La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 26 novembre 2016

Referendum? La Sibilla è morta

di Bi Pi
C’è un’immagine bellissima, dalla grande fortuna letteraria, che viene dal Satyricon di Petronio: quella dell’interminabile agonia della Sibilla cumana che, penzolando dentro un’ampolla, sceglie di morire. Se volessimo usare questa suggestione per parlare di come la realtà filtri male dal vetro opaco della paura identitaria per il futuro, ci troveremmo ad osservare una parte del “movimento” penzolare nella propria ampolla fra la difficile scelta della sottrazione, cioè del rifiuto del vento freddo che sembra stia spirando nel mondo occidentale e che anticipa la tempesta della composizione sociale che verrà; e la scelta di una nemicità a bassa frequenza, esperita però solo sul piano del linguaggio, non su quello della totalità dei rapporti materiali (si potrebbe obiettare che il linguaggio è uno strumento dell’oppressione capitalistica, ma dominio e linguaggio stanno nello stesso rapporto che intercorre tra danno e beffa).
Quando sentiamo dire che Trump è peggio della Clinton – o Salvini peggio di Renzi – in realtà si sta solo affermando che ci sono nemici meglio di altri, e che con questi si possono conservare tutte le posture linguistiche ed ideologiche di sempre, per rimanere al proprio posto nello status quo. Si tratta, in breve, di una questione di riconoscimento non tanto del nemico, quanto di sé. Eppure noi ci conosciamo come antagonist* a partire dal riconoscimento del nemico in quanto tale. Poco importa se ci manderà a fanculo o se lascerà parlare i mercati finanziari internazionali. Sappiamo che ha tante facce e uno scopo solo: gestire potere e ricchezza sempre dall’alto verso il basso. Quando Renzi penzola nella sua ampolla e guarda ai sondaggi sull’esito del referendum, dice che sbagliano. Forse vede il futuro, forse no. Quel che è certo è che non vuole morire.
È passato già qualche mese da quando ha sciolto l’abbraccio fra esito negativo del referendum e le sue dimissioni, vale a dire che il referendum costituzionale non è più la conditio sine qua non per la governabilità del paese e che quale che sia la realtà del Paese fotografata dall’esito del referendum il governo la ignorerà. Ecco perché i sondaggi sbagliano, perché che diano il Partito Democratico come vincente o come perdente questo non cambierà la vocazione neoliberista, mafiosa e parassitaria dei governi italiani degli ultimi quarant’anni e di quelli a venire. I sondaggi quindi sbagliano perché vedono il governo sfavorito e nonostante la vittoria di Trump sia stata la nemesi di molti democrats americani e nostrani, questa non era stata assolutamente annunciata dai sondaggi preliminari. Il rimando alle presidenziali americane sembra quasi doveroso perché i tentativi di Renzi di americanizzare l’opinione pubblica italiana (occultamento delle differenze di razza, classe e genere insieme alla militarizzazione dello spazio pubblico) sembrano diventare sempre più espliciti con la progressione del suo mandato. Basti pensare a come ha caricato di significato la sua figura di presidente del consiglio (facendo un clamoroso autogol). Chissà che il ribaltone non possa riguardare anche il referendum costituzionale. Ma i sondaggi statunitensi stanno ai partiti politici come la stampa mainstream italiana sta al Partito Democratico, cioè sono uno strumento effettivo di produzione e di governo dell’opinione pubblica e, al di là della disfatta della Clinton, in quel momento erano una fotografia dell’assetto politico vigente e delle speranze del famoso establishment neoliberale. Vale dire che negli Stati Uniti i sondaggi sono espressione di un rapporto di potere contingente ben determinato, che può rivelarsi strategico nell’innesco di un effetto bandwagon capace di orientare il voto. In che rapporto stava ad esempio la Clinton con le agenzie di marketing, gli istituti, la stampa etc etc che si sono occupati di raccogliere le informazioni? La risposta può aiutarci a capire se il campione oggetto del sondaggio sia stato scelto sulla base della desiderabilità politica della risposta. Ad esempio in un articolo de La Stampa di qualche giorno fa è emerso come una parte dell’elettorato “sommerso” di Trump fosse quello non individuato dal sondaggio telefonico su rete fissa, questo perché i “disgustosi maschi bianchi razzisti di mezza età americani” per questioni di reddito non possono permettersi un contratto con le compagnie che vendono reti fisse. Se da un lato non è possibile dire che basta guardare al portafoglio e alle spese ritenute indispensabili dagli elettori per poter intercettare l’indice di gradimento di un candidato invece che di un altro, dall’altro non si può non notare che le modalità d’estrazione delle indicazioni di voto spesso torcono il collo alle istanze di classe contenute in nuce da una risposta o da un’altra, o molto più spesso dall’astensione.
In Italia esiste una normativa abbastanza stringente sull’utilizzo politico dei sondaggi e siamo già al blackout elettorale. Tuttavia se i sondaggi non vengono più mandati in onda sulle reti televisive – la cui centralità nell’apparato mediatico italiano è senz’altro stata ridiscussa dai social network, ma che continua ad avere un ruolo importante nell’orientare il voto dell’elettorato meno giovane – i giornali tuonano che la vittoria del No implicherebbe l’uscita dell’Italia dall’eurozona. Quindi dal momento che i sondaggi mostrati così sono inservibili, il governo continua a produrre opinione pubblica attraverso i giornali, utilizzando i risultati delle inchieste sul voto in virtù di ciò che non rappresentano: la verità. Ovviamente non si sta qui tentando di dire che i sondaggi italiani hanno una committenza ostile al governo e sono uno strumento al servizio della lotta di classe. Di per sé non ci dicono niente. L’elenco dei sondaggi pubblicati sul sito del governo italiano, esattamente come i sondaggi americani che davano favorita la Clinton, evidenziano come le inchieste abbiano coinvolto in modo superficiale e generico la popolazione avente diritto al voto. Dunque il No che viene fuori, per quanto espresso dal Sud Italia e dai giovani, è relativamente utile per ingolfare l’istituzionalizzazione e la messa in sicurezza del macroprocesso di ristrutturazione della costituzione materiale, scritta col sangue a colpi di austerity e tramite la ricerca costante di metodi sempre nuovi per catturare la ricchezza sociale.
Il Sì invece parla chiaro ed è la cristallizzazione delle molteplici argomentazioni utilizzate dal governo e dal Pd per costruire un’opinione pubblica di classe.
A questo punto la domanda rivolta alla Sibilla del Satyricon diventa strategica: cosa vuoi? Far male alle istituzioni, attraversare la brughiera delle possibilità inedite contenute nel rifiuto a un diktat di governo, che mistifica i reali problemi del paese, passando per l’inchiesta militante, organizzarsi a partire da questa e produrre un’opinione pubblica di parte. Con buona pace di chi ritiene che questa tornata referendaria sia l’ennesima circostanza in cui i/le compagn* prendono l’osso dal padrone per poi risputarlo a piacimento, raccontando l’ennesima storiella a vocazione minoritaria. È un’occasione importante: si può rimanere penzoloni oppure fare un bagno nella realtà, per comprenderla e cambiarla sul serio.

Fonte: commonware.org 

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