La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 20 novembre 2015

Il terrorismo si appresta a stare con noi per lungo tempo

di Nadia Urbinati
Non sappiamo quanto lunga sarà la convivenza con il terrorismo. I timori per la vita non sono amici diretti della libertà; eppure sono condizioni essenziali per creare la sicurezza, grazie alla quali soltanto la libertà può crescere. Su questo paradossale legame di paura, sicurezza, libertà - il paradosso del Leviatano-- si incastonano le nostre istituzioni e i nostri diritti. Non si dà diritto e quindi libertà senza una cornice di sicurezza e di sovranità statale le cui funzioni siano costituzionalizzate e il potere limitato e temperato dalla legge. Su questo "abc" si basa l'Occidente, quel grappolo di libertà, civili, politiche, morali che contraddistingue la nostra vita quotidiana. Se la guerra è una condizione tragica (e a volte necessaria) che ci accomuna tutti alla specie umana, la pratica della legge e dei diritti è quella straordinaria costruzione che qualifica la nostra tradizione dall'antichità, permeando tutte le sfere di vita, religiosa e secolare, privata e pubblica. Questo è l'Occidente.
E lo è soprattutto quando la violenza terroristica, cieca e imprevedibile, costringe a pensare in fretta e con determinazione quali misure prendere. Che cosa fare. Il governo francese ha messo in atto immediatamente dopo l'attentato, quasi reagendo all'emozione dell'indeterminato, una strategia diguerra e di polizia. Il Presidente Franςois Hollande ha inoltre proposto modifiche d'urgenza alla Costituzione francese, per estendere nel tempo e nelle prerogative lo stato d'eccezione, e per dettare criteri di revoca della cittadinanza francese nel caso di terroristi che abbiano doppia cittadinanza. Le misure di guerra in Siria e di polizia nel paese prefigurano condizioni di eccezionalità che non possono non destare preoccupazione. Il piano del terrore è proprio quello di indurre le vittime ad ammettere che le loro libertà sono deboli, che non riescono a difendere se stesse. Questa sarebbe una vera capitolazione.
L'esperienza americana dopo l'11 settembre 2001 dovrebbe assisterci nelle nostre valutazioni. L'allora Presidente George W. Bush e il suo vice Dick Cheney presero due decisioni che si rivelarono onerosissime per gli Stati Uniti e il mondo, entrambe improntate alla logica della guerra: contro i nemici esterni e contro i cittadini-nemici. Di qui sono venute l'invasione dell'Afghanistan e poi dell'Iraq e la creazione di un campo di reclusione per prigionieri-nemici-totali situato fuori della giurisdizione americana, a Guantánamo, Cuba (poiché la Costituzione avrebbero vietato una detenzione arbitraria dentro i confini statali). Come riconoscono ormai tutti gli esperti e opinionisti, tutte queste misure si sono rivelate onerose e fallaci da tutti i punti di vista: giuridico, economico, militare e politico. Con l'alleanza di Tony Blair (che si è recentemente confessato colpevole di aver mentito sull'esistenza di impianti nucleari in Iraq, per giustificare l'invasione) gli Stati Uniti hanno creato oggettivamente le condizioni di instabilità radicale nelle quali fiorisce oggi il terrorismo dell'Isis: la demolizione dello stato, non tanto del regime di Sadam Hussein, in Iraq ha consegnato quel territorio vasto e ricco di petrolio a forze militari terroristiche o a loro sodali. Una condizione che si è recentemente ripetuta con la Libia. Per questi errori, i capi di quelle nazioni democratiche dovrebbero essere portati di fronte al tribunale dell'opinione mondiale, affinché ammettano le loro responsabilità, poiché da esse sono dipesi quindici anni di radicale instabilità nella regione mediorientale e di crescita globale del terrorismo.
Ha spiegato Romano Prodi, in alcune interviste rilasciate in questi giorni, che la strategia da anteporre a quella militare, e da integrare con quella di polizia, dovrebbe essere l'intervento sulle "libertà economiche" di cui godono i terroristi: libertà di vendere petrolio alle compagnie multinazionali occidentali a costi probabilmente competitivi o a mercato nero. L'introito miliardario di quel libero commercio consente ai terroristi di acquistare armi. Il governo della legge dovrebbe mostrarsi forte e determinato proprio in queste due sfere di mercato libero. Intervenire sul mercato delle armi e del petrolio è possibile solo se tutti gli stati si confederano, se così si può dire, per accordarsi a mettere limiti ad una condizione di quasi totale anarchia, a causa della quale le nostre libertà rischiano di morire. C'è bisogno di più globalismo del diritto e di meno licenza dei mercati.
L'Occidente ha dunque l'arma della legge, che è fortissima se usata con l'obiettivo giusto in mente, quello di togliere risorse materiali e sostengo al terrorismo. È probabilmente solo una sinergia di azioni coordinate tra tutti gli stati che si riconosco nella famiglia dell'Onu ad essere la strategia vincente; la determinata e ferma messa in atto di una costellazione di decisioni, secondo i dettami della pace perpetua di Kant: primo fra tutto, quello per cui la libertà si difende con armi proprie, che sono il diritto e la legge (capaci di contenere l'uso eccezionale della forza). È il valore di questa tradizione occidentale che soltanto può rilanciare la funzione della comunità internazionale nella lotta al terrorismo.

Fonte: Huffington post - blog dell'Autrice 

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