La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 29 ottobre 2015

Per battere la povertà il lavoro non basta più

Intervista a Chiara Saraceno di Sara Strippoli
La metà delle persone che sono uscite dalla disoccupazione non ce l'ha fatta a uscire dalla povertà. "Dati Eurostat sui quali si deve aprire una riflessione sia per le politiche regionali sia per quelle nazionali", dice Chiara Saraceno, sociologa, autrice del testo "Il lavoro non basta, la povertà in Europa al tempo della crisi". Questa sera alle 18 inaugura, con una lectio magistralis in inglese, l'Anno Accademico del Collegio Carlo Alberto.
Professoressa Saraceno, lavoro è ciò che tutti chiedono a governo e presidenti di Regione. Non basta?
"Purtroppo no. Se è vero che la mancanza di lavoro è una delle cause principali della povertà, la crisi ha solo rafforzato un fenomeno che era già presente negli anni pre-crisi, quando i tassi di occupazione erano in aumento: la povertà c'è, nonostante il lavoro. Dipende da molte variabili, in primo luogo dal tipo di lavoro che si ottiene".
Ci sono lavori buoni e cattivi?
"Direi proprio di sì: conta per quanto tempo si lavora, per quante ore. Dipende anche da quante persone lavorano in famiglia. In Italia c'è un tasso molto alto di povertà familiare. Sono in aumento i contratti di lavoro atipici, part-time involontari, lavori spesso meno pagati e meno protetti di quelli standard. I giovani e le donne sono e restano i più fragili. Soprattutto non si riesce ad uscire dalla condizione di partenza: se la cicogna arriva nella famiglia "sbagliata" perché povera è assai più improbabile riuscire ad uscire dal tunnel. Sono 1 milione e 46 mila i ragazzi under 18 poveri nel nostro Paese".
In Piemonte si è annunciato un provvedimento per assicurare un reddito minimo e anche con il Patto sociale la Regione pensa ad un sostegno che consenta di raggiungere la soglia considerata accettabile. Che altro si può fare?
"Io sono assolutamente favorevole a provvedimenti come il reddito minimo, ne parlo da decenni. Peraltro i dati del Piemonte dicono che l'incidenza di povertà relativa è inferiore alla media nazionale, ma è superiore a quella del Nord: il 4,9 per cento nel Nord, il 6 in Piemonte. E sappiamo che la povertà si concentra soprattutto nelle grandi aree metropolitane. Torino è senza dubbio fra queste".
Le Regioni, Piemonte in testa, hanno grandi problemi di risorse. Un forte limite, non trova?
"Le risorse ci sono se si fanno scelte nette. Peraltro sono convinta che le linee guida siano nazionali, altrimenti avremo situazioni disomogeee nelle diverse Rergioni, poveri senza sostegno in alcune e contributi in altre. Non penso, poi, si debbano assegnare contributi per assunzioni a fondo perduto, ma ad imprese che presentano progetti di vera innovazione e quindi diano lavoro vero. Non nascondiamoci dietro un dito, la maggioranza di quelle che si stanno facendo con il Jobs Act non sono assunzioni ma "trasformazioni". Le imprese hanno una grande responsabilità nel ritardo sull'innovazione. Poi ci vogliono provvedimenti che aiutino le donne a lavorare ".
La famiglia, in molti casi i nonni, è la vera barriera contro la povertà. Non è ancora sufficiente?
"La famiglia rischia di giocare un ruolo bifronte nel proteggere o, viceversa, spingere nella povertà. Ha un ruolo protettivo verso molti lavoratori non standard, specialmente se questi sono nella posizione di mogli e figli, ma può, al contrario, diventare una causa di povertà per lavoratori standard a reddito modesto. Quando, come avviene nelle famiglie monoreddito numerose, si crea uno squilibrio fra reddito disponibile e e numero di consumatori".

Fonte: La Repubblica 

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