La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 22 agosto 2015

Sinistra, ci vuole un soggetto che marchi il campo


di Fabio Vander

Nell’importante edi­to­riale di avvio di que­sta discus­sione Norma Ran­geri invita a rico­no­scere «l’urgenza di tro­vare forme, obiet­tivi, uni­tari» per una sini­stra capace di «alter­na­tiva poli­tica oggi e di governo domani». Dun­que alter­na­tiva e governo le parole chiave.
Dichiaro subito la mia posi­zione: occorre costruire un nuovo par­tito della sini­stra ita­liana. Un par­tito del lavoro e dei saperi, dei diritti sociali e civili, della giu­sti­zia, della libertà. Paci­fi­sta e inter­na­zio­na­li­sta, euro­pei­sta ma cri­tico dell’Europa del neo­li­be­ri­smo e della Troika. Un par­tito del socia­li­smo (bene ha fatto Vit­to­rio Melan­dri a ricor­dare l’attualità del ter­mine), nel senso pro­prio di cri­tica del capi­ta­li­smo e di pro­cesso di liberazione.
Natu­ral­mente un par­tito non si improv­visa, dun­que occor­rerà lan­ciare in autunno una fase costi­tuente, in cui dovranno farsi scelte, dare il senso di una pro­spet­tiva, sta­bi­lire sca­denze (poli­ti­che pos­si­bil­mente, prima che elet­to­rali), ela­bo­rare un pro­gramma fon­da­men­tale. Ma dovrà ini­ziarsi anche la «costru­zione di un nuovo gruppo diri­gente», come sag­gia­mente ricorda Alfonso Gianni (ma ne aveva già par­lato giorni fa Michele Pro­spero, sem­pre sul manifesto).

Ai par­ti­tini ancora esi­stenti deve chie­dersi qual­cosa di più della sem­plice “gene­ro­sità”. Intanto l’autocritica per gli errori di que­sti anni, che tanto hanno con­tri­buito alla scom­parsa della sini­stra ita­liana, per poi met­tersi discre­ta­mente a dispo­si­zione del pro­cesso costi­tuente del nuovo par­tito. Al quale però, resto dell’idea si dovrà ade­rire a titolo per­so­nale, indi­vi­duale e non per som­ma­to­ria di pezzi di ciò che resta di gruppi dirigenti.
Discu­ti­bile mi è parso invece il con­tri­buto di Pasquale Voza che da una parte richiama Dar­dot e Laval, che però alla «gab­bia d’acciaio euro­pea» oppon­gono una anar­chica (e impo­li­tica) «auto-istituzione della società», dall’altra riven­dica la neces­sità di «inven­tare poli­ti­ca­mente il popolo», peti­zione che ricorda però il vec­chio demiur­gi­smo e diri­gi­smo della dot­trina delle élite (senza voler sco­mo­dare Lenin). Comun­que il con­tra­rio di una cor­retta con­ce­zione della demo­cra­zia e della dia­let­tica alto-basso. Anche Gia­nan­drea Pic­cioli rifiuta la forma-partito ma per invo­care «pic­coli gruppi –mino­ranze intel­let­tuali, monaci, folli, buca­nieri, anar­chici, tea­tranti». Ho l’impressione che con que­sti schemi e que­sto modo di ragio­nare non andiamo da nes­suna parte.
Limiti evi­den­ziati anche dall’intervento di Ber­ti­notti, fermo ad una reto­rica dell’“evento” di scuola fran­cese (sta­volta il citato è Badiou), che ha uno schietto taglio nichilista-spontaneista-antipolitico; una sub­cul­tura che è tanta parte della scom­parsa pro­prio della Rifon­da­zione di Bertinotti.
Note­vole invece l’intervento di Franco Monaco, assai oppor­tu­na­mente ospi­tato dal gior­nale. Il fatto che, un uli­vi­sta clas­sico, che ha con­di­viso tutta l’avventura di Romano Prodi, rico­no­sca che forse è meglio rein­tro­durre il trat­tino fra cen­tro e sini­stra, che affermi altresì la neces­sità di rico­struire un par­tito (usa pre­ci­sa­mente que­sto ter­mine) «dichia­ra­ta­mente di sini­stra, con cul­tura di governo e infor­mata ad un rifor­mi­smo forte», è cosa che dovrebbe far riflet­tere tutti noi. Dovrebbe essere uno sti­molo a fare e a fare pre­sto e bene.
Forse è anzi il segno che un ciclo si sta chiu­dendo e che un altro se ne può aprire. Ci vuole però un sog­getto che mar­chi il campo, che imponga al dibat­tito poli­tico un’altra idea di poli­tica e di demo­cra­zia (con­flit­tuale, dell’alternativa, della netta sepa­ra­zione fra destra e sini­stra), ma anche di Ita­lia e di Europa.
Ha ragione Guido Liguori a dire che non dob­biamo sem­pli­ce­mente copiare Syriza (o Pode­mos). Sarebbe un modo pro­vin­ciale di impo­stare il discorso. Piut­to­sto si tratta di tro­vare una vita ita­liana alla rina­scita della sini­stra.
Per tutto que­sto è però impor­tante par­tire subito, sta­bi­lire un’agenda, assu­mersi respon­sa­bi­lità, evi­tare ini­zia­tive sfi­lac­ciate (per esem­pio pre­sen­tare i refe­ren­dum o le posi­zioni “no euro”, senza dibat­tito e senza con­di­vi­sione). Se qual­cuno par­lasse, facesse pro­po­ste, si con­sul­tasse prima di muo­versi per suo conto, saremmo già sulla buona strada per la for­ma­zione di una nuova comu­nità politica.
In con­clu­sione il futuro della sini­stra ita­liana dipen­derà dai pro­grammi che si darà e dal ruolo che saprà disim­pe­gnare. Ciò che si è dipende da ciò che ci si mostra in grado di fare. La fun­zione crea l’organo. A ben vedere: niente ideo­lo­gia, né politicismo.

Fonte: il manifesto

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