La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 31 ottobre 2015

Affrontare l’ovvia verità: l’Autorità Palestinese vs. il popolo

di Ramzy Baroud
Sareb Erekat è un personaggio enigmatico. Malgrado una popolarità minima tra i palestinesi, è onnipresente, appare regolarmente alla televisione e parla con l’autorità morale di un esperto leader la cui eredità è piena di lodi e di una visione perspicace e risoluta.
Quando i palestinesi sono stati intervistati dal Centro di Gerusalemme per i Media e le Comunicazioni (JMCC) in agosto, proprio prima dell’attuale Intifada, soltanto il 3% approvava la sua leadership – paragonato con l’indice di approvazione ancora esiguo del 16% del suo capo, il Presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas. Anche coloro che sono spesso votati come leader alternativi – il leader di Fatah, Marwan Barghouti, e l’ex primo ministro del governo di Hamas, con base a Gaza, Ismail Haniyeh –non si sono per nulla avvicinati alla popolarità, avendo raggiunto, rispettivamente, il 10,5% e il 9,8% dei voti.
E’ stato come se i palestinesi stessero dicendo a noi e alle loro dirigenze tradizionali, in particolare, che erano stufi della vecchia retorica, delle costanti delusioni, della corruzione sfacciata e della cultura della sconfitta che ha permeato l’élite palestinese per un’intera generazione.
Abbas ha fatto funzionare il suo ufficio politico in base alla supposizione che, fino a quando i palestinesi ricevono i loro salari mensili e sono soddisfatti delle sue vuote promesse e delle minacce occasionali – di dimettersi, di resistere contro Israele, di lanciare notizie bomba nei suoi discorsi all’ONU, ecc. – allora nessuno è probabile che contesti il suo regno nelle zone A e B – piccoli cantoni all’interno della Cisgiordania occupata e di Gerusalemme.
Erekat è stato il principale “facilitatore” di quella farsa, perché il ‘principale negoziatore’ il cui mandato protratto in quella carica precaria non ha negoziato nulla di valore per i palestinesi.
Nel 2002 ho seguito l’invasione israeliana delle aree apparentemente semi-autonome dell’Autorità Palestinese in Cisgiordania, quando Erekat ha fatto un appello sulla televisione araba Al-Jazeera al governo israeliano di esercitare la saggezza e il buon senso. L’intera comparsa della leadership dell’AP andava oltre il tragico, prova che non aveva alcuna autorità reale propria, e nessun controllo sugli eventi sul terreno quando i combattenti palestinesi hanno lottato contro l’esercito israeliano che invadeva di nuovo. Erekat faceva appello a Israele perché si sentiva sinceramente tradito dal suo violento attacco.
Quando Al-Jazeera rese noti migliaia di documenti segreti nel maggio 2011, rivelando discussioni a porte chiuse tra i negoziatori israeliani e palestinesi, Erekat ha avuto la parte più grossa della colpa. Con un chiaro mandato da parte dei suoi superiori, è sembrato non interessato a molte aspirazioni politiche palestinesi, compresa la sovranità a Gerusalemme Est occupata – la scintilla che sta dietro l’Intifada attuale e quelle precedenti. Ha offerto a Israele la “più grossa Yerushalaim nella storia ebraica, un numero simbolico di ritorno di profughi, lo stato demilitarizzato…che cosa di più posso dare?”. Queste sue parole sono state citate nei Documenti Palestinesi.
La cosa particolarmente interessante riguardo a Erekat, e ugualmente valida per la maggior parte dei leader e funzionari dell’AP, è che, indipendentemente da quanto siano devastanti i loro ruoli – che continuano a recitare sia tramite l’incompetenza politica o la corruzione totale – non sembra che se ne vadano. Potrebbero cambiare posizione, gironzolare attorno allo stesso circolo di dirigenza fallita, ma tendono a riemergere e a rigurgitare ripetutamente il solito vecchio linguaggio, i luoghi comuni, le vuote minacce e promesse.
Dopo essersi ritirati per poche settimane mentre i giovani dell’Intifada scendevano nelle strade a protestare contro l’occupazione israeliana, i portavoce dell’AP, compreso Erekat, sono di nuovo sulla scena e parlano di occasioni sprecate per la pace, dei soluzione dei due stati e tutti i discorsi inadeguati, come se la pace fosse stata mai davvero a portata di mano, e se la cosiddetta ‘soluzione dei due stati’ fosse davvero una soluzione.
In una recente intervista per la rubrica ‘UpFront, di Al-Jazeera, Erekat ha avvertito che l’AP era sul punto di ‘cessare l’attività’, come se proprio la sua esistenza fosse un valore di per se stesso. Istituita nel 1994 come organismo politico di transizione che avrebbe guidato il processo dell’indipendenza palestinese, l’AP si è trasformata per diventare un ramo della sicurezza che serviva come prima linea di difesa per l’esercito israeliano, oltre a sorvegliare i suoi propri interessi. Miliardi di dollari dopo, e in seguito a un addestramento intensivo fornito dagli Stati Uniti, dal Regno Unito, dall’Italia e da altri paesi occidentali e da paesi arabi ‘moderati’, le forze di sicurezza dell’AP hanno fatto lo splendido lavoro di reprimere più severamente qualsiasi dissenso tra i palestinesi.
Perché, quindi Erekat ora avverte del crollo dell’AP come se la patetica dirigenza a Ramallah fosse il centro di tutto quello a cui hanno sempre aspirato i palestinesi?
“Ben presto Netanyahu scoprirà che è l’unico responsabile tra il fiume Giordano e il Mediterraneo perché sta distruggendo l’Autorità Palestinese,” ha detto Erekat. E allora? Secondo le Convenzioni di Ginevra che designano Israele come Potenza Occupante, Netanyahu in realtà è responsabile del benessere, della sicurezza e della salute di palestinesi in stato di occupazione, fino a quando venga assicurata una giusta soluzione politica e attuata dalla comunità internazionale.
Usando la stessa tattica che, insieme ad Abbas e ad altri funzionari dell’AP, è stata utilizzata ripetutamente in passato, ha promesso che “presto, molto presto, sentiremo parlare di alcune decisioni” sullo scioglimento dell’AP. Importa poco che cosa Erekat e il circolo di Ramallah determinano come corso d’azione appropriato. Non soltanto il suo linguaggio è diventato obsoleto e i suoi riferimenti irrilevanti, ma l’intera farsa del ‘processo di pace’ di Oslo che non ha portato nulla di più che altri insediamenti illegali e tormento militare – è morta molto tempo fa. Infatti è stata l’Intifada di Al-Aqqsa del 2000 che ha ucciso Oslo, e i dieci anni trascorsi tra la fine di quella insurrezione e l’arrivo di una nuova, sono stati riempiti pure contrattazioni e di tentativi disperati di immettere il soffio della vita in un ‘processo’ che ha reso alcuni palestinesi corrotti decisamente più ricchi.
La speranza è che l’attuale Intifada depuri il residuo di quel defunto processo e superi completamente l’AP, non con atti di violenza e di vendetta, ma piuttosto instaurando una nuova dirigenza dotata di donne e uomini buoni nati nel cuore della Resistenza Palestinese in Cisgiordania, a Gaza e a Gerusalemme. Questa nuova dirigenza non può essere imposta dall’alto o ottenuta dopo una discussione con gli arabi ‘moderati’, ma scelta per mezzo un processo organico, di gente comune che sia insensibile alle lealtà di fazioni, di religione, di genere e di stirpi famigliari.
Le Intifade palestinesi non liberano la terra, ma liberano le persone che assumono il loro ruolo nella lotta per la liberazione nazionale. L’Intifada del 1936 liberò i contadini (fellahin) dai limiti dei clan dominanti e dalla loro lealtà ai regimi arabi in modo che potessero affrontare i britannici e i sionisti; l’Intifada delle Pietre nel 1987 liberò la gente dalla morsa delle fazioni con base in Tunisia, quindi ci fu la creazione della Leadership Nazionale Unificata dell’Intifada insieme ad Hamas; l’Intifada del 2000 fu un tentativo mandato all’aria di scampare ai peccati di Oslo e della sua élite che ha autorità. Perché l’attuale Intifada abbia ottenga un grado di successo iniziale, deve trovare una strada per mettere del tutto da parte coloro che si erano assunti la responsabilità di negoziare i diritti palestinesi e di arricchirsi a spese del popolo palestinese povero e oppresso.
Se l’Intifada deve essere fedele ai propri principi, deve cercare di rompere non soltanto l’egemonia sul discorso politico palestinese che è ingiustamente sostenuto da Erekat e dai suoi simili, ma di infrangere anche i confini politici, unendo tutti i palestinesi intorno a un piano di azione politico del tutto nuovo.
Ci sono molti opportunisti pronti a lanciarsi sull’attuale mobilitazione in Palestina per usare i sacrifici della gente nel modo in cui li considerano adatti e, fondamentalmente, per ritornare allo status quo come se il sangue non fosse stato per nulla sparso e non ci fosse nessuna oppressione ancora in atto.
Dopo aver ripetuto il suo appoggio alla soluzione dei due stati che ora è soltanto un tenue miraggio, Erekat ha detto ad Al-Jazeera: “Stiamo completamente appoggiando il nostro popolo e il loro grido per la libertà.”
Non lo credo, Signor Erekat. Venti anni sono lunghi abbastanza per dimostrare che coloro che hanno preso parte all’oppressione del loro popolo, non possono proprio essere i difensori della libertà di esso.

Pubblicato da www.znetitaly.org
Originale: non indicato
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0

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