La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 31 ottobre 2015

Il trionfo dei comitati d’affari

di Alberto Burgio
Lo scon­tro fron­tale tra il sin­daco della capi­tale e il suo par­tito è giunto all’ultimo atto. Non si sen­tiva il biso­gno di quest’altra tri­sta vicenda. La poli­tica ita­liana, la demo­cra­zia ita­liana, i cit­ta­dini ita­liani e in par­ti­co­lare i romani non se lo meri­tano. Ma, giunte le cose al punto in cui stanno, l’urto finale è ine­vi­ta­bile. Pro­viamo almeno a rica­varne una lezione.
Non più tardi di qual­che mese fa – lo scorso giu­gno – il Pd difen­deva Marino a spada tratta. «È un baluardo della lega­lità e chi dice che si deve dimet­tere incon­sa­pe­vol­mente sostiene le posi­zioni di quelli che lo hanno per­ce­pito come osta­colo ai loro dise­gni. L’interesse di Roma è che Marino resti sin­daco». Così par­lava il vice di Renzi al Naza­reno, non pro­prio l’ultimo venuto. Qual­che giorno fa lo stesso Gue­rini se n’è uscito dicendo che «non esi­ste che Marino ci ripensi»: se ne deve andare, punto e basta.

Dalla democrazia vuota alla democrazia piena

di Carlo Galli
La biblio­gra­fia inter­na­zio­nale sulla crisi della demo­cra­zia, ormai ster­mi­nata, si arric­chi­sce ora di tre volumi ita­liani, di dif­fe­rente impo­sta­zione e a vario titolo rivelativi.
Marco Revelli in un agile testo (Den­tro e con­tro, Laterza 2015, pp. 144, 14 euro) riper­corre la sto­ria di pas­sione della legi­sla­tura in corso, dalla non-vittoria del Pd al governo qui­ri­na­li­zio delle crisi poli­ti­che che l’hanno scan­dita, dalla pro­gres­siva per­dita di cen­tra­lità del Par­la­mento all’insediarsi, con Renzi, del popu­li­smo al potere, asse­diato a sua volta dal popu­li­smo esterno del M5S e impe­gnato, al tempo stesso, a lot­tare (ahimé, vit­to­rio­sa­mente) con­tro il lavoro, in ese­cu­zione della filo­so­fia eco­no­mica dell’euro.

Il tempo dei podestà

di Norma Rangeri
La gior­nata dei lun­ghi col­telli è finita nel modo in cui era pre­ve­di­bile che finisse: rot­ta­mando il sin­daco — ormai ex — Marino. Ma al tempo stesso a Roma è stata rot­ta­mata la demo­cra­zia per­ché un’ombra scura, pesante è calata ieri sulla capi­tale. Con un atto poli­tico grave, e per­fino grot­te­sco, è stata col­pita e affon­data l’amministrazione della città che ora sarà gover­nata da una squa­dra di com­mis­sari: del Giu­bi­leo, del Comune, del Pd. Qual­cuno già li chiama i nuovi pode­stà. Con il primo pode­stà d’Italia che abita a palazzo Chigi.
Pos­siamo espri­mere i giu­dizi poli­tici che vogliamo — in parte nega­tivi come abbiamo scritto ieri — su Marino, ma il modo scelto per man­darlo a casa rivela l’escalation diri­gi­stica e cen­tra­li­stica che sta col­pendo il paese fin dalle sue fon­da­menta costituzionali.

La favola della ripresa europea

di Thomas Fazi
La potremmo chiamare la favola della ripresa europea: una macchina è ferma sul ciglio della strada; un uomo la spinge da dietro mentre fa cenno al conducente di spingere sull’acceleratore. I passeggeri – chiaramente stanchi e affamati – assistono alla scena appoggiati al guardrail. Dopo qualche tentativo a vuoto, il motore improvvisamente si accende. Il nostro uomo esulta mentre la macchina si allontana lentamente da lui. «Ve l’avevo detto che sarebbe ripartita», dice rivolto ai passeggeri, «gli serviva solo un po’ di acqua!». Alcuni esultano insieme a lui, altri sembrano scettici. «Mah – dice qualcuno – senza benzina secondo me non va molto lontano». Dopo qualche metro, infatti, il motore comincia nuovamente a perdere potenza. Sembra che stia lì lì per spegnersi un’altra volta. «Tranquilli – annuncia il nostro uomo, mettendosi a correre dietro alla macchina – gli serve solo un altro po’ di acqua!».

La decadenza socialdemocratica

di Paolo Borioni
Nel denun­ciare la delu­dente pre­sta­zione della sini­stra euro­pea di fronte alla crisi e all’austerità, la Spd è spesso presa ad esem­pio in quanto «la più clas­sica social­de­mo­cra­zia». Quindi, il par­tito tede­sco passa per la riprova di un destino ine­vi­ta­bile di tutte le social­de­mo­cra­zie come feno­meno sto­rico. In realtà la Spd non è neces­sa­ria­mente rap­pre­sen­ta­tiva della sto­ria e del pen­siero social­de­mo­cra­tico euro­peo. Le inca­pa­cità nel pro­porre ed attuare poli­ti­che di domanda che bilan­cino il grande sur­plus di export dipen­dono non solo dalle dot­trine eco­no­mi­che domi­nanti e dalla forza espor­ta­trice tedesca.
In realtà, dif­fe­renza fra altre social­de­mo­cra­zie e Spd è pro­prio che essa non è quasi mai potuto o saputo rea­liz­zare l’importanza stra­te­gica, per la pro­pria forza, del sala­rio e della sua piena espan­sione. Ciò per­ché ai tempi di Wei­mar le poli­ti­che della domanda non erano ancora ege­moni, e poi venne Hitler, men­tre gli scan­di­navi arri­va­rono all’espansione interna auto­no­ma­mente, cono­scendo ben poco Key­nes.

L’economia alla conquista della giustizia

di Alessandro Somma 
Il tema dei rapporti tra giustizia ed economia è più che mai al centro del confronto mai sereno tra politica e magistratura. È del resto un cavallo di battaglia dell’attuale inquilino di Palazzo Chigi, che fin dall’inizio ha lasciato intendere la sua posizione sul punto: illustrando il programma di governo di fronte al Senato, ha stigmatizzato il controllo esercitato dai giudici amministrativi come un ostacolo alla crescita economica. E da allora si è assistito a un crescendo, sino alle recenti polemiche sulle sentenze della Corte costituzionale, rea di trascurare le conseguenze economiche riconducibili alle sue decisioni. 
Non è dunque un caso se il Congresso dell’Associazione nazionale magistrati, appena tenutosi a Bari, ha dedicato ampio spazio proprio al rapporto tra giustizia ed economia, innanzi tutto per riportarlo entro i binari che dovrebbero essergli propri: quelli dello Stato di diritto, nel cui ambito l’azione dei pubblici poteri è retta dal principio di legalità.

Ceta e Ttip contro i servizi

di Marco Bersani
«Per chi legge in buona fede il man­dato nego­ziale del Ttip, è del tutto evi­dente che i ser­vizi pub­blici non sono oggetto di nego­zia­zione». Così ripete ad ogni occa­sione il vice­mi­ni­stro dello svi­luppo eco­no­mico Carlo Calenda. «A pen­sar male si fa pec­cato, ma spesso ci si azzecca» ver­rebbe da rispon­dere citando il famoso «bel­zebù» della prima repub­blica. D’altronde, basta leg­gere quanto pre­vi­sto dal Ceta (Accordo com­mer­ciale Ue-Canada, la cui rati­fica par­tirà nel 2016) e dal Ttip (Accordo Usa-Ue, in fase di nego­zia­zione) per capire chi ha ragione.
Il trucco prin­ci­pale risiede nella defi­ni­zione di «ser­vi­zio pub­blico» adot­tata in que­sti accordi. Una defi­ni­zione che si basa su due nega­zioni: a) non è ser­vi­zio pub­blico, quello la cui ero­ga­zione può essere effet­tuata anche da sog­getti diversi dall’autorità di governo; b) non è ser­vi­zio pub­blico, quello per la cui ero­ga­zione è pre­vi­sto un cor­ri­spet­tivo eco­no­mico, anche una tantum.

Lotta alla povertà o beneficienza?

di Elena Monticelli
Analizzando finalmente il testo della Legge di Stabilità è possibile fare qualche considerazione in merito alle misure di contrasto alla povertà, tanto sbandierate dal Governo Renzi in queste settimane e di cui si era già accennato precedentemente. Al Titolo III del testo, infatti, vengono illustrate le “Misure per il disagio”. Provando a schematizzare brevemente queste misure in una tabella, possiamo provare a fare alcune riflessioni:

Diritto universale alla maternità: l’orizzonte in cui pensare il basic income

di Teresa Di Martino
Perché parlare di diritto universale alla maternità quando si tratta il tema del reddito? Innanzitutto intendiamoci sui termini.
Penso qui alla maternità non solo come al generare figli all’interno di una coppia. La maternità ci interessa come esperienza di un tempo altro rispetto a quello della produzione, come esempio del rimosso che permette al capitalismo di riprodursi e come occasione per aprire un discorso sulla necessità di sganciare cittadinanza e indipendenza, cittadinanza e lavoro. Cioè di pensare diritti non più costruiti su un cittadino neutro, maschio, bianco, eterosessuale, lavoratore a tempo pieno, ma a partire dai corpi, da quello che possono – ma non necessariamente vogliono e devono – sperimentare.
L’idea viene da un collettivo femminista italiano di cui facevo parte – Diversamente Occupate, che nasceva come luogo di pensiero e azione di un gruppo di giovani donne attorno ai temi del lavoro e della precarietà, e della possibilità di introdurre anche in Italia una forma di reddito di base, come già previsto nella maggior parte dei paesi europei.

Costituzione stravolta: il vizio più grave

di Alessandro Pace 
Qualora si volesse individuare il vizio più grave e omnicomprensivo che caratterizza la riforma costituzionale Renzi-Boschi questo andrebbe identificato nell’assenza di contro-poteri: uno dei principi fondamentali del costituzionalismo liberale.
Da questo angolo visuale è evidente lo scompenso tra Camera e Senato sia sotto il profilo delle funzioni – in conseguenza del quale il Senato non potrebbe più costituire un’eventuale contro-potere della Camera -, sia sotto il profilo del numero dei componenti dell’una e dell’altro che rende praticamente irrilevante la presenza del Senato nelle riunioni del Parlamento in seduta comune.

Città possibili, città in comune

di Giuseppe Civati
Mentre Pisapia e altri fanno capire che bisogna essere alleati del Pd in occasione delle Amministrative del 2016 ma anche delle Politiche del 2018 (o, forse, 2017…), mentre Marino a Roma dice di prendere in considerazione l'ipotesi di candidarsi alle primarie del Pd (il partito che ormai rifiuta anche solo il contatto con lui), mentre un po' dappertutto è aperto nella sinistra tradizionale il dibattito tra governisti e alternativisti (penso a Bologna, penso a Torino), ritengo che dovremmo sottrarci e rilanciare: creare da subito, con tutti quelli che ci stanno, un percorso. Autonomo e, mi viene da dire, necessariamente alternativo.
Mettere una mano e sotto tutte le dita che ci vogliono stare, come abbiamo proposto e poi fatto in Liguria (Pastorino fece il 10% in due mesi, anche se il dato è stato rimosso più o meno da tutti, anche da chi se ne potrebbe giovare).

I lati oscuri della sharing economy

di Nicola Melloni
Uber e Aibnb sono il fenomeno del momento. Al netto delle polemiche, media ed opinione pubblica sembrano in piena estasi per la cosiddetta “sharing economy”. Maggiore offerta, prezzi ribassati, consumatori felici. Tutto vero se non fosse che dietro il consumo esiste una società che ha ben altri bisogni e complessità.
Iniziamo dall’aspetto semantico che è rilevante, e non poco. Di sharing, in questa economy, non vi è proprio nulla. Usare il termine condivisione fa venire in mente – di proposito – una situazione quasi a-economica, e comunque di cooperazione. Condivido la mia casa con chi non ce l’ha e non può permettersela. Do un passaggio al collega per andare al lavoro. O perché no, compro una macchina insieme al vicino di casa, divido le spese e condivido l’utilizzo, nel rispetto reciproco e della natura che ci circonda. Nulla di tutto questo. Non c’è nessuna condivisione e nessuna cooperazione, c’è invece la semplice vendita di un servizio, usando in maniera surrettizia un termine per scavalcare la legislazione corrente.

La lenta crescita del lavoro povero e precario

di Roberto Ciccarelli 
L’Italia si avvia con passo lento verso la società del lavoro povero, a ter­mine e pieno di sco­rag­giati. I dati Istat sugli occu­pati e disoc­cu­pati a set­tem­bre hanno regi­strato il primo arre­sto del lieve incre­mento, dovuto essen­zial­mente ai 15 (forse 20) miliardi ero­gati a piog­gia dal governo Renzi alle imprese con la decon­tri­bu­zione nel Jobs Act. La stima degli occu­pati è dimi­nuita dello 0,2% (-36 mila) e riguarda sia i dipen­denti (-26 mila) sia gli indi­pen­denti (par­tite Iva e para­su­bor­di­nati: –10 mila). Dato con­fer­mato ieri dall’Inps secondo il quale gli iscritti alla gestione sepa­rata sono dimi­nuiti di 49 mila unità nell’ultimo anno e addi­rit­tura del 233 mila dal 2011. In gene­rale, il tasso di occu­pa­zione dimi­nui­sce dello 0,1% atte­stan­dosi al 56,5%, il più basso tra i paesi euro­pei col­piti dalla crisi. Si lavora sem­pre meno e, nel peri­me­tro degli attivi, si lavora sem­pre peggio.

Occupazione in calo, disoccupazione pure. Dov'è l'inghippo?

di Alessandro Avvisato
L'Istat pubblica i dati sull'andamento dell'occupazione e subito i media di regime cercano il numero o la frase che possa giustificare “l'ottimismo” del governo. Stamattina hanno dovuto faticare un po' più del solito, perché il dato è a prima vista inspiegabile.
A settembre 2015, infatti, la stima degli occupati diminuisce dello 0,2% (-36 mila), equamente ripartita tra dipendenti (-26 mila) e indipendenti (-10 mila). Il tasso di occupazione perciò diminuisce di 0,1 punti percentuali, arrivando al 56,5%.
Al tempo stesso, però, la stima dei disoccupati a settembre diminuisce dell'1,1% (-35 mila). E quindi il tasso di disoccupazione, pari all'11,8%, cala di 0,1 punti percentuali, proseguendo il calo di luglio (-0,5 punti) e agosto (-0,1 punti).

La disoccupazione scende, ma solo perché aumentano gli inattivi

di Lidia Baratta
A settembre 2015 sono scesi sia i disoccupati sia gli occupati. I nuovi dati dell’Istat sul mercato del lavoro danno un quadro contraddittorio, che si può spiegare anche con lacrescita degli inattivi, cioè degli scoraggiati che non hanno un lavoro e hanno smesso di cercarlo, soprattutto tra i giovani. A settembre, a fronte di una diminuzione di 36mila occupati e 35mila disoccupati, gli inattivi risultano invece in aumento di 53mila unità. E anche a guardare le formule contrattuali, i contratti a tempo indeterminato, il “lavoro stabile” su cui punta il Jobs Act del governo Renzi, a settembre sono 21mila in meno rispetto al mese precedente.
Il tasso di inattività a settembre è stato pari al 35,8%, in aumento di 0,2 punti percentuali rispetto ad agosto, e calato di pochissimo (-0,1%) rispetto a un anno fa. Iltasso di disoccupazione si attesta invece all’11,8%, il livello più basso da gennaio 2013; quella giovanile si ferma al 40,5%, in diminuzione dello 0,6% rispetto a un anno fa.

Soluzioni di governo e processi di soggettivazione: l’altra faccia della questione Ilva

di Gaetano De Monte
Tra le analisi commissionate da Peacelink nel 2008 che certificheranno l’altissimo livello di contaminazione dei terreni più vicini alla zona industriale di Taranto, e il 20 ottobre di quest’anno, giorno di inizio del processo Ambiente svenduto, c’è una data, in particolare, che rappresenta uno spartiacque nel conflitto ambientale in questione. Il sequestro della fabbrica. È il 26 luglio del 2012 quando il giudice per le indagini preliminari (G.i.p) del tribunale di Taranto, Patrizia Todisco, dispone il sequestro, senza facoltà d’uso, di sei reparti situati all’interno dell’area a caldo dell’Ilva, il polo siderurgico più importante in Italia. Perché l'impianto - così si legge nel provvedimento cautelare - ha causato e continua a causare "malattia e morte", anche nei bambini, e "chi gestiva e gestisce l'Ilva ha continuato in tale attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza". Da quel giorno e negli anni a venire, i maggiori mezzi di informazione a rilevanza nazionale danno ampia copertura ed evidenza a quanto accade a Taranto.

Ritorno al futuro. Green economy, nuova cittadinanza e benessere nelle aree interne

“Esperienze, analisi, governance e buone pratiche per il rilancio delle aree interne” è il tema della giornata di confronto e approfondimento «per individuare percorsi innovativi capaci di sviluppare economie green e qualità della vita nei territori» organizzata a Campobasso da Legambiente in collaborazione con il gruppo di ricerca del Professor Marco Marchetti del Dipartimento di bioscienze e territorio dell’università degli studi del Molise, “Forestry Labs”, con la partecipazione di Unioncamere, e Gal Molise e con il patrocinio di UNIMOL e della Regione Molise.
La presidente di Legambiente Molise, Maria Assunta Libertucci, ha sottolineato che «Questo seminario è frutto di una consolidata collaborazione con l’università degli studi del Molise che ha elaborato studi e analisi di tipo culturale, sociale ed economico sullo sviluppo delle aree interne della nostra regione, fondamentali per l’avvio di una riflessione sullo sviluppo futuro dei piccoli territori non solo molisani».

Expo, inchiesta sul futuro del lavoro nella vetrina del made in Italy

di Roberto Ciccarelli 
Expo è stato l’incubatore di una can­di­da­tura a sin­daco di Milano (l’ad Giu­seppe Sala); la cele­bra­zione del «made in Italy» for­mato vetrina da espor­ta­zione insieme all’immagine vec­chiotta e infon­data della «Milano capi­tale morale» (inchie­ste e arre­sti rimosse, per il momento); l’introduzione del lavoro gra­tis dei volon­tari nel diritto del lavoro ita­liano. Un calei­do­sco­pio della post-modernità truf­fal­dina, vec­chio di vent’anni, che avrebbe potuto essere com­preso con stru­menti più per­ti­nenti della sur­reale pole­mica sugli ingressi alla Disney­Land del «food» di Rho che ha tirato la volata al governo Renzi affa­mato di rari suc­cessi di imma­gine. O se il movi­mento dell’opposizione al dispo­si­tivo di Expo non si fosse disperso dopo il Primo mag­gio, diven­tato il pal­co­sce­nico della contro-manifestazione delle spu­gnette con il cor­teo «Milano non si tocca».

Quel che resta di Expo

di Luca Martinelli
Il Padiglione del Guatemala all’Expo di Milano è una stanza di nemmeno cento metri quadrati. “Molti entrano solo per chiederci di timbrare il passaporto”, racconta la giovane hostess guatemalteca. È ottobre, l’Esposizione universale entra nel suo ultimo mese, ed è tempo di bilanci. 
Quest’esempio ci dice due cose: che Expo è (stata) una fiera gigantesca capace di attrarre milioni di persone, dove il “finto passaporto” è uno dei gadget più acquistati; che le architetture semplici dei cluster -cioè i “padiglioni collettivi”, il Guatemala sta dentro a quello del caffè- non hanno saputo attrarre il pubblico, che si è catapultato altrove, mosso più dalla spettacolarità dei Padiglioni che dall’effettiva possibilità di fare un giro del mondo declinando il rapporto tra agricoltura e sostenibilità, quel “nutrire il pianeta” che avrebbe dovuto rappresentare il filo conduttore dell’Esposizione.

Mazzette, dalla culla alla tomba

di Michele Polo e Alberto Vannucci
Ciliegie, ciliegie smozzicate, antinfiammatori, topolini, Lorazepam. Va sicuramente riconosciuta alla Dama Nera dell’inchiesta Anas, al secolo Antonella Accroglianò, una notevole fantasia linguistica, degna del miglior Bartezzaghi, nel trovare termini con cui riferirsi alle mazzette.
Terminato il breve omaggio, tuttavia, il personaggio restituisce i caratteri squallidi del mondo della corruzione nelle sue declinazioni minori. Perché quello che l’inchiesta romana ha svelato riguarda il lavoro di finitura che accompagna l’esecuzione degli appalti successiva alla aggiudicazione, dove il piatto forte delle mazzette veniva servito. Degli appalti dell’Anas, come del maiale, non si butta via niente.

Dietro l’autodifesa c’è la paura del prossimo

di Massimo Cacciari
Complicato, paradossale, affascinante tema quello della “legittima difesa” - peccato davvero che in Italia, e non solo, lo si debba affrontare nel mezzo del frastuono di demagogie e strumentalizzazioni, cui fanno da controcanto irenismi altrettanto vuoti e sterili appelli a norme intrinsecamente oscure, tali da produrre a getto continuo sentenze contraddittorie.
Per rendere evidente la complessità del problema è sufficiente trascenderne la dimensione “privata” e collocarsi sul piano del diritto internazionale. Non diciamo che sono “persone”, in fondo, anche gli Stati? Nessuno ha mai dubitato del loro diritto di difendersi dall’aggressione. Ma quando si dà il caso concreto dell’aggressione? E la difesa è lecita con ogni mezzo? Siamo certi che i giuristi possano avere l’ultima voce a proposito? O non sarà piuttosto la politica ad assumerla?

L'autogoverno dei poteri forti che si nasconde dietro Renzi

di Michele Prospero
In giro per il mondo, e trasvolando gli oceani, proclama che con le sue riforme istituzionali andrà al plebiscito, per sentire l’odore del comando. Ha prima voluto lo scontro in aula e, per il dopo, pensa di infierire sulle minoranze grazie al sostegno della folla, che aspetta in sua adorazione. E intanto la propaganda di regime fa le prove tecniche di rimbambimento, con le cifre istat sull’ottimismo che è tornato nell’immaginario degli italiani. La sua sensibilità istituzionale, il presidente del consiglio la mette bene in mostra quando ribadisce l’ordine di destituzione del sindaco della capitale, regolarmente eletto e passato attraverso il mito di incoronazione dei gazebo.
C’è un qualcosa di eccessivo, nella esibizione del potere, che potrebbe rivelarsi miope e irritante agli occhi del pubblico. “Coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendano”, scriveva già Machiavelli.

La comunicazione oltre il management neoliberale

di Roberta Pompili
“Un operaio ha mandato in merda i piani della regia” così recitava Alberto Grifi nella sua introduzione ad Anna, per spiegare come, durante la lavorazione del famoso documentario sul caso di una ragazza madre, lui ed altri si ritrovassero sbalzati dalla cabina di regia e costretti a confrontarsi sulla costruzione convenzionale ed artificiosa del film: il genere filmico teneva fuori, di fatto, la vita “reale” di Anna dalla narrazione, i suoi desideri e i suoi affetti, nonché quelli degli altri protagonisti coinvolti nella lavorazione del film. (l’operaio citato è la maestranza che si innamora di Anna ed entra in scena nel set dichiarandole il suo amore).
E l’operaio -nel senso di conflitto di classe- ha di fatto stravolto i piani della regia, se, negli anni successivi allo straordinario ciclo di lotte iniziato con il ’68, ha costretto il capitale a riformulare le sue strategie produttive e di comando, e dunque le stesse strutture della comunicazione.

Democrazia, libertà, tecnologia

Intervista a Raffaella Gherardi di Tommaso Alberini
Raffaella Gherardi è professore ordinario di Storia delle dottrine politiche e Diritti umani, costituzioni e istituzioni presso la scuola di Scienze Politiche dell’Università di Bologna. E’ autrice di numerosi saggi, articoli e pubblicazioni, prevalentemente dedicate al liberalismo italiano ed europeo tra otto e novecento e alle figure di Luigi Ferdinando Marsili e Marco Minghetti.
La Scuola storica dell’economia, nel XIX secolo, sottolineava l’importanza di valutare condizioni storiche, culturali e geo-politiche di una società prima di applicarvi una determinata scelta economica. Oggi il paradigma economico dell’Occidente sembra essere uno solo, applicato ovunque senza distinzioni. La lezione dei “socialisti della cattedra” ha perso di valore?

Il tempo di una generazione

di Luca Martinelli
Un bambino che nasce oggi trova un mondo molto diverso da quello nel quale i suoi genitori, nati negli anni 80, sono stati accolti.È vero, a partire dal 1980 l’Indice di sviluppo umano globale -calcolato dalle Nazioni Unite sulla base di indicatori quali reddito, speranza di vita alla nascita e accesso all’istruzione, va da 0 a 1- ha fatto un balzo in avanti, passando da 0,559 a 0,702 (nel 2013), ma è innegabile che questo sviluppo abbia avuto un prezzo: abbiamo compromesso il Pianeta, rincorrendo la crescita del prodotto interno lordo globale (che nel 2014 ha superato i 75mila miliardi di dollari), senza guardarci intorno. 
Il 13 agosto del 2015 è stato l’Earth Overshoot Day, cioè il giorno in cui l’umanità ha “consumato” tutte le risorse disponibili per l’anno in corso, andando ad intaccarne lo stock e accumulando troppa CO2 in atmosfera. 

Espulsioni. Vivere nel margine sistemico. Intervista con Saskia Sassen

Intervista a Sakia Sassen di Benedetto Vecchi
La con­ver­sa­zione è ini­ziata lad­dove era stata inter­rotta alcuni anni fa. Anche allora la crisi domi­nava la scena. Ma Occupy Wall Street era molto più che una debole spe­ranza, men­tre gli indi­gna­dos sem­bra­vano inar­re­sta­bili. Per Saskia Sas­sen erano segnali di una pos­si­bile inver­sione di ten­denza rispetto alle poli­ti­che eco­no­mi­che e sociali di matrice neo­li­be­ri­sta. E Barack Obama negli Stati Uniti, dove vive e inse­gna, sem­brava ancora capace di sfug­gire alle grin­fie della destra popu­li­sta. Ad anni di distanza, Saskia Sas­sen non ha per­duto l’ottimismo della ragione che ha carat­te­riz­zato molti suoi libri, ma è però con­sa­pe­vole che alcune ten­denze indi­vi­duate sono dive­nute realtà corrente.
Nota per il libro sulle Città glo­bali (Utet), ma anche per le sue ana­lisi sulla glo­ba­liz­za­zione, cul­mi­nate nel volume Ter­ri­to­rio, auto­rità e diritti (Bruno Mon­da­dori), dove Saskia Sas­sen non si limita a foto­gra­fare la glo­ba­liz­za­zione, ma ne ana­lizza la genesi, le tra­sfor­ma­zioni indotte nel sistema poli­tico nazio­nale e la for­ma­zione di cen­tri deci­sio­nali poli­tici sovra­na­zio­nali, messi al riparo dalla pos­si­bi­lità di con­trollo dei «gover­nati», da poco ha pub­bli­cato un nuovo volume (Espulsioni. Brutalità e complessità nell’economia globale, Il Mulino, Bologna 2015). 

Cooperare è più che competere

Intervista a Richard Sennett di Marco Dotti
«Ama il prossimo tuo» ovvero, spiega il sociologo Richard Sennett, «collabora e coopera con lui». Competizione e velocità, termini chiave del tempo presente, «sono altre parole per dire guerra di tutti contro tutti». In nome di che cosa? Dello spread? Del Pil? Del marketing? O del nulla?
Nella Teoria dei sentimenti morali, un libro di capitale importanza nella storia del pensiero e dell'etica occidentali, pubblicato a Edinburgo nel 1759 agli albori della prima rivoluzione industriale, fu il padre dell'economia classica Adam Smith a rimarcare come, negli affari umani, non potendoci mettere materialmente nei panni dell'altro, occorra sempre e comunque far risuonare dentro di noi il suo stato d'animo, provando simpatia per lui. Con il termine simpatia, Smith intendeva definire una spinta emotiva volontaria capace di avvicinarci all'altro, di sentirlo e sentire con lui, trasportandoci «nella sua situazione e permettendo di figurarci nei più minuti particolari ogni minimo episodio in cui possa incorrere chi soffre».

Cosa significa insegnare?

Intervista a Eleonora de Conciliis di Enrico Manera
Studiosa, saggista e insegnante di filosofia nei licei, Eleonora de Conciliis ha recentemente pubblicato Che cosa significa insegnare? (Cronopio 2014). Il volume, agile ma denso, offre una profonda e lucida analisi dello stato dell’insegnamento nel contesto attuale, servendosi di uno strumentario critico molto efficace e legato alla riflessione di autori come Michel Foucault e Pierre Bourdieu. In tal senso il libro fornisce indicazioni concrete sulla dimensione politica della pratiche didattiche.
Chi è l’insegnante oggi e qual è la sua funzione?
"Oggi l’insegnante, in particolare quello italiano e dipendente del sistema d’istruzione superiore, è una figura tragica: un lavoratore socio-economicamente degradato e insieme un ‘intellettuale’, che dovrebbe svolgere una delicatissima quanto paradossale funzione psico-politica: lasciare letteralmente un segno dentro i suoi alunni, cioè avviare, arricchire e rafforzare autonomiprocessi di soggettivazione.

Etica e fotografia: una relazione attuale

di Ilaria Schiaffini
Stragi, massacri e torture affollano oggi i canali di comunicazione: i quotidiani, le televisioni, il web e i social media ci incalzano verso la ricerca di fotografie e filmati di eventi traumatici. Un anno fa la foto di due adolescenti indiane impiccate a un albero dopo essere state violentate da alcuni coetanei maschi nei campi attorno alla loro casa invase i social network, provocando reazioni opposte: nello sdegno condiviso per l’orrore di una duplice violenza, quella fisica e quella mediatica, ciascun utente Facebook o Twitter interrogava il suo turbamento. Le posizioni si dividevano tra chi sentiva l’obbligo morale di postare a sua volta la fotografia per suscitare una reazione morale, sperando di rendere così in qualche modo giustizia alle vittime, e chi riteneva che diffondere quella immagine superasse la soglia di rispetto «del dolore degli altri». Si riproponeva così, moltiplicato per ciascun utente dei social media, il dilemma tra anestetizzazione e reazione morale, tra sentimentalismo e comprensione autentica della realtà già evidenziate a suo tempo da Susan Sontag nel seminale On Photography1.

Kurdistan: Bookchin, Ocalan e i messaggi di libertà

di Janeth Biel
Nel febbraio 1999, nel momento in cui Abdullah Ocalan veniva arrestato in Kenia, Murray Bookchin e io vivevamo a Burlington, nel Vermont. Seguimmo l’arresto di Ocalan sui notiziari. Bookchin provava simpatia per il dramma dei curdi – lo diceva ogni qualvolta l’argomento veniva fuori – ma considerava Ocalan l’ennesimo leader guerrigliero marxista-leninista, uno stalinista dei nostri giorni. Murray aveva criticato questa gente per decenni, per aver fuorviato gli impulsi popolari per la libertà, verso l’autorità, il dogma, lo statalismo e persino – nonostante l’apparenza contraria – verso l’accettazione del capitalismo.
Bookchin stesso era stato uno stalinista negli anni trenta, quando era adolescente; si allontanò alla fine del decennio e si unì ai trotskisti. A quell’epoca i trotskisti pensavano che la seconda guerra mondiale si sarebbe conclusa con rivoluzioni proletarie socialiste in Europa e negli Stati Uniti, allo stesso modo con cui la Prima Guerra Mondiale aveva dato origine alla Rivoluzione Russa.

A un mese dalla Cop 21 di Parigi: scarsi gli impegni dei Paesi ricchi

di Luca Aterini
La prossima Conferenza Onu sul clima inizierà tra un mese esatto a Parigi, con un obiettivo determinante: raggiungere un accordo globale che limiti l’avanzata del riscaldamento globale entro +2 °C rispetto ai livelli pre-industriali, la soglia di sicurezza oltre la quale gli impatti dei cambiamenti climatici si prevedono catastrofici. I negoziati inizieranno il 30 novembre nella capitale francese per concludersi, e in 12 giorni la quadratura del cerchio andrà trovata.
Rispetto alle fallimentari Cop che l’hanno preceduta, quella di Parigi si appresta ad iniziare all’insegna di un impegno politico maggiore. Prima l’Unione europea, poi gli Usa e la Cina (rispettivamente il terzo, secondo e primo emettitore di gas serra al mondo) si sono impegnati a tagliare le proprie emissioni di CO2, e questo – secondo autorevoli analisti come lord Nicholas Stern – rende «sempre più probabile che il mondo possa evitare di superare i 2 °C» di riscaldamento globale.

Che cos’è il socialismo democratico di stile americano?

di Peter Dreier
Ora che la campagna presidenziale del senatore Bernie Sanders sta creando molta attenzione sui media, la parola “socialismo” compare nei notiziari. Pochi americani, però, sanno che cosa è e che cosa intende Sanders quando si definisce “socialista democratico.”
Nei primi anni del 1900, i socialisti capeggiavano il movimento per il diritto di voto delle donne, per le leggi sul lavoro minorile, per le leggi per la protezione dei consumatori, e per l’imposta progressiva sul reddito. Nel 1916, Victor Berger, membro socialista del Congresso, di Milwaukee (nel Wisconsin) sponsorizzò il primo progetto di legge per creare le “pensioni di vecchiaia.” Il progetto non arrivò molto lontano, due decenni dopo, durante la Depressione, il presidente Franklin D. Roosevelt, persuase il Congresso a mettere in atto il sistema previdenziale. Anche allora, alcuni critici lo condannarono come una cosa poco americana.

Netanyahu fa il gioco dei negazionisti

Intervista a Dror Dayan di Wladek Flakin e Raoul Rigault
Sono finite per un giorno in prima pagina sulla stampa internazionale le affermazioni del premier israeliano Benjamin Netanyahu, secondo cui Adolf Hitler in realtà non voleva lo sterminio degli ebrei europei, ma soltanto la loro espulsione verso Palestina ed era il Mufti di Gerusalemme a spingere i nazisti all’Olocausto. Tesi che hanno lasciato tanti osservatori senza parole anche conoscendo la mancanza di scrupoli da parte di Netanyahu.
Ciononostante la protesta che è seguita alle sue dichiarazioni, non è facile contestare le falsificazioni di “Bibi” in pubblico come si è potuto vedere a Berlino qualche giorno fa in occasione della sua visita alla Merkel. Il quotidiano della sinistra alternativa tedesca “Junge Welt” (www.jungewelt.de) ha pubblicato il 28 Ottobre 2015 un’intervista con l’attivista israeliano del movimento di solidarietà Dror Dayan che è stato arrestato proprio per una tale contestazione.

Contro l’Europa tedesca serve un’Europa “europea”. Un manifesto....

L'Europa sta attraversando una delle peggiori crisi esistenziali della sua storia. L’imminente referendum britannico sull’UE e il protrarsi della crisi dell’euro rischiano di indebolire ulteriormente il principio della solidarietà europea. Allo stesso tempo, molti altri Stati, sulla spinta dei partiti conservatori, euroscettici e di estrema destra, potrebbero essere tentati di seguire l’esempio britannico. Studi recenti dell’OCSE dimostrano che, con l’eccezione dei paesi scandinavi, le divisioni sociali continuano ad aumentare in tutti gli Stati europei, a beneficio dei partiti di estrema destra. Le politiche di austerità, imposte all’Europa su pressione della Germania, hanno ulteriormente esacerbato queste forze centrifughe, che ora rischiano mettere a repentaglio l’Europa senza frontiere. Tutto questo va a detrimento dell’idea di Europa. Per contrastare questo processo, noi socialdemocratici tedeschi abbiano deciso di lanciare il seguente appello.
1. Quali regole per l’Europa?
Per coesistere pacificamente, l’Europa ha bisogno di regole. Questo è chiaro. Ma queste regole devono essere decise in maniera equa e collettiva e devono essere in linea con i diritti umani e sociali sanciti nel Trattato di Lisbona. Al contrario, negli ultimi anni il governo tedesco guidato dalla cancelliera Angela Merkel ha imposto severe misure di austerità agli altri paesi europei. Questo tipo di politica, che sta determinando un’Europa sempre più “tedesca”, deve essere abbandonata a favore di un’Europa più “europea”.
2. Una Germania che privilegia gli obiettivi elettorali rispetto a quelli europei è una Germania priva di bussola storica
Dal 2010 la cancelliera Merkel ha orientato la sua politica europea sulla base di considerazioni meramente elettorali, senza alcuna bussola storica. I “pacchetti di salvataggio” offerti alla Grecia hanno salvato le banche tedesche e francesi scaricando i costi sulle spalle dei cittadini greci sotto forma di nuovo debito, che il paese non è stato in grado di rimborsare a causa della simultanea imposizione di severe misure di austerità. Il governo federale tedesco ha sfruttato la sua posizione dominante all’interno dell’Eurogruppo per rendere tabù qualunque discussione pubblica in merito a queste politiche.
3. La politica tedesca ha raggiunto un’impasse
Senza un alleggerimento del debito – che il governo tedesco considera alla stregua di un taglio del debito e si rifiuta dunque di prendere in considerazione – sarà impossibile ricreare un clima favorevole agli investimenti e alla crescita e la Grecia sarà costretta a ricevere un “pacchetto di aiuti” dopo l’altro per evitare il collasso dell’economia. Questo causerà ulteriori problemi per Angela Merkel in futuro. L’alternativa di Wolfgang Schäuble – la Grexit temporanea – farebbe sprofondare la Grecia nel caos economico. Entrambi i politici, in altre parole, si trovano in un vicolo cieco.
4. Merkel e Schäuble stanno puntano entrambi ad un’Europa “tedesca”
Per ragioni diverse e con metodi diversi, sia la Merkel che Schäuble stanno creando un’Europa “tedesca”. Sta diventando sempre più difficile per la Merkel conciliare le politiche di austerità con i suoi obiettivi elettorali, poiché le promesse di ripresa economica tardano a realizzarsi. Schäuble, dal canto suo, sembra intento a sfruttare la situazione di crisi permanente per imporre al resto dell’Europa un impianto regolatorio tedesco per mezzo delle politiche di austerità. Entrambi i politici stanno riportando l’Europa sotto il giogo della Germania, secondo le stesse logiche di dominio del secolo scorso.
5. Un’Europa “tedesca” ossessionata dalle regole e in mano alla tecnocrazia è un pericolo per la democrazia e per la pluralita
Merkel e Schäuble rifiutano misure a favore di una maggiore solidarietà intraeuropea perché non si fidano del senso di responsabilità democratica degli altri paesi europei, in particolari quelli del Mediterraneo. Preferiscono dunque l’istituzionalizzazione su base permanente delle politiche di austerità tedesche, sostituendo i tradizionali meccanismi democratici con sistemi di controlli tecnocratici.
6. Politica senza alternativa? La partecipazione dei socialdemocratici al governo di coalizione
Anche se l’SPD ha preso le distanze dalle politiche di austerità del governo tedesco, la sua partecipazione alla coalizione vuol dire che condivide la responsabilità per queste politiche, che in Grecia hanno preso la forma di tagli alle pensioni, ingiusti aumenti dell’IVA, privatizzazioni e attacchi al sindacato e alla contrattazione collettiva, che hanno avuto l’effetto di far crollare la domanda greca e di mettere in ginocchio l’economia del paese. Le “riforme” neoliberali e le politiche procicliche di austerità offuscano la sostanza delle politiche socialdemocratiche e sono in contraddizione con la tradizione internazionalista dell’SPD. Queste riforme sono anche in contraddizione con l’implementazione di politiche socialdemocratiche in Germania.
7. È necessario un riorientamento radicale delle politiche europee dell’SPD a livello federale – per un’Europa “europea” contro l’Europa “tedesca”!
Le politiche della cancelliera Merkel e del ministro Schäuble sono in contrasto con gli interessi della maggioranza dei tedeschi e degli europei, vittime delle politiche di austerità. La rinazionalizzazione delle politiche europee favorisce gli interessi tedeschi nel breve ma va contro gli interessi a lungo termine del paese e risveglia stereotipi nazionalistici che si ritenevano superati. Nei prossimi mesi ed anni, dunque, ci impegneremo per creare un’Europa democratica ed “europea”, per la giustizia, la solidarietà, la diversità e la prosperità in Grecia e nel resto dell’Europa. Un’Europa “europea” basata non sulla dominazione tedesca ma sul senso di responsabilità, sulla capacità di discernimento, sul coraggio e sull’impegno di tutti gli europei.
8. Per un’Europa “europea”
Per rimettersi in piedi, la Grecia ha bisogno di investimenti pubblici e privati, oltre che di un alleggerimento del debito e di riforme strutturali che vadano veramente a beneficio della società e del governo greci, da essere decise ed implementate preferibilmente sotto la supervisione dell’OCSE e della task force dedicata della Commissione europea. Questo vuol dire combattere la corruzione e riformare il sistema giudiziario, catastale, fiscale, pensionistico e della previdenza sociale – riforme che è più facile portare avanti in un clima di crescita che in uno di recessione.
9. Una conferenza europea sul debito e maggiore fiducia nel senso di responsabilità degli europei
È necessaria una conferenza europea sul debito per permettere a tutti quei paesi soffocati dal debito di tornare a crescere. La solidarietà dimostrata dalla società tedesca nei confronti dei rifugiati dimostra che un nuovo inizio per la Germania e per l’Europa, basato sulla solidarietà, è possibile. La società tedesca ha dimostrato di essere molto migliore di quanto pensassero i governi dell’Unione. I socialdemocratici tedeschi hanno sostenuto fin dall’inizio questa dimostrazione di solidarietà. Le politiche miopi della cancelliera non hanno alcuna visione strategica e sul fronte delle politiche migratorie alternano tra dichiarazioni altisonanti e proposte amministrative dal respiro molto corto (come per esempio il rafforzamento dei controlli alle frontiere). Questo dimostra quanto sia grande il potenziale di solidarietà dei cittadini e quanto questo potenziale possa andare perduto a causa di strategie miopi. La socialdemocrazia deve perseguire una politica migratoria ed europea che sia efficace e che sia capace di catalizzare lo spirito di solidarietà dei cittadini.
10. Politiche per i rifugiati: un’occasione per ravvivare la socialdemocrazia a favore di un’Europa unita
La socialdemocrazia tedesca ha sempre messo la solidarietà con i rifugiati al centro della sua battaglia politica. Le recenti esternazioni di solidarietà dei cittadini tedeschi potrebbero rappresentare l’occasione per un nuovo inizio, necessario per preservare l’UE e favorirne lo sviluppo. Una politica europea solidale che sia in grado di offrire una strategia realistica per affrontare il dramma dei rifugiati è non solo negli interessi di breve termine della Germania ma anche negli interessi di lungo termine dell’Europa, e potrebbe favorire l’emergere di una politica migratoria comune.
11. Metodi per favorire l’integrazione europea – contributi utili dalla Germania
Una maggiore integrazione istituzionale dell’UE che sia rispettosa delle differenze economiche presenti in Europa richiede un’impostazione di politica economica radicalmente diversa. Un ministro delle Finanze europeo non può agire in maniera “neutrale”. La socialdemocrazia non può farsi portavoce di quella che sarebbe la definitiva istituzionalizzazione dell’austerità a livello europeo; serve invece un approccio cooperativo alle politiche economiche e un accordo sul bilancio europeo di lungo termine, come ha suggerito di recente il ministro dell’Economia francese Emmanuel Macron. Senza un approccio di questo tipo, l’unione monetaria, da cui tutti i paesi (a partire dalla Germania) traggono beneficio, non può esistere. Dobbiamo trovare la maniera di legittimare le decisioni prese collettivamente sia a livello nazionale che europeo. Questo vuol dire rendere più trasparente il funzionamento dell’Eurogruppo, rendendolo responsabile dinnanzi ad un “parlamento dell’eurozona” che potrebbe operare come braccio del Parlamento. La partecipazione dei rappresentanti della società civile al processo decisionale ed un contributo finanziario da parte della Germania per aiutare gli altri paesi ad affrontare la crisi dei rifugiati, a partire dalla Grecia, contribuirebbero alla credibilità della politica tedesca in Europa.
12. Un’Europa “europea” che sia un inno alla gioia e alla diversità
Vogliamo un’Europa “europea” che sia in grado di portare pace, libertà, giustizia e solidarietà nel mondo e in cui – come recita l’inno europeo – sia una gioia vivere.

Manifesto sottoscritto dai seguenti esponenti della socialdemocrazia tedesca: Andreas Botsch, Sebastian Dullien, Detlev Ganten, Jörg Hafkemeyer, Klaus Harpprecht, Uwe-Karsten Heye, Gustav Horn, Henning Meyer, Wolfgang Roth, Dieter Spöri, Angelica Schwall-Düren, Gesine Schwan, Ernst Stetter, Heidemarie Wieczorek-Zeul, Erhard Eppler. 

Fonte: Eunews - Oneuro

In Nepal una presidente femminista e comunista

di Emanuele Giordana 
Il nuovo capo dello Stato del Nepal è una donna. Una donna comu­ni­sta. Ha 54 anni, si chiama Bid­hya Devi Bhan­dari e ha un cur­ri­cu­lum di tutto rispetto dove spic­cano le bat­ta­glie in difesa delle donne in una società domi­nata dai maschi e dalle caste alte che det­tano ancora – anche se forse sem­pre meno – la legge non scritta della tradizione.
La sua ele­zione è una sor­presa due volte. Per­ché per una donna non è facile farsi strada in Nepal e lei è la prima donna pre­si­dente del suo Paese e per­ché il suo sfi­dante, Kul Baha­dur Gurung, è comun­que una figura di peso anche se ha perso: è il lea­der del Con­gresso nepa­lese, il primo par­tito del Paese. Ma il voto del par­la­mento, dove il secondo e il terzo par­tito sono della mede­sima area, le ha dato una mag­gio­ranza piena: 327 voti su 549.

L’odore del sangue sulle elezioni turche

di Enrico Campofreda
L’odore del sangue e l’ossessione dei numeri offuscano le elezioni di domenica. Il sangue, frutto di stragi o di repressione, si vede in continuazione tanto il clima socio-politico turco è infiammato e rischia la degenerazione in un conflitto diffuso. 
I numeri sono uno spettro, sia quando si macchiano di rosso con le 32 vittime degli ordigni di Suruç e le 102 di Ankara, oppure gli oltre cento militari colpiti a morte dalla riattivata guerriglia kurda e le centinaia e centinaia di civili kurdi fatti bersaglio da una controguerriglia che l’esercito turco rivolge agli abitanti dei villaggi del sudest. 

Portogallo, debutto del governo degli zombies

di Argiris Panagopoulos
Con data di scadenza il 10 di novembre il governo degli zombies di Passos Coelho, in tutto 15 ministri e 36 segretari, assume oggi le sue responsabilità, grazie al colpo di stato costituzionale del conservatore presidente della repubblica Cavaco Silva.
La Commissione Politica del Partito Socialista già dalla scorsa settimana aveva dato indicazione al gruppo parlamentare del partito di preparare la mozione di sfiducia del nuovo governo.
Il nuovo governo si presenterà oggi alle 13.oo ore italiane in una cerimonia ufficiale e avrà la su prima riunione alle 16.30 ore italiane, mente la cosa più probabile è che lo stesso momento i socialisti, il Blocco della Sinistra e il Partito Comunista Portoghese prepareranno una mozione di sfiducia comune contro il resuscitato governo della destra, dopo la proposta del gruppo parlamentare del Blocco di Sinistra Pedro Felipe Soares, con la quale sembra di essere d’accordo anche il segretario generale del PC Portoghese Jeronimo de Sousa. 

Affrontare l’ovvia verità: l’Autorità Palestinese vs. il popolo

di Ramzy Baroud
Sareb Erekat è un personaggio enigmatico. Malgrado una popolarità minima tra i palestinesi, è onnipresente, appare regolarmente alla televisione e parla con l’autorità morale di un esperto leader la cui eredità è piena di lodi e di una visione perspicace e risoluta.
Quando i palestinesi sono stati intervistati dal Centro di Gerusalemme per i Media e le Comunicazioni (JMCC) in agosto, proprio prima dell’attuale Intifada, soltanto il 3% approvava la sua leadership – paragonato con l’indice di approvazione ancora esiguo del 16% del suo capo, il Presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas. Anche coloro che sono spesso votati come leader alternativi – il leader di Fatah, Marwan Barghouti, e l’ex primo ministro del governo di Hamas, con base a Gaza, Ismail Haniyeh –non si sono per nulla avvicinati alla popolarità, avendo raggiunto, rispettivamente, il 10,5% e il 9,8% dei voti.

venerdì 30 ottobre 2015

Sottrarsi al pensiero unico

di Francesco Gesualdi
Provenienti da vari punti della Calabria, una trentina di giovani hanno partecipato al seminario organizzato da R-Evolution a Lamezia Terme il 16-17 ottobre, per riflettere sui percorsi possibili di economia etica. Di un’economia, cioè, non più organizzata per il profitto di pochi in spregio della dignità umana e dell’integrità del creato, ma al servizio della persona, nel rispetto dell’ambiente.
L’eccezionalità dell’evento sta non solo nella giovane età dei partecipanti, mediamente fra i 18 e i 30 anni, ma anche nell’aver dimostrato che esiste ancora qualcuno capace di sottrarsi al pensiero unico e dire basta a un’economia che oltre ad avere prodotto iniquità e situazioni umane intollerabili, sta mettendo a repentaglio il futuro dell’essere umano sul pianeta Terra. Lo dimostrano le risorse sempre più scarse, i rifiuti accumulati a tal punto da compromettere equilibri millennari come il clima, l’esistenza di una grande massa di persone condannata alla povertà estrema fino alla fame.

Comprensione per Mineo. Ora la sinistra

Intervista a Paolo Ferrero di Andrea De Angelis 
Il senatore Corradino Mineo lascia il gruppo del Pd a Palazzo Madama e passa automaticamente al gruppo Misto. Ieri, su queste pagine, lo stesso Mineo ha spiegato il motivo del suo addio, non risparmiando critiche a chi, come Bersani, non porta avanti fino in fondo le battaglie politiche. IntelligoNews oggi ha sentito a tal propositoPaolo Ferrero, il quale ha anticipato che a cavallo tra dicembre e gennaio ci sarò l’inizio di un nuovo soggetto politico a sinistra…
Ieri Civati e Fassina, oggi Mineo, domani chissà chi. A dircelo è stato lo stesso senatore Mineo, il quale non ha risparmiato frecciatine a colleghi di partito, partendo da Bersani. C’è il rischio che Renzi elimini tutti uno ad uno?
«Non voglio rilasciare commenti sulla vicenda interna al Pd. Posso parlare del partito in quanto tale, ma non delle dinamiche interne. Così come il fatto che questi se ne possano andare, io evito di parlare. Capisco Corradino, c’è stato dentro fino a ieri.

A carte scoperte

di Norma Rangeri
Il sin­daco Marino ha riti­rato le dimis­sioni. Lo ha fatto, come aveva annun­ciato, entro i venti giorni pre­vi­sti da quel 12 otto­bre quando la scelta di dimet­tersi era arri­vata sull’onda di alcuni espo­sti per la vicenda degli scon­trini fasulli. Ora, final­mente, il Pd, quello romano scre­di­tato dall’inchiesta di mafia-capitale e quello nazio­nale gover­nato dall’uomo solo al comando, è nudo di fronte alla que­stione romana che in sé, per la via “extra­par­la­men­tare” che l’ha con­no­tata, rias­sume la que­stione democratica.
Il ritiro delle dimis­sioni toglie di mezzo alibi e ipo­cri­sie, fa piazza pulita della foglia di fico degli scon­trini usati per gestire, con un com­mis­sa­rio di gra­di­mento ren­ziano, l’importante par­tita del Giu­bi­leo. È peral­tro curioso l’accostamento — da parte del governo — tra la mani­fe­sta­zione cat­to­lica del pel­le­gri­nag­gio reli­gioso con l’Expo, una mani­fe­sta­zione laica misu­rata più che con il sof­fio dello spi­rito santo con i bilanci tra costi e ricavi.

Mineo ce l’ha fatta, ce la potete fare anche voi

di Lucia Del Grosso
A chi resta nel PD nonostante il PD perché io non me ne vado, mi devono cacciare loro: naaaaaaaaaaaa, a Matteo siete utili dove state, qualcuno deve avergli detto della politica del doppio forno, perché è vero che Verdini è un amico, ma in politica occorre tenere a bada anche gli amici, per cui non si deve mettere in testa che è indispensabile. Se alza la posta può sempre usare voi come esercito di riserva. Potrete sempre dire “Che figata il metodo Mattarella, no, Matteo?”. E so’ soddisfazioni.
A chi resta nel PD nonostante il PD perché fuori del PD non c’è niente. Che ci volete fare, capita a volte nella storia. Per esempio lapanissianamente prima della nascita dei partiti operai non c’erano i partiti operai. Poi qualcuno ha pensato di organizzare i partiti per rappresentare gli interessi dei lavoratori, mica ha detto “il Padreterno si è dimenticato di crearli”. Poi se aspettate che siano gli altri ad organizzare una reale alternativa al partito di Renzi mentre voi state a guardare non vi lamentate se a quelli che si mettono all’opera girano un po’ le balle e vi mandano un saluto un po’ colorito.

Il guscio vuoto dell'antipolitica

di Loredana Biffo
Alexis DeTocqueville, nella sua definizione della modernità, nel suo studio La Dèmocratie en Amerique, ha indubbiamente percorso molti temi che sono ancora attuali, e certamente il paradigma tra la sua definizione di “grigio uomo comune” e la civiltà di massa con il suoconformismo, capace di imporre i suoi rozzi metodi e i suoi sentimenti edonistici; c’è e una stringente necessità di mettere il focus sul controverso rapporto che l’Italia ha sempre avuto con il fascismo in primis, e le varie forme di populismo, è un’operazione complessa ma necessaria.
La schizofrenica situazione politica italiana, è sotto gli occhi di tutti. Mai fuoriuscita dalla torsione antidemocratica e fortemente populista imposta dal ventennio berlusconiano, accompagnato dal populismo fascistoide e razzista della Lega, ha portato a galla la matrice gretta e falsamente rivoluzionaria della storia degli italiani, le inclinazioni e i sentimenti populisti: “la pancia che gorgheggia”.

Laboratorio Roma per un Pd renziano sempre più a destra

di Andrea Colombo
La capi­tale morale sarà pure Milano, ma è a Roma che si sta già gio­cando, e tanto più si gio­cherà nei pros­simi mesi, una par­tita la cui valenza va molto oltre le pur non tra­scu­ra­bili mura capi­to­line. Alla fine dell’incontro di mar­tedì notte tra Mat­teo Orfini e Igna­zio Marino, la dele­ga­zione del Naza­reno aveva ben chiaro in mente cosa sarebbe suc­cesso oggi, e la brutta noti­zia non ha tar­dato a rim­bal­zare oltreo­ceano. Al pre­mier, nella notte, il qua­dro è stato imme­dia­ta­mente chiaro: se da un lato è a que­sto punto fon­da­men­tale otte­nere la caduta della giunta Marino, dall’altro quella caduta non può essere pro­vo­cata da una tor­bida siner­gia tra il Pd, Forza Ita­lia e il Movi­mento 5 Stelle.
Fosse solo una que­stione di arit­me­tica, il tetto di con­si­glieri dimis­sio­nari neces­sa­rio per chiu­dere i gio­chi col riot­toso sin­daco ver­rebbe facil­mente supe­rato, e se non si trat­tasse di Roma si potrebbe pro­ce­dere senza indugi.

Deformata la Costituzione, nasce il comitato referendario

Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale annuncia la costituzione del Comitato che sosterrà il No nel referendum confermativo sulle modifiche della Costituzione, che sono state fortemente volute dal governo Renzi ed imposte al Parlamento come parte essenziale del suo programma politico. Il Senato il 13 ottobre ha approvato il ddl Boschi Renzi con modifiche marginali, senza ascoltare gli appelli a non manomettere la Costituzione, nata dalla Resistenza, provenienti da autorevoli costituzionalisti e da tanti cittadini che pensano che i principi fondamentali su cui si regge la democrazia in Italia dovrebbero essere affrontati con la prudenza e il rispetto che meritano.
Il giudizio negativo sul testo della riforma approvata dal Parlamento si fonda anche sull’interazione fra le modifiche costituzionali e la nuova legge elettorale (l’Italicum) che ripropone amplificandoli gli stessi aspetti di incostituzionalità del porcellum che la Consulta ha censurato con la sentenza n. 1/2014.

M5S e alleanze: cade l'ultimo tabù?

di Pierfranco Pellizzetti
Contrordine compagni! Non per fare il Giovanni Guareschi di turno, ma i tanti che in passato si presero la briga di insultare il blogger, quando invitava a tener conto dei dati di realtà in ambito politico, dovrebbero come minimo iniziare a meditare sulla caduta dell’ultimo tabù del Movimento Cinquestelle: il divieto assoluto di stringere accordi. Che corrisponde a un ulteriore, importante passo verso la conquista del buonsenso e la maturazione strategica al servizio delle auspicate pulizie nella stalla della politica politicante. Almeno stando a quanto risulta essere stato detto nei recenti incontri romani tra Casaleggio e la task force che si prepara ad affrontare la sfida elettorale del dopo-Marino. Il principio che codesto blogger continuava a ripetere sempre più stancamente: nell’arena pubblica il primo compito di un soggetto politico non è testimoniare a futura memoria (beandosi della propria purezza incontaminata) quanto modificare i rapporti di forza vigenti, per affermare logiche alternative.

I falsi anticorpi di Cantone

di Paolo Berdini
Criminogena. Que­sto è il giu­di­zio che Raf­faele Can­tone ha recen­te­mente dato alla legge «Obiet­tivo del 2001» con cui sono stati per­pe­trati gradi scempi ambien­tali e urba­ni­stici. Nono­stante que­sto pesante giu­di­zio quella legge è ancora in vigore: Mat­teo Renzi si guarda bene dall’abrogarla. Sono state sol­tanto accan­to­nate alcune opere inu­tili, ma le pro­ce­dure sem­pli­fi­cate fanno ancora gola. Siamo dun­que in un paese che lascia in vita una legge cri­mi­no­gena e in una città che ha con­tri­buito per numero e qua­lità a riem­pire le patrie galere.
Appena dieci giorni fa a Milano sono stati arre­stati il vice­pre­si­dente della Giunta regio­nale e vari altri galan­tuo­mini. Tutto mira­co­lo­sa­mente supe­rato. Raf­faele Can­tone ha affer­mato durante una ceri­mo­nia di esal­ta­zione di Expo 2015 che Milano ha riat­ti­vato gli anti­corpi con­tro la cor­ru­zione.

Cantonate in libertà

di Anna Lombroso 
Non so a cosa dobbiamo l’esserci risparmiati il coretto “Milan l’è on gran Milan”, forse alla loro naturale compostezza, a quella severità laboriosa, a una proba indole al lavoro e al risparmio, in assenza delle quali i napoletani passano la vita a cantare O sole mio, mangiando indolentemente spaghetti c’a a pummarola ‘ncoppa a spese nostre, come ebbe a osservare acutamente la ministra Fornero. Per non dire dei romani, sudditi di qualsiasi papa re salga su soglio e trono, inguaribili parassiti, indifferenti e scioperati. Ah, naturalmente i siciliani sono tutti mafiosi, i calabresi schiavi della ‘ndrangheta che hanno cercato di esportare senza riuscirvi per via degli anticorpi e delle poderose difese immunitarie dell’operoso e onesto popolo lumbard. Dimenticavo: i genovesi sono talmente taccagni che non spendono nemmeno per risanare il loro territorio e difendersi dalle bombe d’acqua. Che altro? I vicentini “magnano i gati”, quelli del nord sono polentoni e quelli del Sud terroni.

Nessuna tassazione senza rappresentanza

di Alessandro Volpi
Le ultime Leggi di stabilità e le varie modifiche normative introdotte di recente tendono a dar vita a un forte centralismo istituzionale, destinato a generare non poche conseguenze. I tre livelli in cui era articolata la dinamica delle funzioni e delle competenze amministrative si sono di fatto significativamente ridotti, non solo per il progressivo esaurimento delle Province ma anche per il deperimento degli altri due livelli, a cui sono sottratte prerogative vitali. Ormai è sparita l’autonomia finanziaria dei Comuni: lacancellazione dell’Imu e della Tasi sulla prima casa, il permanere del gettito sui fabbricati produttivi nelle mani dello Stato e la natura tariffaria della tassazione sui rifiuti hanno privato gli enti locali di qualsiasi capacità di prelievo fiscale autonomo. In estrema sintesi, ai Comuni è rimasta la possibilità di agire soltanto sulle aliquote dell’Imu sulle seconde case dal momento che la calda esortazione del presidente del Consiglio a non toccare le aliquote della compartecipazione Irpef ha limitato anche l’utilizzo di questo strumento.