La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 29 ottobre 2015

Cronaca del mio processo. Pronto a fare sinistra

di Corradino Mineo
Il rap­porto con il gruppo del Pd si era logo­rato. Se rivedo il film degli ultimi mesi, ho votato in dis­senso su jobs act, scuola, Rai, Ita­li­cum e legge costi­tu­zio­nale. Cosa che mi met­teva un po’ in imba­razzo e capi­sco che met­tesse in imba­razzo anche chi aveva appro­vato quelle scelte sba­gliate. Inol­tre la bat­ta­glia nel gruppo aveva perso appeal, aveva minore agi­bi­lità dopo che la mag­gio­ranza della mino­ranza si era messa a lavo­rare Renzi ai fian­chi, per logoralo.
Ma senza con­te­starne la nar­ra­zione che è, secondo me, parte fon­dante della sua poli­tica. Io penso al con­tra­rio che solo una gene­rosa assun­zione di respon­sa­bi­lità poli­tica possa aiu­tare il paese, e quel che resta della sini­stra, a uscire dal cono d’ombra lo sta cac­ciando una poli­tica tanto piro­tec­nica quanto inconsistente.
Sono que­ste le ragioni poli­ti­che delle mie dimis­sioni dal gruppo. Poi c’è la cro­naca, il motore ultimo di una scelta. Quella provo a rac­con­tarla da cro­ni­sta. Mar­tedì 27, Luigi Zanda con­voca i sena­tori in assem­blea, non si sa per discu­tere cosa. Il diret­tore del gruppo mi chiama due volte: «Vieni?», «par­te­cipo a tutte le riu­nioni», «Sta­volta Zanda ti vuole». Capisco.
Si aprono le danze. Il capo­gruppo loda i suoi sena­tori, «siete il soste­gno della legi­sla­tura — dice — e dun­que della Repub­blica». Loda per­sino chi «gli ha fatto male» votando in dis­senso sulla riforma costi­tu­zio­nale, «ma almeno con loro ho par­lato, con la Amati, con Cas­son, ho par­lato con Tocci». Solo Mineo è stato sleale: «Non è venuto nella mia stanza a dirmi che avrebbe votato con­tro. E que­sto (severo!) viola il nostro statuto».
Ma lo sape­vano tutti, l’avevo detto nel gruppo, nei cor­ri­doi, ovun­que. Cosa non ho fatto? Ho omesso di baciare la pan­to­fola del Pre­si­dente. Subito si sca­tena il pro­cesso: durerà due ore e mezzo. Pro­ta­go­ni­sti, nel ruolo della base indi­gnata, sena­tori incra­vat­tati e sena­trici tiratissime.
«Mi ha fatto male vederlo inviare un tweet dopo che il governo era andato sotto sul canone Rai». «Lo hanno applau­dito i gril­lini! (Alzando la voce)». «Rag­giun­giamo un com­pro­messo sul senato, nep­pure siamo con­tenti e lui viene in aula a demo­lirlo!». «Vuole farsi espel­lere per­ché cerca visi­bi­lità». «Un par­tito non è un pol­laio e Renzi ha vinto».
Ci sono stati anche inter­venti di tenore diverso, pochi!. Tocci, sull’assurdità di imporre una disci­plina da cen­tra­li­smo demo­cra­tico nel par­tito in fran­chi­sing di Mat­teo Renzi. For­naro, che ha ricor­dato come la nar­ra­zione ren­ziana demo­nizzi la mino­ranza prima che la mino­ranza parli o pensi. Lo Giu­dice, per il quale la libertà non può valere solo quando con­viene al ver­tice (come per le unioni civili).
Poi Zanda con­clude pro­nun­ciando la parola «incom­pa­ti­bi­lità» (tra me e il suo magni­fico gruppo). E cala l’asso: li avrei defi­niti «servi», in aula, quando avevo obiet­tato alla Finoc­chiaro che Pon­zio Polito non era stato affatto, come ella pre­ten­deva, un poli­tico inca­pace di deci­dere, ma un servo ipo­crita del suo padrone, l’imperatore, che con­di­vi­deva le ragioni del Sine­drio e voleva che si man­dasse a morte Gesù. Se qual­cuno del gruppo si è sen­tito offeso — avevo scritto a suo tempo a Zanda dopo aver subito una con­te­sta­zione in aula ad opera di taluni del Pd– se qual­cuno s’è sen­tito offeso deve avere una gigan­te­sca coda di paglia. Zanda sapeva.
Nel par­tito della nazione con­vive tutto e il con­tra­rio di tutto, ma la nar­ra­zione deve essere una sola, quella del segre­ta­rio pre­mier. Tutto qui. Ora imbian­che­ranno i sepol­cri dicendo che la mia uscita era scritta, che l’assemblea non c’entra, che il par­tito di Renzi non espelle. E que­sto è vero, non espelle, usa la sua mac­china nar­rante per far sì che i dis­si­denti si auto espel­lano, uno alla volta. Civati, Fas­sina, Mineo. E domani, chi? Men­tre gli iscritti e gli elet­tori se ne vanno più nume­rosi. Ma che importa, basta vin­cere anche per un voto, anche se al bal­lot­tag­gio voterà meno della metà degli ita­liani. L’importante è vin­cere, con­tro un avver­sa­rio che si cerca di costruire come perdente.
E ora? Gruppo misto, bat­ta­glia in senato dove la mag­gio­ranza balla e bal­lerà ancora. Lavoro nelle città e con le per­sone, per­ché «c’è vita a sini­stra». A con­di­zione di saper essere uni­tari e gene­rosi. E di rilan­ciare una bat­ta­glia cul­tu­rale, dopo un quarto di secolo di subal­ter­nità alla cul­tura della destra.

Fonte: il manifesto 

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