La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 25 novembre 2016

Cinque motivi generali per votare No al referendum

di Luigi Pandolfi 
Ci sono vari aspetti della riforma costituzionale su cui saremo chiamati a esprimerci il prossimo 4 dicembre che ne denunciano la fallacità e la pericolosità. A cominciare dalle sue incongruenze sul piano tecnico-formale. Nondimeno parliamo di un fatto "politico", con le sue implicazioni e le sue motivazioni. Un No ragionato non può che tenere in conto anche - o soprattutto - questo aspetto.
Primo motivo: la Carta è di tutti, non di una parte.
La costituzione è la legge fondamentale dello Stato, la "legge delle leggi", la fonte ultima del diritto nazionale. Per di più essa detta le regole della vita democratica del Paese. Al netto del contenuto della riforma, è inammissibile quindi che le regole del gioco vengano modificate da una minoranza politica, su impulso di un governo tenuto in piedi da una maggioranza trasformistica, in una legislatura segnata dal giudizio di incostituzionalità espresso dalla Consulta sulla legge elettorale con cui si sono svolte le ultime elezioni.
Secondo motivo: prima i cittadini, poi i mercati.
Dietro la formula della "democrazia decidente", ovvero della "semplificazione istituzionale", c'è il tentativo, peraltro malcelato, di spostare verso l'alto il potere decisionale (democrazia del capo), per rendere le nostre istituzioni maggiormente reattive agli stimoli dei mercati finanziari e del capitale, completando l'opera di depotenziamento della democrazia rappresentativa nel quadro della governance economica europea, i cui vincoli, addirittura, prevarrebbero sulle stesse norme costituzionali.
Terzo motivo: quando la conservazione è chiamata cambiamento.
Il governo, il Pd, il fronte del Sì, hanno fatto proprio il linguaggio e i contenuti della battaglia populista contro il sistema politico (la "casta", i privilegi, le poltrone, ecc.), piegandoli orwellianamente all'esigenza di stabilizzazione del sistema stesso. In questo senso, il cambiamento perorato dal Sì non è altro che conservazione dell'esistente, ovvero l'ultimo e più poderoso tentativo di puntellare un sistema di potere in crisi, screditato, inviso alla maggioranza del popolo italiano.
Quarto motivo: dalla Costituzione armoniosa al pastrocchio funzionale.
Nella fretta di varare una riforma che rispondesse all'esigenza imminente di verticalizzazione del potere e di stabilizzazione dell'attuale quadro politico, i nuovi "costituenti" hanno finito per licenziare un pastrocchio che mina alla radice l'armonia del dettato costituzionale, inficiandone anche la prima parte, quella che contiene i principi fondamentali della Repubblica. Dal ruolo e dalla composizione del nuovo Senato alla nuova formulazione del procedimento legislativo, passando per il rapporto Stato-Regioni, la riforma di Renzi non fa che mettere sabbia (anziché olio) nel motore delle Istituzioni.
Quinto motivo: il rischio di una deriva autoritaria.
Un parlamento più debole e incasinato è funzionale alla supremazia dell'esecutivo e del suo capo, elevato a vero dominus del sistema dalla nuova legge elettorale. L'Italicum, infatti, consegna le chiavi della Camera dei Deputati (la sola eletta a suffragio universale diretto), e dei principali organi costituzionali di garanzia, a una minoranza e al capo di questa minoranza, il cui nome è indicato al momento della presentazione delle liste. Una deriva molto pericolosa, stante l'attuale temperie, con forze non democratiche, razziste, revansciste che bussano forte alla porta dei nostri Paesi (in alcuni sono già entrati in salotto).

Fonte: Huffington Post - blog dell'Autore 

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