La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 21 agosto 2015

Neil Young e «The Monsanto Year», la sfida delle canzoni

di Guido Festinese
«Non par­lare delle mul­ti­na­zio­nali / che seque­strano ogni tuo diritto / la gente vuol sen­tire par­lare d’amore / Non par­lare della fame globale/ parla dell’amore globale/ la gente vuol sen­tire par­lare d’amore / Non andare in giro a dire che Citi­zens Uni­ted ha mas­sa­crato la demo­cra­zia / La gente vuol sen­tire par­lare d’amore / Non dire che i pesti­cidi pro­vo­cano l’autismo nei bam­bini / La gente vuol sen­tire par­lare d’amore / Non dire che la gente non vota più per­ché non hanno alcuna fidu­cia in chi si candida/ la gente vuol sen­tire par­lare d’amore». Chia­rito che Citi­zens Uni­ted è un’organizzazione nor­da­me­ri­cana di estrema destra iper­li­be­ri­sta, comin­ciamo col dire che erano molti anni che dal rock ame­ri­cano non veniva fuori un’invettiva così. A chiare lettere.
Magari, a riflet­terci un po’, dal 2006, quando Neil Young — che per tanti ita­liani con la testa nei dolci ricordi anni ’70 con­ti­nua ad essere il mene­strello malin­co­nico di Har­vest — non fece uscire Livin’ with War, un atto d’accusa crudo e diretto con­tro il pre­si­dente George W. Bush, augu­ran­do­gli diret­ta­mente di finire sotto pro­cesso «per aver men­tito alla sua nazione», ed aver sca­te­nato l’inferno in Iraq con la scusa delle «armi di distru­zione di massa».
Neil Young è natu­ral­mente anche l’autore di quelle parole che tro­vate all’inizio. Sono nella terza trac­cia di The Mon­santo Years, nuovo rug­gente e corag­gioso exploit «poli­tico» del grande cana­dese. Coper­tina cal­cata su Ame­ri­can Gothic, capo­la­voro del 1930 di Grant Ewood.
Young è ora in giro per l’America con il Rebel Con­tent Sum­mer Trek Tour, dodici date per dire a testa alta che il mondo è in peri­colo, le can­zoni d’amore pos­sono aspet­tare, che forse è il caso di tor­nare a indi­gnarsi. Adesso c’è da infor­mare la gente, e se c’è biso­gno di un nuovo ini­zio lui è pronto.
Non è nuovo alle bat­ta­glie ambien­tali Neil Young, che per tutta la vita ha alter­nato i tour nel mondo a lun­ghi periodi di iso­la­mento nel suo ranch. Tempo fa si mise di tra­verso ai colossi del petro­lio nel «suo» Canada, e le bat­ta­glie per un’agricoltura soste­ni­bile con­tro il mono­po­lio di pochi potenti sono per lui una costante. Però erano anni che non si vedeva un disco così, che a par­tire dal nome sem­bra un dito pun­tato: «Gli anni della Monsanto».
E non è la sola mul­ti­na­zio­nale chia­mata in causa, ce ne è anche per Safeway Inc., la prin­ci­pale catena di super­mer­cati a stelle e stri­sce, per Wal­mart e per Rock Star­buck, il colosso del caffé di cui un tempo Neil Young era grande esti­ma­tore, e ora è fiero avver­sa­rio dopo la sco­perta del soda­li­zio tra Star­buck e Mon­santo per le sementi gene­ti­ca­mente modi­fi­cate, e della causa inten­tata dai due con­tro il Ver­mont. «Mi fa pia­cere una tazza di caffé/ ma non un orga­ni­smo gene­ti­ca­mente modi­fi­cato / voglio ini­ziare la mia gior­nata senza aiu­tare la Monsanto».
E, più avanti: «Mon­santo, i nostri agri­col­tori devono essere liberi di far cre­scere quello che vogliono loro». È anche suc­cesso, a onor del vero, che poi Rock Star­buck ha impu­gnato il tutto, e ha man­dato a dire a Neil Young di non essere coin­volta nel pro­cesso assieme a Mon­santo con­tro il Ver­mont che chie­deva l’indicazione sulle eti­chette di ele­menti gene­ti­ca­mente modi­fi­cati, ma lui non è arre­trato di un mil­li­me­tro, e sul suo sito ha scritto: «Non darò alcun appog­gio a un’impresa che cerca in ogni modo di osteg­giare il diritto della gente di sapere cosa c’è nel cibo e nelle bevande che si met­tono a tavola. Ho pro­vato a fare la domanda diretta a Star­buck: ’Ci sono o no gli ogm nei vostri pro­dotti?’, e non mi hanno voluto rispon­dere. Io non ho pro­prio nulla con­tro le per­sone che lavo­rano alla Mon­santo, sono esseri umani come me. Ma la Mon­santo è il sim­bolo dei guai che abbiamo con il governo occulto delle multinazionali».
L’ultima noti­zia è che Neil Young ora spara a zero: la sua società di pro­du­zione video Sha­key Pic­tu­res ha appena dif­fuso su Face­book il docu­men­ta­rio See­ding Fear («Semi­nare la paura»), sto­ria della causa vinta da un agri­col­tore ottan­tenne ame­ri­cano con­tro la Mon­santo per aver­gli con­ta­mi­nato i campi con semi ogm.
Men­tre Mon­santo pre­para le con­tro­mosse, Young suona le can­zoni di The Mon­santo Years. Facen­dosi accom­pa­gnare dai Pro­mise Of The Real, che poi sono la band elet­trica in cui suo­nano anche i figli del «fuo­ri­legge del coun­try», l’amico Wil­lie Nel­son, altro tipetto assai sen­si­bile ai temi dell’ambiente e dell’agricoltura pulita.
Un suono ruvido, stro­pic­ciato, volu­ta­mente grezzo e da garage band, quello scelto da Young in The Mon­santo Years. Con occa­sio­nali sbuffi di armo­nica, voci armo­niz­zate west­coa­stiane, chi­tarre fre­menti, bal­late avvi­lup­pate in pigre ed aci­dule volute. Sarà anche un disco (e un dvd accluso) di pro­test songs, ma è un gran disco, comun­que la mettiate.

Fonte: il manifesto

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