di Andrea Pertici
La campagna elettorale per il referendum costituzionale del 4 dicembre è entrata nella fase finale e non stupisce che il merito della riforma, che sin dall'inizio ha faticato a entrare nel dibattito, sia sempre più sacrificato. A sostegno della riforma sono stati portati al massimo alcuni titoli, come il "superamento del bicameralismo perfetto", la "ridefinizione dei rapporti Stato/Regioni", la "riduzione dei costi della politica". Senza mai indicare "come" e "quanto". Ma la campagna elettorale è sempre stata giocata - soprattutto dal Premier - sul governo. Quello in carica, da cui la riforma costituzionale è stata concepita, presentata, supportata con una discussione parlamentare tesa e forzata e quindi approvata in solitudine (con il 56-57%).
Dal punto di vista formale il governo era naturalmente legittimato a proporre una legge di revisione costituzionale, ma questo era sconsigliabile perché avrebbe abbassato la costituzione a livello del confronto politico tra maggioranza e opposizione, cosa che i governi De Gasperi, durante il periodo costituente, evitarono sempre accuratamente. L'Esecutivo guidato da Renzi è stato di diverso avviso e si è sempre più identificato con questa riforma costituzionale, la "sua" riforma, considerando la costituzione vigente (almeno nelle ampie parti oggetto di revisione) come "altrui".
Tuttavia, la "personalizzazione" compiuta dal governo sin dall'inizio (sin da quando si preparava a sostituire il precedente, potremmo dire) non può e non deve ricadere sugli elettori, che non possono essere continuamente assillati da una serie di paure circa l'esito del loro voto, in questa fase agitata soprattutto dai sostenitori della riforma.
C'è la paura per le reazioni dei mercati, che certo risentono di qualunque passaggio elettorale in prossimità del quale presentano maggiore volatilità, ma che, nella sostanza, è infondata come è stato detto da più parti, secondo quanto abbiamo già ricordato alcuni giorni fa, ed è stato ribadito più recentemente dagli imprenditori che con Ruvolo hanno precisato come questa riforma non prevede uno spazio di confronto tra ceti produttivi e potere legislativo ed esecutivo.
C'è la paura di un governo "pentastellato", che ovviamente attecchisce solo su una percentuale di elettorato e per un'altra è invece addirittura un'opportunità, e che è stata invocata, da ultimo, per esempio, da Lerner, che teme i dilettanti al potere, come se non se ne fossero ancora mai visti. Senza peraltro considerare che chi "teme" che vinca l'avversario dovrebbe optare per una costituzione meglio in grado di controllarlo (come la vigente).
C'è la paura del "populismo", con cui, in via approssimativa, si fa riferimento alla insofferenza dei cittadini per un potere chiuso e sordo rispetto alle loro esigenze, oltre che attento soprattutto al mantenimento di alcuni privilegi. Senza considerare che si tratta spesso di richieste legittime e del tutto in linea con l'appartenenza della sovranità al popolo (secondo quanto previsto all'articolo 1 della costituzione) e di una ribellione all'idea per cui "non ci sono alternative". E senza considerare poi che l'unico populismo forse davvero inaccettabile è quello di un governo che, senza rinunciare ad alcun privilegio, accarezza argomenti "anticasta".
C'è la paura "dell'immobilismo", evocata, da ultimo, dal sindaco di centrodestra di Venezia che ha detto che se vince il No serviranno altri sei anni (termine che rimane difficile da comprendere) per un'altra riforma. Senza considerare che la velocità di qualunque riforma - costituzionale e no - è sempre dipesa dalla volontà della politica di procedervi (la riforma costituzionale del pareggio di bilancio è andata in porto, per esempio, in sei mesi).
E che comunque ci sono alcune - semplici e davvero utili - riforme costituzionali già ampiamente condivise e che potrebbero essere fatte rapidamente (a partire da quella per la riduzione del numero dei deputati e dei senatori).
Nell'evocare queste paure non sono mancati anche caricaturali accostamenti del "No" con Trump (in effetti - si potrebbe dire - sostenitore del bicameralismo perfetto, ma come Obama e la Clinton) e con la Brexit, dimenticando il particolare che, al contrario, è con la costituzione che si vuole così ampiamente modificare che l'Italia è entrata nelle comunità e nell'Unione Europea e nell'euro.
Insomma, le mille paure che i sostenitori del "Sì", da sempre poco inclini a concentrarsi sui contenuti della legge di revisione costituzionale, agitano con tanta maggiore scompostezza quanto più si avvicina il momento del voto sembrano tutte infondate e messe su da una politica chiusa in se stessa. I cittadini devono superarle per votare liberamente al referendum del 4 dicembre. Un appuntamento troppo solenne per essere condizionato dalla paura.
Fonte: Huffington Post - blog dell'Autore
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