’Europa.

Un conflitto che dura da venticinque anni

di Gian Paolo Calchi Novati
Il mondo era cambiato, doveva cambiare o forse, più propriamente, stava cambiando. Nessuno poteva dire con certezza come sarebbe cambiato. Il 1989 era alle spalle. La simbologia del Muro riempiva l’immaginario. Il violoncello di Mstislav Rostropovich era risuonato a Berlino sull’antico confine. Bush pensava a come gestire in futuro le alleanze della guerra fredda. Gorbaciov tentava di salvare i resti dell’Unione Sovietica. Fu necessario un azzardo di Saddam Hussein, considerato un satrapo di provincia e quindi manipolabile, per accelerare l’ora della verità sul bipolarismo, sull’Onu, sull’Europa e sul Sud del mondo rappresentato intanto dall’Iraq e dal Medio Oriente.
Il colpo di mano che portò all’occupazione irachena del Kuweit nacque come un regolamento di conti fra governi arabi al termine della lunga guerra fra Iraq e Iran, lanciata da Saddam nel 1980 e chiusa nel 1988 con un nulla di fatto. Di per sé lo scontro fra Iraq e Iran era un capitolo ulteriore della storia iniziata nel VII secolo con l’espansione dell’islam e dell’arabicità verso est.

venerdì 15 gennaio 2016

Civati e Ferrero: unità per amministrative e referendum costituzionale

di Giuseppe Civati e Paolo Ferrero
In primavera vi saranno le elezioni amministrative che stanno assumendo sempre più un valore costituente per il Partito della Nazione: dopo la candidatura di Sala a Milano arriva infatti l’endorsement di Ghigo e Vietti per Fassino a Torino. Non si tratta di una cosa da poco: stiamo parlando dell’ex presidente della Regione Piemonte per Forza Italia e di un esponente di primo piano della destra cattolica subalpina.
Renzi, mentre apre un’offensiva a sinistra per cercare di impedire la nascita di liste alla sinistra del PD – e immediatamente trova orecchie attente – compie una operazione politica di prima grandezza nella definitiva trasformazione del PD in un partito di centro destra. Il tutto avviene sottotraccia, come se si trattasse di normale amministrazione, con un Renzi apparentemente defilato, magari per non svegliare la dormiente minoranza interna del PD.

Da Quarto a Banca Etruria: il degrado della politica dei “non-partiti”

di Michele Prospero 
La guerra che il presidente del consiglio ha dichiarato al M5S, dopo i fatti di Quarto, è insieme comica e tragica. E’ comica perché, mentre il capo di Rignano esulta per i guai altrui, che intanto a reti unificate distraggono la massa dagli scandali di Banca Etruria, le carte dell’inchiesta di Quarto lanciano allarmi cupi per tutta la politica. 
Come riporta Fiorenza Sarzanini sul “Corriere”, il partito di riferimento della camorra, per le infiltrazioni nelle elezioni amministrative di Quarto, inizialmente era proprio il Pd. Poi, per via dell’esclusione della lista Pd dovuta a un vizio di forma, le preferenze della malavita si sono concentrate sul M5S, la sola formazione rimasta in lizza. E’ insomma, e questo è il lato comico della bagarre renziana, una bella lotta per stabilire chi arriva primo nel campionato del degrado estremo di una politica, che in ampi territori è in sinergia con le mafie.

Sul crepuscolo di una subalternità

di Ferruccio Gambino e Devi Sacchetto
Ci sono poscritti che si scrivono per dovere e altri che si scrivono per convenienza. Questo lo scriviamo per interesse: certamente non per lucrare qualche prebenda a beneficio dell’autore; e neppure per chiedere venia delle eventuali manchevolezze dell’opera, consapevoli come siamo delle coscienziose ricerche di Graziano Merotto in un reame industriale chiuso, che soltanto nel corso di un tempo da lui ben speso gli è stato possibile rischiarare. Il nostro è un interesse inteso a incoraggiare il dibattito sui rapporti industriali del presente e del futuro, al di fuori dei pregiudizi interessati alle armonie prestabilite.
Si tratta di un dibattito che si situa all’intersezione di alcune branche delle scienze sociali. Altre discipline appaiono parche di contributi per la ricostruzione di controversi processi sociali contemporanei. Sull’argomento studiato da Graziano Merotto le eccezioni sono rare.

Sulla felicità come opera in lotta nel lavoro della conoscenza

di Nicolas Martino
Notava significativamente Alfred Sohn-Rethel che l'intellettuale stesso «ignora assolutamente l'origine sociale delle sue forme concettuali»[1]. È bene tenerle a mente queste parole – e in realtà tutta la geniale e troppo poco valorizzata ricerca di Sohn-Rethel sul rapporto tra forma denaro e forme del sapere – per provare a svolgere qualche riflessione sulla felicità e l'infelicità nel lavoro della conoscenza, ricordando che proprio qualche mese fa la storica rivista di filosofia «aut aut» ha dedicato un numero al lavoro intellettuale in epoca neoliberale, un fascicolo significativamente intitolato «Intellettuali di se stessi»[2]. Essì, perché l'intellettuale è ormai interamente colonizzato dalla forma di vita neoliberale che ha fatto di ogni vivente un imprenditore di se stesso, e quindi lo ha catturato in quel marketing del sé che non sembra lasciare alcuna via di scampo. Eppure proprio a partire da questa figura iperindividualizzata è possibile che emergano figure di vita comune, è possibile aprire un discorso che sottragga il lavoro intellettuale all'infelicità di un narcinismo (narcisismo + cinismo) esasperato.

Pensioni, le riforme che Boeri non propone

di Carlo Clericetti
È dal 1992 che le riforme della previdenza si succedono senza soluzione di continuità: praticamente nessun governo ha rinunciato a metterci le mani, vuoi con modifiche profonde, vuoi con “aggiustamenti” sempre tendenti allo stesso scopo, ossia ridurre il peso della spesa previdenziale. Oggi abbiamo uno dei sistemi più sostenibili che esistano, ma il prezzo è che le pensioni future saranno molto basse, per la maggior parte certamente insufficienti – anche per motivi legati ai mutamenti del mercato del lavoro – a garantire quell'”esistenza dignitosa” che pure la nostra Costituzione promette.
Tutti lo sanno, ma al momento non si vedono iniziative concrete per mettere riparo a questa preoccupante prospettiva. Ancora adesso di altre riforme si continua a parlare, ma semmai la tentazione è quella di togliere a “chi ha avuto troppo” e usare quei soldi per altre iniziative sociali. Ora, anche dando per scontato che quei soldi sarebbero usati bene (e proprio scontato non è), si è ormai appurato che mancano i dati per eventuali ricalcoli: e questi ricalcoli non si possono fare con dati stimati o presunti, né con il meccanismo ultimamente ipotizzato basato sulla differenza dei coefficienti di trasformazione al momento del pensionamento, perché un diritto maturato in base alle leggi non può essere leso sulla base di ipotesi.

Jobs Act, la legge dell'insicurezza

di Sebastiano Calleri
Non verrà certo meno nei prossimi mesi (e forse anni) l’esigenza da parte della Cgil di approfondire e soppesare gli effetti concreti che il Jobs Act (articolato finora in otto decreti) dispiegherà nel prossimo futuro, soprattutto in materia di salute, sicurezza e prevenzione per i lavoratori e le lavoratrici. Occorre dire subito, però, che non solo le misure specifiche dell’art. 20 del 151/2015 (cosiddetto “semplificazione”) e del decreto riguardante le attività ispettive avranno un effetto sulle condizioni di vita e di lavoro nel nostro paese.
La norma sul demansionamento ad esempio, che abbiamo giudicato molto negativamente, oltre ad avere permesso alle aziende azioni finora non possibili, ha anche introdotto il concetto della “non obbligatorietà” della formazione specifica alla mansione prima del cambio della mansione stessa. Può sembrare un dettaglio, ma non lo è.

L’Europa delle possibilità

di Cristina Scarfia
In un convegno a cui hanno partecipato alcuni esponenti della sinistra italiana, tra cui Bertinotti e Fassina, è stata diffusamente sostenuta la tesi secondo la quale il fallimento del modello socialdemocratico, incarnato dall’Ulivo a livello italiano, stia sostanzialmente nell’aver concorso alla costruzione di un’Europa liberista e autoritaria, ingessata e non modificabile, il cui simbolo fondante è l’euro. Per questo, con accenti diversi, hanno proposto di abbandonare quel modello. In nome di cosa non è chiaro.
Che la socialdemocrazia non stia affatto bene è abbastanza evidente. Interrogarsi sulle ragioni che ne hanno determinato la malattia è un esercizio tutt’altro che sterile, perché può offrire utili indicazioni di percorso.

Immanuel Wallerstein: New York, gennaio 2016

di Immanuel Wallerstein 
Brics, una favola del nostro tempo. La strana storia dei Brics ha inizio nel 2001, quando Jim O'Neill, all’epoca presidente della divisione Assets Management di Goldman Sachs, la gigantesca banca d’affari, scrisse un articolo che ebbe grande risonanza su quelle che da allora abbiamo imparato a chiamare "economie emergenti".
O'Neill individuava quattro Paesi – Brasile, Russia, India e Cina, da cui l’acronimo Bric – che per estensione e popolazione avevano un peso notevole nel mercato mondiale. Questi Paesi crescevano a un ritmo talmente elevato che secondo O'Neill sarebbero stati in grado di sopravanzare collettivamente per ricchezza quelli del G7, ossia i Paesi che da tempo erano i più ricchi del sistema-mondo. O'Neill non diceva esattamente quando tutto ciò si sarebbe verificato: comunque, entro il 2050 al più tardi. Ma per lui l'ascesa dei Bric era pressoché inevitabile. Data la sua posizione in Goldman Sachs, in sostanza consigliava ai clienti della banca di spostare quote significative dei loro investimenti su questi quattro Paesi, dove i prezzi continuavano a essere convenienti.

Francia, anello debole dell’Europa

di Pantaleo Elicio, Giorgio Griziotti, Jason McGimsey e Carlo Vercellone
Nel dicembre 2013 abbiamo pubblicato su Effimera un articolo intitolato Francia: ago della bilancia europea spronati dal moltiplicarsi degli scricchiolii provenienti da una società francese che sembrava scivolare in un pericoloso declino rispetto al ruolo avuto in Europa nel dopoguerra, accelerato dalle politiche condotte dagli ultimi due presidenti entrambi fedeli alla disciplina dell’austerità ordoliberale tedesca.
Avevamo poi puntato il dito sul pericolo rappresentato da un Front National (FN) rinforzato dalla “tattica pericolosa d’utilizzo dell’estrema destra come elemento di divisione o spauracchio che aveva ben funzionato per Mitterrand e Chirac rispettivamente, ma che nel futuro prossimo rischia di fallire”. Resta anche valida la nostra affermazione che Hollande, dopo essersi proclamato nemico della finanza, porterà probabilmente una responsabilità storica per non aver osato rimettere in discussione l’equilibrio neoliberista che, se nulla si frappone, condurrà l’Unione Europea alla disgregazione.

La Grande Scommessa e il piano di Bernie Sanders per stangare Wall Street

di Robert Reich
Se non avete visto “La grande scommessa” – diretto e co-scritto da Adam McKay, basato sul libro, tratto da una storia vera, di Michael Lewis circa le bolla immobiliare e quella del credito che hanno innescato la grande recessione – vi raccomando di farlo.
Non solo il film è un modo piacevole (se si può usare questa parola) di capire come le grandi banche hanno sbattuto milioni di Statunitensi fuori dalle loro dimore, bruciato risparmi e posti di lavoro – e poi sono state salvate con i soldi dei contribuenti. Esso è anche una lezione che dimostra come queste lo stiano per fare di nuovo – e come il loro potere politico continui ad erodere le leggi studiate per prevenire una nuova crisi ed a proteggere le alte sfere da ogni responsabilità.

CommonHelp, nelle pieghe della sharing economy

di Giuliana Visco e Marco Trognoni
Vi presentiamo CommonHelp, un sito di servizi, un luogo virtuale di incontro tra competenze, esigenze, affinità, unhub del lavoro autonomo. CommonHelp nasce dopo migliaia dicurriculum inviati, dentro la crisi e come reazione ad essa, dentro la favola della sharing economy e della rete come nuovo spazio della vita e del lavoro. È una sfida che vede protagonisti due concetti che a nostro avviso segnano la differenza nell’epoca in cui viviamo: il (lavoro) comune e il mutualismo, la solidarietà. Siamo precari, giovani e meno giovani, partite Iva per forza e non per scelta e crediamo che mettere in comune competenze, esperienze e relazioni possa produrre lavoro. Per lavoro, seguendo la definizione del Dizionario Sabatini Coletti, si intende: “Occupazione specifica che prevede una retribuzione ed è fonte di sostentamento”. Siamo contro il lavoro gratuito, anche quando fa curriculum. Il lavoro gratuito “fa” sfruttamento. Vogliamo costruirci un reddito a partire da un codice etico che rispetta e viene incontro alle esigenze di chi condivide il nostro stile, il più possibile solidale.

Chomsky: Erdogan ha aiutato l'ISIS ed ora ha la colpa per gli attentati di Istanbul

"La Turchia ha accusato l'Isis [per l'attacco a Istanbul] che Erdogan aiuta in molti modi, anche sostenendo il Fronte Al-Nusra, che è leggermente diverso. Poi ha lanciato un attacco contro chi condanna i suoi crimini contro i curdi, che sono fra le forze che contrastano l'Isis in Siria e in Iraq. C'è bisogno di commentare ulteriormente?", ha scritto, ieri, Chomsky nella e-mail inviata a The Guardian, in cui ha anche accusato il presidente turco di ipocrisia.
Dopo gli attentati di martedì scorso in una zona turistica della città di Istanbul, il presidente turco ha preso in giro l'accademico statunitense che, con altri intellettuali, hanno firmato una lettera che invita la Turchia a sollevare il suo assedio contro i villaggi e le città curde nel sud-est paese.

L’ordine politico dei grandi spazi

di Carlo Galli
Stato, Grande Spazio, Nomos (Adelphi, pp. 528, euro 60) raccoglie, selezionati e tradotti da Giovanni Gurisatti, alcuni importanti saggi che Carl Schmitt pubblicò dal 1927 al 1978, precedentemente accolti in due importanti antologie tedesche — una del 1996, l’altra del 2005. Vi compaiono alcuni dei lavori più celebri del giurista: tra gli altri, la prima versione di Il concetto di «politico»(quella in cui il «politico», il rapporto amico/nemico, è interpretato come un ambito specifico, mentre di lì a poco diventerà, ancora più radicalmente, il grado estremo d’intensità del conflitto); la quarta edizione, del 1941, dell’opuscolo su L’ordinamento dei grandi spazi nel diritto internazionale (in cui venne aggiunto, tra l’altro, un capitolo contenente una polemica anti-ebraica contro Kelsen; per questo libro Schmitt corse il rischio di finire imputato a Norimberga come complice della guerra d’aggressione nazista verso l’Urss); il densissimo saggio del 1943 sul Mutamento di struttura del diritto internazionale(1943), che anticipa il grande libro del 1950 su Il Nomos della Terra; il testo del 1952 su L’Unità del mondo, in cui la guerra fredda è interpretata non come scontro duale fra Usa e Urss ma come una tensione interna ad un unico campo teorico e pratico, cioè la Terra dominata dalla tecnica; un’originale interpretazione di Clausewitz come pensatore politico (1967); e infine il canto del cigno di Schmitt, La rivoluzione legale mondiale (1978), un articolo che si conclude con un dittatore che in punto di morte, invitato dal sacerdote a perdonare i nemici, risponde «non ne ho: li ho ammazzati tutti» (ed è, per Schmitt, la metafora dei poteri che utilizzano il loro monopolio del diritto per spazzare via legalmente il nemico politico come criminale e nemico dell’umanità).

Le promesse tradite dell'Europa che uccide anche con le parole

di Barbara Spinelli 
Fin dall’inizio è con le parole che l’Europa ha tradito. Quel che chiamò crisi del debito greco doveva chiamarlo, in osservanza del principio di realtà: crisi dell’intero progetto d’unificazione europea. L’imprecisione linguistica non è mai casuale. Serve a nascondere, è una strategia di evitamento. Circoscrivere la crisi al debito greco neutralizza le responsabilità dell’Unione, la spoliticizza. Ingrandisce i poteri di una governance sempre più incontrollata e sopprime quelli dei cittadini, che non sanno più a quale governo rivolgersi né dove sia la sovranità (governance non è governo: è potere senza imputabilità).
Il progetto europeo nacque col proposito di curare i tre mali che avevano distrutto il continente: l’ingiustizia sociale, l’ostilità fra Stati, l’autoritarismo. Oggi quei fini non sono raggiunti.

Senato 2010 e studenti alla sbarra: punire e dimenticare

di Simone Famularo
La condanna di un movimento segna sempre un passaggio storico all’interno di questo paese. Uno Stato, il nostro, che della storia non ha mai fatto una narrazione comune, uno strumento per costruire memorie condivise e riappacificanti, ma piuttosto un dispositivo giudiziario per auto-assolversi
dalle contestazioni, e parallelamente per schiacciare le opposizioni sociali e cancellarle dalla memoria – fin troppo flebile – dei propri cittadini.
Ci sono alcune riflessioni da fare, in merito alle condanne per il processo sui fatti del 24 Novembre – la grande manifestazione studentesca che, nel 2010, portò la protesta contro la riforma Gelmini fin sotto l’Aula del Senato.

Il mainstream economico tra “neutralità politica” e lunghezza del pene

di Guglielmo Forges Davanzati 
L’Economia è una disciplina che orienta le decisioni politiche e che, per questo tramite, influisce in modo significativo sulle nostre condizioni di vita e di lavoro. Chiedersi di cosa si occupano gli economisti, in Italia e non solo, non è dunque una domanda oziosa.
Il punto di partenza è dato dalla constatazione che questo non è un periodo particolarmente fecondo di nuove idee. È quello che Alessandro Roncaglia, nel suo testoLa ricchezza delle idee, ha definito l’età della disgregazione. La ricerca in Economia, non solo in Italia, è sempre più frammentata e specialistica, e soprattutto sempre più ‘autistica’: gli economisti tendono a dialogare esclusivamente fra loro, spesso coprendo di sofisticati tecnicismi o montagne di matematica pure banalità, tautologie o, nella migliore delle ipotesi, teorie che non “spiegano” nulla, né hanno l’ambizione di farlo[1].

Caro Charlie Hebdo, questa non fa ridere...

di Dilar Dirik
Caro Charlie Hebdo,
a parte “libertà d’espressione bla bla bla” / “non è razzismo bla bla bla”, la tua ultima vignetta che raffigura Alan Kurdi come un “palpeggiatore” in Europa se fosse un adulto, non è né divertente, né esprime in alcun modo qualcosa di significativo.
È comunque priva di gusto, ma dal momento che hai scelto Alan Kurdi come protagonista della tua vignetta, lasciaci contestualizzare la situazione di questo bambino annegato nel Mediterraneo e che state deridendo dopo la sua morte: Alan Kurdi era un curdo di Kobane, città bastione della resistenza contro l’ISIS. Kobane ha riportato fiducia nell’umanità e soprattutto ha mostrato al mondo la resistenza e la forza delle donne contro il fascismo.

Il contadino invisibile. Il ministero delle Politiche Agricole cambia nome

di Antonio Onorati 
A rottamare l’agricoltura italiana , con un sol colpo, ci avevano pensato in molti, a cominciare da quelli che volevano abolire il ministero dell’agricoltura per non dover affrontare la riforma del suo fallimentare funzionamento ma sembra che solo il primo ministro Renzi ci possa riuscire.
Così almeno a stare all’annuncio ufficiale che, ci informa, “Il dicastero delle Politiche Agricole cambia nome e diventerà “ministero dell’Agroalimentare” ( presidente del Consiglio Matteo Renzi nel corso di una conferenza stampa a Palazzo Chigi – 13.01.2016) per accompagnare l’accordo da 6 miliardi di euro siglato tra governo e Intesa San Paolo per finanziare il settore agroalimentare”. A leggere il comunicato si capisce che per il Ministro Martina e per il governo per “agroalimentare” si intende “agribusiness.” cioè industria agroalimentare. E’risaputo che, in questa visione, “…la componente agricola tende a sparire, mentre assume un peso sempre maggiore il settore distributivo…” e delle industrie agroalimentari a monte ed a valle della produzione agricola.

Gli Usa preparano il Fmi alla crisi degli emergenti

di Maurizio Sgroi
Poiché a pensar male si fa peccato, ho deciso di pensare il meglio possibile della decisione del Congresso americano di approvare la riforma delle quote del Fmi che dal 2010 attendeva il via libera del suo principale azionista, ossia sempre gli Usa.
Sicché decido persino di credere alla dichiarazione ufficiale della Managing Director del Fmi, Christine Lagarde, che ha parlato di “passo cruciale per il rafforzamento del Fondo nel suo ruolo di supporto della stabilità finanziaria”. E ci credo talmente fino a convincermi che le due decisioni principali che sottostanno a tale riforma, il raddoppio della dotazione del Fmi e la redistribuzione delle quote a favore degli emergenti, somiglino a un disegno di razionalità economica. Che il Fondo, voglio dire, aumenti le sue munizioni a favore dei paesi emergenti – ricordo che i prestiti che il Fmi può erogare a un paese sono in proporzione della sua quota – per saggia precauzione, ora che questi paesi sono diventati una delle principali preoccupazioni dell’economia internazionale.

Quella libera scelta dell'Eluana

Intervista a Beppino Englaro di Duccio Facchini
“Sono nato durante la guerra, in Carnia, in Friuli, nella miseria di un paesino di montagna. Da piccoli si andava a recuperare le patate che rimanevano nei campi, si strappavano pezzetti di terra per piantare fagioli e granoturco. Si cresceva nel nulla, tra i mulini, inventandosi qualcosa per giocare, per essere vivo. E si doveva lavorare parecchio per sopravvivere, sognando il greto del fiume dove fermare l’acqua d’estate con le frasche. Tutto questo temprava ad affrontare asprezze, anche se non così tragiche come quella che abbiamo patito con Eluana. Prova a negare la libertà di assumersi le proprie responsabilità a un carnico della mia generazione, impedirgli di bastare a se stesso, di chieder niente agli altri: diventerà una belva”. Dallo scorso dicembre, Beppino Englaro è l’unico rimasto in piedi del nucleo familiare un tempo composto da Eluana, sua figlia, rimasta intrappolata per 6.233 giorni, e Saturna, sua moglie, ammalatasi poco tempo dopo l’incidente della giovane, del 18 gennaio 1992. 

Il Capitale vince sull’etica

di Roberto Polidori 
Ho visto numerosi film e documentari sulla crisi che ufficialmente dal 2007 – in realtà da molto prima – attanaglia l’economia mondiale; una crisi che, al contrario di quanto ci viene raccontato, è ben lungi dall’essere terminata. Ed è da modesto conoscitore di strumenti finanziari complessi e da appassionato dei meccanismi di borsa che intendo commentare il film La Grande Scommessa di Adam McKay, nelle sale a partire dal 7 Gennaio; non certo da improbabile critico cinematografico. Il Lupo di Wall Street del 2013 è un grandissimo film di Martin Scorzese con un sublime Di Caprio nei panni dello spregiudicato broker Jordan Belfort, un film che non avrebbe mai potuto essere premiato dall’Academy americana perché enfatizza i documentati eccessi di molti personaggi di Wall Street ridicolizzando il sistema e lasciandolo letteralmente “senza mutande” di fronte allo spettatore. Capitalism – A Love Story di Michael Moore è una spietata critica del capitalismo americano e continua ad essere, completata dall’insuperato documentario Inside Job, l’analisi televisiva più esaustiva di parte delle reali cause della crisi economica americana e mondiale.

Come il modello aziendale di McDonald's danneggia i consumatori europei

di Gianluca Di Ascenzo, Antonio Longo e Antonio Gaudioso
Quando si parla di McDonald's, pensiamo ai panini, alle patatine fritte e a un pranzo economico. Ma il colosso del fast-food si distingue anche per il modo in cui tratta i suoi clienti e gestisce i prezzi. Questa settimana, come rappresentanti di associazioni per la difesa dei consumatori abbiamo depositato una denuncia alla Commissione Europea chiedendo l'avvio di un'indagine formale sulle pratiche aziendali di McDonald's che secondo la nostra analisi potrebbero costituire pratiche anticoncorrenziali e un abuso di posizione dominante con l'effetto di restringere la concorrenza danneggiando i gestori di ristoranti in franchising e i clienti.
Alcuni potrebbero chiedersi: come può la catena di fast food famosa per il suo "Happy Meal" essere responsabile di un danno ai consumatori?

L’evoluzione della politica estera russa

di Edoardo Corradi
L’ascesa al potere di Vladimir Putin ha significato un notevole cambiamento nella politica estera della Russia. Con la fine dell’esperienza sovietica, la Russia aveva iniziato a condurre una politica estera più di basso profilo, non elevandosi al rango di superpotenza egemone dell’area ma come un semplice attore internazionale voglioso di collaborare con gli Stati Uniti. Quello che Francis Fukuyama denominò “la fine della storia”, ossia la fine della contrapposizione tra due sistemi economici, politici e sociali che avevano l’intenzione di imporsi a livello globale e l’imposizione del Washington Consensus, una serie di direttive economiche stilate da John Williamson per i Paesi in via di sviluppo. La sfida che ha catalizzato quasi tutto il XX secolo, ancor prima dell’inizio della Guerra fredda, si era improvvisamente interrotta, con la vittoria della democrazia liberale sul socialismo reale.

Erdogan fa arrestare gli accademici che vogliono la pace

di Serena Tarabini
“Chiediamo allo Stato turco di mettere immediatamente fine alle violenze contro i civili, noi non vogliamo essere parte di questo crimine rimanendo in silenzio". Questo è l' incipit della petizione lanciata da 1.228 accademici provenienti da 89 università della Turchia e sottoscritta al momento da più di 300 internazionali, fra cui intellettuali del calibro di Noam Chompksy, David Harvey, Judith Butler, Immanuel Wallerstein e Étienne Balibar.
L'appello si riferisce alle operazioni militari in corso nel sud est del paese da giugno, quando il governo turco ha rotto unilateralmente la tregua con il PKK – il Partito dei lavoratori del Kurdistan considerato organizzazione terroristica – e riacceso lo storico conflitto nell'area. Un conflitto che sta provocando di fatto un altissimo numero di morti fra i civili curdi. Al momento le persone uccise sono più di duecento, oltre a più di un milione costrette a vivere sotto coprifuoco, tra assedi e deportazioni.

Le adozioni difficili

di Mara Gasbarrone
Le adozioni diminuiscono, nel mondo e in Italia, perché le tecniche di procreazione medicalmente assistita (pma) si sono dimostrate più efficaci nel risolvere il problema della sterilità. Questa, in sintesi, sembrerebbe una descrizione appropriata e condivisa della situazione attuale.
Ma è proprio così? Sì e no. Cominciamo dall’Italia, per la quale disponiamo di qualche dato relativamente aggiornato.
L’avanzata irresistibile della pma è meno irresistibile di quanto ci si aspetterebbe. Non incidono solo le restrizioni della legge 40, via viasgretolate a colpi di sentenze, ma anche la crisi economica, che ha ridotto fortemente le risorse economiche degli aspiranti genitori. Il massimo è stato nel 2010, con 12.500 bambini venuti al mondo grazie alle varie tecniche, comprese quelle più semplici, meno costose (e meno efficaci), come l’inseminazione. Da quell’anno, ci si è attestati su poco più di 15 mila gravidanze ottenute, di cui 13 mila monitorate e 12.500 bambini nati (dalle gravidanze monitorate, dalle altre non si può sapere).

Il malinconico declino degli Stati Uniti

di Sergio Cararo
Con un malinconico, malcelato e discutibile ottimismo, il 12 gennaio il presidente statunitense Barack Obama ha tenuto a Washington il suo ultimo discorso presidenziale sullo stato dell’Unione, secondo quanto prescritto dalla costituzione statunitense.
Perché parliamo di malinconico e discutibile ottimismo? Non solo perché Obama è un presidente a fine mandato, ma perché è la rivelazione del convitato di pietra su questo primo scorcio di XXI Secolo: il declino degli Stati Uniti come potenza egemone a livello mondiale.
Come noto l’egemonia si fonda su tre fattori di dominio: quello economico, quello ideologico e quello militare.
Che negli Stati Uniti si discuta ormai del loro declino relativo, emerge dalla excusatio non petitadello stesso Obama, quando ha definito l’economia statunitense “la più forte e duratura del mondo”.

Bad bank: il rischio si sposta dal sistema bancario ai correntisti postali?

di Fabrizio Patti
Si era accesa una fiammella di speranza alle parole di lunedì 11 gennaio della commissaria Ue alla Concorrenza, Margrethe Vestager. «Ciò che stiamo facendo sulla bad bank con l’Italia è condividere informazioni, spetta all’Italia decidere che cosa fare, quale strada prendere con aiuti di Stato o senza aiuti di Stato, ci sono diverse opportunità», aveva detto. La frase della Vestager poteva essere interpretata come un’apertura alla possibilità di ridare fiato al sistema bancario italiano, zavorrato dai crediti deteriorati. Come qualche entusiasmo si era riverberato in borsa sui titolo bancari dopo le parole della Vestager al Sole 24 Ore: «Il governo italiano deve decidere ciò che vuole. Deve decidere in questo frangente se usare denaro pubblico o se non usare denaro pubblico. Nel primo caso bisogna trovare una soluzione che limiti il danno per le altre banche che sul mercato operano senza sostegno pubblico».

Le droghe non sono tutte uguali

di Duccio Facchini 
Il 2016 potrebbe essere l’anno di svolta per le politiche internazionali in materia di droga.Alla fine di aprile, infatti, si terrà a New York l’Assemblea generale delle Nazioni Unite sulle droghe (UNGASS). Si tratta di un appuntamento fondamentale, a quasi vent’anni dall’ultima dichiarazione di “guerra alla droga” su scala globale (cosiddetta war on drugs), che ha visto gli Stati Uniti alla guida degli “intransigenti”. Per comprendere oggi la portata del fallimento di quell’approccio è sufficiente recuperare la “dichiarazione politica” del 10 giugno 1998 adottata dall’Assemblea generale dell’ONU (il direttore dell’ufficio delle Nazioni Unite per il controllo delle droghe e la prevenzione del crimine era Pino Arlacchi, oggi europarlamentare) e concentrarsi su un obiettivo in particolare: “Ci impegniamo [...] al fine di eliminare o ridurre in modo significativo la coltivazione illecita della foglia di coca, della pianta di cannabis e del papavero da oppio entro il 2008”. 

La Quarta Rivoluzione Industriale, il tema flop del Forum Economico Mondiale 2016

di Jeremy Rifkin
I leader dell'economia mondiale, i capi di stato, gli intellettuali e le ONG si preparano per intraprendere il loro pellegrinaggio annuale verso la cittadina sciistica di Davos, per il simposio previsto dal 20 al 23 gennaio. Il forum è un luogo di dibattito ideato dall'economista tedesco Klaus Schwab quarant'anni fa. Lo scopo principale di questa iniziativa è coinvolgere i grandi della Terra per tentare di fare previsioni sui prossimi scenari economici e sociali al fine di prepararsi come meglio si può "ai grandi eventi che incomberanno". Solitamente gli argomenti al centro di ogni forum sono mirati e spesso offrono spunti di riflessione interessanti, altre volte, però, sono stati autentici buchi nell'acqua.
Il tema scelto per l'edizione di quest'anno è la Quarta Rivoluzione Industriale. Il Professor Schwab ha presentato il tema in un corposo saggio pubblicato su Foreign Affairs lo scorso dicembre. Secondo Schwab ci troveremmo all'inizio della Quarta Rivoluzione Industriale che nelle prossime decadi cambierà radicalmente il nostro modo di lavorare e vivere.

Libia, perché un intervento italiano o europeo sarebbe un errore

di Mattia Toaldo
Ci sono due processi simultanei in corso sulla Libia. Uno è il dialogo politico promosso dall’Onu e sostenuto (almeno a parole) da tutti i Paesi dell’area. I suoi punti culminanti sono stati la conferenza internazionale a Roma il 13 dicembre e la firma di un accordo di pace tra le fazioni libiche quattro giorni dopo in Marocco. Quella firma ha portato alla nascita di un governo di unità nazionale con a capo l’ex architetto Faiez Serraj che però ancora non opera in Libia. Nonostante qualche progresso significativo, la scadenza del 17 gennaio per il completamento del processo politico potrebbe passare senza che la Libia abbia allo stesso tempo un governo riconosciuto dalla comunità internazionale ed effettivamente governante dalla capitale Tripoli.

Il Tesoro e il pozzo senza fondo dei derivati

di Luca Piana
Come se non ci fosseMario Draghi. Come se la Banca centrale europea (Bce) non avesse mai lanciato il “quantitative easing”, la massiccia manovra di sostegno all’economia dei Paesi dell’Eurozona. Come se i tassi d’interesse sul debito pubblico non fossero da tempo crollati in prossimità dello zero. È questo l’effetto paradossale che il Tesoro è costretto ad affrontare negli ultimi mesi a causa dei cosiddetti derivati sottoscritti negli anni passati con le banche internazionali, i cui contratti sono tenuti sotto stretto riserbo. In poche parole: mentre il debito pubblico costa allo Stato sempre meno in termini d’interessi, grazie agli interventi effettuati dalla Bce di Draghi, i derivati si stanno mangiando per intero o quasi i risparmi che ne dovrebbero venire, costringendo il Tesoro a un esborso crescente.

Il compagno Sanders fa tremare la Clinton

di Pietro Danna
Inaspettatamente, qualcosa sembra non andare per il verso giusto nella campagna, per ora trionfale, di Hillary Clinton verso la Casa Bianca: questo qualcosa si chiama Bernie Sanders, ha 75 anni, viene dal Vermont ed è diventato l’unico serio rivale della ex first lady per la nomination.
Che qualcosa non andasse come previsto nei piani di Hillary lo si è potuto percepire la settimana scorsa quando, con l’aiuto inaspettato della figlia Chelsea, la Clinton ha attaccato duramente il senatore del Vermont, accusandolo di voler distruggere l’assistenza sanitaria negli Stati Uniti. Il perchè di questo attacco frontale è facilmente ravvisabile in termini di paura, data l’impressionante rimonta nei sondaggi di Sanders, che non poco inquieta l’ex segretaria di Stato: Sanders, secondo i più recenti sondaggi, avrebbe ridotto sensibilmente il distacco in termini di voti complessivi, mentre sarebbe addirittura in vantaggio nei primi due stati chiamati a votare a partire dai primi giorni di febbraio.

Per il governo la ricerca continua a non essere lavoro

Ricercatori, borsisti e dottorandi non hanno ancora diritto alla Dis Coll. La legge di stabilità, infatti, non cancella l'ingiusta esclusione dai nuovi ammortizzatori sociali di circa 60 mila lavoratori universitari titolari di contratti di collaborazione coordinata a continuativa e a progetto. Ne danno notizia l'Inca e la Flc Cgil lanciando l'allarme e non escludendo l'avvio di un contenzioso legale, “per correggere questa ingiustificata esclusione”, i sindacati invitano i lavoratori nelle sedi sindacali e di patronato per aderire alla campagna "Perché noi no".
Gli ammortizzatori sociali rivolti a coloro che perdono il lavoro sono stati oggetto delle riforme del Jobs Act, nel corso del 2015. Una delle principali criticità che il sindacato, e l'Inca in particolare, aveva denunciato era la mancata universalità di questi nuovi strumenti di sostegno al reddito perché intere categorie di lavoratrici e di lavoratori risultavano e risultano tutt'ora esclusi da qualsiasi misura economica, ritrovandosi, quindi, senza tutele nel momento in cui finisce il loro incarico lavorativo.

Il cibo sprecato è il terzo paese al mondo per emissioni di gas serra

di Stefano Catone
Lo spreco alimentare è una materia che, per propria natura, ha ricadute in ambiti e settori estremamente differenti, legati da un’unica costante: la produzione alimentare.
Uno di questi, probabilmente il meno indagato, riguarda le conseguenze ambientali dello spreco alimentare. Se un terzo della produzione mondiale di cibo finisce nella spazzatura – dal momento della raccolta al momento in cui transita sulle nostre tavole – l’equazione dovrebbe essere molto semplice: un terzo dell’energia e delle risorse consumate per la produzione di quel cibo non sono servite a nulla, sono andate sprecate anch’esse. L’energia necessaria per arare i campi, quella per fertilizzarli, quella per seminarli, quella per irrigarli, quella per raccoglierne i frutti. Oltre che quella per distribuirli, i frutti.

Donne e carcere, le invisibili

di Mara Cinquepalmi
Il 2015 si è chiuso con 52.164 detenuti nelle carceri italiane (195 gli istituti presenti sul territorio nazionale) a fronte di 49.592 posti. Lo dice il Ministero della Giustizia che, come ogni anno, aggiorna le statistiche sugli istituti penitenziari. Lombardia, Campania e Lazio sono le prime tre regioni per numero di detenuti.
I dati dimostrano ancora una volta il sovraffollamento delle carceri italiane, ma nelle pieghe della statistica c’è uno sguardo di genere al problema di cui si parla poco. Nel corso degli ultimi dieci anni il numero delle detenute è passato da 2.804 nel 2005 a 2.107 nel 2015 (contro 52.164 uomini), ma la percentuale si attesta ormai da qualche anno attorno al 4%.

Sinistra. Dalle Marche un contributo all'unità

Consideriamo irresponsabile la decisione di sciogliere il Tavolo nazionale e di far saltare la prevista Assemblea nazionale di gennaio, per l’avvio della costruzione di un Soggetto Unitario della Sinistra Italiana; consideriamo, altresì, infondata la pregiudiziale dello scioglimento di partiti e movimenti, avanzata al medesimo tavolo, poiché riteniamo che un soggetto veramente unitario ed inclusivo deve farsi carico dei problemi politici e, senza forzature, rispettare i tempi di tutte le componenti della sinistra; al tempo stesso, pensiamo che sia possibile, definire le forme di una “cessione di sovranità” politica, elettorale ed organizzativa dei partiti esistenti verso il nuovo soggetto, finalizzato a costruire un consenso crescente ed un’aggregazione di forze sufficiente a produrre una proposta di governo alternativa all’esistente e capace di promuovere campagne di massa, vertenze, mobilitazione e azione sociale, e di suscitare infine partecipazione e protagonismo.

Ebola: il mondo impari la lezione

di Medecins sans Frontieres
Mentre la Liberia celebra 42 giorni senza nuove infezioni di Ebola – decretando così la fine dell’epidemia in Africa occidentale – l’organizzazione medico-umanitaria internazionale Medici Senza Frontiere (MSF) chiede alla comunità internazionale di fare tesoro di questa lezione in modo da essere più preparati in caso di epidemie future. Oggi MSF continua i propri progetti Ebola in Liberia, Sierra Leone e Guinea attraverso cliniche di supporto dedicate ai sopravvissuti.
“Oggi è una giornata di celebrazione e di sollievo perché questa epidemia è finalmente finita”, dichiara Joanne Liu, Presidente Internazionale di MSF. “Dobbiamo tutti imparare da questa esperienza per migliorare la nostra risposta di fronte a future epidemie e malattie trascurate.

Extracomunitario uccide extracomunitaria

di Rino Genovese
Il titolo è grossolano, da giornale di cronaca nera – eppure riassume e descrive in modo oggettivo ciò che si è determinato al primo mattino dell’8 gennaio scorso in un piccolo appartamento del centro di Firenze. Un giovane senegalese arrivato da poco in Italia – “clandestino” secondo una certa vulgata – ha ucciso una trentacinquenne statunitense domiciliata appunto in quell’appartamento. Entrambi avevano bevuto e probabilmente assunto sostanze stupefacenti. La crudeltà risulterebbe dalla circostanza che lui, dopo averle sbattuto la testa fino a provocarle un paio di fratture al cranio, ha infierito strangolandola. Perché? La difesa di lui, che ha confessato il delitto, è consistita nel dire che non aveva intenzione di uccidere ma solo di reagire al modo sbrigativo in cui lei l’avrebbe messo alla porta dopo un rapporto sessuale piuttosto estemporaneo (i due si sarebbero conosciuti quella notte stessa in un locale).

La Turchia contro lo Stato Islamico, i conti non tornano

di Marco Santopadre
Duecento miliziani dello Stato Islamico ‘resi inoffensivi’ nelle ultime 48 ore, cinquecento postazioni dei jihadisti colpite in Iraq ed in Siria. Appaiono assai roboanti le dichiarazioni rilasciate ieri dal primo ministro turco, l’islamista Ahmet Davutoglu, nel corso di un incontro con gli ambasciatori del paese riuniti ad Ankara. I numeri snocciolati dal primo ministro starebbero a dimostrare che finalmente la Turchia retta dal Partito della Giustizia e dello Sviluppo di Erdogan ha deciso di colpire i fondamentalisti sunniti che da sempre tollera quando non sostiene. La “svolta” ci sarebbe stata dopo l’attentato di martedì che ha provocato la morte di dieci turisti tedeschi nella zona antica e turistica di Istanbul.
Peccato che siano le molte le cose che non quadrano nel quadretto che il governo turco sta cercando di imbastire a beneficio dell’opinione pubblica interna e internazionale. 

Come educare senza dogmi

di Cecilia M. Calamani 
«Mi batto per educare figli indipendenti, che ragionino in modo logico, svincolato dal dogma religioso». Con queste parole la blogger americana Deborah Mitchell spiega il perché del suo libro “Growing up godless”, tradotto e pubblicato in Italia dalla casa editrice Nessun Dogma con il titolo “Crescere figli senza dogmi”. 
La domanda nasce a libro ancora chiuso: perché un’americana sente il bisogno di scrivere un libro su questo tema? Siamo talmente abituati allo stereotipo che dipinge gli Stati Uniti come il Paese della libertà per antonomasia che questo volume, una vera e propria guida per genitori atei e agnostici, fa un po’ effetto. Eppure la realtà, soprattutto in alcuni Stati – Mitchell è texana –, è ben diversa da come immaginiamo. E in effetti andando avanti nella lettura scopriamo una società chiusa e bigotta, ligia alle tradizioni e intollerante nei confronti del libero pensiero al punto di stigmatizzare con l’isolamento chi si professa ateo o agnostico. 

Il lupo cattivo? Somiglia a Togliatti

di Fabrizio Scrivano
La cultura popolare è da sempre affollata di storie favolose e improbabili, che però riescono non tanto a essere davvero credute e prese per vere ma ad orientare e giustificare altre scelte che non avrebbero alcuna giustificazione. A dirla tutta, questa dinamica non riguarda solo le credenze popolari. Infatti, più in generale, non c’è come una credenza sciocca e infondata a rendere sicura una persona. Il motivo per cui ci si affida alle fiabe non è, però, la facile credulità.
Come ci si potrebbero riempire testa e coscienza di frottole e poi condurre una vita normale e sensata? Certamente è vero che le favole aiutano a produrre quei meccanismi di autoillusione che mettono al riparo dalla delusione e che proteggono anche dalla compagnia della paura. Tuttavia non è per faciloneria che si aderisce al racconto mendace.

Quel Pinocchio di Renzi

di Rocco Artifoni
Era il 3 novembre 2015 quando Matteo Renzi, Presidente del Consiglio dei Ministri, in una conferenza stampa a proposito della proposta di innalzamento (da 1.000 a 3.000 euro) della soglia per l’uso dei contanti affermava: «Al primo che mi dimostra la correlazione tra il tetto al contante e l’evasione cambio provvedimento». Lo stesso giorno Luigi Federico Signorini, vicedirettore generale della Banca d’Italia, durante un’audizione al Senato evidenziava come «i limiti all’uso del contante non costituiscono, ovviamente, un impedimento assoluto alla realizzazione di condotte illecite, specie per il grande riciclaggio, ma introducono un elemento di difficoltà e controllo sociale che può ostacolare forme minori di criminalità ed evasione». La discussione sarebbe finita lì, se a quel punto – per coerenza – il Governo avesse ritirato la proposta, che invece successivamente è stata approvata dal Parlamento all’interno della Legge di stabilità.

L'Africa e il cancro della corruzione

di Riccardo Barlaam
In molti paesi africani basta pagare per non essere soggetti alla legge, per fare affari, per ottenere l’accesso a servizi pubblici essenziali. La legalità è un concetto astratto, scritto nei testi giuridici e nelle Costituzioni. Basta pagare anche per cancellare crimini orrendi. Nello Zimbabwe di Mugabe nei mesi scorsi una ragazzina è stata stuprata mentre tornava da scuola da un uomo che le ha passato il virus dell’aids. La polizia ha arrestato l’aggressore, ma lo ha rilasciato, in segreto, pochi giorni dopo. Dopo il pagamento di una tangente. Fatti come questo sono all’ordine del giorno e non sempre vengono in luce.
Transparency International li denuncia nel suo rapporto People and Corruption in Africa, preparato assieme ad Afrobarometer, su un campione di oltre 40mila interviste raccolte in 28 paesi del subsahara (non ci sono in questo dossier i paesi del Nordafrica e Medio Oriente, ai quali sarà dedicata un’altra ricerca, paesi dove le pratiche corruttive sono anche molto diffuse).

Il rumore dei corpi feriti

di Gaetano De Monte
È trascorso da poco più di un mese il trentacinquesimo anniversario del terremoto che il 23 novembre del 1980 colpì un pezzo importante dell’Italia meridionale, l’Irpinia, in particolare. Di quel tragico evento oggi si ricordano soprattutto gli innumerevoli sprechi pubblici e i tanti scandali politici legati ai soldi per la ricostruzione. Ma c’è di più. Molto, di più. Quella vasta porzione di Paese che fu colpita dal sisma ( Campania, Basilicata e parte della Puglia) ora ci parla di come il flusso di denaro che investì quei territori ne stravolse possibilità e vocazioni. Lasciando sul campo rapporti sociali lacerati e comunità distrutte. La provincia di Avellino, epicentrica rispetto all’intera area interessata (17000kmq, 687 comuni colpiti, 6 milioni di cittadini coinvolti) ne pagò il prezzo più alto. In termini di distruzione e morte.

Caso Uva, il colpo di spugna della pubblica accusa

di Ercole Olmi
In due ore scarse la pm di Varese ha sostanzialmente liquidato il caso Uva, morto il 14 giugno del 2008. La requisitoria, infatti, s’è conclusa chiedendo l’assoluzione con formula piena dei carabinieri e degli agenti di polizia, in tutto otto imputati di omicidio preterintenzionale, perché non ci sarebbe prova delle percosse quindi nemmeno si porrebbe il nesso causale tra queste e il decesso dell’uomo avvenuto alcune ore dopo, il fermo in ospedale. Il pm ha voluto stroncare – almeno ci ha provato visto che le controdeduzioni della parte civile proveranno a smontarne il ragionamento il prossimo 29 gennaio – le perizie sulla causa di morte che i periti hanno individuato nella tempesta emotiva scatenata da percosse contenzione e stato alcolemico di Giuseppe Uva, la cosiddetta teoria del trigger.

L'Europa è al capolinea

di Sergio Cofferati 
Il quadro è drammatico. E l'uso dell'aggettivo non è fuori luogo. Basta scorrere l'elenco, anche disordinato, dei problemi che angustiano senza risposte adeguate i cittadini europei. La crisi economica non è ancora superata. Ad alcuni segnali di ripresa si accompagnano larghe sacche di stagnazione e di regresso produttivo, in particolare in alcuni settori manifatturieri. Sono visibili gli effetti sociali prodotti dal calo della ricchezza creata dal 2008 ad oggi: livelli bassi e disomogenei di occupazione, in particolare con condizioni spaventose per i giovani e crescita (spesso ignorata) della povertà sono ormai diventate un fenomeno costante. Le fallimentari politiche di rigore imposte dai governi conservatori (e non solo) sono state la causa della riduzione delle protezioni sociali e dalla cancellazione di molti diritti del lavoro. L'idea di competere attraverso la sistematica riduzione dei costi invece che attraverso l'innovazione ha indebolito il sistema economico e, ancor più, ha incrinato la coesione sociale.

Cara Castellina, non sono d’accordo

di Roberta Fantozzi
La rottura del percorso unitario a sinistra non è cosa leggera. E’ questo il primo motivo per cui non condivido l’articolo di Luciana Castellina, che stimo da sempre moltissimo, ma che mi pare sottovaluti le conseguenze di quanto è avvenuto. Non è cosa leggera innanzitutto perché il rischio evidente è che le aspettative delle tante e dei tanti che ci avevano creduto, si trasformino in nuova frustrazione e rassegnazione. E non è cosa leggera perché tornare alla casella di partenza, con più percorsi che inevitabilmente rischiano di dissipare energie nella competizione reciproca più che nella cooperazione, non è davvero quanto sarebbe necessario nella condizione di così grave logoramento quale è quella delle sinistre del nostro paese.
Un anno e mezzo è un tempo lungo, ed è il tempo passato da quando sulle elezioni europee si è determinata una nuova convergenza superando divisioni pregresse, si è prodotto con mille difficoltà un lavoro comune riannodando percorsi e storie, si sono attivate nuove energie, premessa e speranza per un’inversione di tendenza.