La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 15 gennaio 2016

Cara Castellina, non sono d’accordo

di Roberta Fantozzi
La rottura del percorso unitario a sinistra non è cosa leggera. E’ questo il primo motivo per cui non condivido l’articolo di Luciana Castellina, che stimo da sempre moltissimo, ma che mi pare sottovaluti le conseguenze di quanto è avvenuto. Non è cosa leggera innanzitutto perché il rischio evidente è che le aspettative delle tante e dei tanti che ci avevano creduto, si trasformino in nuova frustrazione e rassegnazione. E non è cosa leggera perché tornare alla casella di partenza, con più percorsi che inevitabilmente rischiano di dissipare energie nella competizione reciproca più che nella cooperazione, non è davvero quanto sarebbe necessario nella condizione di così grave logoramento quale è quella delle sinistre del nostro paese.
Un anno e mezzo è un tempo lungo, ed è il tempo passato da quando sulle elezioni europee si è determinata una nuova convergenza superando divisioni pregresse, si è prodotto con mille difficoltà un lavoro comune riannodando percorsi e storie, si sono attivate nuove energie, premessa e speranza per un’inversione di tendenza.
Di questo tempo lungo L’Altra Europa con Tsipras è stata protagonista, assai più di quanto sia emerso nella comunicazione pubblica, in una lunga fatica che ha intrecciato proposta politica e tessitura di relazioni, pagando un prezzo non piccolo alla scelta di non strutturarsi come soggetto da subito e di attendere invece, in nome dell’unità, che si sciogliessero nodi e contraddizioni.
Ovviamente riconoscere che siamo di fronte ad una grave battuta d’arresto non significa arrendersi ad essa, all’opposto per chi crede alle ragioni di fondo di quel percorso, l’impegno è quello di provare con determinazione a rilanciarlo. Ma per questo è necessario comprendere ciò su cui si è rotto. Non è intanto possibile omettere, sempre rispetto a quanto scrive Luciana, che il famoso tavolo un testo comune l’aveva prodotto, “Noi ci siamo” essendo stato condiviso da tutti coloro che avevano partecipato a quella discussione. Definiva (e definisce) la scelta di una sinistra che, nel riconoscere esplicitamente la fine della stagione del centrosinistra, si costituisse come polo alternativo a tutti gli altri, dalla destra a Grillo al Pd, che si collocasse in altrettanta alternativa a livello europeo rispetto alle ricette “che hanno caratterizzato il governo della crisi da parte di Popolari e Socialisti”, che lavorasse alle amministrative a proposte in “esplicita discontinuità con le politiche dell’attuale esecutivo”, che ambisse a tutti i livelli a conquistare il governo, che infine si strutturasse secondo la regola democratica “una testa, un voto”, rifiutando la riedizione di ogni forma pattizia e di mera coalizione elettorale.
Certo quel testo non era scritto con linguaggio sufficientemente evocativo e comunicativo, ma è risultato di una qualche incomprensibilità il fatto che sia stato immediatamente relegato ad una dimensione quasi privata, invece che essere salutato e pure festeggiato – mi verrebbe da dire – come ciò che consentiva finalmente che il percorso costituente partisse.
Come è risultato francamente incomprensibile a chiunque abbia partecipato nella propria vita a quale che sia “tavolo” il fatto che chiuso l’accordo, sia stata posta la pregiudiziale dello scioglimento dei soggetti organizzati – che se pregiudiziale fosse stata, logica avrebbe voluto fosse posta in avvio della discussione e non in chiusura.
Cos’è successo allora che ha messo in discussione tutto? A mio avviso le novità intervenute e segnatamente le fuoriuscite dal PD, le contraddizioni interne ai diversi soggetti, e per citare Paolo Favilli “il provincialismo temporale”.
E’ successo dunque che coloro che sono usciti dal Partito Democratico, per forza di cose estranei alla faticosa tessitura unitaria dell’ultimo anno e mezzo, sentissero l’urgenza di costruire approdi immediati. E’ successo anche che le contraddizione tuttora presenti in Sel in relazione al centrosinistra, sui livelli locali e non solo, si siano riproposte con forza, e che la riuscita dell’iniziativa del Quirino di Sinistra Italiana abbia dato corpo all’idea che alla domanda di unità a sinistra potessero dare risposta alcuni, separandosi dal tavolo comune e provando a massimizzare i propri punti di forza, a partire dalla presenza parlamentare. Una soluzione finalizzata anche a diminuire le fibrillazioni interne, tagliando le interlocuzioni con le ali cosiddette più radicali, e presumibilmente semplificando la definizione di leadership e gruppi dirigenti. E’ stato a quel punto che il reciproco riconoscersi e la ricerca che aveva portato al documento unitario “Noi ci siamo” è venuta meno. Ed è comparsa su quel tavolo la richiesta dello scioglimento delle organizzazioni esistenti come precondizione. Ed a nulla sono valsi né l’osservazione che praticamente nessuna delle realtà che fanno parte della Sinistra Europea sarebbe mai nata con quelle condizioni, né la presentazione di proposte – come quella avanzata da Rifondazione – che nel riconoscere il pluralismo rifuggivano da ogni logica federativa e pattizia, e declinavano il principio democratico “una testa, un voto” per la definizione di statuto, programma, gruppi dirigenti, come delle iniziative con cui alimentare un’attività quotidiana e per nulla relegata al momento elettorale.
Che fare dunque ora?
Tre cose, a mio avviso.
La prima non demordere dall’obiettivo di un solo processo costituente, a cui non si può rispondere francamente con la logica degli “innesti”. E dunque continuare a far vivere quell’obiettivo, rapportandosi a quello che è in campo come a una parzialità, compresa l’assemblea di febbraio di Sel-SI-Act, che davvero pare improprio possa essere l’avvio del percorso per un solo soggetto a sinistra, essendo parte che dal percorso unitario si è separata.
La seconda è continuare a far vivere i punti di fondo del documento Noi ci siamo, sia perché quel documento è stato assunto almeno in un passaggio come testo di tutti, sia perché è per l’appunto base politica sufficiente. E’ quanto sta avvenendo in tante realtà che non si rassegnano al quadro che si è determinato, che stanno riprendendo parola, facendo appelli e assemblee, rifiutando di arrendersi alla rottura.
La terza è provare a rimettere in campo “pensieri lunghi” per la casa comune della sinistra: contenuti e modalità. Chiarendo intanto fino in fondo se si pensa che si possa rieditare il centrosinistra, o se l’obiettivo sia invece quello di lavorare strategicamente ad una proposta autonoma e alternativa al PD, nodo continuamente riproposto e che ha determinato, questo sì, lo stallo e la continua contraddizione dei percorsi unitari. Ed insieme a questo provando a discutere davvero di ciò che sia più utile a dare qualche soluzione alle contraddizione aspre che viviamo. Continuiamo a pensare che la necessità sia quella di mettere insieme “tutto ciò che il liberismo divide”, in un soggetto capace di intercettare tanto una sofferenza sociale che rischia di essere consegnata al divorzio dalla politica, al populismo reazionario della destra, o nella migliore delle ipotesi alle ambivalenze del Movimento 5 Stelle, quanto i tanti soggetti che provano quotidianamente a costruire alternative, con mille e diverse culture e pratiche. Continuiamo anche a pensare che sia necessario per questo definire un soggetto in cui le singole donne e uomini siano sovrani su programma, iniziativa politica, gruppi dirigenti, ed in cui non si chieda tuttavia a nessuno di rinunciare alla propria cultura politica, compresa quella di chi pensa che vada costruita un’alternativa non solo alla crisi del capitalismo ma al capitalismo in crisi, oggi più che mai. Come succede in tanta parte d’Europa e del mondo.
I mesi che abbiamo di fronte, dalle elezioni amministrative che vedono situazioni di divisione ma anche esempi assai positivi di cooperazione, la prova dei referendum che non solo non sottovalutiamo ma che abbiamo sostenuto da tempo e che sono terreno decisivo per chiunque non si rassegni al neoliberismo autoritario del partito della nazione, non sono mesi di inerzia.
Sono mesi in cui è necessario che fuori da ogni ambito ristretto, donne e uomini non rassegnati, oltre le secche di oggi, si riapproprino di una proposta di unità, che resta intatta nella sua urgenza.

Fonte: Rifondazione Comunista 

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