La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 15 gennaio 2016

L'Europa è al capolinea

di Sergio Cofferati 
Il quadro è drammatico. E l'uso dell'aggettivo non è fuori luogo. Basta scorrere l'elenco, anche disordinato, dei problemi che angustiano senza risposte adeguate i cittadini europei. La crisi economica non è ancora superata. Ad alcuni segnali di ripresa si accompagnano larghe sacche di stagnazione e di regresso produttivo, in particolare in alcuni settori manifatturieri. Sono visibili gli effetti sociali prodotti dal calo della ricchezza creata dal 2008 ad oggi: livelli bassi e disomogenei di occupazione, in particolare con condizioni spaventose per i giovani e crescita (spesso ignorata) della povertà sono ormai diventate un fenomeno costante. Le fallimentari politiche di rigore imposte dai governi conservatori (e non solo) sono state la causa della riduzione delle protezioni sociali e dalla cancellazione di molti diritti del lavoro. L'idea di competere attraverso la sistematica riduzione dei costi invece che attraverso l'innovazione ha indebolito il sistema economico e, ancor più, ha incrinato la coesione sociale.
Il processo epocale dei flussi migratori prodotto dalla fame e dunque dalla ricerca di un lavoro, e ancor di più dalla fuga dalle guerre e dal pericolo di morte di milioni di persone, sta scuotendo gli equilibri tra i territori del vecchio continente e mette in discussione il contenuto ed il significato di valori fondanti quali "solidarietà". Si aggiunga la recrudescenza del terrorismo figlio del fanatismo ideologico e religioso che prova ad inserirsi nei vuoti dell'accoglienza e dell'integrazione non realizzate e si avrà il segno della drammaticità di questo momento storico.
È doveroso chiedersi se le istituzioni europee sono in grado di sciogliere i nodi di questo stato di cose e di rimettere ordine e coesione nella nostra comunità. La mia risposta è no. Lo dimostrano le afasie, le contraddizione nei comportamenti e l´inefficacia delle azioni proposte e spesso anche malamente attuate dalle istituzioni europee. Siamo arrivati al punto di veder messo in pericolo e in discussione il trattato di Schengen senza rendersi conto che senza la libera circolazione delle persone non c'è Europa.
Come si può gestire un processo migratorio delle dimensioni di quello attuale se la politica estera rimane comunque nelle mani dei singoli Stati? E quale politica economica è possibile se ogni pase continuerà con politiche fiscali o del lavoro in concorrenza al ribasso con gli altri? Come si può pensare di costruire un pilastro sociale delle politiche europee con le regole esistenti? E altri esempi si potrebbero fare.
È del tutto evidente, a questo punto, che la priorità assoluta per dare efficacia alle azioni delle istituzioni è quella di cambiare le loro funzioni, di modificare il loro ruolo. In sintesi di scrivere un nuovo Trattato che preveda robuste cessioni di sovranità su molte politiche da parte degli Stati membri verso le istituzioni Europee. Negli spazi delle attuali regole sono possibili, sui temi principali, solo piccoli aggiustamenti o accordi inesigibili che vengono messi in discussione il giorno dopo la loro ratifica. Quanto recentemente accaduto sull'immigrazione dovrebbe far riflettere.
Senza questo salto di qualità la caduta di credibilità dell'Europa di oggi è scontata, l'aumento di peso dei vari nazionalismi, altrettanto. La colpa del prevalere della destra ostile all'Europa non è attribuibile a circostanze sfavorevoli ma alla mancanza di coraggio dei progressisti nel proporre il completamento del percorso immaginato dai padri fondatori verso gli Stati Uniti d´Europa.
Non mi sfuggono le difficoltà di immaginare oggi una nuova Europa, ma occorre porre il tema con forza e lanciare una prospettiva di cambiamento. Rischiamo altrimenti di rimanere a metà del guado, con un'agenda politica concentrata sulla gestione del quotidiano e istituzioni europee inadeguate a gestire fenomeni epocali. Senza un salto in avanti che guardi all'Europa di domani, il rischio è quello di un ritorno indietro, verso nazionalismi inadeguati e dalle parole d'ordine marcatamente conservatrici e populiste, quando non xenofobe e reazionarie.

Fonte: Huffington post - blog dell'Autore 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.