La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 25 novembre 2016

23,4 miliardi di euro: la spesa militare italiana nel 2017

di Alessia de Luca Tupputi
L'industria bellica, si sa, non conosce crisi. E anche nel Belpaese gli investimenti nel comparto militare continuano a crescere, nonostante le perduranti difficoltà economiche. Nel 2017, l'Italia spenderà per il settore almeno 23,4 miliardi di euro: circa 64 milioni al giorno e 2,7 milioni di euro all’ora, pari a 45mila euro al minuto. E a contribuire, soprattutto per l’acquisto di nuovi armamenti, non sarà come si potrebbe immaginare il ministero della difesa, ma il dicastero per lo sviluppo economico a cui sono affidate le politiche per la competitività delle imprese e il ‘rilancio’ dell’industria nazionale.
A fare i conti in tasca al settore militare italiano, caratterizzato per la poca trasparenza, è l’Osservatorio Milex, fondato dal giornalista Enrico Piovesana e Francesco Vignarca, con il sostegno della Rete italiana per il Disarmo, ispirato a principi di imparzialità e obiettività scientifica. Quella che descrivono, nelle anticipazioni sul rapporto annuale in pubblicazione tra qualche mese, è una vera e propria corsa agli armamenti, in linea con i trend degli ultimi 10 anni, in cui gli stanziamenti militari dei governi che si sono succeduti sono cresciuti progressivamente del 21%. Dati contrari a quelli più volte esposti dal ministro della difesa, Roberta Pinotti, secondo cui nell’ultimo decennio le forze armate avrebbero subito tagli del 27% e che quindi «nuove riduzioni sono impensabili ed è anzi il momento di nuovi investimenti».
La nuova metodologia di calcolo Milex elimina dal conteggio per le spese della difesa voci “non militari” – come le spese per i Carabinieri impiegati per l’ordine pubblico –, integrandolo dei costi sostenuti da altri enti e dicasteri, come le missioni all’estero pagate dal ministero dell’economia e delle finanze, e le privilegiate pensioni del personale militare a riposo, in conto all’Inps.
Secondo le anticipazioni sul rapporto annuale dell’Osservatorio – che sarà pubblicato a gennaio, dopo l’approvazione degli stanziamenti definitivi alla Legge di Bilancio – in cima alle spese militari dominano i costi del personale, per via della lentezza con cui viene applicata la riforma Di Paola, per cui ancora oggi nell’esercito italiano ci sono più comandanti che comandati. Forti aumenti si registrano anche per le spese dell’operazione “Strade Sicure” (da 80 a 120 milioni di euro) e del trasporto aereo di stato. Una voce pari a 25,9 milioni (erano 17,4 nel 2016), di cui 23,5 milioni rappresentati solo dal costo del nuovo Airbus A340 della Presidenza del Consiglio: un aereo utilizzato solo una volta in un anno per una missione di imprenditori italiani a Cuba.
A ben guardare, però, circa un quarto della spesa destinata al comparto bellico, ben 5,6 miliardi, andrà in nuovi armamenti (altri sette F-35, una seconda portaerei, nuovi carri armati ed elicotteri da attacco). Uno stanziamento «assolutamente sproporzionato rispetto alle reali esigenze delle nostre forze armate» spiega a Nigrizia Francesco Vignarca e che porterà la Marina militare italiana «a dotarsi, ad esempio, di un arsenale navale pari a quello della Gran Bretagna e superiore a quello di una potenza nucleare come la Francia”.
Spese a prova di crisi, verrebbe da pensare, soprattutto se si tiene conto che a pagare per i nuovi armamenti non sarà tanto il ministero della difesa, che contribuisce per 2,3 miliardi, ma il dicastero per lo sviluppo economico (Mise), che nel 2017 destinerà alle imprese del comparto bellico nazionale, l’86% dei suoi incentivi per l’industria (3,4 miliardi).
Mimetizzata tra i numeri, dunque, ecco delinearsi in modo preoccupante una stretta relazione tra il meccanismo di incentivi pubblici all’industria militare nazionale (più di 50 miliardi di euro di incentivi Mise alla Difesa negli ultimi 25 anni, su iniziativa di governi di tutti i colori) e l’elevato costo per l’acquisizione di armi determinate non da reali esigenze di sicurezza, ma da logiche commerciali finalizzate alla promozione dell’export.
Spese giustificate in Parlamento – secondo Vignarca e Piovesana – «gonfiando le necessità e ricorrendo alla retorica del ‘dual use’ militare-civile, come nel caso della nuova portaerei Trieste, presentata come nave umanitaria, e delle fregate anfibie Fremm 2, presentate come unità di soccorso per i profughi e la tutela ambientale». Le reali dimensioni e i costi effettivi delle nuove unita` navali, si legge nelle anticipazioni del rapporto, si sono rivelati solo dopo l’approvazione in Aula, confermando la vera natura, militare e offensiva, di queste navi.

Fonte: Nigrizia.it 

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