La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 20 agosto 2015

L’agonia delle università del Sud

di Francesco Sinopoli e Alberto Campailla
I recenti dati Svi­mez andreb­bero letti alla luce dell’Anagrafe del Miur sulle imma­tri­co­la­zioni all’Università, radi­cal­mente scese con punte altis­sime al Sud (45 mila iscritti in meno in 10 anni) in favore a tratti degli ate­nei del Nord. Si rende evi­dente come la crisi eco­no­mica e sociale del Sud sia aggra­vata dalla costante fuga dei gio­vani e dalla loro rinun­cia a con­ce­pire la for­ma­zione come un’opportunità. Que­sti dati hanno costretto il pre­si­dente del con­si­glio ad aprire una “rifles­sione” nel Pd e nella mag­gio­ranza sulle poli­ti­che per il Sud, anche se al momento non esi­ste una delega per nes­sun mini­stro o sot­to­se­gre­ta­rio su que­sti temi.
Natu­ral­mente col­pi­sce che ciò avvenga dopo aver sot­tratto le risorse dei fondi strut­tu­rali per finan­ziare gli sgravi sulle nuove assun­zioni. L’esito della rifles­sione sul Mez­zo­giorno viene comu­ni­cato dal piro­tec­nico pre­si­dente del con­si­glio con il solito annun­cio di inve­sti­menti con­dito dalla reto­rica stan­tia del Sud che si piange addosso. Guar­dando al Sud attra­verso la lente dell’Università vediamo, quindi, con mag­gior chia­rezza che non di disin­te­resse si tratta ma di pia­ni­fi­cato abbandono.
Dal 2008 in avanti, il sistema uni­ver­si­ta­rio ita­liano ha visto com­ples­si­va­mente una sot­tra­zione di 1,5 mld di euro a cui si è accom­pa­gnata la legge 240/2010 neces­sa­ria a legit­ti­mare i tagli pia­ni­fi­cati. Que­ste scelte hanno avuto effetti dram­ma­tici sull’offerta for­ma­tiva, inde­bo­lito la capa­cità di ricerca, cro­ni­ciz­zato il ricorso al lavoro pre­ca­rio pre­giu­di­cando la fun­zione pub­blica e la mis­sione isti­tu­zio­nale dell’Università pro­prio in una par­ti­co­lare con­giun­tura che avrebbe richie­sto la sua com­pleta rea­liz­za­zione. Si tratta, del resto, di misure che si ispi­rano a prin­cipi affatto ori­gi­nali. E’ l’onda lunga di quel pro­cesso neo­li­be­rale di ristrut­tu­ra­zione delle agen­zie for­ma­tive e più in gene­rale dei set­tori pub­blici tor­nato di gran moda nel nostro paese. L’esito di que­ste poli­ti­che è sotto gli occhi di tutti: l’Italia si col­loca ben al di sotto della media euro­pea per finan­zia­menti all’Università, per numero di stu­denti iscritti e lau­reati, per numero di ricer­ca­tori e dot­tori di ricerca in rap­porto alla popolazione.
La nostra Uni­ver­sità vive, quindi, uno stato di emer­genza com­ples­siva, ma in que­sto qua­dro risulta altret­tanto evi­dente che in alcune zone del paese, il Sud in par­ti­co­lare, que­sta situa­zione è par­ti­co­lar­mente grave. La ragione risiede nelle diverse con­di­zioni di par­tenza degli ate­nei del Sud ma soprat­tutto a causa degli indi­ca­tori di valu­ta­zione uti­liz­zati per lo stan­zia­mento delle poche risorse dispo­ni­bili che hanno note­vol­mente sfa­vo­rito gli ate­nei meri­dio­nali. In sostanza in que­sti anni di ridu­zione costante delle risorse si è veri­fi­cato un pro­cesso di redi­stri­bu­zione delle stesse a svan­tag­gio della mag­gio­ranza degli ate­nei del Sud.
Con­si­de­riamo ad esem­pio il caso dei punti orga­nico (Po), che riguar­dano diret­ta­mente la pos­si­bi­lità di un ate­neo di assu­mere e cioè di ricam­biare e rin­gio­va­nire la pro­pria classe docente. In que­sti anni le poli­ti­che pre­miali hanno pesan­te­mente sfa­vo­rito gli ate­nei meri­dio­nali. Solo quest’anno lo stacco di Po tra ate­nei del Cen­tro Nord e del Sud è di 18 punti per­cen­tuali (cal­co­lati rispetto alla distri­bu­zione che si avrebbe se il tetto mas­simo fosse sta­bi­lito a livello di ate­neo e non di sistema).
Caso emble­ma­tico è quello della Sici­lia che perde ben 29 punti orga­nico e della Cam­pa­nia che si asse­sta a –19. Si sta veri­fi­cando un ridi­men­sio­na­mento selet­tivo del sistema uni­ver­si­ta­rio che sot­to­stà alla pre­cisa logica di con­cen­tra­mento delle risorse in pochi ate­nei. Que­sto ha por­tato ad una assurda com­pe­ti­zione per l’accaparramento dei pochi finan­zia­menti dispo­ni­bili in cui il meri­dione resta comun­que affos­sato. Come det­ta­glia­ta­mente riporta Benia­mino Cap­pel­letti Mon­tano su “Roars” «quasi 700 ricer­ca­tori pre­le­vati dagli orga­nici delle uni­ver­sità del Centro-Sud e tra­sfe­riti d’ufficio negli ate­nei del Nord-Italia nel corso di soli quat­tro anni»: all’indomani dell’assegnazione 2015, que­sto è il tra­vaso com­ples­sivo pro­dotto dai per­versi mec­ca­ni­smi dei punti orga­nico”. Com­ples­si­va­mente in 4 anni il Sud perde 281 punti orga­nico, il Cen­tro 60 men­tre il Nord ne gua­da­gna 341 con un pri­vi­le­gio par­ti­co­lare per la Lom­bar­dia e per le cosid­dette uni­ver­sità spe­ciali come il S. Anna di Pisa, L’Imt di Lucca, l’Università per stra­nieri di Siena e imman­ca­bil­mente l’Università del mini­stro in carica.
L’assunto da cui par­tono i difen­sori di que­ste poli­ti­che è noto: biso­gna soste­nere le eccel­lenze. Un approc­cio pri­mi­tivo ai pro­blemi del nostro sistema di istru­zione e ricerca che nasconde la coper­tura di inte­ressi con­cen­trati in alcune aree geo­gra­fi­che ben loca­liz­zate. Soprat­tutto un approc­cio misti­fi­cante per­ché l’assegnazione dei punti orga­nico pre­scinde ampia­mente da qua­lun­que valu­ta­zione sulla qua­lità della ricerca o della didat­tica ma si basa su para­me­tri di carat­tere esclu­si­va­mente patri­mo­niale e finan­zia­rio peral­tro pre­miando chi aumenta le tasse agli stu­denti sfo­rando il tetto mas­simo pre­vi­sto dalla legge.
La pena­liz­za­zione degli ate­nei del Sud, e non solo, si intrec­cia, infatti anche con il pro­gres­sivo inde­bo­li­mento di molte disci­pline che in quelle Uni­ver­sità van­tano scuole impor­tanti. Col­pi­sce coloro che lavo­rano e col­pi­sce soprat­tutto gli studenti.
Sacri­fi­care, come sta già avve­nendo, un sistema uni­ver­si­ta­rio dif­fuso con una qua­lità media ele­vata signi­fica rinun­ciare ad una rete uni­ver­si­ta­ria che rap­pre­senta una fon­da­men­tale infra­strut­tura a van­tag­gio di una idea astratta di eccel­lenza com­ple­ta­mente scol­le­gata dai biso­gni reali delle per­sone e del paese.
Le ideo­lo­gie che sosten­gono il verbo dell’eccellenza die­tro cui cer­cano di celare il carat­tere essen­zial­mente clas­si­sta di ogni policy sug­ge­rita e poi appli­cata negli ultimi anni al sistema dell’istruzione si nutrono gene­ral­mente del con­tri­buto, tra­sver­sale, di molti media.
Da ultimo Il Fatto Quo­ti­diano il cui vice­di­ret­tore si chiede, se sia «dav­vero utile sus­si­diare pesan­te­mente uni­ver­sità che pro­du­cono disoc­cu­pati e for­mano per­sone che nes­suno sente il biso­gno di assu­mere o retri­buire ade­gua­ta­mente». Si rife­ri­sce alle facoltà uma­ni­sti­che che non offri­reb­bero grandi oppor­tu­nità occu­pa­zio­nali, com­por­tando, comun­que, retri­bu­zioni basse per i pochi for­tu­nati che tro­vano lavoro. Come se il pro­blema fos­sero le scelte degli stu­denti e non una domanda da parte delle imprese ita­liane di qua­li­fi­che basse e medio basse con­se­guenza di una spe­cia­liz­za­zione pro­dut­tiva sem­pre più ina­de­guata. Come se il pro­blema non fosse una poli­tica di defla­zione sala­riale che ha con­tri­buto ad aggra­vare la crisi in cui ci troviamo.
Dal nostro punto di vista la ricetta è esat­ta­mente l’opposto: ser­vono più ricer­ca­tori, più offerta uni­ver­si­ta­ria e rifiuto delle cate­go­rie sui­cide di ade­gua­mento alla domanda del mer­cato e di eccel­lenza.
Serve costruire un sistema uni­ver­si­ta­rio nazio­nale non com­pe­ti­tivo ma coo­pe­ra­tivo, par­tendo dalle aree ter­ri­to­riali dove mag­giore è il ritardo nello svi­luppo attra­verso la crea­zione di reti reali tra gli ate­nei per rea­liz­zare una offerta didat­tica inte­grata. In un ter­ri­to­rio come quello ita­liano carat­te­riz­zato da forti ritardi e dif­fe­renze al suo interno l’Università deve rap­pre­sen­tare la pos­si­bi­lità di riscatto. In par­ti­co­lare per le aree eco­no­mi­ca­mente più deboli e messa nelle con­di­zioni di assol­vere alle sue mol­te­plici mis­sioni. Didat­tica di qua­lità, ricerca di fron­tiera e appli­cata, inno­va­zione tec­no­lo­gica, crea­zione di oppor­tu­nità di impiego anche attra­verso per­corsi di for­ma­zione per­ma­nente, qua­li­fi­ca­zione del tes­suto pro­dut­tivo ma soprat­tutto pos­si­bi­lità di scelte con­sa­pe­voli per un numero sem­pre mag­giore di persone.
Sono indi­spen­sa­bili finan­zia­menti, supe­ra­mento dell’idea di pre­mia­lità, qua­li­fi­ca­zione dell’offerta for­ma­tiva, costru­zione di un vero sistema di diritto allo stu­dio, nuove assun­zioni par­tendo dai pre­cari che con­sen­tono alla mac­china ancora di funzionare.

Fonte: Il manifesto

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