La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 15 gennaio 2016

Bad bank: il rischio si sposta dal sistema bancario ai correntisti postali?

di Fabrizio Patti
Si era accesa una fiammella di speranza alle parole di lunedì 11 gennaio della commissaria Ue alla Concorrenza, Margrethe Vestager. «Ciò che stiamo facendo sulla bad bank con l’Italia è condividere informazioni, spetta all’Italia decidere che cosa fare, quale strada prendere con aiuti di Stato o senza aiuti di Stato, ci sono diverse opportunità», aveva detto. La frase della Vestager poteva essere interpretata come un’apertura alla possibilità di ridare fiato al sistema bancario italiano, zavorrato dai crediti deteriorati. Come qualche entusiasmo si era riverberato in borsa sui titolo bancari dopo le parole della Vestager al Sole 24 Ore: «Il governo italiano deve decidere ciò che vuole. Deve decidere in questo frangente se usare denaro pubblico o se non usare denaro pubblico. Nel primo caso bisogna trovare una soluzione che limiti il danno per le altre banche che sul mercato operano senza sostegno pubblico».
Sono farasi da considerarsi come una svolta della Commissione Ue sulla bad bank, ossia un’azienda costituita per comprare i crediti deteriorati delle banche e liberare il sistema dal rischio di altri dissesti come quelli di Etruria, Marche, CariChieti e CariFerrara? In realtà no, perché è una maniera di reiterare la posizione dell’Europa: “non bisogna intervenire sulla concorrenza tra le banche” significa dire che non si può aiutare una banca o un gruppo di banche e non tutte le altre, a meno di applicare le norme sul bail-in. Vale a dire: lo Stato può intervenire solo se prima “punisce” azionisti e obbligazionisti delle banche.
Il tema della concorrenza poi è da intendere su due fronti. Da una parte la concorrenza tra le banche italiane: tutte le banche hanno “bad loans”, anche se in misura molto diversa per quantità e qualità. Con una bad bank in cui confluiscano asset deteriorati (le cosiddette sofferenze bancarie) a un prezzo maggiore di quello immediatamente ottenibile sul mercato, si avvantaggerebbero di più le banche maggiormente in difficoltà. Dall’altra si porrebbe il tema della concorrenza tra le banche italiane e quelle europee. Il fatto che in passato le altre nazioni si siano potute avvalere di una bad bank (Spagna e Irlanda) non è considerato rilevante, dato che fino a metà 2013 tali bad bank erano concesse, a determinate condizioni (la Spagna l’ha potuta effettuare sotto il controllo della Troika).
Dal ministero dell’Economia e Finanze fanno sapere che nelle ultime ore ci sono stati scambi di informazioni tra gli uffici tecnici della Commissione e del Mef. Il Mef, in particolare, ha trasmesso ulteriori valutazioni. Si starebbero facendo «passi avanti» e la speranza è di un accordo a breve. Il punto in discussione è capire in che modo le risorse pubbliche possano entrare in questa partita e in che entità.
Ma quale potrebbe essere la linea di compromesso? La direzione più probabile è quella di passare da un ruolo centrale della Cassa Depositi e Prestiti. Una eventuale bad bank pubblica potrebbe comprare gli asset legati ai crediti deteriorati dalle banche a un prezzo superiore a quello di mercato. Per poterlo fare digerire alla Ue, dovrebbe coprire i rischi comprando un’assicurazione dalla Cassa Depositi e Prestiti: il governo italiano potrebbe a quel punto dire alla Commissione che il rischio per lo Stato sarebbe coperto dall’assicurazione di Cdp. Dato che il prezzo di tali asset è opaco (il valore è noto alle banche che hanno fatto i prestiti ma non alla bad bank), la quantificazione del loro valore può essere oggetto di una negoziazione tra Roma e Bruxelles. Questo si potrebbe fare perché Cdp è formalmente indipendente dallo Stato. Non a caso ha potuto fornire la propria garanzia nel Fondo di risoluzione attivato per il salvataggio delle quattro banche popolari del Centro Italia.
È quindi il caso di essere ottimisti sulla soluzione di una bad bank che passasse dalla Cdp? «Non sarei ottimista», risponde Nicola Borri, ricercatore del Dipartimento Economia e Finanza della Luiss. «Gli scenari a questo punto sono due: o non si raggiunge alcun accordo con la Commissione europea. Oppure si raggiunge un accordo che passasse dalla Cdp. Ma in questo caso vedo un grande pericolo: si sposterebbe il rischio dal sistema bancario in parte alla bad bank e in parte, attraverso l’assicurazione, alla Cassa Depositi e Prestiti e quindi ai possessori di obbligazioni CdP o ai contribuenti». Le sofferenze italiane, vale la pena di ricordarlo, sono stimate in circa 200 miliardi di euro: il 16,7% dei depositi, una percentuale pari al triplo della media europea.

Fonte: Linkiesta

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