La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 25 novembre 2016

La vita sotto Trump

di Rebecca Gordon
La notte dopo l’elezione, questa pacifista di vecchia data ha sognato che sparava a un uomo bianco grande che traportava un arsenale di armi. Vagava in una stanza piena di gente, agitando una pistola e minacciando di sparare. Qualcuno mi ha cacciato in mano una pistola e mi ha detto: “Spara adesso, mentre è girato di spalle!” Sparai. Il sangue fuoriusciva da un buco nella schiena. Cadde. Mi svegliai sgomenta. E i risultati dell’elezione non erano cambiati.
Paure notturne
Altre brutte notti sono seguite, piene di sogni in cui le persone che mi conoscono bene mi accusano di cose terribili che non ho fatto o di non essere riuscita a proteggere le persone di cui mi occupo.
E ci sono state notti in cui la mia compagna ed io ci stringevamo a vicenda al buio e ci sussurravamo le nostre peggiori paure. Alcune di queste sono personali ed egoistiche: nel nuovo regime, sarò ancora in grado di avere i farmaci che mi fanno andare avanti? Dovrò lavorare per denaro fino alla morte per mantenere i miei benefici dell’assistenza sanitaria? Dato che nel 2017 anno compirò 65 anni, perderò il taglio di Medicare del 2017 e ricadrò nel piano di Paul Ryan *di trasformare quel programma in un sistema con ricevuta giustificativa?
Alcune paure sono nazionali: come possiamo continuare, noi due e le organizzazioni con cui siamo collegate, a proteggere le persone vulnerabili in un’epoca in cui un fautore della supremazia bianca svolge la funzione di principale stratega del presidente?
Alcune sono globali: possiamo trattenere i mari che si innalzano di livello e che si stanno già richiudendo su nazioni che sono isole, su un pianeta dove Donald Trump promette di abbandonare la lotta contro il cambiamento del clima e abbandonare lo storico accodo di Parigi sul clima?
E poi, ritornando al personale: quanto siamo davvero vulnerabili, noi, due lesbiche bianche della classe media, sulla sessantina, durante una presidenza Trump? Negli anni ’80 e ’90, di solito ci chiedevamo perché le due cose che i nostri “leader gay” pensavano che volessimo di più al mondo erano di entrare nell’esercito e di sposarci. Ora, il problema non è che cosa saremo in grado di fare, ma che cosa non saremo in grado di fare.
In verità, noi due non avremo ma più di nuovo la necessità del diritto all’aborto che una Corte Suprema influenzata da Trump delegherà probabilmente agli stati, praticamente abrogando la decisione di Roe contro Wade *. Ma ne ebbi, però, bisogno nel 1975 e ringrazio Dio di averlo avuto. D’altra parte, una tale corte potrebbe decidere di rivisitare la sua decisione del 2003 a Lawrence, in Texas, che invalidava le legge sulla sodomia. E’ abbastanza facile dimenticare, ora che soltanto nel 1986 nella causa di Bowers v. Hardwick, la corte ha espresso l’opinione che nessuno ha “un diritto fondamentale a praticare la sodomia tra omosessuali.”
Ma il terrore che ci ha scosso di più è, che nei prossimi anni, potremmo assistere al crollo finale dello stato di diritto in questo paese. Ho passato gli scorsi 15 anni a scrivere sulla la tortura e altri crimini di guerra collegati alla “guerra al terrore” globale. Per prima cosa, l’amministrazione Bush ci ha portato due guerre illegali in Afghanistan e in Iraq, insieme alle “tecniche di interrogatorio potenziate” e a una prigione extralegale permanente nella Baia di Guantanamo. L’amministrazione Obama ha seguito con la sua politica di uccisioni extragiudiziali con i droni, e guerre non dichiarate ma molto reali in Libia, in Siria e Yemen. Entrambe hanno distorto e deformato e infine infranto le leggi interne e internazionali di ogni genere.
Però le due scorse amministrazioni hanno perlomeno dato un’adesione a parole allo stato di diritto. In Donald Trump abbiamo un presidente eletto che ha detto che semplicemente ignorerà la legge se questa lo ostacolerà. In un dibattito durante le primarie dello marzo scorso, ha insistito che le forze armate seguirebbero qualsiasi ordine debba dare – sia torturare i detenuti o “portare via” le famiglie dei sospetti terroristi. Quando il moderatore del dibattito, Bret Baier ha fatto notare che ai nostri soldati è proibito obbedire a un ordine illegale, Trump ha risposto: “Non si rifiuteranno: Non rifiuteranno me. Credetemi. Sono un capo. Sono sempre stato un capo. Non ho mai avuto alcun problema a guidare le persone. Se dico: fatelo, lo faranno.” Chiaramente ha avuto dei consigli sul dire cose del genere in pubblico; il giorno successivo ho scoperto che ritrattava le osservazioni, riconoscendo che “gli Stati Uniti sono vincolati dalle leggi e dai trattati e non ordinerò alle nostre forze armate o ad alti ufficiali di violare quelle leggi.” Ma è piuttosto chiaro che pensa al potere vincolante della legge.
Ci sono molte cose di cui preoccuparsi avendo una presidenza di Trump. Perché per me il disprezzo dello stato di diritto risalta? Parte della risposta è che facendo le leggi noi esseri umani riconosciamo e assicuriamo la nostra necessità di vivere insieme. Nel tredicesimo secolo San Tommaso d’Aquino definiva una legge: “un decreto della ragione per il bene comune, fatta e promulgata da chiunque ha cura della comunità.” E’ ancora una definizione piuttosto soddisfacente: una regola ragionevole creata per il bene di tutti nella comunità, invece che per un gruppo particolare, da coloro che hanno la responsabilità di assicurare quel bene, e resa pubblica in modo che tutti sappiano che quale è la legge e come funziona. Nessuna legge segreta. Nessun tribunale segreto. Democratico medievale ante litteram, San Tommaso d’Aquino ha ammesso la possibilità che una persona che “ha cura della comunità”, potrebbe, di fatto essere un organismo di rappresentanti eletti, o anche una comunità nel suo insieme.
La legge non è attraente. Non è un’esca da click, ma può, per esempio, essere il muro protettivo tra un gruppo di persone destinate a essere meno che umane e coloro che le odiano (anche se questa non è, naturalmente, l’idea di Trump di un muro utile) Questo è soltanto vero, tuttavia, se la legge verrà applicata. Anche la legge internazionale potrebbe essere la barriera, il muro, che protegge il mondo da un paese che negli scorsi 15 anni si è comportato come un vecchio gigante di due anni che va in giro per il mondo battendo i piedi, agitando missili e sfasciando le cose con i suoi piedi fuori misura. O potrebbe essere vero se Barack Obama non avesse iniziato la sua presidenza promettendo che lui (e perciò il resto di noi) avrebbero “guardato avanti invece che guardare indietro” quando si trattava dei crimini dell’amministrazione Bush.
Non essere riusciti a rispettare la legge ha chiarito che, nell’America del ventunesimo secolo, alcune persone sono esentate da questo. Obama continuava: “E parte del mio lavoro è di assicurare che, per esempio, alla CIA ci siano persone straordinariamente talentuose che lavorano molto duramente per tenere al sicuro gli americani. Non voglio che all’improvviso si sentano come se dovessero passare tutto il loro tempo guardandosi le spalle.”
Penso che le persone che hanno un potere straordinario, dovrebbero passare una buona parte del loro tempo a guardarsi le spalle. E, per essere più precisi, dovremmo essere in grado di guardare le loro spalle.
Sembra che la Corte Penale Internazionale (ICC) stia finalmente osservando attentamente che cosa fa la CIA. Nel suo rapporto annuale, diffuso all’inizio di questo mese, il procuratore capo ha indicato che è probabile che aprirà un’indagine completa riguardo ai “reati di tortura e ai relativi abusi compiuti dalla forze militari statunitensi impiegate in Afghanistan, e riguardo alle strutture di detenzione gestite dall’Agenzia Centrale di Informazioni (CIA).” Il rapporto osserva: “Questi reati dichiarati no sono stati abusi di pochi individui isolati. Sembrano, invece, essere stati commessi come parte di tecniche di interrogatorio nel tentativo di estorcere ai detenuti informazioni necessarie immediatamente disponibili.”
Questa è la prima mossa che ha fatto l’ICC per indagare sui crimini di guerra degli Stati Uniti e per mantenere quindi questo paese sugli standard della legge internazionale. Vedremo quindi fin dove può spingersi il tentativo. La giurisdizione della corte è davvero nebulosa poiché gli Stati Uniti non fanno parte del trattato che la ha creata.
Sogni diurni
Insegno etica a studenti universitari. Il mercoledì mattina dopo l’elezione, ho scartato il programma per la lezione del giorno (riguardava la tortura statale istituzionalizzata), e invece abbiamo esaminato l’elezione. Abbiamo guardato qualche video: la trasmissione dal vivo del discorso di Hillary di ammissione della sua sconfitta, , il discorso di Trump per la vittoria, e le parole in libertà della reazione del commentatore della CNN, Van Jones (“questa è una debacle”). Ho poi invitato i miei studenti a parlare cos provavano dopo la scioccante vittoria di Trump.
Una giovane donna bianca ha iniziato la conversazione dicendo come era arrabbiata con “gli uomini bianchi incolti” che avevano votato per Trump. Ho chiesto ai miei studenti quale percentuale di persone negli Stati Uniti pensavano che avesse lauree universitarie ottenute dopo quattro anni di studi. (La risposta è: grosso modo, un terzo). “Questo significa,” ho detto, “che due terzi delle persone in questo paese non hanno la possibilità di andare all’università. Se non sono istruiti, non è del tutto per scelta.” Ho continuato a parlare sul dolore reale di vedere il nostro reddito che si riduce, e la perdita del lavoro che determinava il proprio posto e il proprio valore in una società che misura ogni cosa in dollari e in centesimi di dollaro. Ho fatto capire a loro che anche se aborriamo la scelta politica di un candidato che apertamente dichiara il suo razzismo, la sua misoginia e il disprezzo per i musulmani, i disabili, e lo stato di diritto, possiamo ancora rispettare quel dolore e l’umanità di coloro che lo provano.
Una donna asiatica-americana cominciò a piangere un poco, mentre parlava del terrore non soltanto riguardo a lei, ma agli amici afro-americani e latino-americani che più vulnerabili di lei.
Posso capire la sua paura. Tra il giorno dopo l’elezione e lunedì 14 novembre, il Southern Poverty Law Center (SPLC) *, ha già 437 rapporti su incidenti di odio razziale, molti dei quali implicano “riferimenti diretti alla campagna di Trump e ai suoi slogan.”
Mi sono ricordata dei tempi in cui mi urlavano contro, in cui la gente si rivolgeva a me chiamandomi con disprezzo “signore,” o quando venivo inseguita per strada da persone che vedevano che ero lesbica. Donadl Trump ha passato tutto l’anno scorso a dire alle persone che il loro odio è una cosa buona, e a sentirsi liberi di esprimerlo con la violenza fisica. Per forza alcuni di noi sono un po’ spaventati.
In un’altra classe, pochi giorni dopo, una studentessa afro-americana ci ha raccontato due storie. La prima parlava di una sua amica afro-americana dell’Università della California, sede di Berkeley. Stava andando via da una dimostrazione post-elettorale contro Trump, quando si trovò circondata da un gruppo di giovani uomini americani bianchi che cominciarono a deriderla. E poi fecero la cosa che Trump si vanta che la sua fama gli permette di fare. Hanno afferrato la sua vagina. La ragazza si mise a correre e fortunatamente si erano “divertiti” e non la seguirono.
La seconda cos riguarda proprio una mia studentessa. “Ero sulla BART (la nostra metropolitana locale) e stavo andando a fare visita a mia nonna questo fine settimana” cominciò a dire.
“Notai un gruppo di uomini attorno a una ragazza molto giovane, forse diciottenne, che indossava il velo (hijab). La stavano prendendo in giro e la insultavano. Sono quindi andata a sedermi vicino a lei e le ho detto di ignorarli. Quando siamo arrivati alla sua fermata, aveva paura di scendere, paura che l’avrebbero seguita. Dovevo scendere dopo altre 5 fermate ma non potevo lasciarla sola, e così sono scesa anche io. E anche i ragazzi. Ci hanno seguito fuori dalla stazione e sono stati vicino a noi urlando, mentre le ragazza aspettava che arrivasse il suo mezzo. Hanno iniziato ad avvicinarsi di più e la sua corsa non era ancora arrivata, e quindi ho chiamato un taxi e sono andata con lei fino a casa sua.
Il coraggio della mia studentessa mi ha reso umile.
Nessuna nuova normalità
La facoltà a tempo pieno della mia università ha lavorato per mesi senza contratto. Abbiamo avuto un cambiamento di amministrazione e il nuovo regime sta combattendo duramente contro una richiesta di un modestissimo aumento di salario. Per esprimere a parole la lotta, i miei colleghi hanno fatto dei distintivi a forma di bottone che ha cerchio rosso e le parole “nuova normalità” con una barra rossa trasversale. Ne ho messo uno per dimostrare solidarietà ai miei colleghi che lavorano a tempo pieno. Fin dall’elezione di Donald Trump, ho preso l’abitudine di portarlo anche fuori dal campus universitario. Sembra uno slogan particolarmente appropriato in questi giorni per noi che non vogliamo che la nuova normalità significhi un ritorno a una normalità molto vecchia. Mettermi quel bottone mi fa sentire un po’ più coraggiosa e un po’ più fiduciosa.
Ora abbiamo necessità di speranza, in modo da poter affrontare un mondo in cui la mancanza di speranza, la disperazione e le lacrime dei miei studenti potrebbero anche diventare la nuova normalità. Speranza non significa fare finta che il pericolo non sia molto chiaro e molto presente. Se i vostri gusti vanno verso la buona retorica di sinistra, c’è il consiglio del marxista italiano Antonio Gramsci nel suo libro “Lettere dal carcere” che dovremmo unire il pessimismo dell’intelletto con l’ottimismo della volontà. In un articolo su “Gli Indifferenti” * , ha scritto: “Vivere realmente significa essere un cittadino e partecipare.”
Questo è un pensiero non così diverso da quello che hanno letto i miei studenti nell’Etica Nicomachea di Aristotele. Gli esseri umani, dice Aristotele, sono animali politici; viviamo al meglio quando viviamo come cittadini. Credeva anche che le nostre migliori qualità sono abitudini che prendiamo praticandole. “Diventiamo giusti,” dice il filosofo, “compiendo azioni giuste.” Si potrebbe quindi pensare alla speranza come a un’abitudine che costruiamo dentro noi stessi facendo cose che danno speranza. Pensate a ciascuno di noi come un assemblaggio simile a una parete di roccia fatta di pietre sconnesse che non necessariamente sembra che si incastreranno bene. La speranza è il muro che possiamo costruire, pietra su pietra, per rinchiudervi una futura autarchia di Trump.
Alcune pietre nel mio personale muro di speranza: E’ il 1984: Sono in Nicaragua e viaggio con altre 15 persone ammucchiate nel retro di un camioncino, rimbalzando attraverso un territorio pericoloso. E’ il culmine della guerra che l’amministrazione Reagan ha illegalmente finanziato, contro il governo sandinista di sinistra, che era stato installato dopo la cacciata del dittatore Anastasio Somoza. La strada che percorriamo attraversa il territorio controllato dai ribelli Contras appoggiati dalla CIA. Siamo diretti verso una città che si chiama San Juan del Bocay. Facciamo una curva e il terreno diventa piano, rivelando un fienile in un campo. Qualcuno che ha chiaramente imparato a leggere e a scrivere fin dall’inizio della rivoluzione Sandinista, ha dipinto su un lato dell’edificio in accurate lettere a stampatello: Nosotro vencimo. Somo libre. Nunca volveremo a cer esclavo. L’ortografia è terribile, non c’è punteggiatura; dato che come tutti i nicaraguensi, chi ha scritto non pronuncia la lettera “s” alla fine di una parola plurale, lui o lei non sa neanche che c’è anche in “nosotros” – noi. Ma non importa. Il significato non potrebbe essere più chiaro. “Abbiamo vinto. Siamo liberi. Non torneremo mai a essere schiavi.”
Quando le persone decidono che sono esseri umani e non bestie da soma, è un genio che non può essere messo di nuovo dentro la bottiglia. * Negli scorsi 50 anni, gruppi di persone in questo paese una per una hanno combattuto per e richiesto la loro completa umanità: gli afro-americani, le donne, gli LGB, chi ha delle disabilità, gli immigrati con qualsiasi documentazione abbiano. Trumplandia forse non riconosce ancora la nostra umanità, ma noi sì. Non si può spingere di nuovo nella bottiglia neanche questa.
E’ il giovedì dopo l’elezione del 2016:
Sto andando in bicicletta verso il campus quando vedo una schiera di poliziotti di San Francisco allineati lungo Valencia Street, Poi mi accorgo che c’è una manifestazione di mezzogiorno, a metà settimana che scende lungo il marciapiede. Mentre mi avvicino, vedo che sono studenti di scuola media che gridano e che portano striscioni con scritto: “Buttiamo via (Dump ) Trump” e “L’amore sconfigge (trumps) l’odio!” Mi fermo e grido a loro: “Finirete quello che hanno cominciato persone come me.” Esultano per se stessi e per il loro sorprendente coraggio. Non si può ricacciare la gioventù nella bottiglia. Come diceva la cantante folk Holly Near, decenni fa: “ Non si può uccidere la gioventù, amico, la gioventù cresce in tutto il mondo.”
Sono le 7.45 del venerdì dopo l’elezione: sto entrando nell’edificio dove insegno alla mia classe. Sulla porta qualcuno ha attaccato con lo scotch un semplice avviso
Scritto in bianco e nero:
“A tutti coloro feriti dai Risultati della recente elezione: Piangiamo e poi Organizziamoci.”
Seguono i dettagli su dove le persone possono incontrarsi “per discutere apertamente metodi e idee per questo orripilante risultato elettorale.” Questo incontro, dice l’avviso, deve durare dalle 13 fino a quando non ci facciamo venire in mente qualcosa.” Termina con questa osservazione: “Possiamo essere il cambiamento che desideriamo vedere, dobbiamo soltanto impersonarlo.” Forse manca una virgola in quell’ultima frase dell’avviso e un apostrofo in lets (lets mourn-lets organize), ma il significato è chiaro. Questi giovani sono gli eredi di tutto quello per cui che i miei compagni ed io abbiamo operato per così tanto tempo della nostra vita.
Il giorno dopo l’elezione ho messo un post speciale su Facebook:
“E’ stato già abbastanza brutto che abbiamo dato al mondo 8 anni di G.W. Bush. Ora questo. Non avevamo immaginato la profondità dell’odio e della disperazione in questo paese. Ora dobbiamo riprenderci e tornare al lavoro. Nessuna emigrazione per questa donna.”
Sono una vecchia lesbica e ho qualche ruvidità, e tendo ad avere occasionali paure notturne, ma sono anche troppo vecchia e troppo ostinata per cedere il mio paese alle forze dell’odio e a un desiderio nichilistico di far saltare per aria tutto soltanto per vedere dove cadono giù tutti i pezzi. Ho combattuto e ho organizzato, e ho amato per troppo tempo per rinunciare adesso. E Trump e le persone che lo circondano, non possono spingermi di nuovo dentro quella bottiglia.






Questo articolo è apparso per la prima volta su Tom.Dispatch.com., un weblog del Nation Institute che offre un flusso continuo di fonti alternative, notizie e opinioni da parte di Tom Engelhardt, da molto tempo attivo nel campo dell’editoria e co-fondatore dell’American Empire Project, e autore di The End of Victory Culture [La fine della cultura della vittoria] e anche di un romanzo: The Last Days of Publishing [Gli ultimi giorni dell’editoria]. Il suo libro più recente è: Shadow Government: Surveillance, Secret Wars, and a Global Security State in a Single-Superpower World (Haymarket Books). [Il governo ombra: sorveglianza, guerre segrete, e uno stato di sicurezza globale in un mondo con un’unica super potenza].

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: TomDispatch.com
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2016 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0

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