La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 31 ottobre 2015

Dietro l’autodifesa c’è la paura del prossimo

di Massimo Cacciari
Complicato, paradossale, affascinante tema quello della “legittima difesa” - peccato davvero che in Italia, e non solo, lo si debba affrontare nel mezzo del frastuono di demagogie e strumentalizzazioni, cui fanno da controcanto irenismi altrettanto vuoti e sterili appelli a norme intrinsecamente oscure, tali da produrre a getto continuo sentenze contraddittorie.
Per rendere evidente la complessità del problema è sufficiente trascenderne la dimensione “privata” e collocarsi sul piano del diritto internazionale. Non diciamo che sono “persone”, in fondo, anche gli Stati? Nessuno ha mai dubitato del loro diritto di difendersi dall’aggressione. Ma quando si dà il caso concreto dell’aggressione? E la difesa è lecita con ogni mezzo? Siamo certi che i giuristi possano avere l’ultima voce a proposito? O non sarà piuttosto la politica ad assumerla?
Ma chi è il “governo” che nella fattispecie del rapporto tra privati decide che si tratta davvero di aggressione e le forme della conseguente risposta? Non potrà essere che lo stesso privato che si ritiene offeso. Logica vuole, perciò, che i sostenitori del diritto di difesa incondizionato concepiscano il singolo cittadino come organismo politico a tutti gli effetti, come micro-stato. La dissoluzione individualistica della forma-stato, questa poderosa tendenza auto-dissolutoria della moderna democrazia, trova in questo campo drammatica conferma.
I paradossi non si fermano qui. In che cosa è fatta consistere l’offesa? Nei casi posti di recente all’attenzione della pubblica opinione, sembra che l’aggressione, contro cui con ogni mezzo difendersi, sia rivolta essenzialmente alla “roba”. È l’attentato al “terribile diritto”, al mio essere proprietario, che appare intollerabile; esso viene avvertito come in sé una minaccia anche alla mia esistenza fisica.
Ma se io ritenessi, invece, che la mia “proprietà” fondamentale e irrinunciabile non consiste in beni materiali e neanche nella mia nuda vita, ma nel mio onore? Forse che non mi sarebbe lecito, sulla base di un “universale” diritto di difesa, rispondere con ogni mezzo al torto ricevuto? E chi potrebbe giudicare su un metro uguale per tutti la gravità di tale torto?
Anche in questo caso dovremmo per forza essere giudici di noi stessi. Non auspicheranno i fautori di un incondizionato diritto di difesa una super-umanità dove ciascuno è legge a sé nel totale rispetto di ciascun altro? Fingiamo di sperarlo.
Ma in realtà gli scomposti appelli “armatevi e difendetevi” evidenziano una condizione umana esattamente opposta. È la categoria della “difesa” a emergere oggi come onnipotente. È costretto a difendersi il singolo sempre più singolo nel suo lavoro; si difendono le corporazioni nei loro privilegi; si difendono Regioni e Enti Locali nei confronti del ministerialismo statale. Si difende l’Europa dall’immigrazione. Si difende l’Occidente dai “fondamentalismi”.
Fronti diversissimi, caos di opposti “diritti di difesa”. Ma il tutto accomunato da una ossessione: la difesa. L’opposto di difesa non è offendere, ma crescere, riformarsi e farsi prossimi. Della prima voce si parla soltanto in termini di prodotto lordo, della seconda per qualche pannicello caldo, della terza mai.
Il prossimo è qualcosa da cui guardarsi, sempre in agguato, contro il quale mai trovarsi disarmati. È l’ossessione tipica degli organismi deboli, persone e Stati, incapaci di affrontare i mutamenti dell’ecosistema di cui sono parte, che sperano ciecamente di potersi scavare in esso una nicchia dove sopravvivere. Sempre più asserragliati dentro le proprie stesse paure.

Fonte: L'Espresso - blog dell'Autore

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