La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 31 ottobre 2015

La decadenza socialdemocratica

di Paolo Borioni
Nel denun­ciare la delu­dente pre­sta­zione della sini­stra euro­pea di fronte alla crisi e all’austerità, la Spd è spesso presa ad esem­pio in quanto «la più clas­sica social­de­mo­cra­zia». Quindi, il par­tito tede­sco passa per la riprova di un destino ine­vi­ta­bile di tutte le social­de­mo­cra­zie come feno­meno sto­rico. In realtà la Spd non è neces­sa­ria­mente rap­pre­sen­ta­tiva della sto­ria e del pen­siero social­de­mo­cra­tico euro­peo. Le inca­pa­cità nel pro­porre ed attuare poli­ti­che di domanda che bilan­cino il grande sur­plus di export dipen­dono non solo dalle dot­trine eco­no­mi­che domi­nanti e dalla forza espor­ta­trice tedesca.
In realtà, dif­fe­renza fra altre social­de­mo­cra­zie e Spd è pro­prio che essa non è quasi mai potuto o saputo rea­liz­zare l’importanza stra­te­gica, per la pro­pria forza, del sala­rio e della sua piena espan­sione. Ciò per­ché ai tempi di Wei­mar le poli­ti­che della domanda non erano ancora ege­moni, e poi venne Hitler, men­tre gli scan­di­navi arri­va­rono all’espansione interna auto­no­ma­mente, cono­scendo ben poco Key­nes.
In seguito, la Spd fu al governo solo pochi anni utili a pra­ti­care la domanda come ele­mento fon­dante della pro­pria forza (e iden­tità): più o meno dal 1970 al 1973, anno in cui l’espansione dei salari comin­ciò, in un con­te­sto già ideo­lo­gi­ca­mente ostile come quello tede­sco, ad essere dif­fi­cile per via della «stag­fla­zione» di que­gli anni. Invece, gli scan­di­navi pote­rono per decenni usare i due ele­menti inter­con­nessi: da un lato la forza orga­niz­zata del movi­mento ope­raio e la cri­tica al sistema, che impo­ne­vano di com­pe­tere con più inno­va­zione che sfrut­ta­mento, dall’altro un’espansione che distri­buiva verso il basso i frutti di tutto questo.
Que­sta redi­stri­bu­zione raf­for­zava con­senso e piena occu­pa­zione, così che poi si poteva con ener­gia tor­nare a costrin­gere gli impren­di­tori a poli­ti­che, rela­zioni indu­striali e inve­sti­menti «vir­tuose». La Spd ha pra­ti­cato molto la prima parte, per esem­pio con­qui­stando e poi allar­gando la Mit­be­stim­mung ancora nel 1976, ma otte­nendo meno ege­mo­nia del pos­si­bile per­ché pra­ti­cava in modo incom­pleto l’altro ele­mento fon­dante della social­de­mo­cra­zia euro­pea. Ancora di più que­sto è avve­nuto in epoca Euro, coi suoi para­me­tri costrit­tivi (che per esem­pio prima di adat­tar­visi anche troppo bene gli scan­di­navi ave­vano ten­tato di ammor­bi­dire), da cui le riforme di pre­ca­riz­zanti di Schrö­der: i dati dimo­strano che da lì ori­gina il ridi­men­sio­na­mento Spd verso il 25%. Sull’attualità que­sto si riper­cuote molto: la giu­stis­sima con­qui­sta del sala­rio minimo stenta a pro­durre effetti di con­senso per la Spd. Si pensa sia dovuto all’idea di stigma che vi si asso­cia, che impe­di­sce di ren­derlo un discorso poli­tico espan­sivo. Ora, il sala­rio minimo è inteso in Ger­ma­nia, giu­sta­mente, come base minima di ogni con­tratto sin­da­cale, armo­niz­zando legge sui minimi e negoziato.
Ma evi­den­te­mente, vista la sto­ria, occorre tempo e fidu­cia affin­ché i poten­ziali (e spesso ex) elet­tori social­de­mo­cra­tici cre­dano che ciò porti ad una vera e dure­vole espan­sione delle paghe, con tutto ciò che segue per la Spd (con­senso), la Ger­ma­nia (cre­scita interna) e la Ue (evi­tare la cata­strofe). Ma il tempo manca, men­tre la pos­si­bile evo­lu­zione della Spd e del qua­dro poli­tico tede­sco sug­ge­ri­scono che solo dinanzi allo spet­tro di una defi­ni­tiva deca­denza verso lo sta­tus di «par­tito minore» (e spesso igno­rato) di coa­li­zione della Cdu i social­de­mo­cra­tici tede­schi potreb­bero rivol­gersi alla Linke, acco­gliendo le pre­di­che degli eco­no­mi­sti sin­da­cali Dgb, in favore di una cre­scita nell’eguaglianza dei red­diti da lavoro, in Ger­ma­nia ed in Europa. I tempi dell’evoluzione poli­tica sono insomma quelli com­plessi dei con­flitti pro­fondi, non pur­troppo quelli della urgenza europea.

Fonte: il manifesto

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