La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 15 gennaio 2016

Le adozioni difficili

di Mara Gasbarrone
Le adozioni diminuiscono, nel mondo e in Italia, perché le tecniche di procreazione medicalmente assistita (pma) si sono dimostrate più efficaci nel risolvere il problema della sterilità. Questa, in sintesi, sembrerebbe una descrizione appropriata e condivisa della situazione attuale.
Ma è proprio così? Sì e no. Cominciamo dall’Italia, per la quale disponiamo di qualche dato relativamente aggiornato.
L’avanzata irresistibile della pma è meno irresistibile di quanto ci si aspetterebbe. Non incidono solo le restrizioni della legge 40, via viasgretolate a colpi di sentenze, ma anche la crisi economica, che ha ridotto fortemente le risorse economiche degli aspiranti genitori. Il massimo è stato nel 2010, con 12.500 bambini venuti al mondo grazie alle varie tecniche, comprese quelle più semplici, meno costose (e meno efficaci), come l’inseminazione. Da quell’anno, ci si è attestati su poco più di 15 mila gravidanze ottenute, di cui 13 mila monitorate e 12.500 bambini nati (dalle gravidanze monitorate, dalle altre non si può sapere).
Il boom di nascite dei primi anni, con un raddoppio dal 2005 al 2008, è solo apparente, perché scontava un graduale recupero delle gravidanze “non monitorate”: infatti l’aumento è molto meno sensibile se si guarda alla prima colonna, quella delle gravidanze ottenute.

Nati da PMA e minori entrati in Italia per adozione, dal 2005 al 2013
gravidanze ottenute
gravidanze monitorate
nati vivi
adozioni internazionali
nati da pma per adottato
2005
9.499
5.392
4.940
2.286
2,2
2006
10.608
8.198
7.507
2.534
3,0
2007
11.685
9.884
9.147
2.684
3,4
2008
12.767
10.825
10.212
3.165
3,2
2009
14.033
11.691
10.819
3.082
3,5
2010
15.274
13.537
12.506
3.241
3,9
2011
15.467
13.395
11.933
3.154
3,8
2012
15.670
13.484
11.974
2.469
4,8
2013
15.550
13.770
12.187
2.291
5,3
 Fonte: Ministero della Salute, Relazione annuale sullo stato di attuazione della Legge 40/2004 in materia di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), 2015

Settantamila coppie l’anno che ricorrono a queste tecniche sono comunque un fatto sociale di grande rilevanza (anche se alcune possono essere state contate due volte, quando hanno fatto ricorso nello stesso anno a due tecniche diverse, come è molto probabile che avvenga, dopo il fallimento del primo tentativo). Solo per confrontare l’ordine di grandezza, il numero di matrimoni non arrivava a 190 mila nel 2014. Un fenomeno in larga parte alimentato e sostenuto dall’offerta privata, con proporzioni che vanno dal 50% nel Nord (dove c’è anche una consistente offerta pubblica) al 75% nel Mezzogiorno.
Tutte le informazioni, fino al 2013, sono disponibili sul sito del Ministero della Salute, dove si trova la Relazione annuale sullo stato di attuazione della Legge 40/2004 in materia di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), pubblicata nel luglio 2015.
Passando alle adozioni, è possibile dare qualche informazione articolata solo per quelleinternazionali, anche se dobbiamo contentarci di dati fino al 2013, contenuti nella Relazione dellaCommissione istituita presso la Presidenza del Consiglio. Sono sufficienti a chiarire se e quanto l’adozione è “competitiva” rispetto alla PMA nell’offrire una soluzione al problema dell’infertilità. E dai dati riportati in tabella, sembra che non lo sia: oggi nascono circa 5 bambini da tecniche di PMA per ogni bambino adottato dall’estero (erano 3,2 nel 2008). Perché, non nascondiamocelo, il problema è appunto quello della risposta all’infertilità: il 95% degli adottanti la indica come motivazione per la scelta adottiva (pag.13 della Relazione). Per di più, questa motivazione risulta costantemente in aumento, dall’80% del 2009. Anche i più generosi, fra i candidabili genitori adottivi, difficilmente intraprenderebbero un cammino così impegnativo e costoso, come l’adozione, se avessero l’alternativa di avere un bambino nel modo più consueto. Impegno e costi che possono essere sinteticamente espressi dalla lunghezza dell’attesa (3,3 anni il tempo medio intercorso fra la domanda di adozione e l’autorizzazione all’ingresso del minore in Italia, con un minimo di 2,8 anni per la Russia e un massimo di 5,5 per la Lituania, pag. 26), dalle spese (particolarmente rilevanti per quei paesi, come il Brasile, che chiedono un lungo soggiorno prima di affidare i bambini), dalla variabilità e discrezionalità delle procedure seguite dai diversi tribunali.
Inoltre uno dei motivi della diminuzione di nuove candidature può essere dovuto alla ristrettezza dei requisiti richiesti: per espressa disposizione di legge, solo coppie sposate da almeno tre anni - quando in Italia il numero dei matrimoni è da anni in caduta verticale - coppie giudicate “idonee” per requisiti economici e culturali, valutati dai tribunali con un certo arbitrio.
Va denunciato invece il buio fitto che regna sulle adozioni nazionali. Dal 2000 al 2007, venivano registrate un migliaio di adozioni all’anno, secondo il database dell’Istat “giustiziaincifre”, che non è stato più aggiornato e non è più on line. È un esempio, e non il solo, di come la digitalizzazione dei dati può provocare perdita di informazione, e non arricchimento, come a tutti piace credere. Questi pochi dati sono stati raccolti e pubblicati nel “Rapporto sulla popolazione. Sessualità e riproduzione nell’Italia contemporanea” dell’Associazione italiana per gli studi di popolazione, ed. il Mulino, 2013.
Soprattutto, va rilevato il ritardo e la poca trasparenza per quanto riguarda la popolazione dei minori in comunità, potenziale bacino di adottabili. Secondo il Garante per l’Infanzia, a fine 2014 si tratterebbe di 19.245 minori pari allo 0,2% dei minori italiani. Altri 2.072 sono i neomaggiorenni con proroga di collocamento. Il 57% dei minorenni collocati in comunità sono italiani, il 43% di origine straniera: circa la metà di essi è un minore straniero non accompagnato. Il 34% sono femmine, il 66% maschi. Il 57% dei minori in comunità ha fra i 14 e i 17 anni, il 15% meno di 6 anni. L’età quasi adulta li rende poco adatti all’adozione, ma bisogna chiedersi perché i bambini senza famiglia finiscono per diventare adulti dentro le comunità, anziché in una famiglia adottiva. Si tratta peraltro di comunità con una dimensione media di 6 componenti, lontane da quelle che siamo abituati a pensare come “istituzioni”. (È un po’ sorprendente tuttavia che la Relazione sia sparita dal sito del Garante, e debba essere trovata in allegato ad un articolo della rivista Vita).
Guardando a ciò che succede fuori dal nostro paese, prevedono l’adozione 200 paesi nel mondo e, di questi, 100 consentono l’adozione anche a persone non sposate e solo 15 la limitano alle coppie sposate (Population & sociétés, n.519, febbraio 2015).
Nel mondo, nei dieci anni fra il 2003 e il 2013, le adozioni internazionali si sono ridotte ad un terzo, da 42 mila a 15 mila. Il numero si riferisce solo ai 10 paesi che accolgono insieme il 90% dei bambini adottati nel mondo (fra questi, in ordine decrescente: gli Stati Uniti che da soli accolgono metà dei bambini adottati nel mondo, la Francia, la Spagna, l’Italia, la Germania, il Canada, la Svezia, la Norvegia). L’Italia è relativamente poco investita dalla diminuzione (solo il 17%) contro riduzioni relative molto più forti in Canada (-36 %), Francia (-67%), Spagna (-79%) e Norvegia (-80%).
Analoga concentrazione territoriale si riscontra per i paesi di origine dei minori: il 70% di loro proviene da 10 paesi, fra cui nell’ordine: Cina, Russia, Guatemala, Ucraina, Corea del Sud, Bulgaria, Bielorussia. Tutti i dati provengono da Population et Sociétés, la pubblicazione mensile dell’Ined (Institut National d’Etudes Démografiques).


A determinare la diminuzione, non ha concorso certo una minore “domanda” da parte di candidati genitori. Diminuiscono invece i minori adottabili, come da tempo è successo per l’adozione nazionale, e in gran parte per gli stessi motivi che hanno reso introvabile un bambino abbandonato “occidentale”: in generale è diminuita la fecondità (circa 2,5 bambini per donna a livello mondiale); una maggiore diffusione della contraccezione, e dell’aborto legale, fa poi diminuire le nascite indesiderate. I pochi bambini adottabili, hanno spesso delle caratteristiche che li rendono meno “desiderabili”: un’età troppo alta, cattive condizioni di salute fisica o psichica, l’essere legati nell’adottabilità ad altri fratellini/sorelline.
Aggiungiamo che la forte concentrazione geografica tanto della “domanda” che dell’”offerta” rende il tutto molto dipendente dalle contingenze politiche, e dagli accordi fra stati. A riprova delle specificità nazionali, si può citare la quasi inesistenza dell'adozione internazionale nel Regno Unito. E neanche è prevista l’adozione nei paesi islamici, ad eccezione di Turchia, Tunisia e Indonesia.
Infine, molti interrogativi di fondo restano. Se i bambini stranieri adottabili sono grandicelli, sarebbe proprio desiderabile trapiantarli in un altro paese, dove alle difficoltà dell’adozione tardiva sommerebbero quelle dell’immigrazione? E in ogni caso, qual è la sorte dei bambini che continuano ad essere abbandonati, anche se meno di ieri, e non vengono destinati all'adozione internazionale? vengono adottati su base nazionale, cioè in un contesto più favorevole, oppure vengono istituzionalizzati?
Di quanto siano improbabili alcune cifre in circolazione, è prova il dato di 168 milioni di minori abbandonati nel mondo, attribuito all’Unicef, per il 2010. Viene citato dall’associazione Amici dei Bambini (AiBi), una delle organizzazioni che operano nell’adozione internazionale, ma non trova riscontro sul sito dell’Unicef. In realtà, esso sembrerebbe coincidere con la stima del numero dei minori che lavorano, che è di fonte OIL. Un fenomeno certo grave, ma diverso dal precedente, e che non sembra aver diretto rapporto con le adozioni.
Un altro numero “oscuro”, è quello dei bambini nati da gravidanze surrogate, che potrebbe spiegare in parte anche il calo delle adozioni, almeno in alcuni paesi (es. gli Usa). Lo lasciamo per ultimo, benché se ne parli tanto in questi giorni, proprio perché nessun dato con qualche fondamento può essere citato, tanto meno per l’Italia, dove la surrogacy è reato.

Fonte: ingenere.it

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