La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 21 agosto 2015

La repressione come limite

di Raúl Zibechi e Decio Machado
Per la gente di sinistra, in ogni tempo e in ogni luogo, la repressione è sempre stataun punto limite, una linea rossa che non va attraversata. Noi, la gente delle sinistre, rifiutiamo da sempre il fatto che uno Stato, qualsiasi sia il suo colore, possa attraversarla senza che noi si alzi la voce, senza metterci in modo incondizionato dalla parte di coloro che subiscono la repressione. Senza manifestare la nostra più decisa opposizione a un modello di risoluzione dei conflitti che è brutale e provoca il dolore di coloro che, privi di armi militari, rivendicano quel che considerano giusto.
Il presidente dell’Ecuador Rafael Correa ha attraversato una linea che lo colloca a fianco dei tanti governi dell’oppressione del nostro continente. La dimostrazione si rende evidente nel “glorioso” saldo di centinaia di feriti e decine di arrestati, il frutto dell’intervento di corpi scelti della polizia anti-sommossa e della forze armatein località come Girón nell’Azuay, Pisanquí nell’Imbabura, Saraguro nella Loja, Quito nel Pichincha, El Chasqui nel Cotopaxi o Logroño nella provincia di Morona Santiago, tra gli altri luoghi del paese (le proteste hanno coinvolto anche altre delle 24 province dell’Ecuador, ndt).
Rafael Correa ha superato quella linea in un modo molto perverso: usando il nostro linguaggio, le forme e gli stili che utilizzano i movimenti popolari e i partiti di sinistra, pronunciando parole come rivoluzione, cambiamento, giustizia sociale e tante altre il cui significato viene violentato nel momento in cui comincia la repressione sui settori sociali che storicamente sono stati e continuano ad essere emarginati in questa società.
Il regime che comanda Correa sta mostrando, nella sua furiosa reazione allo sciopero guidato dalle organizzazioni indigene e dai sindacati dei lavoratori, il suo carattere autentico: una nuova forma di dominazione, dove le politiche sociali pretendono di mettere a tacere i movimenti per lubrificare le stesse forme di accumulazione basate sull’espropriazione e la violenza contro la natura e le persone.
In Ecuador non c’è nessuna rivoluzione in corso da parte del potere dello Stato. Ci sono l’approfondimento del modello estrattivista e la dipendenza crescente dal mercato capitalista globale. Questo richiede un ri-posizionamento autoritario dello Stato e delle modalità di governo. Ciò che sta accadendo è una conseguenza diretta di questo modello: la caduta dei prezzi del petrolio non ha fatto che far esplodere una crisi che los de arriba, quelli che stanno in alto, pretendono sia pagata da los de abajo, quelli che stanno in basso.
Il nostro sostegno incondizionato va ai settori popolari organizzati in movimenti. Alla repressione, che non è altro che l’anticamera di un’uscita a destra dalla crisi attuale, va la nostra opposizione. Soltanto l’azione decisa e autonoma dei movimenti può far inclinare la bilancia verso soluzioni popolari o di sinistra.
Il tentativo di mascherare questo tipo di comportamenti con discorsi che alludono a presunti golpe striscianti o a intenti di destabilizzare il regime, non riflette altro che una manifesta incapacità di governare senza esercitare violenza sulla gente.
Un modo di governare, questo, nel quale l’uso della prepotenza, il privilegio del potere, il dominio e la superiorità si trasformano in una cospirazione contro chi è debole.

Traduzione da Rebelion per Comune-info di Marco Calabria

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